Mussolini e la sua lunga marcia da socialista col fazzoletto nero (1901-1914) - Parte I -

 

 

Introduzione

 

Sono passati cento anni dalla famigerata marcia “fascista” su Roma. Mussolini nell’ottobre del 1922, quando ebbe luogo la marcia, era già distante “anni luce” da ogni forma di socialismo. Per usare le parole di Amadeo Bordiga in un suo articolo del giugno 1921, quando Mussolini era appena entrato in Parlamento ed era alle prese con la normalizzazione del fascismo squadrista, si può scrivere tranquillamente: “Benito Mussolini non è oggi per noi quello che era nel 1914-15, non è più un ex-compagno, un rinnegato, è, se tanto gli accomoda, un ex-rinnegato che vive nuove incarnazioni[1].  Se di “ex-compagno”, anche se poi rinnegato, si trattava, che tipo di compagno era stato Benito Mussolini?  

 

Già nel primo paragrafo della Premessa del libro intitolato, perentoriamente, “Mussolini socialista”[2], i due curatori, Emilio Gentile, senza dubbio uno dei massimi esperti di fascismo dei nostri giorni, e Spencer M. Di Scala, studioso del riformismo socialista in Italia, impostano il problema di valutare Mussolini socialista senza essere viziati dal successivo Mussolini fascista. Scrivono i due autori: “Le vicende biografiche di Mussolini nel periodo in cui fu militante socialista, fra il 1902 e il 1914, sono state largamente studiate fin dall’epoca del regime fascista, e soprattutto dopo la fine del fascismo e la morte del suo duce. Varie e contrastanti sono state le interpretazioni che gli storici hanno dato del Mussolini socialista, oscillanti fra chi lo ha accostato a Lenin per la concezione della rivoluzione e del partito rivoluzionario, e chi invece ha negato che Mussolini sia mai stato veramente socialista e marxista, persino quando fu uno dei massimi dirigenti del Partito socialista italiano e il direttore dell’«Avanti!». Quasi tutte queste interpretazioni sono state influenzate dalla successiva esperienza fascista, con la tendenza a rintracciare nel Mussolini socialista il Mussolini fascista.

 

Vero è, come riconosciuto da Ugoberto Alfassio Grimaldi nella prefazione del libro “Mussolini direttore dell’”Avanti!”[3] di Gherardo Bozzetti, che c’è stato da parte dei socialisti un tabù nel riconoscere Mussolini come uno dei loro. Angelica Balabanoff, che aveva conosciuto da vicino Benito e aveva contribuito significativamente al suo successo nella compagine dei socialisti rivoluzionari, lo descrive come un traditore[4], ovvero, un socialista che aveva ad un certo punto tradito questo ideale. Ma era stato proprio così?

 

Già mettendo assieme l’esternazione di Bordiga, il giudizio di tre emeriti storici e il ricordo di una compagna di quel periodo, ci si propina un’immagine, seppur ancora vaga, di un Mussolini che fu socialista e non lo fu in modo marginale. Ma questo, vedremo di seguito, rimane un giudizio superficiale e insoddisfacente. Per comprendere Mussolini nel suo periodo socialista, non ci si può esimere dal fare tre cose: i. definire il socialismo come inteso dai marxisti, ii. capire il contesto socioeconomico, non solo italiano, ma almeno europeo nel quale ci si trovava nei primi 14 anni del Novecento, iii. capire come funzionava il Partito Socialista Italiano di quel periodo.

 

In estrema sintesi, si vedrà meglio nel testo, il socialismo marxista era diventato dottrina dominante nei vari partiti componenti la Seconda Internazionale[5], con il Partito Socialdemocratico tedesco facente da partito-guida. In quegli anni Karl Kautsky ne era il suo principale teorico di riferimento, avendo questi preso in mano l’eredità lasciatagli da Engels scomparso nel 1895. Ora, nonostante che per ‘marxismo ortodosso’ si debba intendere grossomodo quello di Kautsky, il socialismo marxista dovette affrontare diversi dilemmi che puntualmente spaccarono i socialisti in diverse frazioni. Per esempio, la partecipazione dei socialisti al Governo, lo sciopero di massa o generale, la politica coloniale, il suffragio universale, la posizione nei riguardi della guerra di difesa nazionale, ecc. Tutti temi dibattuti sia a livello delle singole nazioni che all’interno della Seconda Internazionale. Nonostante il fallimento della Seconda Internazionale con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si può affermare che il movimento socialista avesse raggiunto un livello di internazionalizzazione difficilmente immaginabile oggi.

 

Tra gli anni ‘80 del XIX secolo e il 1907 l’Europa aveva visto due importanti crisi economiche e non è un caso che vi erano in atto importanti onde migratorie. Vedremo che non solo Mussolini, ma molti altri giovani agitatori o organizzatori socialisti erano attivi tra le comunità di emigrati, stampando un giornale nella loro lingua madre. L’Italia era pressoché composta da lavoratori della terra, molti braccianti giornalieri, e il meridione veniva da decenni di politica oppressiva da parte del Governo centrale, non a caso si dipingeva Giolitti come l’uomo dalle due facce, benevolo al nord e oppressore al sud. L’industrializzazione, ancora ai primordi, si era concentrata tra Milano, Torino e Genova e qui il movimento operaio aveva raggiunto il grado più alto di organizzazione. L’alfabetizzazione era ancora un problema per le masse lavoratrici, ma gli operai specializzati leggevano e i giornali e le riviste erano la primaria fonte di informazione e di propaganda. Diventare un giornalista, un pubblicista, o addirittura un direttore di giornale, significava avere una certa popolarità. Cosa che vedremo in seguito giocherà un ruolo del tutto primario nelle vicende e nelle scelte di Mussolini politico.   

 

In Francia, dopo la Comune di Parigi del 1871[6], il movimento dei lavoratori si era riorganizzato e nonostante una forte presenza marxista (si veda, per esempio, quella di Jules Guesde e Paul Lafargue) conservava una componente possibilista, una operaista e una anarchica. Il socialismo francese nelle sue varie espressioni ebbe una fortissima influenza sul socialismo italiano. In Germania si era andato a consolidare il partito-guida, la SPD (ovvero, la Sozialdemokratische Partei Deutschlands) che però nei primi del Novecento era diventata un’ipertrofica macchina burocratica ancorata sempre più ad interessi sindacali e amministrativi che avevano sempre meno di rivoluzionario.  Infine, anche il laburismo e il tradeunionismo inglese mostravano il loro appeal sul socialismo italiano. In Italia, si veda il nostro recente lavoro sul Programma del Partito Socialista, il marxismo ortodosso diventò dottrina del Partito Socialista grazie principalmente a Filippo Turati. Turati e il socialismo marxista in Italia si dovevano scontrare, come in Francia, con un forte movimento operaista, una forte tradizione anarchica, anche se in declino, e una forte componente radical-repubblicana di sinistra vicina alla tradizione cospiratrice mazziniana, massonica e garibaldina. Queste tendenze, come vedremo di seguito, coesistettero più o meno armoniosamente all’interno del Partito[7].       

 

Ora, Benito Mussolini è un attivista socialista dal 1902 alla fine del 1914, diverrà poi socialista ma interventista, che per i socialisti italiani voleva dire in molti casi aver rinnegato il socialismo. Mussolini aveva subìto da principio l’influenza romantico-anarco-socialista del padre, Alessandro. Malgrado i vari voli pindarici dell’ego di Benito, il socialismo come inteso dal padre rimarrà, grossomodo, il leitmotiv del socialismo di Mussolini. Secondo noi, Mussolini seguirà, e non troppo accidentalmente, le impronte di un altro grande rinnegato, Gustave Hervé[8]. Mussolini, secondo noi, aveva tratto ispirazione dal modus operandi di Hervé, ovvero, i “fuochi d’artificio”, dei quali parlava ironicamente Lafargue[9]: espulsioni, arresti, certo meno seri di quelli di Hervé, e scissioni che, come per il suo maestro, gli servirono nella scalata politica. Mussolini, il “Marat de’ noantri”, è per noi, piuttosto, un “Hervé dei poveri”. Certo, fino a quando il discepolo non superò il maestro, ma questa sarebbe un’altra storia che lasciamo ai commemoratori della Marcia su Roma. Mussolini si mostrerà caparbio nel seguire il suo sogno di diventare pubblicista, quindi, direttore di giornale, e allo stesso tempo, si mostrò abile a utilizzare le varie fratture e le interminabili discussioni tra i socialisti per guadagnare un posto di tutto rispetto nel Partito. Bozzetti è categorico a riguardo: “La conquista dell’Avanti! rappresenta per Mussolini la tappa fondamentale sulla via del potere, senza la quale sarebbe naufragato nel pantano provinciale.[10].

Mussolini sa far fruttare i “suoi” 500, o, 1000, o, 2000, voti con i quali negozia un buon posto nell’organigramma di Partito nel 1912. Una volta raggiunta la vetta con la direzione dell’Avanti! e un posto nella Direzione del Partito Socialista, Mussolini, non avrà vita facile. È consuetudine degli storici sparare a zero sui socialisti, ma se da un lato i rivoluzionari mostravano la mancanza di una figura carismatica dopo la “sparata” di Enrico Ferri, dall’altro da subito i cosiddetti riformisti di sinistra, quelli che avevamo chiamato pocanzi marxisti ortodossi, ovvero i vari Turati, Treves, Zibordi, Modigliani e Kuliscioff, avevano individuato il carattere anarcoide e nazional-socialista di quel che sarà il duce di Predappio. Lo volevano fuori e lo volevano fuori ben prima dell’suo articolo sulla neutralità attiva e operante dell’ottobre del 1914. Anche dalla parte dei rivoluzionari, ovvero, dei massimalisti, come verranno chiamati dopo la guerra, Menotti Serrati, maltrattato dalla storia, ex-mentore di Mussolini, ne aveva visto e criticato i limiti. Per non parlare della spaccatura che aveva creato nella Direzione a causa del suo socialismo barricadiero vicino all’anarco-sindacalismo dell’USI, che poi altro non era che l’anarco-sindacalismo allemanista e neo-blanquista francese. Ovvero, secondo il dono della sintesi proprio di Renzo De Felice: Per […] Mussolini, il […] socialismo era (e sempre più divenne col tempo) soprattutto uno stato d’animo, al quale il marxismo ovviamente, era sostanzialmente estraneo”[11]. Vicino a questa stupenda ed estrema sintesi del socialismo di Mussolini crediamo che Emilio Gentile riesca a catturare altrettanto efficacemente la vera essenza di Mussolini: “la sua mentalità era condizionata da un italianismo di tipo romantico-carducciano, rinnovato dall’incontro con il gruppo de «La Voce»[12].

 

Di fatto Mussolini fu iscritto al PSI, diresse per due anni circa addirittura l’organo di Partito e fece parte della Direzione; quindi, fu sì un socialista di rilievo, almeno per quei due anni, non fu però un marxista, e mostrò sempre abbastanza coerentemente tendenze anarco-individualiste, vicine al sindacalismo rivoluzionario, molto in voga nei primi anni del ‘900. Per tornare al monito di Gentile e di Di Scala, aggiungiamo: se Mussolini non fosse diventato il duce del fascismo, come socialista avrebbe lasciato poca traccia, alla stregua dei vari Enrico Ferri, Costantino Lazzari e Giovanni Bacci. Come socialista la sua caratura è di gran lunga inferiore, per idee e produzione dei “mostri sacri” del marxismo italiano, ovvero Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga, entrambi giovani “ammiratori” del compagno Benito direttore dell’Avanti!, come è di gran lunga inferiore dei dimenticati, ma altrettanto validi marxisti, anche se d’impronta positivista, Filippo Turati, Claudio Treves, Camillo Prampolini, Giovanni Zibordi, Emanuele Modigliani e Rodolfo Mondolfo. A nostro parere lo stesso Serrati, e Antonio Graziadei hanno lasciato al socialismo indiscutibilmente di più di Mussolini. La lista potrebbe continuare, ma il punto che crediamo sia chiaro è che, pur stando attenti a non cadere nel tranello del Mussolini socialista-tabù, o del giudicare Mussolini come socialista più severamente per fargli scontare la pena della sua futura carriera da capo dei fascisti, il Mussolini socialista non ha tratti originali. Quel tipo di pubblicista[13] agitatore era comune tra i socialisti e non ha prodotto nulla di teorico che valga la pena studiare[14], ma questo vale anche per la sua produzione fascista, e nonostante seppe scalare un partito come quello socialista, vulnerabile a tali personalità (si veda il caso Ferri), una volta espulso, ebbe ben poco seguito tra i socialisti.

 

Un’educazione anarco-socialista, il mito del padre, febbraio 1901

 

Come noto, il padre di Benito Mussolini, Alessandro fu anch’egli socialista, per la precisione un socialista rivoluzionario costiano[15]. Andrea Costa e il socialismo di Romagna sono pressoché inscindibili. Si è scritto molto in merito e ciò che forse è bene tener in mente sono le radici anarchiche di Costa e del socialismo romagnolo, molto legati allo spirito della Comune di Parigi. Il socialismo romagnolo era anche in rapporto conflittuale col romanticismo mazziniano che cercava di contrastare. Non è un caso che il repubblicanesimo mazziniano in Romagna sia stato a lungo dominante.

 

Alessandro, figlio di un piccolo possidente andato in rovina, era fabbro a Dovìa, frazione di Predappio, nella provincia di Forlì[16], e nonostante non fosse andato a scuola sapeva leggere e scrivere, il che non è cosa da poco in un paese dove l’analfabetismo interessava la maggioranza della popolazione. Alessandro fu una figura minore[17] del socialismo romagnolo, partecipò a diciotto anni ai moti del 1874; quindi, partecipò nel 1876 al Congresso di Bologna delle Sezioni e Federazioni dell’Emilia e della Romagna dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in rappresentanza degli internazionalisti di Meldola[18] e di Predappio. Scontò sei mesi di carcere nel 1878 e fu ammonito[19] dallo stesso anno fino al 1882. È tra i firmatari del primo Manifesto del Partito Socialista rivoluzionario di Romagna[20]. Nel 1882 Alessandro fu determinante nel far eleggere Andrea Costa alla Camera dei deputati, rimanendo, Mussolini padre, fedele fino almeno al 1884 alla corrente anarchica. Nel 1889 fu eletto consigliere comunale di Predappio, dove organizzò la prima cooperativa bracciantile nel 1891. Collaborò con i giornali La Rivendicazione, Il Sole dell’avvenire, La lotta, Il Risveglio e Il Pensiero romagnolo.[21] Nel 1902 venne arrestato e scontò altri sei mesi di carcere, ma nel 1904 venne espulso dal PSIper aver appoggiato nel ballottaggio delle elezioni politiche il candidato monarchico in luogo di quello repubblicano[22]. Riassume Renzo De Felice: “Il socialismo di Alessandro Mussolini (anche se sappiamo che lesse il Capitale, il primo volume, probabilmente il compendio di Cafiero) non ebbe sostanzialmente nulla di marxista ed ebbe invece sempre tinte accentuatamente populistiche e anarchiche.[23]. Questo attento giudizio che De Felice riserva al padre, anche dopo una lunga analisi del socialismo del figlio, pur tenendo conto delle esperienze internazionali, dell’attivismo locale e dell’attività politico-pubblicistica, potrebbe ironicamente applicarsi quasi perfettamente anche al figlio! Per ridurre tutto in due declamazioni, arte in cui eccellevano i fascisti, diciamo: politicante-pubblicista[24] socialistoide da osteria il primo, pubblicista-politicante socialistoide da salotto il secondo.

 

La figura del padre fu effettivamente molto marginale nel socialismo italiano, ma tutt’altro che marginale per quanto riguarda la formazione e le idee del figlio. Su Rivendicazione, giornale di Forlì, il 10 febbraio 1891 (Benito aveva solo otto anni) Alessandro scriveva in un suo articolo intitolato Che cosa è il socialismo?: “Il socialismo […] è la ribellione aperta, violenta, e morale contro l’inumano ordine di cose attualmente costituite.”[25] [grassetto nostro]. De Felice conferma: “Il fine l’anarchia, i mezzi il socialismo: questa in sostanza l’idea del socialismo di Alessandro Mussolini che egli, in pratica, trasmise al figlio Benito […][26]. Renzo De Felice insiste su quanto Mussolini fosse fiero dell’origine umile e socialista del padre. Dato anche il fatto che pressoché lo stesso iter fu seguito dal fratello minore Arnaldo, il quale fu a sua volta maestro socialista prima e quindi interventista e fascista poi, è lecito pensare la veridicità di questa profonda influenza che l’anarco-socialismo del padre Alessandro ebbe sul futuro duce. Quindi anche la componente della violenza[27] che viene altrimenti post-datata alle sue letture del periodo svizzero, era probabilmente già presente nel bagaglio del rivoluzionario romagnolo. L’indole violenta del bambino Mussolini viene riportata, da alcuni storici, a posteriori, ma ciò, a nostro avviso, lascia il tempo che trova.

 

Mentre Mussolini è un giovane studente diciottenne, si teneva a Roma il VI Congresso del PSI. Andrea Costa era una vera e propria leggenda vivente del socialismo italiano ed esponeva, al Congresso, l’operato del gruppo parlamentare: era applaudito da tutto il Congresso fiducioso del suo operato. Il deputato della sezione di Napoli, De Marinis, veniva biasimato ufficialmente per aver partecipato ai funerali di Umberto I, assassinato da un anarchico. Il dibattito sull’Avanti! però divise il Congresso. Se il Direttore, Leonida Bissolati, con Giovanni Lerda, Angiolo Cabrini e Pietro Chiesa, sosteneva che l’Avanti! doveva avere funzione prevalentemente culturale, Enrico Ferri era per un Avanti! di propaganda più accessibile[28]. Bissolati era criticato anche da Emanuele Modigliani per aver sostenuto Alexander Millerand,[29] che tra le altre cose, aveva fatto espellere Oddino Morgari da Marsiglia e represso gli scioperi di Châlon. Bissolati si giustificò affermando che era stato favorevole sì alla nomina di un deputato socialista nel Governo francese, ma aveva cambiato idea non appena visto il suo operato. Già nel 1900 si dibatteva su un eventuale trasferimento del quotidiano da Roma a Milano[30].

 

In campo internazionale, nel 1900, perdurava il dibattito tra i marxisti ortodossi e i marxisti revisionisti; se Kautsky per gli ortodossi sembrava prevalere nella SPD, la critica revisionista di Eduard Bernstein si era oramai insinuata nel modo di pensare e di agire di diversi suoi dirigenti. Il grande leader socialista francese Jean Jaurès sembrava essere equidistante dai due e la stessa impressione si poteva avere della posizione di Filippo Turati, uno dei principali padri fondatori del PSI. Nel V Congresso della Seconda Internazionale, tenutosi il 23 settembre 1900 nella Salle Wagram, Kautsky presentò la oramai famosa risoluzione, che sosteneva che l’ingresso di un solo socialista in un ministero borghese non poteva essere considerato come l’inizio della conquista del potere, ma poteva solo essere un temporaneo ed eccezionale ripiego in una situazione di emergenza. Il 1900 fu anche l’anno in cui apparve sulla scena politica un giovane allemanista, anarco-sindacalista, nel Dipartimento della Yonne, Gustave Hervé.

 

Nel dicembre del 1900 “scoppiò”, a Genova, il primo sciopero generale nazionale. Il Deputato socialista Chiesa ne discusse a Roma con il Presidente del Consiglio Saracco, il quale concesse quanto richiesto dagli scioperanti, ma, poco dopo, il 7 febbraio 1901, il Governo Saracco cadde, succeduto dal Governo Zanardelli, quest’ultimo un esponente della sinistra costituzionale. Quindi si pose, anche in Italia, come prima in Francia, il problema della collaborazione. Per l’ala più riformista il Governo era da appoggiare fin quando attuava una politica di riforme sociali positive per i lavoratori. Per gli intransigenti, invece, la politica del Governo se apportava dei benefici ai lavoratori del nord lo faceva a scapito di quelli del sud. Allo stesso tempo a Napoli e a Milano si erano consolidati e organizzati i sindacalisti rivoluzionari inaugurando giornali come La Propaganda e l’Avanguardia socialista, rispettivamente[31]. Il Governo Zanardelli-Giolitti si mostrava pressoché tollerante anche in materia di scioperi, ad eccezion fatta per gli incidenti di Berra Capparese, e guardava con fiducia verso il PSI. “Il 7 marzo 1901 Turati convinse i deputati socialisti a votare la fiducia al Governo, ma il 29 maggio la direzione del partito stabilì che i deputati avrebbero dovuto limitarsi a votare in favore di singoli provvedimenti legislativi, senza però votare la fiducia al Governo. Turati si oppose, illustrando la necessità e l’urgenza di votare per il governo al fine di prevenire una svolta reazionaria e portare avanti importanti riforme socialiste. Al termine di un dibattito incandescente, i deputati socialisti violarono la direttiva della direzione e votarono la fiducia al governo. Questa frattura diede inizio a uno scontro permanente nel partito.[32] Come vedremo in seguito, Mussolini, una volta in Svizzera, si schierò dalla parte degli intransigenti, criticando i riformisti per la loro “legiferomania”.[33]

 

Intanto, la prima apparizione sull’Avanti! del giovanissimo Mussolini, avvenne per via della commemorazione di Giuseppe Verdi, il 1° febbraio 1901, che ebbe luogo nel teatro comunale di Forlimpopoli. Ancora studente magistrale, Mussolini, venne selezionato da Valfredo Carducci, fratello del celebre poeta, in occasione della morte del compositore avvenuta il 27 gennaio. Nonostante ciò, De Felice, in modo convincente, mostra come Mussolini socialista, per influenza paterna, non divenne ancora attivista durante la sua vita da studente a Forlimpopoli, ma, piuttosto, in Svizzera[34]. Il suo primo impiego, da supplente, dopo la licenza conseguita in luglio, fu a Pieve di Gualtieri, in Emilia, probabilmente grazie alla raccomandazione del padre all’amministrazione socialista. Qui vi rimase da febbraio al giugno del 1902, data la mancata riconferma, a causa, si dice, di una sua relazione con una ragazza coniugata. Ancora De Felice mostra come non vi è traccia, in questo periodo, di un vero e proprio attivismo politico. Tornando al tipo di anarco-socialismo rivoluzionario romagnolo trasmessogli dal padre, De Felice riporta che: “A scuola i compagni lo consideravano un «socialista», anche se egli ostentava pose più da «individualista»; portava, per esempio, una grande cravatta nera, che «contrastava con le cravatte rosse dei condiscepoli, quasi tutti simpatizzanti con le idee socialiste ufficiali e con quelle mazziniane».[35] [grassetto nostro]. Questa citazione di De Felice insinua l’ipotesi che Mussolini fosse di indole anarchica, ma ciò che dovrebbe destare ancora più interesse è l’accenno alle idee mazziniane[36], che, come costiano, avrebbe dovuto “osteggiare” ma delle quali nei fatti fu in seguito un attivo esecutore. Si torna quindi alla sua impostazione romantico-carducciana, frutto dell’ambiente e dell’educazione ricevuta.

 

 

Mussolini emigra in Svizzera, luglio 1902

 

Specifica Simone Visconti che la scelta di Mussolini di emigrare, e in particolare di emigrare in Svizzera, non era poi così sui generis: “Il 9 luglio 1902 Mussolini lasciò Pieve di Gualtieri, in Emilia, dove lavorava da febbraio come insegnante, per la Svizzera. […] Quella di Mussolini fu dunque una decisione in accordo con le pratiche e le abitudini migratorie della sua regione. […] Fatta eccezione per alcune giornate di lavoro da manovale a Orbe, Mussolini cominciò ben presto l’attività politica: il suo primo articolo uscì il 9 agosto, a poco meno di un mese dal suo arrivo in Svizzera, mentre il 24 agosto tenne una conferenza a Montreux. Dal 29 agosto ricoprì la carica di vicesegretario del Sindacato muratori e manovali di Losanna, e poco dopo, il 6 settembre, venne eletto segretario. […] La formazione politica di Mussolini si sviluppò attraverso il contatto e la contaminazione ideologica con le varie correnti del socialismo, da quella intransigente ed evoluzionista a quella più rivoluzionaria e marxista, a quella, in particolare, del nascente sindacalismo rivoluzionario, senza dimenticare l’influenza dell’anarchismo.[37]. Anarchismo, individualista, che si portava dietro come bagaglio di socialista romagnolo. Nel febbraio del 1902 Menotti Serrati, segretario del Partito socialista italiano in Svizzera, era partito per gli Stati Uniti[38], mentre, Carlo Dell’Avalle, che ricordiamo tra i fondatori del PSI e direttore de L’Avvenire del Lavoratore se ne era andato in giugno. Quindi già prima del suo arrivo in Svizzera si era creato nel partito svizzero un piccolo vuoto. La direzione de L’Avvenire del Lavoratore era andata a Salvatore Donatini, “assolutamente a digiuno di idee”, al quale sopraggiunse in agosto Tito Barboni[39].

 

Si è scritto molto anche sui mezzi di sostentamento di Mussolini durante il suo soggiorno svizzero. Questo perché da un lato, non sarebbe potuto campare di soli articoli e conferenze, che comunque ebbe l’estro di procacciarsi molto rapidamente, dall’altro non fu nemmeno un assiduo frequentatore dei cantieri edili. Ora, Angelica Balabanoff, che lo conobbe in questo periodo, lo descrive pressoché come uno scroccone[40], e questa ricostruzione è rigettata un po’ da tutti gli storici. Probabilmente, come in molti casi, la verità sta nel mezzo. Non potendo vivere di sola politica, come però avrebbe potuto se fosse stato nella posizione di Segretario del Partito socialista italiano in Svizzera, Mussolini combinava una vita molto frugale con lavori saltuari, non disdegnando sussidi dai compagni[41] e cercando attivamente lavori da pubblicista e conferenziere. Il fatto che quella di vivere di politica fosse stata la sua aspirazione, si evince probabilmente dall’articolo che anni dopo, nel settembre del 1919, pubblicò sul suo Popolo d’Italia, rivista per altro in un periodo di crisi economica, dove accusava Serrati di aver vissuto del socialismo e non per il socialismo; “accusa, assolutamente ingiustificata[42].

 

Come spesso accade negli ambienti dell’attivismo politico, il “martirio” poteva funzionare da cassa di risonanza per la fama del “malcapitato”. Questo lo abbiamo visto molto bene nella biografia di Gustave Hervé. Questi, famoso come il Sans Patrie, raggiunse un’enorme notorietà nel dicembre del 1901 con l’Affaire Hervé, a causa, o grazie, alla sua uscita provocatoriamente anti-patriotica, de “le drapeau dans le fumier”, ossia “la bandiera nel letame”, che gli costò la licenza da insegnante e lo stipendio[43]. Nel suo piccolo Mussolini guadagnò una certa notorietà almeno tra i lavoratori italiani in Svizzera per le sue varie espulsioni. Fatto riportato sia da De Felice che da Visconti: “La sua popolarità dipendeva anche da una serie di eventi giudiziari, le espulsioni che egli subì dai cantoni svizzeri - da Berna nel giugno del 1903 e da Ginevra nell’aprile del 1904 - provocarono non poche reazioni sulla stampa socialista e anarchica, svizzera e italiana.[44]. A proposito del suo arresto ed espulsione da Berna, Mussolini ricorda che la causa fu il suo accenno all’uso di metodi violenti[45]. Proprio in coincidenza con la permanenza di Mussolini in Svizzera si andava diffondendo il sindacalismo rivoluzionario di Arturo Labriola che “affermava infatti che il socialismo nella sua nuova veste democratica, riformista, si riduceva ad un semplice «fatto di benessere materiale», mentre doveva essere il «compendio di tutti i conati che recano la rottura dell’involucro della vecchia società, nel campo etico, come nel campo economico, come nella sfera dell’azione politica»; Labriola precisava, a tal proposito, che «i fini rivoluzionari del Socialismo non si accordano sempre con gl’interessi immediati dei lavoratori».[46].

 

Mentre Mussolini si trova in Svizzera, da soli due mesi, ecco che a Imola, nel settembre 1902, si riunisce il VII Congresso nazionale del PSI, congresso aperto proprio dall’ imolese Andrea Costa[47]. Rinaldo Rigola si espresse in coerenza con il II Congresso di Reggio Emilia del ormai lontano 1893, contro la collaborazione, eccettuati alcuni singoli casi (caso per caso) dove il Gruppo Parlamentare socialista avrebbe potuto votare per il Ministero. Rigola difese quindi l’importanza delle organizzazioni economiche dei lavoratori e della differenza tra le riforme chieste dai riformisti e quelle chieste dai rivoluzionari, perché più larghe. Arturo Labriola distingueva i riformisti che volevano riforme tecniche ed economiche, ottenendo risultati irrilevanti, dai rivoluzionari che volevano strappare tali riforme lottando contro lo Stato. Turati, dal canto suo, notava che Arturo Labriola esprimeva una tendenza estranea al Partito ponendolo su posizioni antilegalitarie. Quindi Ferri confermò la necessità dell’antiministerialismo e dell’intransigenza. Vinse infine la formula del Partito “riformista perché rivoluzionario” e “rivoluzionario perché riformista”[48]. Ma questa vittoria durò poco perché, negli stessi giorni del Congresso, vi fu l’eccidio di Candela: sette morti, e poco più di un mese dopo quello di Giarratana: due morti. La collaborazione tra Gruppo Parlamentare e Governo era ora, per la frazione rivoluzionaria, indifendibile. Nel marzo del 1903 Turati metteva fine alla collaborazione e il 1° aprile Bissolati annunciava le sue dimissioni dalla direzione dell’Avanti!. Di conseguenza la Direzione diede l’incarico a Enrico Ferri, che gli subentrò l’11 maggio 1903[49]. La corrente sindacalista si fece pressante: “Dopo un inizio in cui aveva affermato la necessità di un’azione graduale, lontana dai «colpi di mano», in linea con la visione dominante nel socialismo, la concezione politica mussoliniana si sviluppò in senso antiriformista[50]. Piccola metamorfosi che si può evincere dai tre articoli successisi su L’Avvenire del Lavoratore, tra l’agosto e il settembre del 1902[51]. Mussolini, infatti, collaborò col giornale del sindacalismo rivoluzionario fondato da Arturo Labriola, Avanguardia socialista dal 25 dicembre 1902 al settembre del 1903.

 

Ricordiamo che una certa popolarità, locale, Mussolini la riscuote grazie allo sciopero dei carpentieri di Berna nel marzo del 1903 “al quale venne inviato proprio dal sindacato Manovali e Muratori di Losanna, di cui era segretario” e la sua espulsione nel giugno. “A Berna Mussolini entrò in contatto con l’azione degli anarcosindacalisti, in particolare dell’anarchico Luigi Bertoni”. La componente economica appare nel suo articolo del 30 agosto 1903[52]. La sua affinità  con il sindacalismo rivoluzionario è magistralmente spiegata da De Felice: Per un uomo come Mussolini, il cui socialismo era (e sempre più divenne col tempo) soprattutto uno stato d’animo, al quale il marxismo ovviamente, era sostanzialmente estraneo non andando per lui oltre una elementare concezione della lotta di classe, intesa come immanente rivoluzionarismo; per un uomo come lui, per il quale il socialismo era azione e che guardava alle ideologie, a tutte le ideologie, con diffidenza tipica dell’uomo d’azione che attribuiva ad esse la corruzione, la svirilizzazione del socialismo, la riduzione «a un vasto movimento pietista»; per un simile uomo, il sindacalismo rivoluzionario non poteva non costituire la «pratica» ideale del socialismo, la leva per scalzare il capitalismo facendo forza sull’anelito volontaristico di autoemancipazione delle masse proletarie.”[53] [grassetto nostro]. In un articolo del settembre del 1903[54] Mussolini “riprendeva e esponeva sinteticamente la storia del socialismo di Werner Sombart.” A questa lettura si può far risalire la sua prima introduzione al concetto di materialismo storico[55]. “Dalla lettura di «Le parole di un rivoltoso» di Kropotkin, che tradusse per il giornale anarchico ginevrino «Le Réveil» diretto da Luigi Bertoni, Mussolini trasse un elemento nuovo che introdusse nella sua visione politica, cioè la necessità e l’importanza storica delle minoranze.[56].

 

Sempre in settembre si tenne il Congresso della SPD, a Dresda, che condannò il revisionismo, e il collaborazionismo: “Il nostro Congresso di Partito condanna ogni tentativo di sorvolare l’esistente, sempre crescente, conflitto di classe allo scopo di diventare un satellite dei partiti borghesi”. Anche il Parti Socialiste de France al Congresso di Reims si allineò alla risoluzione di Dresda. Per Jaurès la risoluzione di Dresda era un errore: “L’errore più serio che i socialisti di un paese possano fare è giudicare l’azione politica di altri socialisti senza tenere in conto le differenze del retroterra politico e sociale. Molti teorici tedeschi fanno questo errore quando giudicano le tattiche del ‘Parti Socialiste Français’[57]. Millerand venne espulso dal Partito Socialista in dicembre, intanto anche Hervé, seguendo i suoi compagni allemanisti, si era trovato fuori dal partito. Nell’ottobre del 1903, cadde il Governo Zanardelli e il re diede l’incarico di formare un nuovo Governo a Giovanni Giolitti. Giolitti provò nuovamente l’apertura a sinistra, ma Turati e Bissolati rifiutarono la proposta sua di entrare nel Governo, e questi allora si rivolse a destra.[58]

L’VIII Congresso si aprì, nell’aprile del 1904, all’insegna di una profonda spaccatura tra i gruppi riformista, sindacalista ed intransigente. Se nel VI Congresso Turati aveva addirittura proposto di abolire la Direzione, ora Varazzini auspicava che la Direzione potesse godere di una maggiore autorità. Fu discussa la profonda crisi che aveva colpito l’Avanti!, mostrando la fallacità della linea di Bissolati di farne un quotidiano di alto profilo culturale. Il dibattito quindi si concentrò a lungo sul problema della collaborazione: le tre tendenze sostenevano una, quella riformista, l’importanza innegabile per i lavoratori delle conquiste fatte in parlamento e presso le amministrazioni pubbliche, quella intermedia era per il caso per caso e quella intransigente, guidata ora dai sindacalisti Walter Mocchi e Arturo Labriola, era per le conquiste strappate con le agitazioni ora pacifiche ora violente. Rigola si espresse criticamente ancora nei confronti degli intransigenti che credevano nella collaborazione con un governo borghese, espressione anche di tutti i ruderi del feudalismo, e contro la corrente intransigente rivoluzionaria che era contro il concetto di riforma. Turati quindi espresse l’idea che fosse impossibile coesistere per i riformisti e gli intransigenti. Ferri si espresse per l’unità di partito. Arturo Labriola respinse l’accusa di anarchismo, ma confermò l’incompatibilità delle due correnti. L’ordine del giorno Labriola lasciava le attività riformistiche esclusivamente al governo borghese, non rinunciava ad alcun mezzo di attacco e di difesa contro il Governo e si riservava anche l’uso della violenza[59]. Mentre l’ordine del giorno Bissolati prevedeva l’appoggio ad indirizzi di governo se offrivano sufficienti garanzie di favorire conquiste per il proletariato. Gli astenuti prevalsero relativamente ai due ordini del giorno e si passò quindi a quello di Ferri, per il centro sinistra, il quale non ammetteva appoggio ad alcun indirizzo di governo, ma non predicava neanche la violenza. E poi a quello di Rigola per il centro-destra, che negava il suo appoggio a qualsiasi indirizzo di governo ma ribadiva la necessità di conquistare riforme economiche, politiche e amministrative sia mediante la pressione delle organizzazioni proletarie sia tramite l’operato delle rappresentanze elettive. Vinse quello di Ferri di misura[60]. Importante fu anche il dibattito e la mozione sulla Direzione che necessitava, secondo i più, di omogeneità e legittimazione. Si decise per sette membri che rappresentavano la frazione maggioritaria, il direttore dell’Avanti! e un rappresentante del Gruppo Parlamentare[61].  Intanto continuarono anche nel 1904 gli scontri tra lavoratori e forze dell’ordine causando tre gravi eccidi: a Cerignola, il 17 maggio, tre lavoratori morti, a Buggerru, il 4 settembre, tre minatori morti, a Castelluzzo, il 14 settembre, due lavoratori morti. La Camera del Lavoro di Milano, a maggioranza sindacalista rivoluzionaria, indisse lo sciopero generale nazionale che durò quattro giorni dal 16 al 20 di settembre[62].

Mussolini era in questo periodo, ma pressoché durante tutto il suo periodo svizzero, con i sindacalisti rivoluzionari e si esprimeva alla fine del 1904 concretamente per una scissione[63]. De Felice riporta due testimonianze dirette: in una lettera a Prezzolini del 4 aprile 1909, dice di essere sindacalista dallo sciopero generale del 1904 e in un articolo, sempre nel 1909, scrisse di essere sindacalista da ormai cinque anni[64]. L’avvicinamento di Mussolini al sindacalismo rivoluzionario è “quasi scontato” in quegli anni, ovvero dal 1902 fino al 1907 vi era stata la convergenza, almeno in Italia, tra i sindacalisti e gli intransigenti. Questo perché, in Italia, una buona fetta di intransigenti della prima ora provenivano o dall’operaismo milanese, che aveva ovvie radici nell’operaismo francese, o dal anarco-socialismo romagnolo, anch’esso legato agli anarco-socialisti francesi, tutti e due affini al sindacalismo[65]. Se questa convergenza in Italia poteva essere veritiera, in Francia, dove questo tipo di operaismo e sindacalismo erano nati, la separazione tra possibilisti e le loro varie correnti, tra le quali quella allemanista e quindi anarco-sindacalista, e gli impossibilisti (o “intransigenti”) di Guesde e Lafargue era molto più evidente. Il sindacalismo rivoluzionario, così come l’antimilitarismo rivoluzionario, erano appunto delle derivazioni dell’anarchismo, mentre Guesde, seppur ex anarchico, non tollerava affatto queste correnti considerandole reazionarie. Gervasoni fa notare come il linguaggio di Mussolini fosse più vicino alla tradizione blanquista che a quella soreliana[66]: il mito dell’’insurrezione arrivava proprio da Gustave Hervé che lo predicava assiduamente in quel periodo, e proprio in quel periodo (ci riferiamo al 1905 fino al 1908) l’herveismo era entrato di prepotenza nel sindacalismo della Confédération Générale du Travail (CGdT). L’Hervé degli inizi era, non a caso, chiamato il nuovo Blanqui, nonostante non facesse parte della compagine blanquista di Édouard Vaillant. Ancora più di Gervasoni, noi avanziamo la tesi che Mussolini abbia usato come riferimento politico Gustave Hervé, il quale una volta entrato nella SFIO “era passato dall’«ostracismo» al «potere».[67]. Questo secondo noi potrebbe spiegare come da un lato, Mussolini assumesse una posizione filo sindacalista, ma dall’altro non fece mai parte di un sindacato rivoluzionario. Gervasoni parla, correttamente secondo noi, di un “labile sindacalismo mussoliniano[68] e spiega anche quanto subì l’influenza interventista di Hervé una volta scoppiato il conflitto. “Mussolini divenne un punto di riferimento per la propaganda anticlericale e antireligiosa, temi molto sentiti nel socialismo italiano in Svizzera, e ciò lo spinse certamente ad allargare le sue conoscenze, in particolare quelle scientifiche. La frequentazione del mondo studentesco universitario, a Ginevra e a Losanna, influì sulla sua decisione di intraprendere degli studi, scelta che si concretizzò con l’iscrizione all’Università di Losanna nel maggio del 1904.[69].

Tra il marzo e l’aprile del 1904, Mussolini a Ginevra[70]si recò 18 volte in biblioteca e consultò 16 opere”. Tre libri di D’Annunzio, quindi, La question sociale au point de vue philosophique di L. Stein, Les criminels dans l’art et la littérature di Enrico Ferri, Essais sur la conception matérialiste de l’historie avec une préface de G. Sorel di Antonio Labriola, tre libri su Nietzsche ovvero gli Aphorisme et Fragments di F. Nietzsche tradotto in francese, Nietzsche et l’immoralisme di A. Fouillée, La Philosophie de Nietzsche di H. Lichtenberger. Un libro sulla sifilide, della quale diceva di essere affetto, De la syphilis: unité d’origine, incurabilité, traitement: leçons faites à Hôtel-Dieu de Caen. Uno sulle manie di grandezza: Sorcellerie, magnétisme, morphinisme, délire de grandeurs di P. Regnard. Mussolini consultò per ben sei volte il libro di Alfred Espinas, La Philosophie sociale du XVIIIe et là Révolution, in quest’opera Espinas scriveva che l’azione doveva essere sostenuta da una fede che avrebbe esaltato la forza dell’ideale[71].

A Losanna Mussolini s’iscrisse e frequentò brevemente l’università. “Mussolini seguì il semestre estivo, da maggio, quando si iscrisse, fino a metà luglio. Nel suo libretto sono indicati tre corsi previsti dal programma di Scienze sociali: il corso di Economia politica con il Professor Pareto, tenuto però da Pasquale Boninsegni, che, in quel periodo, faceva le sue prime esperienze all’università come supplente di alcuni corsi di Pareto; un corso di Sociologia, tenuto anche questo da Pareto, e un corso di Filosofia generale, tenuto dal professore Maurice Millioud.” Visconti nota che il primo riferimento all’élite risale proprio ad un articolo pubblicato su Avanguardia socialista del 30 luglio 1904, confermando l’influenza di Pareto su Mussolini, ma per Visconti il discorso dell’influenza di Pareto ha oscurato “l’aspetto più importante della sua esperienza universitaria, ossia la frequentazione del corso di Filosofia di Millioud.” È pressoché certo che la sua frequentazione delle lezioni di Millioud lo spinsero a leggere Gustave Le Bon, famoso per il suo Psychologie des Fouels, ovvero la Psicologia delle Folle. Sempre in questo periodo Mussolini era attivo nella propaganda antireligiosa, si ricordi la sua polemica col pastore metodista Taglialatela, aderendo anche alla sezione italiana della società ginevrina del Libero Pensiero[72].

 

In campo internazionale, nell’agosto del 1904, iniziò il Congresso dell’Internazionale Socialista ad Amsterdam. Vi presenziarono i maggiori nomi del socialismo europeo, e mondiale, come Jaurès, Guesde, Kautsky, Bebel, Rosa Luxemburg, Vandervelde, Victor Adler, Pablo Iglesias, Ramsay MacDonald, Daniel De Leon, Plekhanov, e, ahinoi, per gli italiani presenziò Enrico Ferri. Il dibattito verteva ancora sulla partecipazione ministeriale e alla fine il Comitato rigettò la mozione Adler-Vandervelde pro-ministeriale e accettò la risoluzione di compromesso, la Reims-Dresda, ma approvando anche la mozione di Kautsky, Bebel, Ferri, Adler, Troelstra e Vandervelde, che richiedeva che in ogni paese esistesse solo un Partito Socialista[73]. In tutta Europa e negli Stati Uniti questo dei primi anni del ‘900 era un periodo di grandi scioperi e vasti sindacati[74]. In risposta allo sciopero generale nazionale di settembre del 1904, menzionato pocanzi, Giolitti decise di non rispondere in modo repressivo, sciolse le Camere e andò a nuove elezioni nella speranza che lo shock dello sciopero stesso avesse indebolito “l’estrema”. Infatti, i socialisti persero quattro seggi. Ma sulla questione del divieto di sciopero dei ferrovieri, boicottato sul campo dai ferrovieri stessi, Giolitti si dimise. Il suo successore Fortis, un giolittiano, fece quello che verrà poi fatto in Francia da Aristide Briand, ovvero dichiarare i ferrovieri pubblici ufficiali per poterli perseguire e questo però scatenò lo sciopero generale dei ferrovieri nell’aprile 1905. Intanto un’altra crisi di governo dettata dalla politica doganale di Fortis con la Spagna portò alle sue dimissioni e al Governo Sonnino. Il Gruppo Parlamentare socialista, sorprendentemente, diede fiducia al Governo di questo esponente della destra oppressiva ora prestatosi al liberalismo giolittiano. Ovviamente la Direzione del Partito si opponeva a questa decisione. Nel maggio scontri tra le forze dell’ordine e gli scioperanti portò all’accentuarsi della frattura tra Gruppo Parlamentare e Direzione[75]. Il Governo Sonnino cadde quindi il 15 maggio 1905 proprio per il venire meno dell’appoggio dei socialisti e tornò al potere Giolitti. Intanto in Francia, nell’aprile, Jaurès era riuscito ad unire tutte le maggiori correnti socialiste in un singolo partito, la Section française de l’internationale Ouvrière (SFIO). Un altro fenomeno interessante che andava sviluppandosi in Francia fu l’avvicinamento della CGdT al movimento e quindi all’Associazione antimilitarista.

 

Oltre all’attacco dalla destra dell’Internazionale alla dottrina marxista con il revisionismo di Bernstein e all’indebolimento della supremazia del Partito in virtu’ della crescita dei sindacati, il socialismo internazionale affrontava anche il tema della guerra nazionale. Già dal 1905 per Bissolati era chiaro che l’Internazionale non sarebbe stata in grado di evitare, con lo sciopero generale, un eventuale conflitto tra Austria e Italia. Non a caso in occasione della guerra in Libia, nel 1911, Bissolati sostenne l’impresa italiana forzando PSI ad una presa di distanza. Inoltre, per Bissolati e i riformisti vicini a Bernstein, era già maturata l’idea, espressa ormai più volte, della necessità di fondare un Partito del Lavoro, ovvero laburista, unita al concetto che il Partito socialista fosse ormai obsoleto.[76]

 

 

Rientro dalla Svizzera, novembre 1904

Dopo il suo rientro dalla Svizzera, nel novembre del 1904, e il servizio militare fino al settembre del 1906[77], Mussolini si recò a Tolmezzo in provincia di Udine per un posto da maestro elementare. Questa sua seconda esperienza come maestro fu disastrosa, il futuro duce non era “stato capace [usando una sua espressione] di risolvere sin da principio il problema disciplinare.”[78]. È interessante notare che mentre Mussolini era in servizio di leva gli anarchici ed herveisti in Francia affiggono il famoso manifesto antimilitarista Affiche Rouge, che costò ad Hervé una sentenza di quattro anni di carcere. Nel gennaio del 1906 i sindacalisti rivoluzionari della CGdT decisero di far circolare un altro manifesto “Guerre à la Guerre”. Tutti cavalli di battaglia che Mussolini userà nel suo periodo di leader socialista.

Mentre Mussolini è a Tolmezzo a consumare la sua seconda esperienza fallimentare come maestro, ha luogo il IX Congresso nazionale del PSI, a Roma, nell’ottobre del 1906. I tre schieramenti sono: quello riformista, quello sindacalista rivoluzionario e quello integralista. Quest’ultimo, guidato da Oddino Morgari, voleva porsi a metà strada tra gli altri due e vide l’adesione degli intransigenti di Ferri. Arturo Labriola si espresse a favore dello sciopero generale come “mezzo per far crescere la temperatura rivoluzionaria del proletariato ed educarne il sentimento eroico e del sacrificio”, concludendo il suo intervento dichiarava “noi intendiamo di restare nel partito socialista a meno che voi non siate tali da obbligarci, per ragioni di decoro personale, a pigliare la porta… […] socialisti siamo nel fondo dell’animo; socialisti vorremmo ancora continuare a considerarci entro l’istessa organizzazione del Partito socialista italiano[79]. Lazzari dalla sua criticava la “corruzione dell’intransigenza degli intransigenti”, appunto, attuata da Ferri, che aveva addirittura appoggiato il Governo Sonnino. Ferri si difendeva replicando che la sua azione era in coerenza con la mozione di Bologna secondo la quale se da un lato avesse negato la fiducia all’indirizzo del Governo, dall’altro avrebbe ammesso l’azione per la conquista delle riforme economiche e politiche, e sosteneva che la sua adesione all’integralismo era dettata dalla necessità di arginare la deriva sindacalista rivoluzionaria. Per Turati era chiaro che i sindacalisti rivoluzionari dovessero lasciare il partito. Lerda presentava l’ordine del giorno dei rivoluzionari intransigenti che si dicevano contrari al sindacalismo in linea teorica, ma che ne accettavano alcuni punti di lotta pratica, volendosi tuttavia distinguere dall’ordine del giorno sindacalista come da quello integralista. Quando Prampolini annunciò che i riformisti avrebbero votato l’ordine del giorno integralista, Ferri dovette dichiarare che non lo avrebbe votato. L’ l’ordine del giorno integralista vinse su quello sindacalista e su quello intransigente. Secondo questo ordine del giorno il PSI si poteva servire dei mezzi illegali di lotta e della violenza se le classi dominanti avessero impedito l’uso dei mezzi legali. Allo stesso tempo il PSI avrebbe respinto l’uso eccessivo e frequente dello sciopero generale, il richiamo insistente alla violenza e non avrebbe dato voti d’appoggio all’indirizzo di governo ma che solo in situazioni eccezionali poteva derogare tale opposizione con un comune accordo del Gruppo e della Direzione. È probabilmente interessante notare che Michele Bianchi, futuro fascio-diciannovista e quadrunviro fascista, allora sindacalista rivoluzionario, rispondeva alla relazione di Vergnanini, secondo cui il partito doveva essere subordinato alle organizzazioni operaie. Il Bianchi partecipò anche al dibattito sull’ antimilitarismo, giudicando insufficiente la richiesta dell’abolizione delle spese improduttive. Orano dichiarò che l’antimilitarismo altro non era che un completamento del concetto antistatale dei sindacalisti rivoluzionari e Labriola si proclamò hervéista.[80] Michele Bianchi guidò anche lo sciopero del maggio-giugno del 1907 nel ferrarese.

Poco dopo il Congresso di Roma, vi fu il III Congresso della SFIO a Limoges. In questo Congresso si trattò il tema importante del patriottismo e della guerra. Hervé, il quale nelle sue argomentazioni si rifaceva a idee di Georges Sorel, e citava Pareto, Croce, Bergson e Lagardelle, ogni riferimento non era puramente casuale, rigettava il concetto di nazione e ammetteva solo la guerra di classe. Per Guesde questo discorso suonava pericolosamente anarchico e invocava un’insurrezione futile e romantica. Jaurès promosse una mozione con Vaillant che dichiarava che il proletariato avrebbe difeso la nazione in caso di un attacco non provocato, ma che il Partito Socialista si impegnava in azioni parlamentari, agitazioni pubbliche, assemblee di protesta, scioperi di massa e insurrezioni per prevenire la guerra di aggressione[81]. Queste questioni furono riprese a Stoccarda al VII Congresso dell’Internazionale nell’agosto del 1907, e ciò può essere considerato l’apice dell’hervéismo in campo internazionale. A Stoccarda Hervé presentò una risoluzione dove proponeva lo sciopero militare e l’insurrezione in caso di guerra. Guesde presentò una risoluzione che trattava il militarismo e la guerra come espressioni del capitalismo. Vaillant e Jaurès proponevano la risoluzione che aveva già vinto in Francia, la quale chiamava tutte le organizzazioni dei lavoratori di tutti i paesi ad attuare pressioni per la pace sia in Parlamento che nelle strade. Una quarta risoluzione era stata presentata da Bebel, più moderata ancora di quella di Vaillant e Jaurès. Da queste quattro risoluzioni se ne estrasse una.

 

 

Mussolini a Oneglia, prima volta direttore, e a Dovìa, prima volta nelle carceri italiane, novembre 1907

 

Nel novembre del 1907, dopo l’esperienza umiliante di Tolmezzo, Mussolini conseguì l’abilitazione all’insegnamento del francese nelle scuole superiori e fu quindi assegnato all’insegnamento della lingua francese, appunto, presso la scuola tecnica di Oneglia[82], la città natale di Menotti Serrati. Dopo la quasi inattività politica dal suo rientro in Italia, Oneglia gli diede una possibilità concreta di rientrare nell’attivismo politico. Scriveva infatti a Serrati, ancora in Svizzera: “Ora che sono a Oneglia, avrei caro di conoscere prima di tutto la tua famiglia e i compagni locali. Fammi tu, che conosci, delle «credenziali» e raccomandami. […] Se resterò a Oneglia, tornerò a lavorare per il Partito. Gandolfo [il segretario della sezione socialista] mi ha detto che il bisogno non manca. Vi potrei essere utile anche in prossima possibile candidatura politica. Dopo 5 giorni da questa lettera se ne trova una di Menotti Serrati al fratello Lucio che riporta l’incontro e di quanto fosse utile una mano alla “anemicaLima. Questo fu un fondamentale passo in avanti “facendogli bruciare le prime tappe, lo introduceva di fatto nel gruppo dirigente socialista locale e che di lì a poco gli valse la direzione di fatto della ‘Lima’, che Lucio Serrati non aveva il tempo di dirigere personalmente.[83]. L’idea di Mussolini di fare della politica la sua occupazione principale è palesemente espressa proprio a Menotti Serrati nel giugno del 1908: “Ho saputo da tuo fratello Lucio qui giunto ieri sera che ti è stata proposta la direzione della «Provincia di Mantova» e che l’hai rifiutata per ragioni personali e di Partito. Credi che io potrei assumere tale compito? Se sì, proponimi, se no lascia cadere e non farne parola. Nota che sarei disposto ad accettare un mensile di molto minore a quello che ti si offriva e non per crumiraggio (crumiraggio che si risolverebbe a favore del Partito) ma per vedere se mi è possibile d’introdurmi nel giornalismo quotidiano. Tu mi conosci da lungo e sai ciò che valgo[84]. Alla fine dell’anno scolastico dovette tornare a Dovìa, di nuovo disoccupato.

All’inizio del 1908 La Guerre Sociale incominciò a sussidiare la formazione di un giornale a Torino, chiamato La Guerra Sociale, con alla direzione Ugo Nanni e Alfredo Polledro. Questo doveva essere l’organo dell’hervésmo italiano. Iniziò con una circolazione di 10.000 copie. A La Guerra Sociale contribuirono, tra gli altri, il venticinquenne Benito Mussolini e Robert Michels. Sempre interessante notare come, già nel giugno del 1908, Hervé recensì le “Réflexions sur la violence” di Georges Sorel, dove il primo concordava che il sindacalismo promuovesse valori di battaglia e di solidarietà tra i lavoratori, ma non era d’accordo con l’idea sorelliana che i miti, oltre ad essere elementi “capacitanti”, avrebbero attratto da soli il popolo verso la rivoluzione. Quando si valuta l’approccio di Mussolini verso Sorel (per tramite Prezzolini) circa un anno dopo, nel maggio 1909, si dovrebbe tener conto che Mussolini, molto probabilmente era già a conoscenza della critica fatta da Hervé al ‘sorellismo’.

Qui nella sua Predappio, Mussolini ritrovò il problema agrario, il quale per lui doveva già essere molto famigliare. I nonni, probabilmente piccoli proprietari, avevano perso i loro terreni, il padre, uno dei fondatori della cooperativa bracciantile di Dovìa, era addirittura andato ad acquistare a Milano per la cooperativa stessa una trebbiatrice[85]. Nel periodo in cui Benito era via, in Svizzera, al servizio di leva, quindi a Tolmezzo e ad Oneglia, le lotte agrarie erano continuate e si erano inasprite. Si deve accennare alla profonda crisi nell’economia agricola innescata dall’apertura dei mercati avvenuta negli anni ‘80 del 800, poi abbiamo un’ulteriore crisi economica nel 1907, dettata dalla crisi del rame, che portò ad una crisi di liquidità e ad una forte disoccupazione. A causa della crisi economica e dell’impoverimento dei mezzadri vi era stato il conseguente aumento di braccianti, i quali, dato il loro alto numero, erano costretti a svendere di molto la loro forza lavoro. Tali braccianti si opponevano anche allo scambio d’opera gratuito: una pratica molto antica secondo la quale durante la trebbiatura i contadini si aiutavano a vicenda. Per i braccianti, che erano effettivamente impiegati alla giornata, la trebbiatura rappresentava un’occasione fondamentale di sussistenza se impiegati, ma solo se remunerati. Quindi i braccianti si opponevano anche all’esecuzione in proprio, da parte dei mezzadri, di lavori di fatica solitamente eseguiti dai braccianti. “L’agitazione raggiunse il suo acme in occasione dei lavori di trebbiatura del 1907 e del 1908; in alcune località i proprietari cercarono di far ricorso a mano d’opera crumira (…)”[86].

Se si pensa un attimo a quello che fu lo squadrismo fascista di soli 12 anni dopo, fa specie che Mussolini, al suo ritorno a Dovìa, fu per l’eliminazione della mezzadria e del padronato a favore della collettivizzazione delle terre in cooperative. O almeno questo era quello che scriveva. Quando il 2 luglio 1908 Mussolini tornò a Dovìa, si unì quindi alle proteste dei braccianti, fu presente agli incidenti del 10 luglio e si descrisse come “capo popolo”, prendendo parte anche allo sciopero del 13. Quando il 18 luglio un gerente di macchine trebbiatrici si trovò a passare per Dovìa, Mussolini lo minacciò con un bastone, questo lo denunciò alla questura e Mussolini venne arrestato e condannato a tre mesi; ma sconterà dodici giorni, in quanto gli verrà concessa la libertà provvisoria previa una multa di 50 lire. La pena fu poi ridotta in appello a quei soli 12 giorni. Ancora una volta questo arresto accrebbe il suo prestigio tra i braccianti e i socialisti locali[87]. Quello che è bene considerare è che queste dimostrazioni di lotta non sono limitate però al forlivese.

L’assetto all’interno del PSI era cambiato nel luglio del 1907 con l’uscita dei sindacalisti rivoluzionari dal Partito. In più nel gennaio del 1908 Enrico Ferri lasciò la direzione dell’Avanti! per andare in Sud America e gli succedette così Oddino Morgari. Nel maggio-giugno del 1908 vi fu uno sciopero “epocale” a Parma organizzato da Alceste De Ambris, vero mito del sindacalismo parmense. Il X Congresso si aprì a Firenze nel settembre del 1908 in queste circostanze. La discussione si concentrò sull’immobilismo del Partito nel mezzogiorno: Salvemini si espresse per il “socialismo di tutti” e a favore del suffragio universale. Si risolse anche il dissidio tra gli intransigenti milanesi e i gruppi autonomi riformisti durato cinque anni. La frazione trionfatrice fu la concentrazione socialista ovvero riformisti e gli ex-integralisti, che ribadiva l’incompatibilità con il sindacalismo rivoluzionario e gli intimi rapporti del Partito con la Confederazione Generale del Lavoro, accettando così lo sciopero generale come misura estrema, ed esprimendosi a favore delle riforme senza dover necessariamente partecipare al Governo[88].

 

Nel periodo che va dalla sua scarcerazione alla partenza per Trento, il 6 febbraio 1909, Mussolini si concentrò sulla sua vera vocazione di giornalista. Tra le cose che pubblica salta all’occhio un saggio su “La filosofia della forza ossia Postille alla conferenza dell’onorevole Treves” tenuta da quest’ultimo a Forlì. Ciò gli permetteva di esprimere le sue idee sulla filosofia di Nietzsche che aveva studiato in Svizzera[89]. Qui già alla fine del 1908, quando Mussolini si doveva ancora affermare tra gli attivisti socialisti e non era ancora nella dirigenza del Partito, esprime chiaramente idee che col socialismo hanno ben poco a che fare: “Per comprenderlo [l’ideale di Nietzsche], verrà una nuova specie di «liberi spiriti» fortificati nella guerra, nella solitudine, nel grande pericolo, spiriti che conosceranno il vento, i ghiacci, le nevi delle alte montagne e sapranno misurare con occhio sereno tutta la profondità degli abissi - spiriti dotati di un genere di sublime perversità - spiriti che ci libereranno dall’amore del prossimo, dalla volontà del nulla ridando alla terra il suo scopo e agli uomini le loro speranze - spiriti nuovi, liberi, molto liberi che trionferanno di Dio e sul Nulla![90] [grassetto nostro]. Ora questo saggio veniva pubblicato il 29 novembre 1908 su Il Pensiero romagnolo, organo dei repubblicani forlivesi, e non avrebbe grande rilevanza se Mussolini non fosse diventato poi il duce[91] del fascismo.

 

 

Mussolini in Trentino, febbraio 1909

 

Mussolini risiedette a Trento otto mesi circa, dal 6 febbraio al 26 settembre 1909. Nel 1895 era nata la sezione locale del Partito Social-democratico dei Lavoratori d’Austria grazie a Cesare Battisti. Nel marzo del 1908 il segretario della Camera del Lavoro di Trento, Domenico Gasparini, si era dimesso e “All’appello per la carica di segretario e direttore del foglio «L’Avvenire del Lavoratore» rispose un venticinquenne romagnolo […][92]. Si attesta che Mussolini fosse tagliato per quel posto anche per la sua conoscenza del tedesco. A questo posto era stato però indirizzato dalla Balabanoff e da Serrati. È interessante notare che, malgrado Mussolini fosse apertamente, o dicesse di essere, ormai dal 1903 su posizioni sindacaliste, il sostegno principale su cui poteva contare era solo dei suoi compagni ‘intransigenti’. In questo periodo stringe legami con Giuseppe Prezzolini de La Voce tramite il quale entra in contatto con le teorie di Georges Sorel. In maggio, infatti, recensisce un libro di Prezzolini, “La teoria sindacalista” che esponeva le idee soreliane, sul giornale di Cesare Battisti, Il Popolo. “Il socialismo è un problema «umano», il sindacalismo è un problema esclusivamente «proletario». Il socialismo intende attuare la sua realtà storica attraverso la democratizzazione dello Stato, il sindacalismo è antistatale e vuole giungere all’emancipazione della classe operaia attraverso il sindacato di mestiere […] organo specifico del proletariato […]. L’etica socialista si muove in gran parte nell’ottica cristiana, evangelica anzi (amore dei poveri, redenzione degli oppressi) con un’aggiunta di utilitarismo positivista; la morale sindacalista - quale almeno viene disegnandosi - tende alla creazione di nuovi caratteri, di nuovi valori, di homines novi”. La violenza diveniva fondamentale per “tradurre l’ideale in realtà[93].

 

Marco Gervasoni ha affrontato il tema, centrale, nella vicenda del Mussolini socialista, ovvero, se questi fu mai un sindacalista rivoluzionario, in generale, e un soreliano in particolare.  Per dirla con le parole di Gervasoni stesso, fu Mussolini a “innestare nel partito […] un corpo estraneo al socialismo italiano, ossia il sorelismo”?[94]. Gervasoni sembra rispondere di no, in quanto ad una analisi più approfondita sembra che Mussolini fu influenzato più che da Sorel, da Paolo Orano e Robert Michels. Un ulteriore ridimensionamento dell’influenza soreliana su Mussolini è stato avanzato da Emilio Gentile, il quale parla di una “concezione sindacalista del socialismo[95]. Più tardi, una volta tornato in Romagna, nel suo articolo “L’ultima capriola” pubblicato su Lotta di Classe il 26 novembre 1910, Mussolini critica “Giorgio Sorel [il quale] è passato definitivamente nelle schiere dei monarchici francesi” ed è ormai un “pacifico pensionato borghesoide”, con che “Il suo sindacalismo non era che un movimento di reazione. Era una maschera. Oggi è caduta[96].

Secondo Mussolini il grande merito di Sorel era stato quello di presentare il mito dello sciopero generale, ovvero, una favola, un atto di fede, in quanto per Mussolini il socialismo doveva essere, non solo un dato dell’esperienza o una deduzione scientifica, ma un atto di fede. “Togliete al socialismo la sua fede, cioè la sua preoccupazione finalistica, teologica e ne avrete un socialismo privo di finalità, un socialismo che si riduce e si rimpicciolisce al corporativismo della categoria.”, scriverà in “Da Gucciardini a Sorel” sull’Avanti! 18 luglio 1912[97].

 

Come abbiamo cercato di mostrare in precedenza, in Italia, dal 1902 circa al 1907, il sindacalismo rivoluzionario fu una delle correnti principali esistenti all’interno del PSI. I suoi principali “esponenti erano dirigenti (Arturo Labriola, Ernesto Cesare Longobardi, Guido Marangoni), avevano funzioni direttive nella stampa del partito (Enrico Leone), oppure ne erano collaboratori regolari (Paolo Orano)[98]. Sorel aveva avuto un successo in Italia che non aveva neanche toccato in Francia. L’ambiente culturale di avanguardia, non necessariamente vicino ai socialisti, era in qualche modo legato a questo tipo di sindacalismo rivoluzionario, come La Voce di Prezzolini e i futuristi: “Il sindacalismo, come aveva scritto Labriola, era soprattutto uno «stato d’animo», tipico, secondo Beatrice Webb, della «gioventù in collera».[99]. L’approccio di Mussolini a Sorel nel maggio del 1909 avviene già alla luce del “fallimento” dello sciopero dei postelegrafonici di marzo, il quale, grazie alla minaccia dei sabotaggi ventilata dalla Guerre Sociale di Hervé, non era finito con immediate ripercussioni, le quali però si concretizzarono successivamente nel maggio coi licenziamenti. E dunque la succitata recensione di Mussolini al libro di Prezzolini su Sorel, da un lato è una presa di distanza dal sindacalismo di Sorel e dall’altro è una assimilazione, in controtendenza con gli altri socialisti, del sorelismo italiano, portato avanti da Olivetti, Prezzolini e, nella traduzione di Benedetto Croce, da Missiroli e da Corradini[100]. Quindi quando, dopo il periodo trentino, Mussolini inizia l’effettivo ed efficace ingresso nell’organigramma di partito, non critica i sindacalisti rivoluzionari così come non difende neppure Sorel, come invece continuano a fare La Voce e Pagine Libere anche quando il normanno, nel 1910, si avvicinerà ai nazionalisti dell’Action Française[101]. Nonostante sia comprensibile essere tentati a vedere in Sorel la deviazione del socialismo di Mussolini, noi insistiamo che una buona chiave di lettura del pensiero di Mussolini è invece Gustave Hervé, il quale anticipa tutti i temi toccati dal romagnolo di un paio d’anni.

A Trento Mussolini non dedicò molta attenzione al lavoro di segretario della Camera del Lavoro al quale era stato assegnato, ma, nel suo breve soggiorno, si concentrò principalmente sulla pubblicistica, dirigendo L’Avvenire del Lavoratore, diventando in poco tempo caporedattore de Il Popolo di Cesare Battisti e scrivendo, durante il suo soggiorno, più di cento articoli[102]. La sua attività giornalistica, la quale si concentrava principalmente contro il clero trentino, presto si abbassò agli insulti personali. “Tra i principali avversari di Mussolini c’era [Alcide] De Gasperi […] che accusava Mussolini e i suoi amici di comportarsi da violenti, considerando «la vita pubblica come un torneo d’insulti e di bastonate, ove alla loro impudenza ed al loro terrorismo è agevole risponde vittoria».[103]. Il procuratore Tranquillini era preoccupato di come il tono violento di Mussolini aveva obbligato “il foglio nazional-liberale L’Alto Adige ad assumere posizioni più duramente antigovernative per non perdere il favore dei circoli antiaustriaci e per non farsi scavalcare dai socialisti”[104]. Tranquillini ottenne l’espulsione di Mussolini il 10 luglio dal Ministro degli Interni Guido von Haerdtl, da eseguirsi dopo la visita dell’imperatore Francesco Giuseppe a Innsbruck il 29 agosto[105]. Il pretesto arrivò quindi il 30 agosto quando era stato denunciato un ammanco di 300 mila corone dalle casse della Banca Cooperativa di Trento. I sospetti caddero su Giuseppe Colpi, irredentista, il quale, apparentemente, aveva usato i fondi per finanziare attività sovversive[106]. Attività sovversive delle quali Mussolini fu sospettato come mandante e la sede della Camera del Lavoro e il suo domicilio furono perquisiti, peraltro non portando a nulla. Alcuni passaggi incriminanti da una sua lettera, per istigazione ad azioni immorali, furono comunque usati come pretesto.

L’affare Mussolini ebbe a questo punto un’eco maggiore delle sue espulsioni in Svizzera. Vennero chiamati in causa i dirigenti del socialismo austriaco Adler e Pittoni. I socialisti trentini indissero uno sciopero generale, la notizia della “ingiusta” espulsione arrivò sull’Avanti! come su altri giornali quali il Corriere della Sera[107] e in merito vi fu anche un’interpellanza parlamentare alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia. Insomma, à la Hervé, finalmente l’eccesso aveva pagato. Mussolini non aveva di sicuro cercato di evitare le attenzioni della polizia austriaca. Prima dell’espulsione dal Trentino Mussolini aveva subito sei condanne, due a tre giorni di carcere, una a sei giorni e cento corone di multa, una a tre giorni e trenta corone di multa, una a sette giorni e una a cento corone di multa[108]. La sua espulsione avvenne nel settembre del 1909 mentre il suo “Saggio Il Trentino, veduto da un socialista” venne pubblicato a partire dal dicembre del 1910 su La Voce di Prezzolini[109]. L’essenza dello scritto di Mussolini, che destò le ire dei nazionalisti irredentisti trentini, è ben catturato dal Prezzolini stesso, il quale, anni dopo nel 1924, ricorda come nel “Trentino veduto da un socialista”:Vi si sente un socialista che non è tanto socialista da amare i tedeschi; che è opposto a loro come carattere; che concepisce in un modo più italiano la lotta politica; che riconosce, infine, la validità della lotta nazionale e rimprovera alla borghesia trentina italiana di non essere irredentista sul serio[110]. Stefano Biguzzi solleva una questione importante; il nazionalismo di Mussolini nacque grazie all’irredentismo trentino? Fu esagerato o sminuito a posteriori? Biguzzi difende, molto probabilmente a ragione, la tesi che la fase trentina aiutò “il riaffiorare di quel patriottismo rivoluzionario d’impronta risorgimentale che a Trento aveva avuto modo di rivelarsi con particolare forza.”, questo lo collega come una delle ragioni, da accostare, si intende, al calcolo politico e alle ambizioni personali, sempre presenti per altro in tutta la vita politica di Mussolini, che ne determinarono nel 1914 il passaggio all’interventismo[111]. Biguzzi ricollega questo patriottismo alle sue radici romagnole-socialiste e anche questo è condivisibile.

Nelle elezioni del marzo 1909 i deputati socialisti passarono da 26 a 42 per la maggioranza riformisti. Il 7 aprile 1909 Bissolati a nome del gruppo parlamentare socialista, pur opponendosi alla richiesta del Governo di aumentare le spese militari, riconosceva il principio di difesa nazionale in caso di aggressione. Ricordiamo che questa posizione era stata anche quella della SFIO e in qualche modo dell’Internazionale. Il Governo Luzzatti aveva espresso l’intenzione di estendere il suffragio ai maschi alfabeti, il gruppo socialista quindi, votò favorevolmente per l’esigenza della riforma elettorale. Una presa di distanza dai sindacalisti rivoluzionari arrivò alla fine del 1910. “[…] Mussolini ideologicamente [era] sempre più attratto da quanto si muoveva al di fuori del perimetro socialista, sostenitore di un «revisionismo rivoluzionario», ma - in quanto dirigente locale - attento ad apparire come il più ortodosso dei rivoluzionari.[112]. Per Mussolini il sindacalismo politico, ormai fallimentare, andava subordinato al Partito in linea con quanto pensavano i guesdisti francesi e i kautskiani tedeschi, ma con la differenza di vedere il Partito come un elemento elitario e volontaristico, e non un Partito di classe. Mussolini, quindi, rimaneva soreliano nell’idea del mito fascinatore che dava ai proletari l’ideale di una altra società. Un mito tener vivo il quale era compito di una minoranza per trascinare con sé la grande massa: “anche se «sarà necessaria qualche violenza» e «bisognerà aprirci il passo attraverso delle vittime».”, scriveva il romagnolo. Aggiunge Gervasoni: “La critica mussoliniana al razionalismo del filosofo francese, però, per trasformare il mito soreliano in uno strumento nelle mani di un partito blanquista (e protobolscevico): [era] niente di più lontano, quindi dalle intenzioni di Sorel.”[113]. Andrebbe approfondito questo punto della concezione del mito, e del suo uso, che trovava scettico anche Hervé.

 

 

Ritorno in Romagna, direttore de La Lotta di Classe, febbraio 1910

Una volta espulso dal Trentino si dovette fare prestare i soldi per il viaggio di ritorno a Forlì dal padre. Questo fa notare quanto Mussolini in questa fase (e ancora a lungo) fosse privo di soldi. Aveva chiesto il pagamento anticipato a Cesare Battisti per “Claudia Particella” nel febbraio del 1910 e dovette addirittura chiedere un anticipo a Prezzolini per il suo “Il Trentino veduto da un socialista” nell’aprile del 1911. Nello stesso periodo erano falliti i suoi tentativi di entrare al Resto del Carlino e al Secolo[114]. Fece domanda per tornare ad insegnare ma, per un vizio burocratico, non fu accettata[115]. Il 17 gennaio 1910 si unisce a Rachele Guidi. Il 3 settembre 1910 nacque la primogenita Edda, l’unica nata nella sua fase “socialista”.

 

Nell’ottobre del 1909 partecipò a Forlì alla manifestazione contro l’esecuzione di Francisco Ferrer, vicenda catalana che aveva mobilitato il proletariato di Francia, con in testa La Guerre Sociale di Hervé[116]. Nella fine del 1909 a causa delle ristrettezze economiche e la mancanza d’impegno stava per accettare un posto all’ufficio dello Stato civile di Argenta procuratogli da amici del padre, se non fosse che la federazione collegiale forlivese decise di dare vita ad un suo settimanale[117]. La direzione sarebbe spettata a Francesco Bonavita, che fu poi lo storico avvocato di Mussolini, ma avendo questi troppi impegni professionali, il posto venne offerto a Mussolini, disoccupato, noto nel forlivese per le sue vicende svizzere e trentine, nonché per la precedente partecipazione alle agitazioni dei braccianti alle manifestazioni per Ferrer. Il 1909 si conclude quindi con la sua nomina a direttore de La Lotta di Classe e a segretario della federazione forlivese. All’inizio del 1910 diventa corrispondente da Forlì dell’Avanti![118].

La Lotta di Classe iniziò le pubblicazioni il 9 gennaio del 1910 e fu impostata da subito all’idealismo attivistico tipico del socialismo di Mussolini, vicino a quello dei sindacalisti rivoluzionari, degli anarco-sindacalisti e dei ‘vociani’[119]. Mussolini partecipò in aprile al primo Congresso della Federazione collegiale di Forlì a Bussecchio[120]. Dove già criticò le posizioni del giornale, della Direzione e del Gruppo Parlamentare, in vista del Congresso di Milano[121]. Addirittura è già da Bussecchio che si mette in discussione la permanenza o meno della Federazione nel Partito[122]. In questo primo periodo Mussolini si era concentrato sulla riorganizzazione della Federazione e sulla lotta ai repubblicani che erano di gran lunga la formazione politica dominante in Romagna[123]. Mussolini concentra il suo intransigentismo contro i blocchi e contro la massoneria animatrice di tali blocchi[124].

 

Intanto continuavano in Romagna le lotte contro le macchine trebbiatrici. Se nel ravennate il partito socialista era più forte, nel forlivese i repubblicani erano decisamente in testa. Le macchine avevano soppiantato la battitura con le «cerchie»[125]. Quindi i braccianti tramite le cooperative avevano incominciato ad acquistare le loro trebbiatrici ma la stessa cosa l’avevano fatta i mezzadri. La situazione era però non priva di contraddizioni: da un lato ai braccianti non conveniva usare le macchine perché riducevano le giornate di lavoro, ma dall’altro non potevano essere in balia del mezzadro che possedendo le macchine avrebbe chiamato chi voleva. D’altro canto il mezzadro vuole possedere le macchine per profittare del lavoro bracciantile a buon mercato e per non essere alla mercé dei braccianti stessi. In questo si inserivano i repubblicani che proponevano la costituzione di cooperative miste di mezzadri e di braccianti. Ma ricevendo il rifiuto della maggioranza dei braccianti, una parte di loro si staccò e andò con i mezzadri a formare nuove Camere del Lavoro, quelle repubblicane[126]. Nel marzo del 1910 La Lotta di Classe si occupa di questo problema, prendendo le difese dei braccianti. Mussolini attaccò direttamente la mezzadria. Vi furono attacchi personali tra Mussolini e il repubblicano Pirolini, che vedremo attivo durante la settimana rossa nel ‘14.

 

Nell’aprile del 1910, i socialisti di Forlì, guidati da Mussolini, invitarono Salvemini, che allora insegnava all’Università di Pisa, a tenere una conferenza sul suffragio universale e formarono una commissione per affrontare l’argomento. […] Mussolini e Salvemini condividevano inoltre l’opposizione al ministerialismo e, di conseguenza, erano concordi nell’esprimere un giudizio nettamente negativo sul voto di fiducia dato dai socialisti al governo, voto che per il giovane rivoluzionario romagnolo faceva tramontate ogni speranza rivoluzionaria.”[127]. Il 7 luglio, quando ebbe inizio la trebbiatura, alcune Leghe di mezzadri vollero trebbiare solo con le loro macchine e quindi il 12 luglio fu indetto lo sciopero, il 14 si raggiunse un accordo, ma ad agosto i braccianti repubblicani diedero vita ad una loro Camera del Lavoro segretario della quale fu nominato Pietro Nenni[128]. La reazione socialista fu coordinata dal segretario della Camera del Lavoro, Aurelio Valmaggi, dal segretario della Federazione dei braccianti, Cesare Zanotti, e da Mussolini, segretario della Federazione collegiale e direttore della Lotta di Classe. Nonostante la sconfitta a vantaggio dei mezzadri e dei repubblicani Mussolini in quel periodo consolidò la sua posizione al vertice del movimento socialista forlivese[129]. Il secondo Congresso Federale si tenne nell’agosto del 1910 sempre a Bussecchio, e quello dei socialisti romagnoli a Faenza il 25 settembre, dove “Mussolini sostenne l’«intransigenza assoluta» e si pronunciò a favore della linea rivoluzionaria”. Tutto il Congresso fu unito attorno all’intransigenza assoluta[130].

 

Alla vigilia del Congresso di Milano, che si terrà nell’ottobre del 1910, si dibatteva, come visto, il tema ricorrente della sede dell’organo socialista, l’Avanti!. Mussolini si vuole inserire nel dibattito spiegando che la corrente turatiana vuole lasciare la sede a Roma mentre la corrente del Comitato della Sezione Milanese la vuol portare a Milano per fonderlo col Tempo. Scrive Mussolini: “Noi non siamo né con Turati né con gli altri. Né a Roma né a Milano, centro dell’affarismo massonico radico-socialista. Né troppo al sud, né troppo al nord. L’Avanti! deve essere portato nell’Italia centrale. Non a Firenze, ma a Bologna […][131]. Mussolini costata che l’Avanti! è in, quello che lui definisce, “uno stato comatoso” e questo è più che altro responsabilità del suo direttore Leonida Bissolati, in quanto pur sapendo scrivere e di “intelletto lucido” non ha “il colpo d’occhio”. Poi attacca Turati che secondo Mussolini usa l’Avanti! come “bollettino dell’attività parlamentare” e lo tiene a Roma per pubblicarle “senza bisogno di spese di telegrafiche o telefoniche di trasmissione”. “No, egregio compagno Turati [affonda Mussolini …]. Roma, città parassitaria di affittacamere, di lustrascarpe, di prostitute, di preti e di burocrati, Roma - città senza proletariato degno di questo nome - […]”. Mussolini quindi sostiene che la zona di massima diffusione dell’Avanti! sarebbe stato il triangolo Ancona-Bologna-Livorno, nota interessante se si considera che il triangolo industriale fosse invece Milano-Torino-Genova. Andando avanti nel formare l’identikit del direttore ideale Mussolini aggiunge: “Basta coi deputati direttori di giornale! […]. O deputato o giornalista. […]. Vorremmo una redazione composta di elementi giovani e numerosi.”[132]. Mussolini è così ovvio che lo stesso Gherardo Bozzetti si chiede: “È strano che nessuno abbia rilevato come alla vigilia dell’XI Congresso del Partito Mussolini abbia posto una esplicita ipoteca alla direzione dell’Avanti!. Forse perché anche allora non c’era nessuno che gli facesse credito. […]. A Milano nel 1910 Mussolini non è nessuno.”[133]. È bene ricordare che mentre Mussolini si preparava a partecipare al suo primo Congresso nazionale, in Francia, nonostante Hervé fosse in carcere ormai da marzo, i ferrovieri erano in sciopero generale e La Guerre Sociale era diventato il principale organo del Comitato Centrale dei ferrovieri. Vi furono molti sabotaggi e il Governo francese, che reputava La Guerre Sociale (quindi Hervé) responsabili, rispose con una dura repressione. Hervé incominciò a soffrire il carcere duro. Lo sciopero dei ferrovieri finì in una sconfitta determinando la fine dell’hervéismo e il cambio di politica di Hervé stesso, soprattutto evidente nel 1911 e 1912[134].

 

 

Primo Congresso nazionale per Mussolini, ottobre 1910

 

L’XI Congresso nazionale del PSI si aprì a Milano il 21 ottobre e si chiuse il 25 del 1910. Turati dichiarava di non immedesimarsi in nessuna delle tre tendenze, ovvero quella riformista, ora detta ‘di destra’, quella integralista, ora detta ‘dei riformisti di sinistra’, e quella intransigente rivoluzionaria. Salvemini criticava l’accontentarsi del suffragio parziale. Lazzari, quindi, criticava il revisionismo di Turati per accettare la teoria del meno peggio e rivendicava la fedeltà ai principi del 1892. Reina difendeva l’operato del Gruppo Parlamentare e della Direzione nel non aver ostacolato l’allargamento del suffragio. Reina suggeriva che gli scioperi fossero controllati da organizzazioni di mestiere[135].

 

Il 23 ottobre Benito Mussolini[136] esordì con un intervento “confuso[137], nel quale voleva dimostrare come il suffragio universale e la legislazione sociale non avrebbero portato al socialismo, biasimò il Gruppo Parlamentare per aver permesso un aumento di 61 milioni di spesa militare, si scagliò contro il deputato Canepa, che a sua detta aveva chiesto al re un premio per una corsa ciclistica, e biasimò altri socialisti che avevano partecipato ad un banchetto in onore del giolittiano Facta. Condannò il concordato con i repubblicani, che la presidente del Congresso Argentina Altobelli aveva plaudito poche ore prima. Questo concordato era solo una “tregua temporanea” secondo il giovane romagnolo. “I socialisti italiani non hanno capito nulla del conflitto di Romagna. Ci avete dato sempre una solidarietà piagnona, avete sempre parlato di fratellanza, ma queste sono storie! Là si vive in piena rivoluzione; e questo è quello che non avete capito![138] concludeva Mussolini.  Cabrini lamentava la mancanza di scopo del Partito ora che esisteva e funzionava la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL): il partito doveva rinnovarsi o perire. Bissolati difende l’operato del gruppo parlamentare che, se con il governo Zanardelli aveva conquistato la libera organizzazione, con quello Sonnino la difesa dei contadini del mezzogiorno e, infine, con il governo Luzzatti si aggiudicava un allargamento di 2 milioni il corpo elettorale. Quindi sulla falsa riga del discorso di Cabrini anche Bissolati sosteneva che con la CGdL i lavoratori avevano trovato una loro organizzazione, ormai disilluso dal socialismo rivoluzionario internazionalista, dichiarava, influenzato da Bernstein e i laburisti inglesi, che: “il Partito socialista […] doveva necessariamente avere il destino che ha un ramo secco o che va disseccandosi e che deve essere sostituito da nuovi germogli[139]. Insomma, il Partito Socialista si doveva preparare all’idea di essere sostituito.

 

Risposero con forza Modigliani, per i riformisti, Lerda, per gli intransigenti e, addirittura, lo stesso Rigola, che il partito aveva ragione d’esistere. Vinse l’ordine del giorno di Turati che si concentrava sul suffragio universale per ambo i sessi, l’arresto assoluto dell’incremento delle spese militari e la sua successiva diminuzione, lo sviluppo degli enti locali, della scuola, delle assicurazioni sociali di vecchiaia ed invalidità, facendo quindi riferimento ai contrasti col partito repubblicano in Romagna, dove era per la contrarietà ai blocchi[140]. Simile se vogliamo era nelle rivendicazioni l’ordine del giorno Lazzari se non per l’appoggio attivo allo sciopero generale e per l’accento antimassonico e anti-collaborazionista. A seguito del dibattito sulla massoneria Lerda dichiarò di essere massone. Bissolati si dimise nuovamente dalla direzione dell’Avanti! per questioni personali e fu eletto Claudio Treves[141]. La frazione rivoluzionaria si riunì in separata sede, partecipò anche Mussolini che prese per primo la parola e propose alla frazione di abbandonare il Partito per non essere complici delle sue degenerazioni,  per indebolire i riformisti ed evitare «casi di coscienza» ai compagni già decisi a uscire dal Partito. Mussolini trovò tre sostenitori, Belloni, Trematore e Zerbini, ma non abbastanza per determinare una scissione. Francesco Ciccotti stilò una dichiarazione che fu letta al Congresso che assicurava di rimanere nel Partito ma solo per impedirne la deriva collaborazionista e di separare la propria responsabilità da quella dei riformisti. In più la frazione rivoluzionaria formava una Commissione con sede a Roma, composta da Ciccotti, Lazzari, Mantica, Musatti, Vella e Zerbini che andò, in maggio, a fondare La Soffitta. Come corrispondenti per la Romagna furono nominati Mussolini e Cesare Goffarelli[142]. Mussolini a Milano è descritto per quello che infondo è in quel momento: “un pot-pourri di rivoluzionario, di anarchico, di sindacalista individualista, di artista trasandato, un Savonarola da strapazzo[143]. Quando al tempo del Congresso di Milano a Costantino Lazzari domandarono “Chi è quel tipo?”, Lazzari rispose: “Taci. È un matto, ma a noi serve perché ci porta i cinquecento voti della provincia di Forlì” [144].

 

 

Periodo scissionista e lotta bracciantile nel forlivese, aprile 1911 

 

Dopo il Congresso di Milano Mussolini torna a Forlì deluso e, dopo pochi giorni dal suo rientro, muore il padre Alessandro[145]. Politicamente continuò la sua propaganda intransigente nei confronti del Partito e della Direzione, partecipò e tenne conferenze sul tema “ciò che v’ha di vivo e di morto nel marxismo[146]. Mussolini sembra convinto nel portare a termine il progetto di scissione e nel marzo del 1911 Bissolati sembrava dargli l’occasione buona.  Mentre il dibattito sull’allargamento del suffragio universale sembrava essersi arenato, Giolitti, il 18 marzo 1911, pronunciò la proposta dell’ampliamento del suffragio universale agli analfabeti. Questo fatto creò una crisi di Governo e il 18 marzo 1911 cadde il governo Luzzatti, durante le consultazioni per il nuovo governo, il 23 marzo, Leonida Bissolati si intrattenne a colloquio con il re[147]. Giolitti incaricato di formare il nuovo esecutivo offrì il ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio a Bissolati, il quale rifiutò[148].  Ad ogni modo il Gruppo Parlamentare socialista diede la fiducia al governo Giolitti che prometteva: l’allargamento del suffragio ai maschi sopra i trent’anni anche analfabeti, portando l’elettorato a 8 milioni di persone, gli indennizzi ai deputati, la pensione agli operai, la riforma della scuola, e il monopolio statale sull’assicurazione sulla vita. Poi, l’8 aprile la Direzione ratificò la decisione del gruppo parlamentare. Sempre il 23 marzo, Giolitti, forte dell’appoggio dei socialisti, pronunciò la famosa frase: “Il paese ha camminato innanzi, il Partito Socialista ha moderato il suo programma. Carlo Marx è stato mandato in soffitta…[149]. La quale, espressione, diede, in vena ironica, il nome alla rivista degli intransigenti. Mussolini, intanto, informava i suoi lettori che il 1° di aprile aveva mandato un telegramma[150] alla Direzione che intimava di liquidare Bissolati previo l’abbandono della Federazione forlivese alla Direzione del Partito[151]. L’11 aprile l’assemblea della Sezione socialista di Forlì si espresse all’unanimità per l’uscita dal Partito, quindi il 23 aprile fu convocata la Federazione che si allineò con la decisione dell’assemblea. Su 38 sezioni 27 si pronunciarono per il distacco. Ma il distacco rimase isolato alla Federazione forlivese[152]. Secondo Bozzetti “la sua minaccia di scissione non è un gesto impulsivo[153], Mussolini, aveva insomma visto l’opportunità di scalare la frazione rivoluzionaria nella sua lotta al ministerialismo e questa opinione è condivisa da De Felice.

 

Il 1° maggio 1911 la frazione rivoluzionaria intransigente iniziò la pubblicazione de La Soffitta diretta da Lerda. Le basi di dialogo tra Lerda e Turati si fondavano sull’accordo della contrarietà all’uso della violenza[154]. Sempre nel maggio del 1911 ripresero le lotte tra mezzadri e braccianti. La Direzione mandò a più riprese la Balabanoff e Ciccotti in Romagna per fare conferenze e cercare di convincere Mussolini a rientrare nel partito[155]. De Felice sostiene che “Per convincere Mussolini, a Rimini si pensò - molto probabilmente in cambio del rientro nel partito - di offrirgli un riconoscimento ufficiale delle sue benemerenze e un posto che - mentre l’effettiva direzione politica della Federazione intercollegiale era affidata alle più sicure mani del Ciccotti - corrispondesse alle sue capacità e al suo prestigio. Si decise così in linea di massima di sacrificare nel prossimo futuro l’organo socialista di Cesena, «Il Cuneo», che avrebbe dovuto essere assorbito dalla «Lotta di Classe» che sarebbe diventato a sua volta l’organo ufficiale della Federazione intercollegiale. Subito dopo, evidentemente per vincere le resistenze di Mussolini e metterlo con le spalle al muro, «La Soffitta» pubblicò […] “Per i … fuoriusciti forlivesi. A Benito Mussolini”, nel quale si affermava che bene si comprendevano e apprezzavano le ragioni e i sentimenti della «fuoriuscita» dei compagni forlivesi […]. Nonostante ciò, Ciccotti riteneva il loro gesto «prematuro, intempestivo, dannoso a tutta la frazione […]» […] Ciccotti passava quindi a chiedere a tutti lettere il rientro dei socialisti forlivesi […] in modo che a Modena la frazione rivoluzionaria potesse contare anche suoi loro duemila[156] voti […][157]. Il governo Giolitti però aveva anche in piano di invadere la Tripolitania e la Cirenaica. Ovviamente provocando l’acceso contrasto del PSI[158]. Mussolini, quindi, era costretto a scegliere, ma, in suo soccorso subentrò la questione tripolina che catturò tutte le attenzioni facendo passare la fuoriuscita forlivese in secondo piano.

 

 

Guerra in Cirenaica e Tripolitania e antimilitarismo mussoliniano, settembre 1911

 

La guerra in Tripolitania e Cirenaica risulta da un contesto molto più complesso di quanto si possa immaginare. Non è solo una decisione opportunistica di capitalizzare lo sgretolamento dell’impero ottomano e una delle periodiche follie imperialiste, è altresì frutto di un disegno a lungo termine[159], ivi comprese le speculazioni finanziarie di diverse banche, al quale Giolitti si trova quasi costretto a dover aderire. Anche Bozzetti conviene che: “Forse il meno convinto di tutto questo chiasso è lo scettico Giolitti, che non crede né alla convenienza dell’affare, né alla passeggiata militare[160]. Giolitti, da astuto politico però, è conscio che la mera propaganda nazionalista imperialista non può essere sufficiente a convincere le masse impoverite da due crisi economiche molto importanti e attua una politica di avvicinamento al PSI, o almeno al suo gruppo parlamentare, che era pressoché riformista. Giolitti fa ciò concedendo grandi riforme come quella sulle pensioni e il suffragio universale allargato. Questa dualità è criticata però aspramente da molti socialisti, come Salvemini, che ne legge il doppio gioco. Doppio gioco compreso anche dallo stesso Turati. Il Partito si dichiara per l’opposizione assoluta alla guerra. E in vero stile prefascista gli studenti nazionalisti milanesi si scagliano contro l’Avanti![161]. Mussolini scrive su La Lotta di Classe: “un po’ in ritardo, solo il 23 settembre 1911, e in modo sfasato” che “nell’eventualità mediata o immediata di un’occupazione [di Tripoli] il proletariato italiano deve tenersi pronto ad effettuare lo sciopero generale[162]. Ancora Bozzetti nota che “il duce di Forlì […]. Non collega Tripoli agli avvenimenti balcanici e ai pericoli a cui è esposta la regione; […] è di una assoluta miopia nei riguardi dello sfruttamento dei popoli coloniali; per i soldati che ci lasceranno la pelle non ha nessuna parola di pietà. […] Mussolini non è contro la guerra, ma è per la guerra alla guerra […][163]. Per Bozzetti l’offensiva contro i riformisti, soprattutto i destri, inizia con l’articolo del 30 settembre sullo sciopero generale, uno sciopero proposto da Turati e avversato da Bonomi e Cabrini[164]. Tale sciopero, che nel resto d’Italia fu un fallimento, ebbe però grande seguito in Emilia e in Romagna. “A settembre [1911], nel corso di una manifestazione a Forlì contro la guerra coloniale, Mussolini invitò Salvemini e altri «competentissimi studiosi» a protestare contro la guerra.”[165].

 

Mussolini e il segretario della Camera del Lavoro Umberto Bianchi tengono un comizio il 24 settembre a sole 300 persone; mentre il 25 il comizio repubblicano, anche questo contro la campagna libica, tenuto da Pietro Nenni fu più numeroso e registrò scontri con le forze dell’ordine. Il 25 settembre 1911 fu reso noto l’ultimatum italiano alla Turchia che provocò una mobilitazione con lo sciopero generale indetto per il 27 settembre dalla CGdL. Già il 26 i socialisti e i repubblicani forlivesi si unirono in sciopero al comizio; presero la parola Nenni e Armando Casalini per i repubblicani, Mussolini e Umberto Bianchi per i socialisti davanti, questa volta, a 4 mila persone. Si erano verificati nella notte tra il 25 e il 26 sabotaggi sulla linea ferroviaria Forlì-Mendola. Mussolini il 30 settembre commenta la riuscita dello sciopero già iniziato il 26 e che con l’arma del sabotaggio mostrava la “portata rivoluzionaria dello sciopero generale[166]. L’emulazione della politica hervéista è ovviamente palese[167]. Allo scopo di scoraggiare nuove dimostrazioni Nenni, Aurelio Lolli, portiere della Camera del Lavoro repubblicana, e Mussolini, il 14 ottobre 1911, in relazione agli eventi, compresi i sabotaggi del 24, 25 e 26 settembre, vennero arrestati[168]. Il loro arresto suscitò un gran clamore. Il processo iniziò il 18 novembre a Forlì con famosa la chiusa del discorso di difesa del futuro duce di Predappio: “se mi assolverete, mi farete piacere […]. Ma se mi condannerete mi farete onore […][169]. Il 23 novembre Nenni fu condannato a un anno e quindici giorni e 500 lire di multa, Mussolini a un anno, Lolli a sei mesi e 300 lire di multa. L’appello fu discusso il 19 febbraio 1912, quando a Nenni la pena fu ridotta a sette mesi e mezzo, a Mussolini cinque mesi e mezzo e a Lolli quattro mesi e mezzo. Il 12 marzo 1912 Mussolini tornò in libertà[170]. Mussolini in carcere si dimostra furioso, e al suo avvocato dice: “Gli atti di sabotaggio non bastano […]. Ci vuole il sangue […]. Questa non è gente per me!”, riferendosi ai forlivesi. Per via dell’arresto Mussolini non può partecipare al Congresso di Modena tenutosi il girono dopo. Francesco Ciccotti e Costantino Lazzari lo menzioneranno al Congresso come: “Il nostro buon Mussolini di Forlì[171].

 

Facendo un passo indietro, mentre in Romagna Mussolini è impegnato con gli scioperi e i sabotaggi, il Gruppo Parlamentare si riunisce, il 25 settembre, a Bologna per discutere la questione libica, chiedendo la convocazione della Camera e alla CGdL per controllare lo sciopero generale indetto per il 27 settembre. Come già menzionato, il 29 l’Italia dichiarava guerra alla Turchia. Ma i socialisti italiani non furono compatti, e, sia i riformisti di destra Bissolati, Bonomi, Cabrini, De Felice e Podrecca, sia addirittura i sindacalisti rivoluzionari come Arturo Labriola, Orano e Olivetti furono a favore dell’espansione italiana per, a loro detta, favorire gli emigranti italiani nel nome del socialismo[172]. Sempre nel mentre, il 9 ottobre 1911, la sede dell’Avanti! venne finalmente spostata, dopo anni di discussioni, da Roma a Milano[173]. In questo clima si apre a Modena il 15 ottobre 1911, il XII Congresso nazionale del PSI, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra, e il giorno dopo l’arresto di Mussolini. Ciotti, riformista di destra, segretario del Partito, faceva notare che circa mille iscritti[174] erano venuti meno a causa dell’uscita della Federazione di Forlì e fece cenno al trasferimento dell’Avanti! da Roma a Milano. Il dibattito si concentrò sulla questione libica e sull’atteggiamento dei socialisti nei confronti del governo. Lerda per i rivoluzionari intransigenti criticava la scusa di appoggiare il Governo per ottenere il suffragio universale e la cassa pensioni, mentre stando all’opposizione si poteva ottenere molto di più. Si poteva sì ottenere riforme mediante il parlamento, ma, le masse avrebbero dovuto partecipare a tali trasformazioni[175]. Significativo l’intervento di Bonomi a favore della collaborazione con il governo per l’attuazione parziale del programma socialista senza subordinarla alle varie riforme, nonché per una sorta di neutralità nei confronti della politica coloniale italiana, presa come cosa inevitabile. Chiedeva Bonomi: “preferite diecimila lavoratori, abilitati alla direzione di un’azienda e di un’amministrazione pubblica a centomila che fossero raccolti ogni anno per ripetere una vaga aspirazione al meglio?[176]. La risposta di Modigliani per i riformisti di sinistra fu altrettanto significativa, negando che la conquista dei poteri dello Stato fosse vicina e dovesse quindi dettar legge sull’atteggiamento del Partito. Disse anche che se il Partito non doveva essere una opposizione sordomuta, che doveva riflettere la lotta di classe e che la questione tripolina era solo la goccia che avrebbe fatto passare i socialisti all’opposizione[177].

 

Cabrini, sulla falsariga delle posizioni di Bissolati, sottolineava le conquiste ottenute dai socialisti collaborando coi governi quando questi avevano sostenuto riforme, concludendo con una esternazione a dir poco sfortunata: “dobbiamo anche augurare che la vittoria sorrida alle bandiere della nostra gente”, esternazione che fece esplodere il congresso, quindi, dopo alcuni minuti gli fu concesso di concludere il suo intervento col monito di ricordarsi di essere ad un congresso socialista![178]. Francesco Ciccotti, per i rivoluzionari intransigenti, attaccava i riformisti di sinistra per non essere francamente contro la guerra ma solo opportunisticamente. Turati prese le distanze dalle posizioni di Bissolati e si espresse contro la guerra, un altro atteggiamento avrebbe significato il suicidio del Partito. Turati era conscio che il suffragio universale era una riforma fondamentale ma non per questo andava barattata con l’appoggio alla guerra. Insomma, per Turati, il Governo non poteva credere che il Partito Socialista, il proletariato e la nazione gli avrebbero perdonato qualsiasi malefatta. Lazzari attaccò Bonomi e rimproverò Cabrini e Bissolati[179].  Bissolati si difese dichiarando che era andato al Quirinale senza dimenticare di essere socialista, e non aveva accettato il ministero, ripugnandogli l’esercizio del potere e conscio di non avere il partito alle spalle. Sulla questione tripolina voleva essere realista: questa guerra ha evitato quella con la Francia o con la Germania se queste avessero occupato la costa libica. Bissolati chiedeva di continuare la collaborazione col governo Giolitti e di ottenere il suffragio universale. In caso contrario, il partito avrebbe dimostrato di anteporre le proprie ideologie all’interesse del proletariato. L’ordine del giorno riformista di sinistra, Treves, e l’ordine del giorno rivoluzionario intransigente, Lerda, andarono al ballottaggio. Il giorno seguente la frazione intransigente si disse contraria al ballottaggio dando così la vittoria ai riformisti di sinistra[180].

 

Il 5 novembre Giolitti creò un altro evento destabilizzatore per il PSI, ovvero, promulgò il decreto di annessione della Libia, anche se le operazioni militari non erano ancora concluse. Il Gruppo Parlamentare socialista si spaccò: Turati e i “sinistri” furono per l’opposizione, i “destri” di Bissolati furono invece contro un’opposizione sistematica[181]. Nel dicembre del 1911 il Gruppo Parlamentare e la Direzione decisero, quindi, di passare all’opposizione, votando comunque a favore del suffragio universale. Intanto il 22 febbraio 1912 alla votazione sull’annessione su 22 deputati socialisti solo 9 votarono contro il decreto, Enrico Ferri fu uno di quelli a favore. Questo fece scoppiare uno scandalo. Nel frattempo, il 14 marzo, Antonio d’Alba attentò alla vita di Vittorio Emanuele III. Mussolini era uscito dal carcere il giorno prima, il 13 marzo 1912, e fece rientrare la Federazione del collegio di Forlì nel partito. “Usciti per una mancata epurazione, i forlivesi rientrano per sollecitarla.”[182]. Se prima dello scoppio della crisi tripolina La Soffitta era stata molto critica nei riguardi di Mussolini; alla fine della sua carcerazione, l’articolo di Vella del 4 marzo, lo dipingeva come “una delle più simpatiche e spiccate personalità […] a Reggio Emilia destri e sinistri si accorgeranno che i forlivesi questa volta contano pure nei calcoli congressuali e contano tanto più in quanto hanno a duce, amato e stimato, […][183]un uomo del carattere e l’incorruttibilità di Benito Mussolini […][184], questo a prova della rilevanza politica che Mussolini era riuscito ad ottenere grazie alla sua uscita e rientro nel Partito. La lettera del 4 e un’altra corrispondenza pubblicata sull’Avanti! il 5 marzo non lasciano dubbi che il rientro dei forlivesi fosse stato deciso quando Mussolini era ancora in carcere. E Mussolini aveva una buona ragione di motivare il rientro, ossia, espellere i “destri” dal Partito. Come già visto, il 14 vi era stato l’attentato al re e alla regina al seguito del quale, su proposta del deputato ex-repubblicano Pantano, i Deputati della Camera si recarono al Quirinale per felicitarsi dello scampato pericolo. Vi si recarono anche i deputati socialisti Bissolati, Bonomi e Cabrini[185] e già il 16 marzo Mussolini pubblicava su La Lotta di Classe un violento attacco a Bissolati, Bonomi e Cabrini. Quindi il 14 aprile si riunirono a Forlì i rappresentanti delle sezioni forlivesi che approvarono il rientro nel Partito. Sempre in chiave intransigente andarono al Congresso inter-collegiale a Cesena e a quello della Sezione forlivese, quindi il 16 giugno ebbe luogo il Congresso regionale, dove intervennero Graziadei, Bacci, Bianchi, Bonavita, Ciccotti, Zirardini e la Balabanoff. Anche qui prevalse l’ordine del giorno intransigente, dando già ad intendere che i riformisti di destra avrebbero potuto abbandonare il Partito per andarne a formare uno riformista. La linea degli intransigenti era per l’intransigenza elettorale, ovvero: no alle collaborazioni, no ai blocchi, fine dell’autonomia politica del Gruppo Parlamentare, l’espulsione di Bissolati, Bonomi e Cabrini. Su La Lotta di Classe Mussolini scriveva già il 20 di aprile: “noi partecipiamo al congresso di Reggio Emilia allo scopo di provocare l’espulsione dal Partito dei riformisti deputati o no tripoleggianti e giolittiani[186].

La frazione intransigente alla vigilia di Reggio Emilia era scarsa di teste e di questo i riformisti di sinistra se n’erano accorti[187]. Si veda, per esempio, l’articolo di Treves “L’idealismo rivoluzionario”, già nel luglio. Claudio Treves colloca Mussolini tra i “rivoluzionari-rivoluzionari”, o meglio un idealista rivoluzionario, non convinto dal suffragio universale e profeta della violenza. Un determinista o un catastrofista, insomma. Per il resto Serrati non aveva ancora mostrato di saper emergere, mentre il Lerda, quello con più autorevolezza, era un rivoluzionario-riformista, con tendenze pericolosamente revisioniste bernsteiniane, per le quali il movimento era tutto[188]. Ma per Mussolini stesso il marxismo si riduceva: i. a determinismo economico (appunto), ii. alla lotta di classe, e iii. al concetto della catastrofe[189].

 

Se i riformisti erano coscienti che la via al socialismo sarebbe stata agevolata da grandi riforme ottenute da vaste agitazioni di piazza, come scriveva la Kuliscioff, per Mussolini, che come modello aveva la Comune di Parigi, era l’evento rivoluzionario, ossia la violenza liberatrice, l’unica via al socialismo. Questo sosteneva a Forlì il 16 giugno assieme all’avversione all’organizzazione economica che ha “ucciso il sentimento rivoluzionario e […] depauperato il Partito dei quadri migliori”. Ovvio attacco alla CGdL, che proprio prima del Congresso proponeva di diventare più politicizzata. Per Mussolini il sindacato riformista era per forza di cose un’organizzazione di compromesso, mentre il Partito doveva fare d’avanguardia dell’esercito proletario[190]. Se nel 1910 Mussolini aveva aderito alla campagna per il suffragio universale ora ne era critico perché concesso dall’alto, ovvero da Giolitti[191]. E poi il suffragio da solo non bastava, ci voleva la violenza. Sempre al Congresso delle federazioni romagnole Mussolini si concentra nell’atto d’accusa contro quelli che si sono prosternati davanti al re, e tra le altre cose gonfia i numeri della Federazione di Forlì[192]. L’Azione socialista, organo dei riformisti di destra, nota: “il Mussolini di Forlì - personalmente rispettabilissimo, anche perché è uno dei pochi rivoluzionari che abbia dimostrato di saper pagare di persona - ha una tendenza “mostruosa” quando dichiara che ‘I socialisti non dovrebbero più occuparsi dell’organizzazione economica per dieci anni’ […]”[193]. Il 29 giugno, da La Lotta di Classe, Mussolini è ancora più estremo: “Non vi sono più frontiere patriottiche per la scienza, la filosofia, l’arte, l’economia, la moda, lo sport, e ci dovrebbero essere per il socialismo? La patria si identifica oggi con il militarismo.”[194].

 Cesco



[1] Cesco. Il patto di pacificazione: tra calcolo politico e commedia (Parte II). Adattamento Socialista. ottobre, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/10/il-patto-di-pacificazione-tra-calcolo.html

[2] Autori Vari. Mussolini socialista, a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p V.

[3] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 7.

[4] Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973. 

[5] Con la notevole eccezione del Partito Laburista britannico, che mai fu dominato dai marxisti.

[6] Se si volesse approfondire si veda: Cesco. La Comune di Parigi: un ideale socialista tra le barricate: a 150 anni dalla sollevazione parigina. Adattamento Socialista. Maggio 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/05/la-comune-di-parigi-un-ideale.html

[7] Cesco e Dankolog. Per il centotrentesimo anniversario della Fondazione del Partito Socialista Italiano: riflessioni sul “Programma di Genova”. Adattamento Socialista. Agosto 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/08/per-il-1300-anniversario-della.html 

[8] Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html

[9] Lafargue commentò che Hervé “spara fuochi d'artificio per spaventare gli spettatori”, [da: Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022]. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html]

[10] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 19.

[11] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 42.

[12] Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p95.

[13] Per Bozzetti: “[Mussolini] conosce un solo mestiere, quello del giornalista.” [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 19].

[14] Questo è piuttosto notevole se si pensa, come considerato da Gentile che: “Il periodo fra il 1903 e il 1914 fu certamente quello del suo maggior impegno culturale.” [da: Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 64.]

[15]Bakunin convertì molti intellettuali italiani al suo socialismo, che esortava all’abbattimento immediato dello Stato attraverso la rivoluzione violenta. L’anarchismo italiano e la sua dottrina rivoluzionaria ebbero considerevole influenza sui teorici italiani della sinistra, interessando anche l’ala rivoluzionaria del Psi”. [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 100.]

[16] Odierna Provincia di Forlì-Cesena.

[17] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 5.

[18] Comune limitrofo a quello di Predappio.

[19] Vigilato dalla polizia in quanto sovversivo [vedi: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 5].

[20] Emilio Gianni. La parabola del “partito intermedio”. Pantarei, 2010, p 385.

[21] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 6.

[22] Emilio Gianni. La parabola del “partito intermedio”. Pantarei, 2010, p 385.

[23] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 6.

[24] Forzando certamente l’attività giornalistica del padre che fu effettivamente molto esigua.

[25] Tratto da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 7.

[26] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 8.

[27] In merito alla presenza della violenza negli strumenti di lotta del PSI, questa fu chiaramente bandita dall’allontanamento degli anarchici e degli operaisti estremisti già dal Congresso di Genova nel 1892. Se da un lato Antonio Labriola era scettico che i tempi fossero maturi per un Partito di Classe, dall’altro Turati e Kuliscioff, con l’appoggio di Engels, avevano posto la prima pietra per la costruzione dell’edificio socialista e i due, Turati e Kuliscioff, avevano da subito precisato la loro opposizione all’uso della violenza. “Turati era convinto che la violenza della dittatura del proletariato avrebbe portato alla nascita di una oligarchia dentro il socialismo e a una dittatura liberticida”. [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 103.].

[28] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p178.

[29] Alexander Millerand è un uomo politico francese dell’area radicale, vicina a Clemenceau, e amico di Jean Jaurès.  Vicino poi al socialismo rifomista, fu il primo deputato socialista a prendere parte ad un Governo borghese e per questo fu al centro del così detto affaire Millerand.  Il 3 dicembre del 1899 il Congresso socialista a Parigi ebbe come argomento principale il caso Millerand e l’intervento di Jaurès fu memorabile:  «Cittadini, in passato abbiamo dovuto superare i falsi insegnamenti della ferrea legge dei salari, che avrebbe scoraggiato i lavoratori nella lotta per il miglioramento delle loro condizioni; ora dobbiamo superare l’altrettanto falsa nozione della ferrea legge dello Stato […] dobbiamo combattere non da una futile distanza, ma dal cuore della cittadella […]». [da: Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html ]

[30] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 179.

[31] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 206.

[32] Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza. 2020, p 106.

[33] Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza. 2020, p 107.

[34] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 18.

[35] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p16.

[36] Lo spirito mazziniano più o meno latente nel socialismo romagnolo di Mussolini può venir fuori quando finalmente è libero di esprimersi in un contesto più ampio come quando nel gennaio del 1915 (quindi pochi mesi dopo la sua espulsione dal partito) scrive su Il Popolo d’Italia: “C’è molta parte di verità nella critica «marxista», ma ve n’è anche nella ideologia mazziniana […] Libertà di ripudiare Marx, se Marx è invecchiato e finito; libertà di ritornare a Mazzini, se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola che ci esalta in senso superiore dell’umanità nostra, libertà di tornare a Proudhon, a Bakunin, a Fourier, a S. Simon, a Owen, e a Ferrari, e a Pisacane, e a Cattaneo […] purché il verbo sia capace di fecondare l’azione.” In “Dopo l’adunata” [da: Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 92].

[37] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 3.

[38] Specifichiamo che Giacinto Menotti Serrati (1872-1926), o Menotti Serrati, aveva, nel 1902, alle spalle già diversi anni di intenso attivismo e, per indubbio merito, era già diventato dirigente di Partito. Condivideva con Benito il fatto di essere figlio di un riconosciuto socialista. Giacinto Serrati, padre di Menotti, era stato nelle Società Operaie e sindaco di Oneglia. Dopo varie incarcerazioni e fughe all’estero, che lo portarono in Francia, addirittura in Madagascar e appunto in Svizzera, alla fine del 1901 a Menotti fu offerto di andare a dirigere Il Proletario a New York negli Stati Uniti. Lasciò la Svizzera nel febbraio del 1902, ma dovette tornare in Europa dopo l’incidente dell’ottobre 1903 a Barre nel Vermont. Qui con un colpo di rivoltella era stato ucciso l’anarchico Elio Corti da un altro anarchico, Garetto, ma la colpa era stata data, dagli anarchici stessi, al socialista Serrati, il quale venne però assolto per non aver commesso il fatto. Quindi solo dopo essere tornato in Svizzera all’inizio del 1904, conosce personalmente Benito Mussolini. [da: Alessandro Natta. Serrati vita e lettere di un rivoluzionario. Editori Riuniti, 2001, p 84.]

[39] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 10.

[40] La Balabanoff racconta di aver incontrato Mussolini la prima volta nel 1903 nella Casa del Popolo di Losanna. Riporta che gli altri lavoratori lo consideravano “un disgraziato” che “vive come può”. Sempre secondo la Balabanoff uno dei lavoratori al quale ella chiede informazioni su Mussolini risponde: “Lavoro, che genere di lavoro? … Fare il muratore, come noi, non gli va. Bestemmia contro il lavoro, contro la disciplina ch’esso impone – alzarsi di buon’ora – faticare come una bestia, non gli va …”. Sempre secondo il racconto della russo-ucraina, Mussolini avrebbe risposto a lei, la quale le offriva aiuto, “Impossibile! Sono destinato a perire. Capirete, sifilico e figlio di alcolizzato, cosa volete che io faccia? Non sono capace a nulla, neppure di guadagnarmi un pezzo di pane”. [da: Angelica Balabanoff. Il traditore, Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 25]. Nonostante l’evidente risentimento nelle parole della vecchia marxista russo-ucraina  ̶  il libro venne scritto nel 1942 per il pubblico statunitense allo scopo di mostrare il vero volto del “mostro  ̶   vi sono diversi elementi nel suo racconto, confermati. Ovvero che non avesse voluto tenersi un lavoro da muratore, che non potesse sostenersi col solo lavoro di attivista e quindi dipendesse dalla generosità dei compagni, e che molto probabilmente avesse la sifilide nella sua forma latente.    

[41] L’aiuto concreto che i compagni socialisti diedero a Mussolini al suo arrivo in Svizzera, che fece andare su tutte le furie la Balabanoff, avendo questi tradito la loro generosità, è documentato e ammesso dallo stesso Mussolini. Non è ovviamente vero, né possibile, che Serrati avesse potuto accogliere Mussolini ed aiutarlo direttamente in quanto questi era negli Stati Uniti, ma al suo ritorno il supporto di Serrati e di tutta la sua famiglia è comprovato: questo si può verificare in De Felice. La Balabanoff aiuta Mussolini, se non per intero, con la traduzione dal tedesco per Avanguardia socialista di “Am Tage nach der sozialen Revolution” (“Il giorno dopo la Rivoluzione Sociale” di Karl Kautsky [Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 37.].

[42] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 24.

[43] Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html#_ftnref2

[44] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 12. Renzo De Felice riporta che il 9 aprile 1904, Mussolini fu arrestato a Ginevra ed espulso. Vi fu la mobilitazione dei compagni italiani e svizzeri, cosa che si ripeterà a Trento. Sotto pressione di Giuseppe Rensi, un deputato radicale, Antonio Fusoni presentò una mozione al Gran consiglio del Canton Ticino e il 18 aprile Mussolini fu rimesso in libertà [Vedi: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p36].

[45] Vedi: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 31.

[46] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 16.

[47] Al Congresso Andrea Costa lesse una lettera di Jaurès in merito alla questione della Triplice Alleanza, ovvero l’alleanza rinnovata tra Germania, Austria-Ungheria e Italia per controbilanciare quella franco-russa. Jaurès, quindi, sosteneva che: “In politica estera il vostro contributo è stato importante. Per la triplice alleanza, la quale è un essenziale contrappeso al nostro sciovinismo e alle sfrenate ambizioni franco-russe, sta gradualmente perdendo il suo carattere aggressivo. Possiamo addirittura prevedere il giorno in cui tutte le potenze europee saranno parte di una federazione, la quale sarà capace di mettere fine alla corsa distruttiva agli armamenti”. Una posizione simile fu dei socialdemocratici tedeschi allo scoppio della Prima Guerra mondiale, da loro vista come una guerra di difesa contro la politica aggressiva di Russia e Francia. Non è un caso che Jaurès venisse considerato un filotedesco. [da: Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html ].

[48] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 219.

[49] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 228.

[50] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 17.

[51] Ovvero: Benito Mussolini. La virtù dell’attesa. L’Avvenire del Lavoratore, 9 agosto 1902. Benito Mussolini; La necessità della politica socialista in Italia. L’Avvenire del Lavoratore, 30 agosto 1902; Benito Mussolini. La gente nuova. L’Avvenire del Lavoratore, 20 settembre 1902.

[52] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 19.

[53] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 42.

[54] Benito Mussolini. Socialismo e movimento sociale nel XIX. Il Proletario, 18 settembre 1903.

[55] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 20.

[56] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 21.

[57] Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html

[58] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 228.

[59] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 251.

[60] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 253.

[61] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 255.

[62] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 265.

[63] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 44.

[64] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 45.

[65] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 82. 

[66] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 83. 

[67] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 84. 

[68] E ancora, “Mussolini non aderì, da militante prima e poi da dirigente periferico del Psi, alla corrente di Labriola [Arturo], né tantomeno lo seguì quando nel 1907 i sindacalisti decisero di uscire dal Psi”. [da: Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 84].

[69] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 23.

[70] Nel febbraio 1902 Jaurès si recò a Ginevra e diede tre lezioni sul pensiero di Nietzsche, che andava di moda in quegli anni. Jaurès sosteneva che non fosse vero che per essere liberi gli uomini debbano estraniarsi dalla umanità ma che tutta la società sarebbe dovuta diventare di superuomini. Non vi sono evidenze che Mussolini abbia frequentato queste lezioni, ma Nietzsche rimase un chiodo fisso per il futuro “duce” di Predappio.

[71] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 24.

[72] Simone Visconti. L’educazione rivoluzionaria di un romagnolo in Svizzera, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 31.

[73] Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html

[74] Per inquadrare l’emergere di sindacati confederali in Francia, 1895, Italia, 1906, Germania, 1892, è bene aggiungere che questi stavano raggiungendo l’apice della loro popolarità proprio attorno al periodo che va dal 1905 al 1908. [“fra il 1905 e il 1913, gli iscritti ai sindacati socialdemocratici nei paesi collegati all’Internazionale sindacale di Amsterdam passarono quasi raddoppiandosi, da 3 a poco meno di 6 milioni”, da: Eric J. Hobsbawm. La cultura europea e il marxismo fra Otto e Novecento. In Storia del marxismo. Volume secondo: il marxismo nell’età della Seconda Internazionale. Einaudi editore, 1979, p 65]. Nella primavera del 1902 vi era stato un imponente sciopero generale in Belgio, ma di fronte alla repressione del Governo i leader dovettero cessare lo sciopero. Il da farsi di fronte allo sciopero di massa diventò un elemento di discussione tra i vari pensatori del socialismo internazionale. Rosa Luxemburg e Franz Mehring erano per l’uso dello sciopero di massa come arma di lotta che ben si applicava allo spontaneismo. Vi erano altri come Victor Adler, ma anche lo stesso Guesde, contrari all’uso dello sciopero. La posizione “ufficiale” del socialismo marxista, ovvero quella di Kautsky e Bebel, era più tollerante: lo vedevano come un altro mezzo di lotta. Tra il 1903 e il 1904 vi fu la serrata durata cinque mesi della Crimmitschau-Zwickau che piegò i sindacati.

Ciò non toglie che la questione dei sindacati, dello sciopero e del Partito, tornò in auge attorno al 1905, quando la dimensione dei sindacati tedeschi aveva superato in dimensione la SPD stessa. In Germania i leader sindacali erano anche leader di Partito, però non vedevano di buon occhio l’uso politico dello sciopero generale che era la loro principale arma di lotta economica. Sulla stessa linea tenuta anni prima, la Luxemburg e Karl Liebknecht cercarono invece di politicizzare l’arma dello sciopero generale, mentre Karl Kautsky aveva posizione, centriste, ovvero a metà tra queste e quelle revisioniste e riformiste. Nel giugno 1905 la socialista olandese Henriette Roland-Holst pubblicò “Sciopero generale e Socialdemocrazia” con introduzione di Kautsky, questo lavoro fu criticato aspramente dai tradeunionisti del Vorwärts. Si formò un bipolarismo tra il Vorwärts e il Neue Zeit, dove il Vorwärts era dalla parte dei sindacalisti e dei revisionisti, Kautsky e la Luxemburg si trovarono dall’altra parte anche se il primo su posizioni più moderate. Le posizioni dei sindacalisti della Vorwärts suonavano curiosamente vicine a quelle degli operaisti francesi e italiani di, rispettivamente, 25 e 15 anni prima, chiamando lo sciopero Arbeitsverweigerung, ovvero rifiuto al lavoro, ciò che gli operaisti italiani chiamavano resistenza. La posizione difesa da Kautsky e dalla Roland-Holst era che lo sciopero generale altro non era che una forma di lotta complementare a quella parlamentare. I sindacalisti trade-unionisti consideravano Kautsky filo-anarchico per la sua posizione favorevole allo sciopero generale e per la sua idea che il partito debba essere superiore al sindacato. A Jena nel 1905 e poi a Mannheim la SPD affrontò il tema dello sciopero generale. A Jena Bebel presentò una risoluzione in linea con le posizioni di Kautsky, votata anche da Bernstein e Luxemburg. La Luxemburg sottolineò la natura spontanea degli scioperi come l’elemento di salvezza del partito. Nel 1906 vi fu l’accordo tra partito e sindacati per cui lo sciopero politico era organizzato dal Partito e quello economico dal sindacato, il che significava anche accollarsene le spese, ma questo causò la fine della partecipazione attiva della SPD nello sciopero generale. A Mannheim nel 1906 la risoluzione di Bebel sullo sciopero generale lo limitava a scopi difensivi, ammettendone la dipendenza dai sindacati.

[75] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 269.

[76] Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 109.

[77] La leva obbligatoria era di due anni e Mussolini era considerato un renitente alla leva, ma fu amnistiato e si dimostrò un soldato modello.

[78] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 49.

[79] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 280.

[80] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 294.

[81] Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html

[82] Una parte, unita al vecchio Porto Maurizio, dell’attuale comune di Imperia.

[83] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 51.

[84] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 52.

[85] “[…] un rapido viaggio a Milano, dove Alessandro dovette recarsi per acquistare una trebbiatrice per la cooperativa bracciantile.” [da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 9].

[86] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 55.

[87] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 57.

[88] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 322.

[89] L’ideologia di Mussolini derivava dal connubio tra Marx e Nietzsche, “connubio, per altro, già consumato dai sindacalisti rivoluzionari, a cominciare dallo stesso Sorel. […] Nietzsche era l’assertore dell’ideale futuro, Marx lo scienziato che aveva previsto la crisi della società borghese […]” [da: Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 66].

[90] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 60.

[91] Sembra che Mussolini fu chiamato “piccolo duce” già nell’aprile del 1907 quando venne espulso dal Cantone di Ginevra e alla sua uscita dal carcere nel 1912. [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’ ”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 23]

[92] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p41.

[93] In: Benito Mussolini. La teoria sindacalista. Il Popolo, 27 maggio 1909. [tratto da: Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p47.]

[94] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 74. 

[95] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 75. 

[96] Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 106.

[97] Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 74.

[98] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 78. 

[99] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 80. 

[100] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 87. 

[101] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 89. 

[102] Durante la sua permanenza a Trento scrive: Un grande amico dell’Italia. Augusto von Platen. Il Popolo, 3 luglio 1909, e La Comune di Parigi. 18 marzo-24 maggio 1871. L’Avvenire del Lavoratore, 27 marzo 1909. Da: Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 49.

[103] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 51.

[104] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 53.

[105] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 54.

[106] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 55.

[107] Mussolini raggiunge la più celebre testata milanese che segue la sua vicenda.

Da Trento: L’istruttoria del processo d’alto tradimento. Un socialista italiano arrestato.Ieri sera poi, dopo una triplice perquisizione operata al suo ufficio, al suo domicilio ed alla Camera del lavoro, è stato arrestato Il prof. Benito Mussolini, segretario della Camera del lavoro e redattore capo del socialista Popolo.” Corriere della Sera 12 settembre 1909.

Dopo gli arresti di Trento. Verso uno sciopero generale di protesta?  protesta per il sistema repressivo […] reclama energiche istruzioni alla polizia affinché usi maggior tatto […] ad evitare ogni possibile scatto della classe operaia […]. Infatti, da quanto pubblica oggi il Popolo, ieri sera venne votato dopo discussione violentissima alla Camera del lavoro dai fiduciari delle organizzazioni operaie, un ordine del giorno nel quale, si dichiara necessario lo sciopero generale come protesta contro il contegno delle autorità di fronte al pubblicista Mussolini”. Corriere della Sera 19 settembre 1909.

Il caso del prof. Mussolini sottoposto al ministro degli interni. “I deputati socialisti Pittoni e Adler si recano dal ministro degli interni Haerdtl ad esporgli il caso del prof. Mussolini, redattore capo del Popolo di Trento. […] La sua imputazione quindi è: diffusione di uno scritto sequestrato ed eccitamento contro l’autorità, giacche’ la lettera sembra inveisse contro il procuratore dello Stato.” Corriere della Sera, 20 settembre 1909.

Da Trento. Il prof. Mussolini assolto. Ancora la minaccia dello sciopero generale. “Oggi, dinanzi al tribunale di Rovereto, si svolse il processo contro il regnicolo prof. Benito Mussolini, redattore-capo del Popolo di Trento. […] Il Tribunale, dopo un rapido dibattimento mandò assolto il prof. Mussolini per inesistenza di reato. Tuttavia il Mussolini fu trattenuto in carcere avendo il procuratore di Stato ricorso in appello contro la sentenza. Si prevede quindi che a Camera del lavoro di Trento premerà uno sciopero generale di protesta.” Corriere della Sera, 25 settembre 1909.

Da Trento. Il mantenuto arresto del prof. Mussolini. Lo sciopero generale sospeso. Corriere della Sera 26 settembre 1909

Da Trento. Sciopero generale di protesta contro gli arbitri della polizia. “Le cause dello sciopero […] vanno ricercate nell’arbitraria detenzione di ben 12 cittadini […]. Il Mussolini viene a Milano”. Corriere della Sera 27 settembre.

Lo sciopero di Trento è finito. “Trento, 28 settembre, notte. Lo sciopero generale incominciato ieri in seguito alla espulsione del giornalista socialista Mussolini, è terminato oggi senza incidenti. La città è tranquilla. (Stefani).” Corriere della Sera 29 settembre 1909.

La sedutaDal carcere preventivo all’espulsione d’un italiano da Trento. La prima interrogazione è dell’on. Materi e riguarda la necessita di riformare l’istituto del carcere preventivo […]. Vien data la parola al ministro degli esteri on. GUCCIARDINI per rispondere ad un’interrogazione del on. Musatti sullo sfratto dall’Austria del prof. Benito Mussolini, cittadino italiano. Egli dice: - Verso la fine di settembre il professor Musolini, in seguito ad un sequestro di stampati, fu arrestato e sottoposto a processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Rovereto. Il processo ebbe esito favorevole per lui, perché fu assolto; malgrado ciò fu trattenuto in arresto provvisorio per avere la Procura Imperiale depositato ricorso. Mentre questa faceva il suo corso, l’autorità di P.S. pronunziò lo sfratto per cui il prof. Mussolini venne accompagnato alla frontiera. Come l’on. Musatti vede, si tratta di un atto di politica interna. Io ho esaminato la posizione di questo affare più con sentimento di giudice che come difensore, perché i fatti si sono svolti a mio avviso alla Consulta. Ma devo riconoscere che tanto le autorità consolari che quelle diplomatiche hanno fatto quel che poco che il diritto internazionale in simili casi concede di fare. Per quando possa essere spiacente che fatti simili si ripetano con troppo a frequenza ho creduto in nessun modo di intervenire perché, come non potrei tollerare che autorità straniere intervenissero in atti di politica interna nostra, così credo di non avere il potere di intervertire in atti che appartengono alla politica interna di altri Stati. Piu di questo no posso dire […].” Corriere della Sera, 3 marzo 1910. 

Archivio Storico Corriere della Sera.

[108] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 57.

[109] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 62.

[110] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 65.

[111] Stefano Biguzzi. Un rivoluzionario in Trentino, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 71.

[112] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 89.

[113] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p92.

[114] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 79.

[115] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 80.

[116] Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html

[117] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 82.

[118] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 83.

[119] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 86.

[120] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 84.

[121] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 86.

[122] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 95.

[123]Dal 1909 al 1910 consolidò il suo ruolo di segretario della Federazione socialista locale e guidò la lotta contro l’introduzione delle nuove macchine agricole.” [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 107]

[124] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 90.

[125] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 91.

[126] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 93.

[127] Charles Killinger. Salvemini, Mussolini e la critica allo Stato liberale, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 147.

[128] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 94.

[129] Idem.

[130] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 95.

[131] In, Benito Mussolini. Il problema dell’Avanti!. La Lotta di Classe, 19 settembre 1910 [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 19].

[132] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 22.

[133] Idem.

[134] Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html

[135] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 349.

[136] Mussolini viene ridicolizzato a Milano come il noto brigante Musolino. [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 22].

[137] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 95.

[138] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 350.

[139] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 24.

[140] I delegati forlivesi tra i quali Mussolini rimasero per l’intransigenza mentre quelli del ravennate passarono all’ordine del giorno Turati, riformista. [da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 95.]

[141] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 361.

[142] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 96.

[143] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 23.

[144] Idem.

[145] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 27.

[146] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 97.

[147] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 28.

[148] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 369.

[149] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 28.

[150]Alla direzione del partito Mussolini inviò questo telegramma: «Liquidate giolittiano, monarchico, realista Bissolati o cinquanta sezioni Federazione forlivese abbandoneranno il Partito». Di fronte al rifiuto della direzione, l’11 aprile, l’assemblea della sezione socialista di Forlì, su proposta di Mussolini, votò unanime la propria autonomia dal Partito socialista. Il 23 aprile, il gruppo rivoluzionario in seno al Comitato centrale invitò le altre federazioni a non seguire il suo esempio […].” [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 111].

[151] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 101.

[152] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 99.

[153] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 28.

[154] Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 110.

[155] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 101.

[156] Da notare che i 500 voti menzionati da Lazzari al Congresso di Milano erano ora diventati 2000 per Ciccotti.

[157] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 102.

[158] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 370.

[159] La colonizzazione della Tripolitania e Cirenaica era in realtà stata programmata già dal 1901 [da: Giancarlo Giordano. Tra marsine e stiffelius. Venticinque anni di politica estera italiana 1900-1925. Nuova Cultura, 2012].  In primo luogo, la politica anti-francese, innescatasi decisamente dopo l’invasione francese della Tunisia nel 1881, che aveva portato all’ingresso dell’Italia nella Alleanza, ovvero, con Germania e, a malincuore con l’Austria-Ungheria, fu attenuata fortemente dagli accordi commerciali presi nel 1898.   In secondo luogo il “sistema Prinetti”, dal capace ministro degli esteri, Giulio Prinetti, durante il governo Zanardelli, prevedeva, oltre alla neutralità tra Francia e Italia in caso di invasione straniera, il diritto di prelazione sulla Tripolitania e Cirenaica concordato con l’Inghilterra per il mantenimento dello status quo ante bellum (ovvero, lasciare le cose come stanno) nel mediterraneo e poi continuava con il rinnovato accordo della Triplice e con l’aggiunta da parte dell’Austria di non aver alcun interesse in Tripolitania e Cirenaica [da: Giancarlo Giordano. Tra marsine e stiffelius. Venticinque anni di politica estera italiana 1900-1925. Nuova Cultura, 2012]. Quando nel 1908 l’Austria-Ungheria annetté la Bosnia Erzegovina all’Austria, il ministro degli esteri Tittoni si appellò al trattato di Berlino per una compensazione, che non arrivò da parte dell’Austria e così si incominciò in parlamento a parlare di Albania come risarcimento. Intanto, sempre il Tittoni, con l’accordo con la Russia 24 ottobre 1909 coronato con la visita dello zar a Vittorio Emanuele III, e con il trattato di Racconigi, ottenne il riconoscimento degli interessi italiani in Tripolitania e Cirenaica. La crisi marocchina del 1911 catalizzò la situazione anche per l’intervento coloniale Italiano in Tripolitania e Cirenaica.

[160] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 32.

[161] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 33.

[162] Idem.

[163] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 34.

[164] Idem.

[165] Charles Killinger. Salvemini, Mussolini e la critica allo Stato liberale, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 151.

[166] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 107.

[167] Infatti, se si facesse un paragone con gli articoli di Hervé pre-sciopero dei ferrovieri del 1910 (per esempio, il 31 marzo 1909 La Guerre Sociale intitolava “Par Le Sabotage Et L’Emeute!”, ossia “Attraverso il sabotaggio e la sommossa!”), si noterebbe una similitudine con gli articoli e i proclami di Mussolini nell’ottobre del 1911. Ma nel 1911 Hervé era passato al militarismo rivoluzionario (le Jeunes Gardes Révolutionnaire fecero la loro prima apparizione pubblica il 1° maggio 1911, determinando scontri con le forze dell’ordine. Hervé vedeva le Jeunes Gardes Révolutionnaire come l’inizio del suo militarismo rivoluzionario).  Allo stesso tempo Hervé aveva iniziato ad aprire il dialogo con il SFIO e aveva iniziato a parlare di désarmement des haines, precisandone che il suo antipatriottismo era stato un errore pedagogico. [da: Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html]

[168] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 107.

[169] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 108.

[170] Idem.

[171] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 36.

[172] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 373.

[173] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 39.

[174] Quindi i 500 di Lazzari diventati 2000 con Ciccotti ora sono 1000 con Ciotti.

[175] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 376.

[176] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 377.

[177] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 378

[178] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 381.

[179] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 383.

[180] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 389

[181] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 43.

[182] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 41.

[183] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 110.

[184] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 42.

[185] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 392.

[186] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 115.

[187]Una debolezza evidente della frazione rivoluzionaria era stata la mancanza di un capo, che ora sembrava colmata con l’ascesa di Giovanni Lerda”, ma per la sua adesione alla Massoneria dovette addirittura lasciare il partito. [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 108].

[188] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 118.

[189] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 119.

[190] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 122.

[191] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 123.

[192] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 43.

[193] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 44.

[194] Idem.

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