Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg

 

Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg

 

Questo estratto dal libro di Goldberg non ha l’ambizione di essere esaustivo, o sostitutivo, della magistrale biografia scritta dall’autore americano ormai 59 anni fa. Il libro di Goldberg, oltre che essere completo, è scritto con tale chiarezza, competenza e efficacia da essere in sé un libro avvincente sicuramente da leggere. Per quanto ne sappia, purtroppo non ne esiste una traduzione italiana. Inoltre, anche su Goldberg andrebbero spese due parole. Harvey Goldberg fu un intellettuale, marxista e attivista, esperto di storia francese, che ottenne il dottorato proprio su Jean Jaurès. Insegnò come docente di Storia alla University of Wisconsin-Madison, che ha intitolato a suo nome l’Harvery Goldberg Center. Goldberg è ricordato anche come straordinario oratore: le sue lezioni erano tutte piccole opere d’arte, preparate nei minimi dettagli e ricevute sempre con grande entusiasmo. Fu anche un attivista per i diritti civili e nel movimento contro la guerra in Vietnam.    

 

 

August-Marie-Joseph-Jean-Léon Jaurès nasce il 3 settembre del 1859 nella città di Castres, nel distretto di Tarn del sud-ovest della Francia, non troppo distante, 70 km, da Tolosa, da una famiglia borghese ma non prospera. Il bisnonno da parte materna di Jaurès fu sindaco di Castres e professore di filosofia. Da parte paterna ebbe due cugini di secondo grado ammiragli dei quali uno anche Senatore e Ambasciatore in Spagna e Russia nonché Ministro della Marina. La cultura e l’indole tollerante della madre, Adélaïde, ebbe una grande influenza su Jaurès. Ai tempi del Secondo Impero studiare non era un diritto acquisito, ma Jaurès fu uno studente prodigio. Iniziò la sua educazione presso l’abate Sejal e grazie a una borsa di studio vinta nel 1869 che la madre riuscì a far condividere col fratello Louis, Jean Jaurès studiò presso il Collège de Castres. Degli anni del Collège si può richiamare un episodio che ricorda in qualche modo quello più celebre su Maximilien Robespierre quando fu incaricato di leggere un discorso di benvenuto al re Luigi XVI. Nel caso di Jaurès, al Collège era venuto in visita, a sorpresa, il Prefetto di Tarn e l’insegnante di greco e latino, dovendo scegliere un alunno per il discorso di benvenuto, si rivolse al migliore, ovvero al giovane Jean. Questi impressionò così tanto il Prefetto, il quale chiese al Preside di dare il resto del giorno libero a tutti gli studenti.

 

Quando scoppiò la guerra Franco-Prussiana e la conseguente Comune di Parigi Jaurès aveva solo 12 anni e non si interessava di politica. All’età di 16 venne in visita al Collège de Castres l’ispettore generale, il professore Nicolas-Félix Deltour, che ovviamente impressionato dal prodigioso Jean, si impegnò personalmente per assicurargli un posto alla École Normale di Parigi. Spinse anche per fargli trascorrere gli ultimi due anni scolastici di collegio, ovvero 1876 e 1878, presso il rinomato Lycée Sainte-Barbe di Parigi. Al tempo della Normale, dove eccelse come studente, Jaurès consolidò le sue idee repubblicane, ammirando Léon Gambetta e Jules Ferry. Vedeva nel repubblicanesimo la libertà individuale e la virtù pubblica.

 

Gli anni ‘80 furono gli anni in cui il socialismo riprese a svilupparsi dopo la repressione della Comune nel 1871. Ex-comunardi e altri socialisti incominciarono a tornare a Parigi. Tra questi vi erano Paul Brousse, Benoît Malon e in particolare Jules Guesde. Questo è anche il periodo del famoso viaggio di Paul Lafargue e Jules Guesde a Londra per discutere il programma del Parti Ouvrier Français[1] (POF). È in questo periodo che vi è il dibattito tra i possibilisti, Brousse e Malon della Fédération des travailleurs socialistes de France e gli impossibilisti di Guesde del POF[2]. Un’altra importante organizzazione era quella blanquista: il Comité révolutionnaire central. Ma Jaurès era al momento estraneo a tutto ciò.

 

Nel 1881 Jaurès si guadagnò il titolo di agrégé e divenne professore di filosofia presso il lycée de Albi. Dopo due anni, nel 1883, si trasferì presso la Facoltà di Lettere come maître des conférences in filosofia a Tolosa e incominciò a scrivere i suoi primi articoli su La Dépêche de Toulouse.[3] Nelle elezioni del 1885 Jaurès decide di candidarsi per i repubblicani. A quel tempo i repubblicani erano divisi in tre correnti: gli opportunisti, i radicali e i socialisti. Jaurès divenne deputato nella maggioranza repubblicana, con 383 seggi, nell’ottobre del 1885. I conservatori monarchici e bonapartisti avevano comunque ottenuto 201 seggi. Il giacobino Georges Clemenceau, che aveva anche preso parte al Governo di Difesa Nazionale, era ora leader dei repubblicani opportunisti. Jaurès fu eletto come il membro più giovane. La sua visione della politica era molto semplice, per lui vi erano solo repubblicani e monarchico-clericali. Jaurès era ancora un seguace di Ferry. Nonostante Jaurès dichiarerà più tardi di essere già un socialista nel 1885, questo non è coerente con la realtà dei fatti. Nel governo vi erano allora pochi socialisti, Antide Boyer, Cameliant (comunardo), Basly, Clovis Hugues e Numa Gilly. Nonostante sentisse la causa socialista vicina, Jaurès non sapeva ancora come farne parte. Si recò addirittura alla redazione de La Revue socialiste per trovare Benoît Malon, ma senza successo. Nel luglio 1886 Jaurès si sposò con Louise Bois. Il suo primo discorso di rilievo lo fece il 22 ottobre 1886 in difesa del controllo dell’educazione primaria da parte delle istituzioni locali. I maggiori giornali La Justice, Le Figaro e Le Temps lo applaudirono riconoscendo a Jaurès notevoli capacità oratorie. Jaurès già dal 1886 aveva nel suo programma misure a favore dei lavoratori come i fondi pensioni: lotte che durarono per anni, fino a diventare legge nel 1898.

 

Sempre in quegli anni a partire dal 1886 il fenomeno del boulangisme divenne importante. Georges Boulanger aveva servito in Tunisia come comandante delle truppe di occupazione e si era guadagnato il grado di brigadiere generale mediante il favore di ambienti monarchici, ma grazie alla sua amicizia con Clemenceau aveva anche trovato nuove amicizie tra i circoli repubblicani. La tensione crescente tra Francia e Germania, trascinatasi dalla sconfitta del 1871, aveva dato ancora più peso Boulanger, visto come vero uomo forte. Nonostante il boulangismo fosse visto con benevolenza sia dalla destra che da certa sinistra, l’opinione di Jaurès fu da subito critica, vedendo nel boulangismo, un movimento che sfrutta l’ultra-patriottismo e che attinge supporto dal malcontento sposando un programma tanto vago da poter voler dire qualsiasi cosa, una minaccia per la libertà e la democrazia. Anche Clemenceau e i radicali repubblicani incominciarono a opporsi all’ascesa di Boulanger. Il gennaio del 1889 il generale si presentò alle elezioni di Parigi vincendole. In quel momento 100.000 parigini erano pronti a prendere il potere, ma Boulanger decise di attendere le elezioni nazionali. Intanto a febbraio al premier Floquet succedette Pierre Tirard che assegnò gli interni a Jean Constans. Questi, da abile politico senza scrupoli e morale, bloccò il boulangismo arrestando la Lega dei Patrioti e mettendo in giro la voce di un imminente arresto di Boulanger stesso, il quale con poco onore scappò immediatamente in Belgio. Questa sua fuga atterrò il boulangismo che alle elezioni nazionali perse. Boulanger si sparò addirittura due anni dopo a causa della scomparsa della sua amante. Il boulangismo aveva però generato una chiara benevolenza da parte dei blanquisti. Lafargue lo vide come un movimento di protesta che avrebbe potuto favorire il POF. Engels però, saggiamente, lo vedeva come una seria minaccia per la pace e per il socialismo francese, invitando Lafargue e i marxisti ad opporvisi attivamente.

 

Tra il 1888 e il 1889 emerse lo scandalo di Panama, in quanto la costruzione di un nuovo canale dopo quello di Suez aveva portato a un sistema di corruzione tra la compagnia incaricata e il governo. Questo scandalo non fece altro che confermare a Jaurès che questo tipo di episodi non erano dovuti al sistema repubblicano, ma erano nella logica del profitto stesso del capitalismo, e che solo una repubblica socialista avrebbe potuto salvare la Repubblica. Nel settembre del 1889 al termine del suo mandato, Jaurès decise di candidarsi per la rielezione ma fu sconfitto anche per l’acerrima opposizione dei notabili di Tarn, il clan dei Reille-Solages. Nel luglio del 1890 accettò la nomina da radicali e socialisti per un seggio al consiglio municipale di Tolosa ed ebbe anche la cattedra di filosofia sempre a Tolosa. Rincominciò a collaborare con La Dépêche de Toulouse, nello stesso periodo conobbe Lucien Herr, un marxista vicino all’ala cosiddetta “allemanista”[4] dei socialisti possibilisti. Jaurès incominciò a dedicarsi alla lettura di Marx e nel febbraio del 1890 pubblicò una colonna su La Dépêche dedicata al socialismo tedesco. Jaurès era noto per essere uno dei pochi francesi ad aver effettivamente studiato Marx e, data la sua dimestichezza col tedesco, direttamente nell’originale. Intanto nel luglio del 1890 volle tornare alla vita politica candidandosi alle elezioni municipali di Tolosa, dove sarà poi rieletto nel 1892.

 

Intanto nel maggio del 1891 con la pubblicazione dell’enciclica Rerum Novarum papa Leone XIII provava a riavvicinare la Chiesa alle masse lavoratrici, ma ancora più significativamente riconosceva la Repubblica come forma di governo legittima, come specificato dall’enciclica Inter Multiplices Solicitudines. Per Jaurès la secolarizzazione dello Stato era fondamentale, ma con il socialismo cristiano ora proposto da Leone XIII, e la sua accettazione della Repubblica, se ne determinava un ritorno preoccupante. Ma il maggio 1891 va ricordato anche per il massacro dei fusillade de Fourmies. Il movimento del Primo Maggio, storicamente nato per le otto ore, aveva ormai preso piede anche in Francia dopo la sua nascita negli Stati Uniti nel 1886. Già dal 1888, e quindi anche nel ‘89 e nel ‘90 lo sciopero per le otto ore in Francia, il primo di maggio, si era esteso sempre più. Nel 1891 le dimostrazioni in diverse città provocarono disordini e arresti. A Fourmies, cittadina industriale tessile, il Prefetto, in previsione di dimostrazioni, mandò compagnie di fanteria e gli scontri portarono a nove vittime, tra le quali quattro minorenni. Il ministro degli interni, Jean Constant, fu messo sotto accusa dalla sinistra, anche Alexandre Millerand, repubblicano radicale in transizione verso la sinistra socialista, richiese un’inchiesta ufficiale. Questi incidenti influenzarono il pensiero di Jaurès: se nel 1890 da un lato riconosceva la legittimità delle richieste dei lavoratori, le otto ore, e migliori condizioni lavorative e di vita, però vedeva ancora un limite nelle dimostrazioni di strada, che davano una scusa al governo per reprimerle. Jaurès era convinto che si dovesse portare la lotta in parlamento. Ora, nel 1891, non aveva più dubbi sulle dimostrazioni di strada ed era indignato per i fatti di Fourmies. Nonostante non facesse parte ancora di nessuno schieramento, Jaurès si stava avvicinando ai marxisti del POF. Nel marzo del 1892 incontrò Guesde a Tolosa. I due discussero per ore, ma Jaurès non rimase convinto dalla visione settaria di Guesde, nonostante che si fosse espresso con ammirazione sul programma del POF.

 

Tra il 1890 e 1892 Jaurès difese due tesi alla Sorbona, una su De la Réalité du monde sensible e la seconda De primis Germanici socialismi lineamentis apud Lutherum, Kant, Fichte et Hegel. Dalla Réalité si evince che Jaurès rigettava la nozione idealistica che la realtà esista solo come nella coscienza soggettiva, ma che quest’ultima sia invece la sintesi della materia e della mente, dell’oggettivo e del soggettivo. Per Jaurès Dio era l’ordine e l’armonia delle cose e il socialismo ne sarebbe stato un analogo terreno. In più era influenzato da una visione evoluzionista dove il rinnovamento sociale sarebbe stato il risultato “dell’egoismo autocosciente, della dialettica impersonale della storia e della profonda coscienza dell’umanità”. Per Jaurès la coscienza socialista era frutto dell’idealismo tedesco di Lutero, Fichte, Kant e Hegel. In questo Jaurès differenziava il concetto francese di volontà individuale come autonoma, indipendente, isolata, dell’ognuno per sé, dal concetto tedesco di volontà concepita in obbedienza a un essere superiore, come Dio, a un modello di giustizia che infine regola le relazioni tra gli uomini. Secondo Jaurès, Lutero con la sua giustizia terrena, Kant con il suo concetto di libertà come adempimento del dovere e obbedienza alla legge morale, Fichte con il suo amore per la giustizia pura e Hegel con il suo concetto di Stato come perfetto connubio tra individualismo e universalismo, davano al socialismo tedesco delle radici idealiste. Con ciò Jaurès non sminuiva Marx, del quale apprezzava la teoria del valore-lavoro e il materialismo storico. Jaurès tentava di riconciliare la scuola socialista francese con quella tedesca. È importante notare che Jaurès, sia prima del suo avvicinamento al socialismo che dopo, fu sempre un convinto promotore dell’educazione. Il socialismo di Jaurès era idealista, non era positivista, né determinista, era materialista secondo Goldberg, richiamava l’idealismo scientifico di Pyotr Lavrov e il socialismo integrale di Malon: Jaurès era più marxista di Malon e più riformista di Lavrov. Marxisti come Guesde, dalle verità categoriche, tendevano a diffidare di Jaurès, probabilmente più marxista nei fatti di loro.

 

Nell’agosto del 1892 esplose il caso Calvignac. Jean-Baptiste Calvignac era un minatore, segretario generale del sindacato dei minatori eletto sindaco di Carmaux. Fu licenziato proprio perché per poter adempiere al suo ruolo di sindaco si era assentato dal lavoro. I minatori in tutta risposta invasero la casa del direttore dell’azienda che pur di non reintegrare Calvignac si dimise dal suo incarico. Ebbe inizio uno sciopero di dieci settimane. La stampa conservatrice sosteneva che come Calvignac aveva il diritto di diventare sindaco così l’azienda aveva il diritto di licenziarlo per assenteismo. Jaurès intervenne su La Dépêche a favore di Calvignac e in settembre denunciò l’azienda per violazione di una legge del 1852. Altri socialisti si mobilitarono recandosi a Carmaux per dei comizi. Intanto in ottobre deputati socialisti come Eugène Baudin e Alexandre Millerand portarono la questione alla Camera, e minacciando di sequestrare la miniera in conformità alle due leggi del 1810 e del 1838, il barone Reille concordò di arbitrare la disputa. Questa vide Millerand, Clemenceau e Pelletan dalla parte dei lavoratori e la sentenza prevedeva la reintegrazione di Calvignac e del direttore, nonché la riassunzione dei minatori scioperanti tranne i nove minatori che avevano invaso la casa del direttore. Una conseguenza indiretta furono le dimissioni del marchese de Solages dalla Camera aprendo a una elezione straordinaria. I leader dei sindacati locali erano per un candidato guesdista o addirittura per il comunardo Cameliant, ma infine la candidatura di Jaurès ebbe la meglio. Jaurès accettò la candidatura e il programma del POF e, infine, vinse contro il candidato opportunista Heral. Quindi Jaurès, eletto, tornò alla Camera dei deputati nel gennaio del 1893. Nel novembre dello stesso anno Jaurès e altri deputati socialisti formarono l’Unione Socialista. Sempre in quel periodo, in una discussione con Bernard Lavergne, si dichiarò marxista anche senza ripudiare il socialismo francese delle origini, ovvero repubblicano, umanitario e democratico. Altro importante passo di Jaurès formulato in quel periodo fu quello sulla meccanizzazione: “la macchina sta rimpiazzando progressivamente l’uomo, … allora la nazione sarà obbligata a proclamare e organizzare il diritto al lavoro… per fare ciò, la nazione dovrà prendere il controllo dei mezzi di produzione”.

 

Nel gennaio del 1894 finalmente Jaurès e Lafargue si fronteggiarono in un dibattito intitolato Idéalisme et matérialisme dans la conception de l’histoire tenuto per gli studenti del Quartier latin. Jaurès conciliava l’idealismo col materialismo: secondo lui i preconcetti del materialismo non erano in grado, da soli, di spiegare il progresso storico. Gli ideali umani aiutano a modellare la storia. Lafargue, che parlò per secondo, attaccò quindi l’idealismo, asserendo che il progresso era determinato dall’evoluzione materiale, la trasformazione economica e la conseguente lotta di classe. Per Lafargue era inevitabile che le contraddizioni della produzione capitalista avrebbero portato al comunismo. Jaurès dal canto suo sosteneva che la visione materialista della storia andava completata con la componente umana di idee, speranze, sogni e creatività. Alcune frange anarchiche a cavallo dagli anni ‘80 e ‘90 incominciarono anche in Francia a emulare i loro compagni russi, con attentati dinamitardi e assassinii. Il 9 dicembre 1893 Auguste Vaillant gettò una bomba tra i deputati ferendone uno gravemente. Già il 12 il governo emanò una legge che agevolava la chiusura dei giornali provocatori e il 15 dicembre passò un’altra legge che prevedeva la proibizione di riunioni se sospette di complotto. Nonostante la compassione che Jaurès provava per i disperati terroristi anarchici pronti a dare la loro vita per una nobile causa, egli li considerava nel torto due volte: per i metodi violenti e per i fini individualistici. Ma le bombe anarchiche altro non fecero che giustificare le leggi repressive, lois scélérates[5], contro tutti i socialisti. Jaurès denunciò la connivenza tra agenti provocatori e terroristi anarchici basandosi su fatti concreti risalenti allo sciopero di Carmaux. Il 24 giugno 1894 il presidente della repubblica Sadi Carnot in visita a Lione fu pugnalato a morte dall’anarchico italiano Sante Caserio. Il 27 fu eletto Casimir-Périer e il 9 luglio furono emanate altre leggi anti-anarchiche. Queste leggi furono un pretesto per colpire tutta la sinistra indiscriminatamente. Gli anarchici, dal canto loro, vedendo i pochi risultati della loro politica del terrore e subendo lo scotto delle lois scélérates, ripiegarono sul movimento sindacale.

 

Il 5 novembre 1894 Jaurès scelse di difendere in corte d’assise il giornalista Alfred Gérault-Richard il quale si era permesso denigrare il presidente Casimir-Périer. Jaurès ovviamente fece di questo un caso di libertà di espressione. La sua difesa andò oltre il caso in questione ed espose uno spaccato della storia di Francia. Il nonno del presidente Casimir-Périer era stato un orleanista intransigente. Fu proprio il nonno a reprimere nel sangue la sollevazione dei lavoratori della seta a Lione. Questa secondo la difesa di Jaurès era la tradizione repressiva propinata anche dal nipote. Nonostante la difesa appassionata di Jaurès, Gérault-Richard fu condannato a un anno di carcere e tremila franchi di multa. Sempre nel novembre del 1894 scoppiò il caso Dreyfus. Secondo l’accusa un ufficiale dell’esercito francese avrebbe passato informazioni militari all’esercito tedesco. Dreyfus, capitano di artiglieria di origine ebraica, viene condannato per spionaggio. Quasi subito Paul de Cassagnac esprime su L’Autorite la sua perplessità che un uomo potesse essere condannato, all’ergastolo per altro, per un singolo documento sulla base di una perizia calligrafica. Mentre il ministro della Guerra, il generale Mercier, avrebbe voluto ristabilire la pena di morte per tradimento. Jaurès intervenne inizialmente, non nel merito specifico, ma a favore di un trattamento migliore dei soldati dell’esercito francese. Alla degradazione di Dreyfus fece seguito un’ondata antisemita che già aleggiava nel paese. Nello stesso periodo, agli inizi di gennaio 1895, vi furono le dimissioni di Casimir-Périer a causa dell’affare delle concessioni ferroviarie. Gli succedette Félix Faure, conservatore vicino alla Chiesa e all’esercito.

 

L’attenzione ritornò su Carmaux quando Calvignac fu sospeso dalla carica di sindaco per una irregolarità formale, un cavillo sulle liste elettorali; allora il Consiglio comunale socialista si dimise in tronco e si andò ad elezioni anticipate. Tramite queste rielessero Calvignac, ma data la sospensione, un suo assessore, Mazens, dovette prendere il suo posto. Mazens si rivelò un venduto e non volle lasciare il posto a Calvignac una volta finita la sospensione. Quest’ultimo e Baudet, altro capo sindacale, denunciarono Mazens come “venale traditore”, cosa che costò a Calvignac quaranta giorni di prigione per insulto a pubblico ufficiale. Ma quando Baudet fu eletto nel consiglio dell’arrondissement, la storia si ripeté e fu licenziato per assenteismo, così come il segretario del sindacato Pelletier. Jaurès, accorso a Carmaux, convinse i lavoratori a negoziare, in quanto un altro sciopero li avrebbe provati duramente, ma la serrata della vetreria forzò i lavoratori allo sciopero. Jaurès denunciò l’intento di Rességuier, il padrone della vetreria, di causare lo sciopero ad ogni costo per spezzare il sindacato. Nella prima settimana dell’ottobre 1895 vi furono molti arresti tra gli scioperanti, tra i quali Jaurès stesso. Jaurès fu portato a giudizio e accusato di essere il fomentatore dei lavoratori, corrompendo e distorcendo le loro idee. Nonostante le lamentele indirizzate agli uffici dell’accusa di Jaurès per essere di parte, mosse dai deputati socialisti di fronte al presidente del consiglio Ribot, non vi furono conseguenze. Nel frattempo, Rességuier aveva querelato i giornali La petite Republique e La Depeche de Toulouse chiedendo un risarcimento di 100.000 franchi per diffamazione e cospirazione. A questo punto Jaurès chiese un’interpellanza parlamentare per il 24 e 25 ottobre. Jaurès espose il caso dei lavoratori, soggetti a pressioni evidentemente ai limiti del loro diritto di associazione e di parola. Mentre il ministro degli interni Leygues si difese ricordando l’entità dei salari della vetreria, tra i più alti, e il riconoscimento dei sindacati, ma difendendo allo stesso tempo l’azione del Prefetto di polizia che aveva ordinato gli arresti degli scioperanti. Quest’ultimo vinse l’interpellanza. Ma per una successiva interpellanza, il 28, su irregolarità nelle finanze de la Chemins de Fer du Sud, il governo Ribot cadde. Lo sciopero a Carmaux fu una sconfitta: secondo gli allemanisti, ovvero i sindacalisti rivoluzionari, era stato un errore coinvolgere la politica. Ad ogni modo in risposta alla vittoria di Rességuier, e anche grazie al generoso contributo di una certa Madame Dembourg pari a 100.000 franchi, si costituì la vetreria cooperativa, la verrerie ouvrière. Dai guesdisti la cooperativa era vista più come un mezzo di propaganda e un avamposto del POF, mentre per i possibilisti e riformisti poteva essere un passo verso il socialismo. Jaurès, nonostante il suo ruolo centrale nella formazione della vetreria cooperativa, non era troppo convinto che questa potesse essere un passo verso il socialismo, ma che piuttosto sarebbe servita per allenare i lavoratori al collettivismo e avrebbe unito socialisti di diverse fazioni. La verrerie ouvrière aprì finalmente nell’ottobre del 1896. Un pandemonio iniziò però la notte seguente a Carmaux quando Jaurès parlò a un'altra riunione celebrativa. La polizia fece irruzione per fermare la riunione mentre Jaurès stava parlando a circa 4.000 persone. Jaurès accusò di ciò apertamente il ministro degli interni Louis Barthou. Il 5 di novembre 1895, Jaurès approcciò la Camera con una interpellanza, sempre in riferimento agli eventi di Carmaux, dove ripeté le accuse contro Louis Barthou, ma il voto sull’interpellanza fu favorevole al governo. I fatti di Carmaux e la posizione conservatrice dei ministri repubblicani progressisti portarono Jaurès su posizioni ancora più critiche nei riguardi dello Stato, inteso come stato repubblicano. “Oggi la vera lotta è tra il proletariato, che comprende coloro, chiunque essi siano, che non hanno altre risorse eccetto il loro lavoro giornaliero, e il Capitale, che estrae da loro la sua remunerazione […] e poiché ci sono le classi, lo Stato deve costantemente usare la forza […] l'intervento permanente dell'esercito ad Aubin, alla Ricamarie, a Decazeville, a Fourmies, a Carmaux, attesta molto bene che c'è, al centro della nostra società, una lotta di classe”.

 

Al governo Ribot successe il governo di Léon Bourgeois, il primo ad avere tutti ministri repubblicani radicali. Se non fece parola sulla revisione della costituzione o la separazione tra Stato e Chiesa, bandiera del radicalismo, il governo Bourgeois si espresse favorevolmente sulla tassazione progressiva, su un sistema pensionistico e su un piano per arbitrare gli scioperi. Questa politica ricevette il sostegno dell’Unione Socialista. Si poneva quindi il problema della collaborazione con il governo; se i socialisti si fossero tirati indietro sarebbero diventati come dei monaci, puri, ma remoti asceti. Jaurès vedeva nei radicali, i discendenti dei montagnardi storici, utili secondo lui a contrastare i radicali progressisti.  Per questo motivo Jaurès trovò opportuno nel 1893 sostenere Clemenceau e i radicali, nonostante molti socialisti suggerivano di contrastarli alle elezioni appoggiando i loro oppositori. Ma dopo due anni l’opinione di Jaurès era cambiata: “per il radicalismo, il capitalismo è un monarca legittimo da non essere spodestato ma solo educato col frustino”. Ma in mancanza di alternative migliori in novembre la sinistra socialista, Jaurès in testa, decise di sostenere il governo Bourgeois, tollerato anche da Guesde e Vaillant. Ma Bourgeois non ebbe né la volontà né la capacità di rendere il mondo politico sicuro per i socialisti.

 

Nel marzo del 1896 scoppiò il caso Madagascar. Questa era una storia iniziata dieci anni prima, quando la Francia vi aveva stabilito un protettorato, ma per contrastare i ribelli la Francia aveva speso 65 milioni di franchi per finanziare una spedizione militare. Ora il governo voleva finanziare una nuova spedizione. I socialisti si astennero dal voto sui crediti per la spedizione coloniale. Ma si verificò un riavvicinamento col governo sulla questione della tassazione progressiva. Fu proprio su quel merito che Jaurès fece un discorso alla Camera, il 22 marzo, a favore della riforma: “se appoggiamo la tassa sul reddito […] è semplicemente perché, questa introduce nel corpo del nostro sistema fiscale una profonda cura per l’uomo”. Il 27 vi fu quindi il voto e la legge fu approvata. Questa vittoria fu attribuita anche al decisivo intervento di Jaurès. Ad ogni modo il Senato, pieno di conservatori, non aveva nessuna intenzione di ratificarla. Questo mise in crisi il governo Bourgeois che dovette riguadagnare il voto di fiducia del parlamento. Dopo il terzo rifiuto del Senato, Jaurès scrisse su Le petite République che “Il Senato, il quale è, secondo gli economisti conservatori, la forma eterna e necessaria di associazione umana, è però solo una forma storica […] esiste assieme all’antagonismo di classe come mezzo di coercizione della classe dominante”. Il 23 aprile 1896, Bourgeois diede le dimissioni, mettendo fine al primo governo radicale della Terza Repubblica, durato così 170 giorni. A questo successe un governo progressista guidato da Jules Méline. La caduta dei radicali creò una forte disillusione nelle file socialiste. Jaurès descrisse l’atteggiamento dei radicali come di chi “protesta contro il frutto, mentre protegge le radici della pianta”. Il 30 maggio 1896 vi fu una grande riunione, con seicento socialisti, nel distretto di Saint-Mandé a Parigi. Vi furono discorsi di Jaurès, Guesde, Vaillant e Millerand. La necessità di unirsi in un unico Partito era evidente. Alexandre Millerand propose quello che fu in seguito chiamato il programma di Saint-Mandé. Era abbastanza ampio da promuovere l’unità e abbastanza moderato da poter essere usato da un partito parlamentare.

 

Nel giugno del 1896, Jaurès si recò a Londra per presenziare, per la prima volta, al IV Congresso della Seconda Internazionale. La sezione francese si riunì separatamente per adottare una posizione sulla risoluzione di Zurigo, inerente alla definizione di “socialista”, ristretta a chi accettava l’azione politica. Le due fazioni francesi erano rappresentate dai sindacalisti rivoluzionari di Pelloutier e gli impossibilisti di Guesde. I socialisti rivoluzionari avevano una tradizione che proveniva dalla Fédération nationale des syndicates et groupes corporatifs de France, inizialmente controllata dai guesdisti ma man mano evoluta nel puro sindacalismo apolitico e rivoluzionario. Questi sindacalisti si organizzarono nelle bourses du travail, creando nel 1892 al Congresso di Saint-Étienne la Fédération des bourses du travail de France. Nel 1895 Fernand Pelloutier ne divenne il segretario generale. I sindacalisti rivoluzionari oltre a proseguire sulla falsariga degli operaisti degli anni 80, spingevano pesantemente sull’uso dello grève générale (sciopero generale). A Londra la loro posizione prevalse per un voto durante la riunione francese, destando forte preoccupazione nei guesdisti, come anche in Jaurès. La controversia si trasferì quindi nella sessione ufficiale del Congresso e spinse Millerand a chiedere che la frazione minoritaria francese fosse riconosciuta come una delegazione separata. Questa mozione fu votata favorevolmente dal resto del congresso, nonostante l’opposizione del belga Vandervelde. Jaurès dal canto suo non voleva perdere lavoratori genuinamente sindacalisti additandoli tutti come anarchici. Quindi prese la parola e riferendosi direttamente ai sindacalisti argomentò: “Si trovano traditori in qualsiasi partito, ma il peggior traditore e il più pericoloso nemico è quello che, quando vai fuori a combattere, dice ‘lascia le tue armi a casa’. […] In passato in caso di sciopero tutto l’apparato politico venne usato contro gli uomini. Ora vi sono membri socialisti in parlamento che possono stare dalla parte dei lavoratori e usare una parte di questo apparato politico a loro nome”. Ma i sindacalisti francesi e gli allemanisti ignorarono la richiesta di Jaurès di lavorare assieme attaccando il socialismo politico. Al contrario i guesdisti vedevano nella scissione un’opportunità di prevalere sui sindacalisti.

 

Il governo Méline fu decisamente conservatore, Méline stesso rappresentava i filandieri e i possidenti e proponeva una politica protezionista, tanto che si diceva che “il suo cuore battesse solo per i cereali[6]. Jaurès giustamente osservava che se il protezionismo proteggeva i proprietari della competizione esterna, non portava però nessuna protezione alle masse rurali. Proprio allo scopo di raggiungere i contadini, già nel 1892 a Marsiglia, il POF era passato dalla politica di collettivizzazione delle terre ad un programma di riforma agraria. Quando il POF confermò questo programma riformista al congresso di Nantes nel 1894, Engels, già preoccupato dal tentativo di Georg von Vollmar, leader dei socialdemocratici bavaresi, di annacquare il marxismo, espresse la sua posizione sulla questione agraria sulla Neue Zeit. “La forma di produzione capitalista ha inferto un colpo mortale alla piccola proprietà agraria […] questa è in declino e scomparirà inevitabilmente […] Non renderemo mai socialisti i contadini proteggendo la loro proprietà, come non lo faremo con gli artigiani nella speranza che restino imprenditori”. La questione agraria fu quindi discussa al Congresso di Londra. Più tardi, a dicembre, Jaurès interpellò il governo Méline sulla questione agraria, ma gli fu data occasione di parlare su questa questione solo nell’estate dell’anno successivo. Quando poi ne ebbe finalmente occasione, il suo discorso fu una memorabile critica alla politica protezionista di Méline, esponendo il cuore del problema agrario, ovvero la profonda ineguaglianza tra proprietari e masse contadine. Tre milioni e mezzo di contadini, domestiques de ferme, o journaliers, erano il proletariato rurale legato alla terra e sfruttato dai proprietari terrieri.   

 

Non so di nessun’altra condizione […] e non credo esista, che sia più servile, più terribile di quella del bracciante agricolo […] e voi, gentiluomini, voi che parlate sempre in difesa dell’individualismo, vi chiedo se ci sia una forma degradata di comunismo così tirannica come l’esistenza imposta a questi braccianti, che non hanno uno straccio di proprietà e neanche un diritto, che non godono una singola ora di privacy, né a tavola né nelle loro dimore. […] chiedo all’Onorevole Sig. Méline, chiedo all’Onorevole Sig. Deschanel […], con un salario annuale dai 500 ai 600 franchi, ridotto ulteriormente dalla disoccupazione, come voi immaginate che questi lavoratori pagheranno un pezzo di terra”. Jaurès si trovò quindi ad affrontare il tema scivoloso del libero mercato: “Certamente una nazione socialista manterrà molti punti di contatto con l’esterno, ma non accoglierà il prodotto del lavoro dei paesi stranieri finché avrà portato il suo prodotto interno al massimo, e importerà prodotti esteri solo quando faranno avanzare il suo sviluppo”. Alla critica che il collettivismo avrebbe tolto la proprietà privata Jaurès rispondeva che “la sua prima preoccupazione è l’individuo, e il diritto dell’individuo a realizzarsi liberamente […] è per la gente la conquista del potere”. La risposta di Paul Deschanel alla Camera fu di compromesso, ammettendo i problemi nell’organizzazione rurale, e auspicando riforme parlamentari e iniziative mutualistiche, opponendo però “libertà di associazione alla coercizione socialista”. Mentre l’economista Leroy-Beaulieu sosteneva che aziende piccole e grandi potevano coesistere e potevano beneficiare le une dell’altre.

Quelli erano anni in cui in Francia si stava affermando una forte corrente nazionalista antisemita. Jaurès vide esempi concreti di questo antisemitismo quando visitò l’Algeria già nel 1895. La crisi economica degli anni ‘90 aveva colpito i coloni soprattutto esportatori di vino, molti dei quali si videro costretti a rivolgersi agli usurai, spesso ebrei. L’antigiudaismo accomunava i coloni francesi alla popolazione araba locale. Spesso tutti i mali furono attribuiti agli ebrei e questo antisemitismo prese piede anche in Francia. Jaurès non aveva pregiudizi contro gli ebrei, dichiarando: “invece, li favorisco, siccome sono stati tra i miei migliori amici. Non mi piacciono discussioni radicali, e aderisco all’idea della Rivoluzione francese, per quanto fuori moda possa sembrare, che c’è solo una razza ed è quella umana”.

 

Marius Bernard, chiamato Bernard Lazard, un critico letterario ebreo, aveva il sospetto che Alfred Dreyfus fosse stato accusato erroneamente e, insieme al fratello di Dreyfus, Mathieu, scrisse un opuscolo, Une erreur judiciaire, la vérité sur l’affaire Dreyfus, atto ad esporre le falle della sentenza. Lazare portò l’opuscolo a diverse personalità politiche, tra le quali Jaurès. Quest’ultimo promise di analizzarlo ma al momento non aveva ancora collegato l’affare Dreyfus con l’ondata di antisemitismo, clericalismo e militarismo presenti in Francia. Per mettere una parola fine alle continue voci circolanti in merito all’innocenza di Dreyfus, il capo del personale incaricò il tenente colonnello Marie-Georges Picquart, alsaziano e antisemita, di indagare sul caso e chiuderlo una volta per tutte. Picquart scoprì che documenti francesi venivano ancora consegnati ai tedeschi e che un altro ufficiale, il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy, trattava con l’ambasciata tedesca. Picquart quindi scoprì che Esterhazy aveva scritto il bordereau[7], e quando, convinto che non ci fossero abbastanza prove per condannare per Dreyfus, andò dai suoi superiori, nessuno sembrò interessato a ciò che aveva scoperto. I suoi superiori, preoccupati, videro bene di trasferirlo prima a Châlons-sur-Marne e poi in Tunisia. Solo pochi erano a conoscenza dell’opuscolo di Lazare e delle prove raccolte da Picquart; tra questi vi era il vicepresidente del Senato, Auguste Scheurer-Kestner. Queste informazioni arrivarono finalmente a Méline, che però vide bene di non intervenire. Clemenceau, ormai ritiratosi a vita privata dopo lo scandalo di Panama, si schierò a difesa di Dreyfus principalmente per un motivo individuale. Infine, il vecchio libraio della École Normale, Lucien Herr, convinse Jaurès dell’innocenza di Dreyfus. Infine, nel novembre del 1897 Mathieu mandò una lettera al ministro della guerra facendo il nome di Esterhazy come autore del bordereau. Questi fece aprire un caso che incriminava Picquart per la fuga di notizie da Leblois, ma al contempo l’ufficio della guerra decise di mettere Esterhazy di fronte alla corte marziale. I socialisti erano divisi sul da farsi, da un lato vi erano i moderati come Millerand e Viviani i quali volevano rimanerne fuori, da un altro vi erano infiltrati antisemiti contro Dreyfus, poi vi erano Guesde e Vaillant che volevano dare battaglia così come Jaurès. Esterhazy fu assolto dalla corte marziale, mentre Picquart messo agli arresti. Finalmente il 13 gennaio 1898 Zola pubblicò una lettera aperta al presidente Faure sulla rivista L’Aurore. Questa lettera era intitolata J’accuse! Era un’accusa delle violazioni perpetrate ai danni di Dreyfus e dell’insabbiamento della responsabilità di Esterhazy. La lettera di Zola ebbe una risonanza enorme venne addirittura definita “il più grande atto rivoluzionario del secolo”. Di riflesso si scatenò però anche una violenta ondata antisemita in Francia così come in Algeria che diventò un vero e proprio movimento antidreyfusardo.

L’affare Dreyfus raggiunse la Camera il 22 gennaio con un’interpellanza del militarista Cavaignac, Tra gli spettatori di era anche il poeta italiano Gabriele D’Annunzio. Vi fu un violento dibattito tra Melibe e Jaurès fino quando il conte de Bernis, monarchico, parente alla lontana del marchese di Solages, gridò: «fai parte dei sindacati!», intendendo un complotto di banchieri ebrei e dreyfusardi. Jaurès rispose infuriato: «Cosa ha detto Monsieur de Bernis?», e de Bernis: «Ho detto che lei deve far parte del sindacato; che lei probabilmente è un portavoce del sindacato», al che Jaurès sbottò: «Monsieur de Bernis, lei è un miserabile codardo!». Ne scoppiò una rissa: de Bernis raggiunse Jaurès e lo colpì sulla schiena due volte; Brisson che aveva cercato di riportare la calma infine sciolse l’assemblea ma la confusione continuò fuori dalla sala, dove de Bernis fu raggiunto da un calamaio pieno d’inchiostro sulla testa. Il giorno dopo Jaurès riprese l’offensiva contro Méline domandando se vi fossero prove decisive contro Dreyfus e Méline decise di non commentare. Clemenceau scrisse ironicamente su L’Aurore che Méline faceva il sordomuto, ma quando si arrivò al voto di fiducia, Méline vinse con 360 contro 126 voti. A febbraio iniziò il processo a Zola per aver insinuato che il caso Esterhasy fosse stato influenzato dall’alto. Jaurès era il testimone più importante per la difesa. Nella sua testimonianza Jaurès andò direttamente nel merito del processo Esterhazy mettendo in discussione il suo svolgimento, il trattamento ingiusto riservato a Picquart e l’assenza di una seria inchiesta. Questo non fu di aiuto per Zola che fu giudicato colpevole ricevendo una multa di 3.000 franchi e un anno di prigione. A questa sentenza susseguirono disordini a Parigi, dove negozi ebrei e sinagoghe furono saccheggiate. Anche in Algeria le dimostrazioni antisemite aumentarono. Il deputato radicale Paul Sanary addirittura pretendeva di abrogare i diritti di cittadinanza agli ebrei algerini. Jaurès non stette a guardare “il nostro dovere come socialisti non è predicare un odio reazionario e mortale contro gli ebrei. No, è quello di prestare attenzione ai sofferenti e agli sfruttati tra gli ebrei, che, stando al fianco degli arabi oppressi, dovrebbero formare, con gli europei, un partito di tutti coloro che faticano e soffrono.”

 

Con l'avvicinarsi della primavera del 1898, Jaurès tornò a Tarn, per la campagna elettorale e trovò una accanita resistenza del gruppo Solages, il quale faceva appello, soprattutto nei villaggi rurali, ai timori dell'anticlericalismo, accusando Jaurès di essere un massone e un amico degli ebrei. Il coinvolgimento di Jaurès nel caso Dreyfus fu utilizzato dai suoi nemici politici e fu infatti sconfitto dai Solages. Per i socialisti la mancata rielezione di Jaurès fu un duro colpo così che Charles Gras propose di ritirarsi nel secondo distretto del quinto arrondissement di Parigi, per permettere l’elezione di Jaurès. Questi però rifiutò per rimettersi in salute e dedicarsi alla famiglia. Dopo i continui attacchi dei radicali e dei socialisti a Méline questi si dimise nel giugno del 1898, e gli succedette il radicale Brisson, ma con l’antidreyfusardo Cavaignac all’ufficio della Guerra. Un altro acceso oppositore dei dreyfusardi diventò il direttore de L’Intransigeant, Rochefort, sempre più schierato per il patriottismo senza compromessi. Rochefort mise in piedi una campagna di calunnie ai danni di Jaurès, insinuando che questi si fosse arricchito grazie all’affaire Dreyfus, e lo accusava di ipocrisia a causa dell’osservanza cristiana della sua famiglia. Questa critica verrà poi accentuata in occasione della comunione della figlia di Jaurès.

Intanto Jaurès, che invece aveva bisogno di lavorare per vivere, accettò il ruolo di editorialista per La petite République di Millerand. Il 7 luglio 1989 Godefroy Cavaignac, ministro della Guerra del governo Brisson, si rivolse alla Camera per mettere una parola fine alla vicenda Dreyfus. Cavaignac candidamente dichiarava che il bordereau non aveva valore perché opera di Esterhazy, ma che aveva nuovi documenti, detti “faux Henry”[8], incriminanti Dreyfus. Mathieu Dreyfus e Lucien Herr si recarono da Blum, dove sopraggiunse Jaurès. Jaurès aveva capito che “Méline era invulnerabile perché è stato zitto. Cavaignac parla, dibatte e così sarà sconfitto. I documenti che ha addotto, beh, vi dico che sono fraudolenti; puzzano di truffa! Sono idiozie false, contraffatte per coprire altri. Lo proverò. I falsari sono usciti dal buco e li abbiamo in pugno. Non disperate più! Unitevi a me e rallegratevi.” La sua denuncia pubblica del faux Henry gli attirò severe critiche, ma anche il POF redasse un manifesto che metteva sullo stesso piano i dreyfusardi e gli antidreyfusardi. Il 10 agosto uscì su La petite République il primo di una serie di articoli di Jaurès sull’affare Dreyfus intitolato Les Preuves[9]. Il 13 agosto rigettò chiaramente la connessione tra il bordereau e Dreyfus. Il 25 fino alla fine di agosto espose il falso di Henry. Henry confessò quindi il misfatto giustificandosi che lo aveva fatto per il bene del paese. Il 31 agosto Henry, ormai in cella, si tagliò la gola col rasoio. Esterhazy capito l’andazzo scappò in Belgio e quindi in Inghilterra. Cavaignac dovette dimettersi. Brisson nominò come nuovo ministro della Guerra il generale Zurlinden che fece però indagare Picquart. Brisson dovette quindi sollevarlo dall’incarico e nominare il generale Chanoine. Intanto la moglie di Dreyfus avanzò una richiesta formale di riesame che venne inoltrata dal governo alla Corte d’Appello. A settembre gli articoli di Jaurès sull’affare Dreyfus uscirono sotto forma di libro intitolato Les Preuves. Sempre in settembre i lavoratori edili così come la federazione delle ferrovie prepararono uno sciopero nazionale, così il Comitato Centrale della Confédération Générale du Travail pensò di indire lo sciopero generale. Brisson mandò ben 60.000 uomini dell’esercito a Parigi preventivamente. Molti pensarono che l’esercito stesse preparando un colpo di Stato. Il POF di Guesde volle convocare le varie frazioni socialiste, compresi i dreyfusardi. In ottobre si riunirono a Parigi, dove un Comitato di Vigilanza temporaneo fu stabilito, comprendente Jaurès, Guesde, Vaillant, Brousse, Millerand e Allemane. In dicembre divenne il Comite d’Entente Socialiste. Mentre il governo aveva accettato la petizione di riesame del caso Dreyfus, il nazionalista Déroulède denunciò il fatto. Questa controversia provocò le dimissioni del ministro della Guerra e la sfiducia a Brisson, quindi il presidente Felix Faure diede l’incaricò a Charles Dupuy di formare un nuovo governo. All’inizio del 1899 venne fondata la Ligue de la Patrie française, antidreyfusarda, nazionalista, antisemita. La Lega della Patria francese iniziò una fitta campagna antidreyfusarda che portò Dupuy al trasferimento del processo dalla Corte d’Appello Criminale alle Corti d’Appello Unite, notoriamente meno favorevoli a Dreyfus. Nel frattempo, il 16 febbraio 1899 il presidente della repubblica Faure morì e gli succedette il progressista Loubet. Loubet era decisamente più favorevole ai dreyfusardi e il fronte nazionalista antisemita iniziò la protesta. Questo organizzò una dimostrazione il 23 febbraio, durante i funerali di Faure. I leader Déroulède, Barres e Guerin, incitarono il comandante Roget, noto antidreyfusardo, a dirigere le truppe impegnate nella processione funebre, invece che in direzione della caserma, verso l’Eliseo, per rimuovere Loubet. Ma il generale Roget riportò le sue unità in caserma. Il 31 di maggio Déroulède fu rinviato a giudizio davanti alla Corte d’Assise della Senna, dove si profuse in oscenità nei riguardi di Loubet e, nonostante ciò, fu assolto. Ma il 3 giugno le Corti d’Appello Unite dovettero, davanti alle troppe irregolarità, concedere un nuovo processo a Dreyfus. Questo risultò in azioni violente il giorno successivo, da parte dei nazionalisti, che culminarono in un assalto alla persona del presidente Loubet, raggiunto da una bastonata da parte del Barone de Christiani, noto orleanista. Gli incidenti si conclusero con centinaia di arresti. A causa dei disordini il conservatore Dupuy ricevette un voto di sfiducia. Loubet nominò Raymond Poincaré nuovo capo del governo: “questo è un altro Dupuy” scrisse Clemenceau. Poincaré però non riuscì a formare un governo e Loubet ripiegò su Pierre Waldeck-Rousseau, un repubblicano moderato, vecchio “gambettista”. Waldeck-Rousseau prese in mano anche il ministero della Guerra nominando il generale Marchese de Gallifet suo assistente generale. Il generale de Gallifet dopo aver servito in Italia, in Crimea, in Messico, in Algeria e a Sedan, era quello che aveva guidato le truppe versagliesi durante la settimana di sangue della Comune di Parigi. Su suggerimento di politici esperti come Reinach e Ranc, Waldeck-Rousseau, chiamò al governo un esponente socialista, Millerand. Ovviamente vi fu grande sdegno al pensiero che un socialista potesse, in primo luogo prendere parte ad un governo borghese e addirittura assieme al “macellaio” della Comune. Millerand che aveva, in segreto, già in passato espresso la volontà di entrare nel Governo, ora sapeva di dover ottenere consenso da parte di esponenti socialisti autorevoli. Andò quindi a trovare in un incontro privato Jaurès. Jaurès cercò di convincerlo a rifiutare l’offerta di Waldeck-Rousseau, ma promise a Millerand, del quale era anche amico, il suo appoggio nel caso in cui Waldeck-Rousseau fosse riuscito a formare un governo. Al contrario il primo tentativo di formare un governo da parte di Waldeck-Rousseau fallì e Loubet tornò a chiedere a Poincaré che non ebbe maggior successo. Waldeck-Rousseau fu incaricato per una seconda volta e riuscì a mettere insieme una lista di ministri che oltre a comprendere il famigerato generale de Gallifet, includeva i noti Dupuy, Delcassé e Millerand al Commercio.

Il 25 giugno i deputati blanquisti annunciarono la loro uscita dall’Unione Socialista seguiti da quelli del POF che pubblicò una dichiarazione ufficiale contro la partecipazione di Millerand al governo per principio. Era scoppiato il caso Millerand. Herr si recò da Jaurès per convincerlo ad appoggiare la partecipazione di Millerand. Jaurès che aveva già promesso il suo appoggio in privato lo confermò pubblicamente. Come osservò Jaurès, nonostante la rumorosa opposizione dei blanquisti e dei guesdisti, quando si trattò di votare la fiducia questi astenendosi e non si opposero. Anche tra i guesdisti ve ne erano alcuni come Raymond Lavigne, che vedeva l’atteggiamento, antiministerialista di Guesde come una forzatura idealista. Il 10 di luglio Guesde, Lafargue e Vaillant si incontrarono a casa di Alexandre Zévaès per abbozzare un manifesto comune. Questo conteneva il chiaro messaggio che il partito socialista non poteva condividere il potere politico con la borghesia. Il manifesto antiministerialista fu accolto negativamente dai possibilisti, dagli allemanisti e dagli indipendenti. Jaurès lo vedeva come un attacco al riformismo progressista, ovvero una ricaduta nello sterile anarchismo intransigente. Le vari correnti socialiste riunite nel Comite d’entente socialiste promisero di riunirsi presto in un Congresso per risolvere il caso Millerand.

Intanto il 7 agosto la seconda corte marziale si riunì per il caso Dreyfus, a Rennes, dove Jaurès si recò come reporter. Il 9 settembre i giudici della corte marziale emisero un nuovo verdetto, anche se non unanime, di colpevolezza nei confronti di Dreyfus, che però date le condizioni critiche dell’imputato, convertivano la pena dall’ergastolo sulla isola del Diavolo a dieci anni di reclusione. Se inizialmente Jaurès come Clemenceau pensava che questa riduzione di pena fosse inaccettabile in quanto Dreyfus dovesse essere assolto, subito si convinse che la vita di Dreyfus fosse più importante della questione di principio e concordò con il piano di chiedere a Waldeck-Rousseau la grazia, anche se così facendo avrebbe rinunciato all’ammissione di innocenza. Il ministro della Guerra quindi iniziò la procedura formale di richiesta della clemenza presidenziale che arrivò il 19 settembre 1899. Alfred Dreyfus era finalmente libero di tornare a casa. In novembre si chiuse anche il processo contro i nazionalisti e gli antisemiti organizzatori del tentato colpo di Stato: Déroulède e Guerin furono condannati a dieci anni di carcere.

Finalmente il 3 dicembre si aprì il tanto atteso Congresso socialista a Parigi, dove parteciparono 700 delegati rappresentanti 1452 gruppi socialisti. I guesdisti e i blanquisti contavano in blocco 830 voti, gli indipendenti, gli allemanisti, i possibilisti assommavano 550 voti. Jaurès aveva in Briand un importante alleato, nonostante questi avesse aveva un passato discutibile da boulangista e altre condotte opache. L’argomento era ovviamente il caso Millerand e l’intervento di Jaurès fu memorabile: «Cittadini, in passato abbiamo dovuto superare i falsi insegnamenti della ferrea legge dei salari, che avrebbe scoraggiato i lavoratori nella lotta per il miglioramento delle loro condizioni; ora dobbiamo superare l’altrettanto falsa nozione della ferrea legge dello Stato […] dobbiamo combattere non da una futile distanza, ma dal cuore della cittadella […] se non possiamo predire esattamente quando e come il capitalismo collasserà, dobbiamo essere sempre pronti, ma dobbiamo altresì lavorare per tali riforme le quali […] prepareranno la strada ».  Secondo Jaurès la comprensione dei marxisti francesi era distorta da un profondo determinismo, proibendo ogni tipo di partecipazione politica, secondo Jaurès questi indebolivano il socialismo mentre presumibilmente ne preservavano la purezza.

Il Comitato elaborò una risoluzione che ammetteva le circostanze eccezionali della partecipazione socialista ad un governo borghese e sosteneva che in tal caso tutte le energie del Partito si dovessero dirigere alla conquista dei Comuni, i Dipartimenti e lo Stato. Ciò significava che se in linea di principio il ministerialismo era proibito, ma in casi eccezionali poteva essere ammesso. Guesde, non avendo il completo appoggio del suo partito, fece un accordo di compromesso con Jaurès: quest’ultimo avrebbe presentato un emendamento cosicché il suo partito avrebbe potuto rigettare apertamente il ministerialismo, ma approvare la risoluzione. Quando l’emendamento, ministerialismo sì o no, fu letto, Guesde si rifiutò di argomentare, venendo meno alla parola data a Jaurès di appoggiare la risoluzione. Jaurès incredulo salì sul palco fuori da tutte le grazie: «Guesde, è un atto di slealtà! Guesde! Jules! Jules! È tradimento! Guesde, devi parlare nel nome del tuo partito! […] sei disonorato! Sei caduto! Non hai mantenuto la tua parola! … se c’è stato un fraintendimento, devi chiarirlo, se c’è stato un tradimento, devi ritenerti responsabile». Guesde salì sul palco solo per difendere il suo onore. Al voto all’emendamento di Guesde fu votato con 818 voti contro 634, rigettando il ministerialismo, ma al contempo la risoluzione in merito alla partecipazione dei socialisti al governo passò con 1140 voti contro 240. In seguito, fu approvato il piano di costituire un nuovo partito unitario, il Parti Socialiste Français. Il comitato centrale del partito era decisamente antiministerialista, mentre il gruppo parlamentare era ministerialista.

 

Nel febbraio del 1900 al Hôtel des Sociétés Savantes si tenne una riunione organizzata da un gruppo di studenti socialisti, la riunione fu presieduta da Allemane. Jaurès espose un intervento su “Bernstein e l’evoluzione del metodo socialista”. Jaurès, riferendosi alla recente controversia tra Kautsky, Bernstein e il programma socialdemocratico, diceva di stare con Kautsky, ma allo stesso tempo ammetteva che “in tutta la sua grandezza Marx, non intendeva fissare pensiero socialista per sempre. Questo deve cambiare e svilupparsi, come la realtà stessa”. Ma per Jaurès la teoria del valore, il materialismo storico e il processo dialettico erano ancora validi: “Marx non intese mai dire che le forze economiche agiscano da sole e in un sol colpo […] nonostante conosca marxisti in Francia che si stupiscono dell’apparente revisione di Engels della loro limitata costruzione”. Secondo Jaurès i socialisti erano obbligati a studiare le lente e sottili trasformazioni nella natura della struttura di classe. Ma sulla tattica Jaurès non era né con Bernstein né con Kautsky: “Oppongo a Bernstein che il proletariato e la borghesia sono e restano […] radicalmente distinti; e oppongo a Kautsky che non dobbiamo avere paura di contatti tra il proletariato e le altre classi. È impossibile per una classe agire senza aumentare l’area di contatto tra essa è il resto della società umana”. La lotta di classe rimarrà, secondo Jaurès, una forza motrice della storia, né la crescita della classe media né l’indugio della vecchia classe borghese altereranno il fatto essenziale che i beni della società saranno divisi ingiustamente tra i pochi che controllano i mezzi di produzione e i molti che non li controllano.

 

Il 23 settembre 1900 nella Salle Wagram si tenne il V Congresso della Seconda Internazionale[10]. Questo è il Congresso della famosa risoluzione di Kautsky, che sosteneva che l’ingresso di un solo socialista in un ministero borghese non può essere considerato come l’inizio della conquista del potere. Può solo essere un temporaneo ed eccezionale ripiego in una situazione di emergenza. Una questione di tecnica e non di principio. Il Congresso non si doveva pronunciare su ciò, ma ad ogni modo la partecipazione di tale socialista doveva essere approvata dal partito. Questa risoluzione era pressoché in linea con quella che Jaurès aveva promosso al Congresso francese. Come è noto alla risoluzione di Kautsky si opposero gli intransigenti come Guesde ed Enrico Ferri. Il 27 settembre mentre il Congresso internazionale era finito, i socialisti francesi continuarono con il II Congresso del Partito Socialista Francese. Vi fu un acceso dibattito tra il guesdista Bracke e il ministerialista Briand. La frazione ministerialista ebbe la maggioranza così da mettere i guesdisti sulla via dello scisma e uno di loro venne addirittura pugnalato, non mortalmente, nei corridoi della Sala dei Congressi. I guesdisti lasciarono la Sala e il movimento unitario, mentre i blanquisti di Vaillant rimasero, ma sempre in opposizione al ministerialismo. La corrente ministerialista prevalse e fu deciso un nuovo Comitato Centrale, il segretario divenne Aristide Briand.

 

La prima metà del 1901 fu caratterizzata da disordini tra i minatori e i metalmeccanici di Saône-et-Loire e Montceu-les-Mines, per un aumento salariale, respinto con 450 licenziamenti. Il Primo ministro ordinò l’intervento delle truppe, mente il sindacato nazionale dei minatori minacciava lo sciopero generale se non fossero state accettate le richieste di previdenza, le otto ore e il salario minimo. Waldeck-Rousseau promise una legge sulle pensioni e le otto ore, ma rifiutò di interferire sui salari, questione secondo lui riservata ai proprietari. Gli antiministerialisti guidati da Dejeante, Vaillant e Zévaès domandavano l’immediato ritiro delle truppe e la nazionalizzazione delle miniere. Il sindacato seguiva la leadership di Pelloutier. Si potrebbe dire che l’influenza di Jaurès sui minatori si fosse molto ridimensionata. In questo clima si aprì il III Congresso del Partito Socialista Francese a Lione in maggio. I blanquisti con Amédée de La Porte promossero una risoluzione di espulsione di Millerand. Briand per i ministerialisti espose una contro-risoluzione che metteva Millerand “fuori dal controllo del partito”. Jaurès si oppose alla purga spiegando che una volta che Millerand fosse stato espulso per tradimento tutti i suoi sostenitori sarebbero stati le vittime future. La risoluzione La Porte fu battuta 910 a 286. A questo punto un blanquista, Émile Landrin, dichiarò che non rimaneva ai blanquisti che uscire dal partito, così Vaillant partì verso la porta e i blanquisti uscirono cantando l’Internazionale.

 

A questo momento triste per Jaurès politicamente, si aggiunse il caso della Comunione della figlia Madeleine. Gohier mise subito Jaurès alla berlina scrivendo “Lei non ha avuto, non avrà mai un’educazione laica”, se i guesdisti non entrarono nel privato, altri sia da destra che da sinistra utilizzarono questa vicenda per attaccare Jaurès, cosicché il caso Madeleine divenne un fatto pubblico. Il caso raggiunse il Comitato Generale del partito e gli allemanisti vollero spiegazioni, accusando Jaurès di “denunciare ufficiali che vanno a messa, mentre tu dai tua figlia ai preti”. Jaurès replicò quindi: “In molte famiglie della borghesia repubblicana e del proletariato socialista, le donne non sono né clericali né libere pensatrici, né fanatiche né devote […] ma, eccetto in pochi casi, rimangono attaccate alla loro tradizionale fede cattolica, […] senza intolleranza, uniscono i grandi eventi della vita, nascita, matrimonio, morte, alla tradizione religiosa.”. Ai continui attacchi personali di Gohier per Jaurès rispose: “questo povero, malizioso, incoerente, illuso carattere […] che nulla sa di socialismo, che non ha né curiosità né buon senso”. Gohier andò avanti accusando il giornale dove scriveva Jaurès di fare soldi con il lavoro dei carcerati, al che Jaurès rispose: “come Urbain Gohier è impossibilitato a controllare l’amministrazione de ‘L’Aurore’, così io sono impossibilitato a controllare l’amministrazione de ‘La petite République’ ”.

 

Nel febbraio 1902, Jaurès si recò a Ginevra e diede tre lezioni sul pensiero di Nietzsche, che andava di moda in quegli anni. Jaurès sosteneva che non fosse vero che per essere liberi gli uomini debbano estraniarsi dalla umanità ma che tutta la società sarebbe dovuta diventare di superuomini. Intanto, sempre nel 1902, i socialisti italiani attraversavano al Congresso di Imola un dibattito sul collaborazionismo simile a quello affrontato all’interno del Partito Socialista Francese. Nell’acme del Congresso Andrea Costa lesse una lettera di Jaurès in merito alla questione della Triplice Alleanza, ovvero l’alleanza rinnovata tra Germania, Austria-Ungheria e Italia per controbilanciare quella franco-russa. Jaurès, quindi, sosteneva proprio che: “In politica estera il vostro contributo è stato importante. Per la triplice alleanza, la quale è un essenziale contrappeso al nostro sciovinismo e alle sfrenate ambizioni franco-russe, sta gradualmente perdendo il suo carattere aggressivo. Possiamo addirittura prevedere il giorno in cui tutte le potenze europee saranno parte di una federazione, la quale sarà capace di mettere fine alla corsa distruttiva agli armamenti”. 

 

Nel 1903 Jaurès pubblicò due enormi volumi sulla Rivoluzione francese, L’Historie Socialiste de la Révolution française. Con questo lavoro Jaurès sviluppò l’idea che la storia non poteva essere ridotta al puro materialismo ma che contenesse anche una componente di idealismo. “Se applicassimo il metodo di Marx usato nella storia del XVIII brumaio, troveremmo nello scontro tra girondini e montagnardi l’espressione di un conflitto di classe. Ma la storia non è segnata solo dalla lotta di classe; vi sono anche lotte tra i partiti. Come la intendo io, fuori dalle affinità o dagli antagonismi economici, vi sono costellazioni, formate da passioni personali, orgoglio e ambizioni, che cozzano tra loro sulla superficie della storia producendo grandi perturbazioni”. Per Jaurès se era vero che lo sviluppo economico e tecnologico avrebbero trasformato il capitalismo e prodotto le sue contraddizioni, era anche vero che la componente idealista restava di vitale importanza. Jaurès aveva scritto qualche anno prima: “Nessuna delle grandi assemblee dal 1789 al 1798 previde il trionfo del capitalismo del XIX secolo. Questo fu un fenomeno economico, che la democrazia in sé difficilmente avrebbe potuto produrre. Allo stesso modo, l’azione democratica in sé non abolirà il capitalismo”. Questo modo di pensare lo aiutò a giustificare il suo collaborazionismo contro, per esempio, il settarismo dei guesdisti. In riferimento alla lettera di Engels a Bernstein del 22 settembre 1882, Jaurès scrisse: “Marx spesso dichiarava che sarebbe cieco e assurdo guardare a tutti i gruppi fuori dal proletariato come una massa reazionaria omogenea […] la sua posizione, una posizione molto complicata e molto sfumata, molto rivoluzionaria allo stesso tempo e molto avvolgente, è la vera posizione marxista, la quale […] prevale oggi nel socialismo francese”.

 

Nel gennaio 1903 Jaurès vinse l’elezione come vicepresidente della Camera. Per i guesdisti e i blanquisti riunitisi nel Parti Socialiste de France la partecipazione dei socialisti alla Délégation des gauches era un altro segno della degradazione dei principi socialisti.  La discussione verteva sulla pace e la corsa agli armamenti. Jaurès auspicava una pace totale e definitiva in Europa. Ribot accusò quindi Jaurès di cullare i francesi con la falsa sicurezza di una pace duratura. Il suo discorso alla Camera sul disarmo passò alla storia e fu ristampato in 10.000 copie che circolarono a Parigi.

In aprile si riunì il V Congresso del Parti Socialiste Français a Bordeaux. I riformisti trovarono una forte opposizione al Congresso di Bordeaux ma piuttosto che passare al Parti Socialiste de France dei guesdisti e dei blanquisiti preferivano dibattere all’interno del partito riformista. Jaurès veniva considerato troppo indulgente nei riguardi di Millerand. Longuet, nipote di Marx e coraggioso comunardo, era la voce di questa minoranza all’interno del Parti Socialiste Français, che così scriveva a Kaursky: “Alcuni dei miei amici e io guidiamo l’espulsione di Millerand dal ‘Parti Socialiste Français’ […] per essere chiari, potrai dire che l’espulsione di Millerand non risolverà tutti i problemi del partito […]. Ma se riuscissimo a sbarazzarsi di Sua Eccellenza, saremmo di monito per i vari Devilles, Rouanets e addirittura Jaurès, che senza dubbio si opporranno all’espulsione”. Un altro sostenitore dell’espulsione di Millerand era Pierre Renaudel che propose la risoluzione, ma il vero nuovo portavoce della risoluzione divenne un maestro bretone, membro attivo della Federazione di Yonne, conosciuto nel circolo per il suo temperamento e i suoi eccessi verbali, Gustave Hervé. Sospeso dall’insegnamento era stato difeso in Corte d’assise da Briand. Jaurès quindi avanzò una sua risoluzione per preservare l’unità. La risoluzione di Jaurès passò con 109 voti contro 89. Ma quella di Bordeaux fu un’autentica vittoria di Pirro per Jaurès. A settembre si tenne il Congresso di Dresda della SPD e questo condannò il revisionismo. In più la SPD era diventata più netta contro il collaborazionismo: “Il nostro Congresso di Partito condanna ogni tentativo di sorvolare l’esistente, sempre crescente conflitto di classe allo scopo di diventare un satellite dei partiti borghesi”. Il Parti Socialiste de France quindi al suo congresso a Reims adottò la risoluzione di Dresda, con delle leggere modifiche, diventando la risoluzione di Reims-Dresda. Per Jaurès la risoluzione di Dresda era un errore: “L’errore più serio che i socialisti di un paese possano fare è giudicare l’azione politica di altri socialisti senza tenere in conto le differenze del retroterra politico e sociale. Molti teorici tedeschi fanno questo errore quando giudicano le tattiche del ‘Parti Socialiste Français’ ”.

 

Alla fine del 1903 crebbero le tensioni a Lille e ad Armentières e, nel marzo del 1904, tra i lavoratori tessili della valle di Lys. Erano scioperi per salari più alti e per le otto ore. Jaurès intervenne ad Armentièrs richiamando l’attenzione sulle condizioni di povertà dei lavoratori, a Caudry espresse la sua indignazione per le condizioni miserevoli in cui erano costretti a vivere i lavoratori: “sono scioccato per l’indifferenza egoista della nostra civiltà”. Quindi il 7 novembre si rivolse alla Camera sulla questione dei lavoratori tessili. Jaurès chiedeva che i padroni accettassero di negoziare, ma deputati esponenti della classe padronale tessile, come Jules Dansette, si opponevano dicendo che si era già negoziato abbastanza.  Dansette su Le Travailleur, giornale guesdista di Lille, accusava i deputati socialisti di sostenere lo sciopero meramente per migliorare la loro immagine in vista del Congresso di Amsterdam. Ma il ministro del Commercio, Georges Trouillot, decise di sostenere il caso iniziato da Jaurès contro il padronato tessile, la Camera votò 512 a 2 per l’immediata ripresa delle trattative. Il 13 gennaio 1904 una coalizione di radicali e progressisti votò contro la candidatura di Jaurès alla vicepresidenza della Camera. Jaurès dichiarò: “Siamo ora i più liberi di sostenere l’essenziale lavoro della Repubblica”. Sempre in quel periodo la Federazione della Senna, ora sotto il controllo della sinistra, espulse Millerand e, come conseguenza, Millerand fu espulso dal partito. Longuet accolse la cosa con entusiasmo: “sono così felice con la situazione attuale del socialismo in Francia […]. Non è come dovremmo vederla, ma tutti incominciano a vedere cosa muoviamo […]. C’è sempre più possibilità di unire tutti i socialisti francesi in un partito, un partito con una maggioranza rivoluzionaria”. Jaurès non rilasciò dichiarazioni pubbliche. Al congresso di Saint-Étienne del febbraio i membri erano scesi da 11.000 a 8.000. Due federazioni, quelle della Yonne e della Somme, avevano abbandonato il partito. Anche la relazione tra Jaurès e La petite République incominciò ad incrinarsi. Blum e Levy-Bruhl stavano da tempo cercando fondi per fondare un nuovo giornale. Infine, trovarono in un circolo di ricchi ebrei possibili sostenitori, le origini di questi soldi furono spesso motivo di accuse nei riguardi di Jaurès. Con gli 88.000 franchi raccolti nacque L’Humanité, nome dato da Herr. Grazie al prestigio di Jaures, il giornale raccolse la crème del socialismo francese: Allemane, Briand, Pressene, Viviani, Herr, Andler, Longuet, Anatole France, Leon Blum, Jules Renard, Gustave Geffroy, Abel Hermant, Henry de Jouvenel, Gustave Lanson e Daniel Halévy. Il primo numero uscì il 18 aprile 1904. Già il 17 maggio L’Humanité pubblicò un documento di sensazionale importanza, la nota di protesta del Vaticano all’ambasciatore francese. Il principe di Monaco, che come altri capi di stato ne ricevette una copia, la mandò a Jaurès. La lettera di protesta si riferiva alla visita del presidente Loubet a re Vittorio Emanuele III. Jaurès colse l’occasione per riaprire il discorso sulla separazione tra Stato e Chiesa. Ne seguì un violento dibattito alla Camera dove mentre la destra cattolica cercava di minimizzare, le altre fazioni protestavano contro l’interferenza clericale nella politica francese. Il primo ministro Combes ottenne un voto di fiducia per la sua politica di rottura col Vaticano. Due vescovi, di Laval e di Digione, filo-repubblicani, chiesero al Vaticano di spiegare la presunta intromissione, senza ricevere risposta da Pio X, inducendo Combes a interrompere le relazioni con il Vaticano, per la felicità di Jaurès.

 

Nell’agosto del 1904 iniziò il Congresso dell’Internazionale Socialista ad Amsterdam. Il Congresso si divise in Comitati, il più importante dei quali doveva redigere la risoluzione sulla tattica socialista. Questo Comitato era composto oltre che da Jaurès, da Guesde, Kautsky, Bebel, Rosa Luxemburg, Vandervelde, Enrico Ferri, Victor Adler, Pablo Iglesias, Ramsay MacDonald, Daniel De Leon e Plekhanov. Guesde propose che il Comitato accettasse la risoluzione di Reims-Dresda. Vandervelde e Adler suggerirono una mozione per non escludere la partecipazione ministeriale. Vi fu un acceso dibattito tra Guesde e Jaurès. Jaurès puntava a tutto il lavoro fatto in parlamento e ai risultati ottenuti, la difesa della repubblica contro la destra, la separazione tra Stato e Chiesa, la pace internazionale, la pressione a favore del negoziato, la battaglia per leggi sociali. Guesde minimizzò tutti questi punti. Alla fine, il Comitato rigettò la mozione Adler-Vandervelde e accettò la risoluzione Reims-Dresda, ma accettando la mozione di Kautsky, Bebel, Ferri, Adler, Troelstra e Vandervelde, che richiedeva che in ogni paese esistesse solo un partito socialista. Il 9 agosto, dopo che Vandervelde fece un riassunto del rapporto del Comitato all’assemblea, Jaurès salì sul palco per il suo intervento pronunciando uno dei più memorabili discorsi del socialismo moderno. In linea di principio concordava con la risoluzione di Dresda, ma era davvero necessario disprezzare le riforme? In Francia i socialisti avrebbero dovuto lottare al fianco dei borghesi radicali che comprendono un largo strato della società: i contadini democratici, gli artigiani, i negozianti. Per Jaurès era un errore grave considerare la borghesia un blocco: “Nei giorni quando io e Guesde abbiamo lavorato fianco a fianco per diffondere il socialismo, l’ho sentito spesso dire che tra 38 milioni di francesi, non erano che 200.000 che avevano un interesse di classe direttamente opposto al collettivismo socialista […]. Sarebbe temerario o addirittura criminale abbandonare questa amorfa, eterogenea, incoerente massa democratica a se stessa. Il proletariato socialista, organizzato in un partito di classe e ostile al grande capitale, deve influenzarla e guidarla”. Jaurès, che in Francia veniva spesso accusato di germanofilia, ora sollevava i suoi dubbi sulla socialdemocrazia tedesca: “Dico, senza alcuna esitazione, che internazionalizzando la risoluzione di Dresda, stanno propinando al socialismo mondiale l’incertezza e l’esitazione che li attanaglia. In questo momento quello che pesa di più sull’Europa e sul mondo, sulle garanzie di pace e libertà, non è il tentativo audace dei socialisti di Francia di salvaguardare il progresso e la pace, ma la tragica impotenza della socialdemocrazia tedesca”. E ancora: “All’indomani delle elezioni dello scorso giugno, quando avete preso tre milioni di voti, un fatto divenne evidente a tutti: che nonostante avete dimostrato una grande forza nella propaganda e nel reclutamento, né le tradizioni della vostra classe lavoratrice, né i termini della vostra Costituzione vi permettevano di convertire quel miraggio di potere in una genuina azione politica. Perché? Perché voi non potete agire o come rivoluzionari o parlamentari! […] Storicamente, non c’è tradizione rivoluzionaria tra i vostri lavoratori. Non hanno mai conquistato il suffragio universale sulle barricate. L’hanno ricevuto dall’alto […]. Poiché voi mancate di tradizione rivoluzionaria, avete una sorta di disprezzo per coloro i quali hanno una genuina volontà rivoluzionaria. […]. E anche se eravate la maggioranza nel Reichstag, il socialismo non sarebbe mai stato il padrone. Poi il vostro parlamento è solo uno pseudo-parlamento […]. Avere urlato sui vostri giornali: ‘Unser das Reich! Unser die Welt!’ No! L’impero non è vostro, visto che non siete ancora in grado di ospitare l’Internazionale Socialista nella vostra capitale”. Bebel replicò che di lottare per la Repubblica non sarebbe valsa la pena, del resto la monarchia non era poi così male e la Repubblica non era così buona. Infine, la risoluzione di Reims-Dresda fu adottata. Nelle settimane che seguirono il Congresso, Jaurès espresse il suo sostegno per l’unità. Vandervelde descrisse questo nuovo Jaurès: “Non c’è dubbio che nella storia della sua vita possiamo distinguere due periodi: prima di Amsterdam e dopo di Amsterdam. Prima era un socialista, senza dubbi, da capo a piedi. Ma era invischiato in attività marginali, riforme e cause che avevano poco a che spartire col socialismo. Dopo Amsterdam, devenne, l’uomo dell’unità. Separato da molti dei suoi vecchi amici, Briand, Viviani e altri, che erano passati ai partiti borghesi, si avvicinò a Guesde e specialmente a Vaillant, lo sperone della sua coscienza socialista”.

Intanto in ottobre scoppiò l’affaire des fiches, quando il generale André divenne il ministro della Guerra, espose il fatto che i corpi degli ufficiali erano pieni di conservatori, clericali, antirepubblicani, sollevando problemi per le loro idee. Per raddrizzare questa tendenza André si fece aiutare segretamente dalla Massoneria, producendo rapporti su tutti gli aspiranti ufficiali, le fiches appunto. Ora dopo quattro anni l’ex-massone antisemita Jean Bidegain vendette un fascicolo di fiches per 40.000 franchi al segretario della Lega della Patria francese, Gabriel Syveton, il quale lo condivise con il deputato nazionalisti Guyot de Villeneuve che lo usò alla Camera per denunciare l’interferenza massonica. Jaurès in qualche modo difese il ministro per il suo tentativo di restaurare il repubblicanesimo nell’esercito. Il dibattito fu molto acceso e Syveton, accusato di rubare dalle casse della Lega, raggiunse il ministro André colpendolo in faccia. Questo episodio violento condizionò il voto facendo passare la mozione di Jaurès. La posizione presa da Jaurès nell’affaire des fiches danneggiò però la reputazione di Jaurès come socialista moralmente integerrimo. Ad ogni modo, la posizione di Jaurès di chiara opposizione alle pericolose tendenze nazionaliste e antisemite crescenti in Francia, era giustificabile e questo divenne ancora più evidente in futuro. Alle dimostrazioni dei giovani nazionalisti della Lega della Patria francese davanti alla statua di Giovanna D’Arco, Jaurès replicò con un articolo ironico, concludendo con sarcasmo: “Aspettiamo l’inevitabile telegramma di M. Déroulède”, il quale dall’esilio in Spagna rispose in modo molto duro: “considero lei, M. Jaurès, essere il più detestabile corruttore della coscienza pubblica che abbia mai fatto il gioco degli stranieri in Francia”. Quando Jaurès lesse questo messaggio sfidò a duello Déroulède dichiarando: “Il partito socialista, al quale sono completamente dedicato, condanna, e giustamente, tali metodi barbari di sistemare le dispute. La mia scusa è che non ho provocato questa controversia e sto reagendo ad una provocazione completamente ingiustificata”. Il 4 di dicembre quindi Jaurès e i suoi secondi Gerault-Richard e Deville si recarono in treno a Saint-Sebastien; il governo francese diede un lascia-passare temporaneo a Déroulède per entrare in Francia e il 6 vi fu il duello a Hendayne. Furono sparati due colpi a testa senza conseguenze. Questo episodio fu un altro evento totalmente atipico per Jaurès.

Il governo Combes sotto pressione per la questione delle fiches e altri strascichi, cadde nel gennaio del 1905. A Combes successe Maurice Rouvier, scelta che disturbava molto Jaurès e la sinistra. Rouvier mise nella sua lista di ministri anche Briand per l’Educazione. Jaurès espresse la sua contrarietà: “Siamo in procinto di realizzare l’unità; non è il momento di metterla a rischio con un altro caso di Millerandismo. Non accettare.” Il 22 aprile l’articolo 4 sulla separazione storica tra Stato e Chiesa fu votato a maggioranza. Questo fu un momento sicuramente molto felice per Jaurès e per molti repubblicani. Il Consiglio Nazionale del Parti Socialiste Français approvò il Patto d’Unione, che impostava la natura del movimento socialista in Francia. Questo prevedeva una base rivoluzionaria collettivista predominate e una componente riformista marginale, limitata alla sola preparazione del nuovo ordine con il divieto alla partecipazione ministeriale che poteva però essere temporaneamente rimosso. Ma questo patto entrava in conflitto con l’appartenenza al blocco delle sinistre. La maggior parte dei deputati del partito erano meno entusiasti della piega rivoluzionaria presa con il Patto d’Unione, e in particolare Briand si espresse contro. Per cercare di superare questa disputa interna un nuovo Congresso nazionale fu convocato. Il Congresso si tenne a Rouen. Gerault-Richard e Breton parlarono delle conseguenze deleterie dell’uscita dal blocco delle sinistre. Briand intervenne contro la sinistra del partito che “ipocritamente” attaccava e denigrava i deputati élus (eletti) che erano stati messi lì proprio dalle masse. Il congresso votò l’approvazione del Patto e l’ordine ai deputati di dissociarsi dal blocco delle sinistre. Dopo il Congresso di Rouen vi fu, nell’aprile 1905, il Congresso di Unità, ovvero con delegati del Parti Socialiste Français e del Parti Socialiste de France alla Salle du Globe a Parigi. Il 25 aprile il nuovo Parti Socialiste, section française de l’Internationale ouvrière (S.F.I.O.) fu fondato, ma diversi deputati socialisti, incluso Briand, considerando questo un passo indietro, non si unirono al nuovo partito.  Per Jaurès l’unità era il punto di forza della S.F.I.O. che doveva unire tattiche rivoluzionarie insieme ad azioni elettorali e parlamentari. Per molti questo partito era l’espressione della visione politica di Jaurès: “Lui l’ha creato. Lui lo teneva assieme” dichiarò Daniel Halévy.

Sempre in quel periodo era scoppiata la crisi marocchina, ovvero l’intervento della Germania a Tangeri per mostrare il suo sostegno, mente la Francia intendeva stabilire un protettorato. Jaurès, non più condizionato dal blocco parlamentare e dall’appoggio a Millerand, poteva esprimere il suo pensiero sulla questione marocchina. Jaurès attaccò quindi il ministro degli Esteri Delcassé, chiarendo che il socialismo non era dell’idea che le colonie potevano essere una opportunità per migliorare lo standard di vita in patria, come molti, anche socialisti, pensavano. Jaurès rinfacciava a Delcassé anche che nell’aver allargato alleanza tra Francia e Russia e aver raggiunto un accordo con l’Inghilterra, “l’apice della [sua] vita”, aveva trascurato la Germania. Vaillant e Pressené si unirono a Jaurès nel criticare il ministro degli Esteri e così fece anche il Premier Rouvier, tant’è che Rouvier decise di scavalcare Delcassé e negoziare con Berlino. Delcassé fu costretto alle dimissioni. Per Jaurès era chiaro che la crisi internazionale appena risolta era frutto della “… competizione economica di una nazione contro un’altra, la brama di guadagno, il bisogno di aprire nuovi mercati ad ogni costo, anche a costo di una guerra, semplicemente per estricare la produzione capitalista dal suo disordine interno. Tutto ciò tiene l’umanità contemporanea in un permanente stato di tensione per la guerra”. Ma Jaurès era anche cosciente che: “Parte della classe lavoratrice è o indifferente all’azione politica, o insufficientemente mossa dall’idealismo socialista, o, addirittura, prigioniera di un nazionalismo gretto ed emotivo. Milioni di contadini non hanno ancora esteso la loro visione all’orizzonte internazionale”. Per Jaurès però l’ultranazionalismo, così come l’antipatriottismo, erano entrambi pericolosi. L’estremismo di Hervé obbligò Jaurès a chiarire la sua posizione sulla patria. Per Jaurès l’errore di Hervé non era nel suo attacco all’idolo chiamato patria, ma era il suo grossolano fraintendimento del valore e della forza dello Stato-Nazione, dal quale i singoli individui ricavano la loro identità’. “Tutte le nazioni, ognuna dotata del suo spirito individuale, lingua, senso della vita, memorie, speranze, passioni, anima e genio, devono esser comprese nella grande società comunista del futuro”, quindi non aveva senso, come faceva Hervé, dire che i lavoratori non avrebbero perso nulla se la loro nazione fosse stata conquistata. I francesi si sentivano francesi pensava Jaurès, e avrebbero combattuto per difendere la loro terra natia e, se sottomessa, per liberarla. Per Jaurès: “La verità è che la relazione complessa tra dovere verso la nazione e dovere verso l’internazionalismo non poteva essere risolta a priori, da slogan meccanici o da formule prestabilite”.

All’inizio del 1906, con la fine del mandato di Loubet arrivò la volta di Armand Fallières di salire all’Eliseo, quindi un nuovo governo fu formato da Ferdinand Sarrien, un vecchio repubblicano radicale, che chiamò al governo personaggi come Bourgeois e Clemenceau. Ma offrì il ministero dell’Istruzione a Briand che questa volta accettò. Allo stesso momento i minatori del Nord e del Pas-de-Calais entrarono in sciopero. Lo sciopero era causato dal rapido incremento del prezzo del carbone e dai grandi guadagni dei padroni delle miniere. Clemenceau, neoministro degli Interni, aumentò il numero delle truppe nelle zone degli scioperi. Intanto pure gli impiegati delle poste entrarono in sciopero. In questa atmosfera si preparavano anche le elezioni generali. Jaurès dovette affrontare come di consueto il Marchese de Solages, il quale ricorse alla forza durante la giornata elettorale e scatenò i suoi nelle piazze, impedendo un regolare svolgimento delle elezioni e facendo intervenire il Prefetto che fece disperdere la folla attorno al Municipio; folla che si era riunita solo per votare. Nonostante ciò Jaurès vinse sul Marchese de Solages.   

In polemica con Clemenceau, che, come ministro degli Interni, aveva mobilitato le truppe per sedare gli scioperi, Jaurès chiedeva: “Non credi che una società dove le miniere, le fabbriche, la terra fossero possedute da una collettività di produttori, piuttosto che monopolizzate da una piccola minoranza, sarebbe più giusta e umana?” Ma Clemenceau non era sensibile a tali questioni. Jaurès disse sempre a Clemenceau: “Ci sono momenti nella storia quando gli uomini devono scegliere da che parte stare. Cento anni fa, quando scoppiò la grande rivoluzione, Mirabeau, Vergniaud, Robespierre e Condorcet erano altrettanto incerti e confusi […]. Ma alla fine hanno deciso; hanno osato; sapevano che il vecchio mondo si stava sgretolando e dovevano spazzar via le macerie per iniziare una nuova società […]. Noi siamo in un momento simile e tu ci offri frasi vuote, mezze soluzioni, esitazioni. Sei rimasto indietro rispetto al volere della gente”. La risposta di Clemenceau non si fece attendere: “Il Signor Jaurès parla da gradi altezze, quando crea il suo magnifico miraggio, mentre io lavoro giù coi piedi in terra, sulla dura terra che concede un magro raccolto”. E ancora: “ma al tempo degli scioperi di Chalons non ha proferito una singola parola di censura contro i suoi amici nel governo Waldeck-Rousseau la cui polizia ha sparato sui lavoratori”. La difesa di Jaurès era impacciata: “Sì, è vero, ci era data spesso la terribile e tragica alternativa tra accettare atti deplorevoli contro il proletariato o cospirare con i reazionari per spodestare i ministri che loro odiavano. Ma almeno, sotto questi ministri, la classe lavoratrice ha avuto una certa libertà di movimento”. Clemenceau quindi si rivolse direttamente a Jaurès: “Ti chiedo, se tu fossi il ministro degli Interni, sfortuna che potrebbe concepibilmente occorrere, lasceresti gli scioperanti saccheggiare e depredare le case dei lavoratori, che ebbero il solo crimine di non scioperare? […] Ti chiedo, se tu fossi al mio posto, cosa faresti quando il Prefetto ti telegrafa: ‘stanno saccheggiando le case dei minatori ‘? Abbi il coraggio di rispondere! Di’ se proteggeresti o no le vite dei non scioperanti!” Jaurès non rispose direttamente e Clemenceau finì: “Non rispondendo, hai parlato eloquentemente!” Jaurès rispose però alla fine del dibattito: “Ho sempre sostenuto che la violenza potrebbe ben danneggiare la causa del proletariato, provocare reazione e panico, e soprattutto, far identificare il Socialismo con la brutalità e la barbarie […]. Ma detto questo, lasciami aggiungere che non mi faccio ingannare dall’ipocrisia della classe dominante. Che con il pretesto di prevenire le violenze contro i cosiddetti ‘lavoratori liberi’, sperano di azzoppare la legittima azione del proletariato”. Ma Clemenceau, “l’amico dei lavoratori”, continuò a dire che le riforme delle otto ore, la tassa sul reddito, la nazionalizzazione dei monopoli naturali, erano tutte cose prese dal suo programma che i socialisti ora rivendicavano. Poi tornando alla citazione di Jaurès sulla Grande rivoluzione, Clemenceau, rispose di aver deciso da che parte stare, contro Jaurès e a favore del libero sviluppo dell’individuo. A questo punto Jaurès arringò la Camera per l’ultima volta: “Galantuomini, sono venuto qui davanti a voi infilzato dappertutto da frecce che solo un’abile mano e ancora giovanile poteva scagliare […]. La tua dottrina dell’individualismo assoluto è la negazione di tutti i grandi movimenti di progresso che hanno modellato la storia. È la negazione della Rivoluzione Francese stessa!

Il 12 luglio 1906 fu una data storica: la corte di Cassazione rivide il verdetto della corte marziale di Rennes e dichiarò Dreyfus innocente. Per Jaurès questo simboleggiò la fine di un’era politica. Nel novembre 1906 Jaurès si recò a Limoges per il terzo congresso annuale della S.F.I.O. Qui vi fu lo scontro tra il realismo eclettico di Jaurès, l’eroismo di Hervé e il dogmatismo di Guesde sulla questione del patriottismo. Il declamante Hervé iniziò “Per i poveri, le nazioni non sono madri amorevoli; ma matrigne severe […]. La nostra nazione può essere solo la nostra classe”. Per Guesde questo discorso suonava pericolosamente anarchico e invocava un’insurrezione futile e romantica. Se Jaurès riconosceva e sapeva trattare con il dogmatismo di Guesde, l’antipatriottismo di Hervé era qualcosa di nuovo. Questo si rifaceva a idee del “patriarca normanno” Georges Sorel, e citava Pareto, Croce, Bergson[11] e Lagardelle. Hervé non era seguito per la sua levatura intellettuale, ma perché molti condividevano la tendenza di rigettare l’intellettualismo e seguire invece la glorificazione della violenza. Questa tendenza era particolarmente presente nella corrente sindacalista rivoluzionaria, dove la classe lavoratrice diveniva l’eroe della società. Nella lotta contro l’ultra-fatalismo di Guesde e l’ultra-romanticismo di Hervé, Jaurès trovò in Vaillant un valido alleato. La mozione di Jaurès e Vaillant dichiarava che il proletariato avrebbe difeso la nazione in caso di un attacco non provocato, ma che il Partito Socialista si impegnava in azioni parlamentari, agitazioni pubbliche, assemblee di protesta, scioperi di massa, e insurrezioni per prevenire la guerra di aggressione. Jaurès disse: “Non possiamo sederci e aspettare la catastrofe […]. Non possiamo semplicemente dire: tutto andrà bene appena avremo cinque milioni di votanti […]. E se la tempesta ci minacciasse prima di ciò? Non dovremmo fare nulla per evitarla?”. La mozione che Jaurès supportava vinse, ma al Congresso di Nancy nell’agosto del 1907, il discorso sulla guerra e sulla pace tornò all’ordine del giorno. Al Congresso di Limoges si discusse anche dell’atteggiamento verso il sindacalismo. Hervé proponeva una separazione netta tra C.G.T. e partito. Guesde rigettava il sindacalismo in toto. Mentre Jaurès e Vaillant volevano che la S.F.I.O. e la C.G.T. cooperassero. E anche questa linea politica vinse.            

Nell’ottobre 1906 il Presidente Fallières diede a Clemenceau l’incarico di formare un nuovo governo. Per Jaurès era chiaro che Clemenceau non sarebbe stato un alleato della sinistra socialista. Nell’aprile del 1907 i sindacati degli insegnanti attaccarono sui muri di Parigi un manifesto che denunciava la politica di Clemenceau. Il governo fece licenziare il segretario dei sindacati e diversi dei lavoratori firmatari del manifesto. In maggio il deputato socialista Alexandre Blanc lanciò le sue critiche contro Clemenceau e Briand, ministro dell’Istruzione. Alla discussione parteciparono diversi socialisti tra i quali Vaillant, ma la discussione raggiunse il suo apice con l’intervento di Jaurès. Nel suo discorso del 10 maggio Jaurès difese il diritto degli insegnanti di organizzarsi in sindacati e di affiliarsi alla C.G.T., mentre Celmenceau e Briand sostenevano che impiegati statali non potessero affiliarsi a un’organizzazione votata alla distruzione dello Stato. Durante il discorso di Jaurès, Clemenceau e il suo vecchio alleato e amico Briand, si scambiarono delle battute ridendo. Questo mandò su tutte le furie Jaurès: “Quando eri all’opposizione fustigavi la grande borghesia. Ma ora che sei in carica preferisci strangolare i lavoratori.”. E ancora: “Vorrei chiedere al Ministro dell’Istruzione quale differenza c’è tra l’idea dello sciopero generale che egli una volta predicava, e l’idea dello sciopero generale che ora rende la C.G.T. così sospetta sicché è quasi un crimine associarsi a tale organizzazione […]. Questo, in essenza, è ciò che il Signore Briand disse ai lavoratori: ‘Emancipatevi legalmente. Emancipatevi violentemente. Ma vi sono due tipi di violenza, e la violenza romantica, la violenza sulle barricate, è antiquata […]. Vi consiglio, da amico, di seguire la forma più opportuna, utile e moderna di rivoluzione: lo sciopero generale’ […]. E quindi disse: ‘nessuno deve dimenticare quando il governo persegue gli uomini per l’antimilitarismo’, e poi disse: ‘Soldati saranno mandati ad affrontare i lavoratori, i quali sono i loro fratelli […] se i loro ufficiali insistono nell’ordinare di aprire il fuoco questi lo faranno, ma non nella direzione che le autorità si aspettano’ ”. Quindi Jaurès affondò il colpo: “quando il Ministro dell’Istruzione salì in carica dichiarò di mantenere le sue idee integre. Di non rimangiarsene nessuna. Però è lui che ora osa colpirci! Ho solo una cosa da dire al ministro: Non vogliamo più la vostra politica! Non vogliamo più lei!”. Briand replicò, come già Clemenceau aveva fatto, rinfacciando a Jaurès di aver sostenuto i governi Waldeck-Rousseau e Combes non molto dissimili da quello attuale, e che lui, Briand, stava solo continuando la politica tracciata da Jaurès. Jaurès, quindi, replicò: “Ho sempre sostenuto che il Partito Socialista non può farsi da parte quando vi sono delle lotte valide […]. Ma ho detto allo stesso modo che non guideremo mai i lavoratori in nessuna alleanza politica che non serva allo scopo finale del socialismo […]. Se sono stato colpevole, è di non aver detto ciò prima, contribuendo così a prolungare certe illusioni in merito alla partecipazione socialista ai governi borghesi. Ma ora, galantuomini, tutti i veli sono tolti”. Clemenceau chiuse il dibattito con una forte accusa alla C.GT. che però non poté rendere illegale.

Agli inizi del 1907 un espediente, l’assassinio di un medico a Marrakech da parte di predoni arabi, fece riaprire il caso dell’intervento francese in Marocco. Il governo francese ordinò a un contingente di occupare un distretto del Marocco orientale, Oudjda. Come rappresaglia a Casablanca un gruppo di attivisti mussulmani attaccò un gruppo di lavoratori europei uccidendo otto francesi. L’incrociatore Galilée fu quindi mandato con 4.500 uomini sotto il comando del generale Drude per sedare gli scontri. La guerra civile esplose in Marocco quando il fratello del Sultano, si oppose alla debole politica del Sultano, stabilendo un nuovo sultanato rivale a Marrakech, con il sostegno di Berlino. Jaurès comprendeva l’inevitabilità della rivoluzione coloniale: “Nelle terre arabe, il movimento di protesta è diviso in due tendenze. Ci sono i fanatici, i quali userebbero fuoco e fiamme per tagliare ogni contatto con la civiltà europea e cristiana, e ci sono i modernisti […] i quali capiscono che il mondo arabo non si svilupperà mai ammenoché si impegni nella liberazione, la fratellanza e la pace”. Per Jaurès la politica francese rafforzava la mano dei fanatici sminuendo l’influenza dei modernisti illuminati. Ad ogni modo la minaccia di uno scontro con la Germania tornò ad essere una concreta realtà e, secondo Clemenceau, un’inevitabilità. Gli interessi economici di importanti circoli finanziari francesi però premettero sul governo per negoziare con la Germania la divisione del Marocco.         

Dopo il Congresso di Nancy si tenne il VII Congresso della Seconda Internazionale a Stoccarda, dove Jaurès si recò. Anche lì il dibattito fu sull’atteggiamento che la classe lavoratrice avrebbe dovuto tenere nei confronti del militarismo e della guerra. Hervé presentò una risoluzione dove proponeva lo sciopero militare e l’insurrezione in caso di guerra. Guesde presentò una risoluzione che trattava il militarismo e la guerra come espressioni del capitalismo. Vaillant e Jaurès proponevano la risoluzione che aveva già vinto in Francia, che chiamava tutte le organizzazioni dei lavoratori di tutti i paesi di attuare pressioni per la pace sia in Parlamento che nelle strade. Una quarta risoluzione era stata presentata da Bebel, più moderata ancora di quella di Vaillant e Jaurès. Da queste quattro risoluzioni se ne estrasse una. Jaurès però era cosciente del fatto che se la guerra fosse esplosa la risoluzione dell’Internazionale sarebbe stata nulla più che parole. In più Jaurès intrappolato nel dualismo tra pacifismo e patriottismo, cercò di suggerire una soluzione. Ispirato dalla Rivoluzione francese suggerì di rimpiazzare l’esercito con milizie popolari per garantire la difesa del paese. Nel 1911 queste idee saranno pubblicate ne L’Armée Nouvelle. Nel caso concreto in cui la Germania avesse attaccato senza provocazione la Francia secondo Jaurès un’Armée nouvelle avrebbe potuto essere la risposta, un esercito di massa di riservisti. Secondo Jaurès l’esercito universale di riservisti non sarebbe stato al servizio di una classe dominante ma sarebbe diventato l’esercito del popolo. Prima dell’uscita del suo trattato, nel novembre del 1910 depositò alla Camera un progetto di legge che descriveva il nuovo esercito. Se l’antipatriottismo di Hervé era facilmente superabile dagli ultranazionalisti, la visione di Jaurès, di patriottismo di difesa e di esercito universale e popolare, risultava un problema. Al Congresso di Toulouse Jaurès riuscì a preservare l’unità di partito e stabilire delle linee di azione.

 Il 25 giugno 1909 Jaurès fece un’interpellanza parlamentare che attaccava il Premier Clemenceau. Denunciava il violento nazionalismo e lo stato di apatia intellettuale riconducibile al suo governo: “Il ricorso alla violenza da parte del ministero e il suo fallimento nel riformare la società ha prodotto un senso di pubblico lassismo…”. Se l’interpellanza non fece cadere Clemenceau, di sicuro ne svalutò il suo credito morale. Clemenceau in risposta attaccava la C.G.T. e la S.F.I.O. Ma non convincendo più i radicali, il suo governo aveva le ore contate e il 20 di luglio cadde. Il Presidente Fallières chiamò Briand che riuscì a formare un governo grazie all’astensione dei Socialisti (solo otto guesdisti votarono contro) al che Jaurès scrisse: “abbiamo tolto al governo la scusa di dire, se riprende la politica repressiva, che lo abbiamo obbligato a congiungersi con la destra”. Al Congresso di Nimes nel febbraio del 1910 il dibattito verteva sulla questione delle pensioni di anzianità.  Queste erano state stabilite in Inghilterra, Belgio e Germania, e avrebbero dovuto essere stabilite anche in Francia. Ma i guesdisti e gli herveisti erano contro il fatto che al fondo pensioni dovessero contribuire i lavoratori stessi. Lafargue parlò contro la riforma, contro l’età pensionabile a 65 anni e contro il controllo del fondo pensioni in mano allo Stato. Cosa fermerà il governo ad usare questi soldi per il militarismo e il suo imperialismo? Hervé ci andò ancora più pesante: “Jaurès è Millerand, egli è Viviani, egli è Briand! La sua probità è più grande della loro, ma la sua tattica è la stessa. […] Anche se oggi siamo 50 in Parlamento, siamo indistinguibili dai radical-socialisti”. Mentre a favore della riforma delle pensioni c’erano oltre che Jaurès, anche Renaudel e Vaillant. L’intervento di Jaurès era il più atteso, parlò della democrazia come la chiave dell’influenza socialista all’interno dello Stato capitalista, e delle riforme sociali come sorgente di forza per la classe lavoratrice. La maggioranza votò per sostenere la riforma delle pensioni. Guesde si alzò replicando che non avrebbe mai votato per abbassare i salari ai lavoratori, riferendosi al contributo del fondo pensioni. Jaurès rispose paziente: “Essere qui e oppormi all’uomo che fu il nostro leader non mi dà gioia”, ma poi continuò sull’importanza della riforma e sul fatto che alla lunga i lavoratori avrebbero guadagnato dai loro contributi.

Nel prepararsi alle elezioni generale il Premier Briand andò a formare un Comité de la rue de Valois, dove cercava di raggruppare radicali e moderati. Per Jaurès la campagna elettorale fu pesante, nonostante il Marchese de Solages non si fosse candidato, appoggiava il conservatore Falgueyrettes. Quando però i radicali e i radical-socialisti decisero di appoggiare Jaurès la vittoria fu assicurata. Le elezioni andarono molto bene per i socialisti che raggiunsero il milione di voti, ma secondo il numero di seggi se i radicali non avessero raggiunto un accordo con i socialisti avrebbero potuto raggiungerlo con i moderati. Briand riuscì quindi a formare un altro governo. Il nuovo governo dovette affrontare la crisi dello sciopero dei ferrovieri. Questi avevano visto magri aumenti mentre il costo della vita era stato negli anni di gran lunga maggiore. Nonostante il sindacato dei ferrovieri in Francia non fosse il più combattivo, date le critiche condizioni dei lavoratori minacciò lo sciopero generale. Briand, tirando in ballo la questione della sicurezza nazionale, si oppose fermamente ad ogni tipo di sciopero. Quando il 10 ottobre i sindacati indissero lo sciopero, Briand reagì con un piano estremo ma efficacie. Propose di richiamare alle armi i ferrovieri così che se si fossero opposti al lavoro, avrebbero dovuto affrontare la corte marziale.  Questa misura sembrò troppo estrema anche ad alcuni suoi ministri come Millerand, Viviani e Barthou. Il 14 ottobre 1910, Jaurès parlò alla Salle du Manege:Che razza di patrioti sono questi nostri padroni! […] Dicono che noi socialisti profaniamo la nazione, ma quando confondono l’interesse egoista delle compagnie ferroviarie con quello della nazione, si fanno beffe del patriottismo”. Briand non fece una grinza e i ferrovieri che non volevano rischiare di andare davanti alla corte marziale il 17 ottobre cessarono lo sciopero. Jaurès e i socialisti spostarono il dibattito in parlamento e il 29 ottobre parlò alla Camera. Si riferì direttamente a Briand, Millerand e Viviani: “Mi ricordo (forse l’avete dimenticato ora che siete uomini di potere), mi ricordo le grandi riunioni popolari nelle quali parlavamo assieme. Mi ricordo di vecchi lavoratori, oggi scomparsi, uomini grezzi vicino alla fine dei loro giorni, che si chiedevano se fosse stato tutto inutile. E mi ricordo di giovani uomini, adolescenti, quattordicenni, quindicenni e sedicenni, i loro occhi infiammati da una nuova fede mentre ascoltavano il nostro programma […]. Oggi sono uomini di trenta o trentacinque anni, e quando hanno letto nei loro giornali che siete voi, Millerand, Viviani e Briand, che impedite loro il diritto di sciopero, si devono essere chiesti se la vita non sia, dopotutto, un brutto sogno”. Jaurès ricevette applausi dai socialisti così come dalla sinistra radicale. Briand si imbarcò in una brillante replica che però gli fece perdere il controllo di sé e, tronfio, si ritrovò a dire che se il governo non avesse trovato un metodo legale di fermare lo sciopero ne avrebbe trovato uno illegale. Questo gettò la Camera in un putiferio. Sotto le urla: “Dimettiti! Dimettiti!” un esausto Briand riuscì in qualche modo a spiegare che, come Danton prima di lui, egli non avrebbe esitato ad agire oltre la legge date le circostanze straordinarie. Nonostante Briand riuscì a sopravvivere a quell’incidente, il 2 novembre fece cadere il governo con l’intenzione di costituirne un altro più stabile. Così facendo Briand aveva perso molti radical-socialisti. Emerse quindi tra i radicali un leader anti-Briand, Caillaux. Il suo successore Monis formò un governo che comprendeva infatti anche Caillaux.

Nell’estate del 1911, Jaurès si stava preparando al viaggio che avrebbe fatto in America Latina, quando scoppiò un’altra crisi marocchina. In aprile scoppiò infatti una rivolta a Fez, così grave che il Sultano richiese l’aiuto francese. Senza consultare il parlamento il governo mandò 25.000 uomini, da Casablanca a Fez. In quattro settimane le truppe francesi occuparono Fez. La Spagna che rivendicava dei territori occupò a sua volta delle zone nel nord del Marocco, in forza di un patto segreto del 1904. Jaurès alla Camera avvisò: “Qualche anno fa quando abbiamo iniziato a occupare la Chaouia, […] dissi: non vi fermerete lì, ma sarete guidati, da disordini interni e dalla ambizione dei vostri generali, a continuare le vostre aggressioni. Dissi a Clemenceau: andrai a Fez. Egli rispose: perché non alla Mecca? Gentiluomini, non so se andremo alla Mecca, ma siamo a Fez. Deduco ciò dall’ingresso del nuovo Sultano. La nostra politica è stata una lunga trasgressione del trattato di Algeciras”.  Jaurès insistette poi sul fatto che questa politica francese avrebbe innescato un forte nazionalismo tra gli arabi e una politica di ritorsione da parte dei tedeschi. Caillaux di nascosto iniziò dei negoziati con i tedeschi per trovare una pacificazione, che sembrava possibile mettendo sul tavolo il Congo. Il primo luglio l’ambasciatore tedesco informò il ministro degli esteri francese che il governo imperiale stava mandando una nave da guerra ad Agadir al fine di proteggere la proprietà e la vita dei cittadini tedeschi. Ad ogni modo alla fine di luglio Jaurès partì per il Sud America, visitando, prima il Portogallo, dove fu accolto dal governo della neo-repubblica portoghese con entusiasmo, quindi arrivò in agosto a Rio. Fece delle lezioni prima in Brasile e quindi in Uruguay, dove però il governo conservatore non lo reputava un ospite gradito, e poi arrivò in Argentina. Qui il forte movimento socialista lo accorse calorosamente. Jaurès si sforzò genuinamente di conoscere la condizione della gente del Sud America, dell’Argentina in particolare.  In ottobre quindi tornò in Francia.  Quando Jaurès tornò la crisi di Agadir era sull’orlo di far scoppiare la guerra e dal governo Monis si era passati al governo Caillaux. La Germania richiedeva la cessione dell’intero Congo Brazzaville, ma intervenne Lloyd George che fece ridimensionare le ambizioni tedesche. Infine, i due paesi si accordarono su una parte di Camerun e Congo in cambio del Marocco. Caillaux aveva dimostrato di saper negoziare per la pace e siccome sembrava avere anche delle idee riformiste questo lo fece avvicinare a Jaurès. Ma il trattato con la Germania doveva essere votato ala Camera e passare il Senato. Se il primo passo risultò possibile, il Senato invece si oppose. Questo fece cadere il governo Caillaux e, cinicamente, dopo le dimissioni di Caillaux il Senato approvò il trattato. Il patriota lorenese Raymond Poincaré formò il nuovo governo, includendo i soliti Briand e Millerand. Nel marzo del 1912, il Sultano firmò il trattato che faceva del Marocco un protettorato francese. Jaurès chiedeva di rigettare il protettorato, in quanto questo avrebbe creato ribellioni in Marocco. La politica di Poincaré favorì il nazionalismo e il sentimento antitedesco e lavorò attivamente a rafforzare l’intesa con Russia e Inghilterra. Quando visitò la Russia scavalcando il Presidente Fallièrs era evidente che si sentisse un po’ come lo Zar Nicola, suscitando non poca ilarità.

Nel novembre del 1912 i socialisti si riunirono per un Congresso di emergenza della Seconda Internazionale a Basilea. Jaurès presentò una risoluzione contro la guerra, abbozzata dal Bureau Socialista Internazionale e votata all’unanimità. Quando tornò in Francia scrisse: “la nostra dichiarazione non è un trattato vuoto, ma piuttosto l’espressione della nostra volontà rivoluzionaria […] contro la guerra”. Jaurès aveva una fiducia genuina nell’Internazionale, questa era fondata sul fatto che, secondo lui, la socialdemocrazia tedesca era dichiaratamente contro la guerra, infatti la socialdemocrazia aveva quell’anno raccolto quattro milioni e mezzo di voti, 110 seggi al Reichstag e si dichiarava per la pace. Ma come denunciato dal socialista Charles Andler, professore di letteratura tedesca alla Sorbona, specializzato su Nietzsche, nella socialdemocrazia tedesca circolava un forte sciovinismo. Andler sosteneva che dei quattro milioni di voti non si poteva pensare che tutti fossero stati veri voti socialisti, ma che molti erano voti di democratici scontenti, sostenitori di idee borghesi e nazionaliste. Andler scrisse due articoli su L’Action nationale, ma furono a lungo ignorati. Solo tre mesi dopo la loro uscita Jaurès replicò. Jaurès vedeva questi articoli come un contributo alla giustificazione nazionalista francese delle intenzioni bellicose della Germania, ma non si espresse sui fatti che nella SPD vi fossero tendenze militariste. Ma la vecchia guardia del SPD era morta e la SPD si stava effettivamente spostando verso un supporto al militarismo.

Verso la fine del 1912 iniziò la disputa per il nuovo mandato alla Presidenza della Repubblica. Il candidato favorito sembrava essere proprio Poincaré. I socialisti proposero Vaillant come loro candidato. Però Poincaré risultò vittorioso, per la soddisfazione dei nazionalisti. Il neopresidente chiese a Briand di formare un nuovo governo. Il suo governo però durò solo circa due mesi e Louis Barthou fu il suo successore. Le energie di Barthou erano principalmente concentrate sulla legge dei tre anni, ovvero estendere il servizio militare da due a tre anni. Questa legge era stata proposta sotto il breve governo Briand. Socialisti e sindacalisti si schierarono compatti contro questa legge. Jaurès puntualizzava correttamente che la legge dei tre anni non avrebbe aggiunto nulla all’esercito francese, se non i costi che sarebbero aumentati di 300 milioni di franchi per l’anno in più, e i soldati non sarebbero diventati più bravi o più veloci. La S.F.I.O. si riunì a Brest in marzo e confermò la politica di Jaurès contro la legge dei tre anni, per una collaborazione franco-tedesca, la negoziazione internazionale e una milizia nazionale. Ma ora i gruppi di nazionalisti erano diventati rumorosi e andavano nei congressi socialisti a disturbare i discorsi dei vari pacifisti, con in testa Jaurès. Anche il leader dei radicali Caillaux era contro la legge dei tre anni e si venne a creare una coalizione con Jaurès. La Camera però approvò nel luglio del 1913 la legge dei tre anni con 358 voti contro 204. In ottobre il partito dei Radicali votò un programma di sinistra ed elessero Caillaux come loro presidente.   La collaborazione del rinnovato partito radicale con la S.F.I.O. diede i suoi frutti: in novembre Barthou propose un grande prestito per implementare la legge dei tre anni, vincendo con una maggioranza risicata, ma quando propose che questi nuovi buoni del tesoro fossero esenti da tasse, i socialisti e i radical-socialisti riuscirono a spodestarlo dalla carica. Poincaré si rivolse a Ribot e quindi a Dupuy, ma poi dovette ripiegare su Gaston Doumergue.  L’11 dicembre Doumergue formò un governo che includeva anche Caillaux.  Caillaux introdusse quindi la tassa sulle entrate e il prelievo sui capitali per finanziare le spese militari extra. Mentre i socialisti insistevano nel cancellare la legge dei tre anni.

Nel gennaio del 1914 i socialisti si riunirono ad Amiens per il Congresso annuale. Mentre i guesdisti erano coerentemente contro la collaborazione con i radicali, Jaurès sottolineava che in quel momento era importante che alle imminenti elezioni generali fossero eletti deputati, socialisti o meno che fossero, contro la guerra. La coalizione Caillaux-Jaurès faceva paura a parecchi soprattutto moderati e conservatori.  L’editore de Le Figaro, Gaston Calmette però inizio una campagna diffamatoria nei confronti di Caillaux. Accusava Caillaux di essere implicato in una vicenda di corruzione, nota come l’affare del Signor Rochette. Rochette era un truffatore che si era arricchito con speculazioni fraudolente e altre truffe, ma facendo ciò aveva implicato diversi politici. Quando venne denunciato nel 1908, il ministro degli Interni dell’epoca Briand ne aveva ordinato l’arresto. Nel 1910 Jaurès interpellò Briand sulle circostanze dell’arresto di Rochette. Briand riuscì a venir fuori dalla crisi generata dall’interpellanza di Jaurès, con un voto di fiducia, ma Jaurès fu incaricato di fare chiarezza sull’affare Rochette. Quasi due anni più tardi, nel marzo del 1912, il Comitato d’Inchiesta pubblicò il rapporto, ma il governo non lo prese in considerazione. Jaurès, disperato, gridò alla camera: “Siamo ancora in una Repubblica? Come faremo mai a sollevarci da quest’abisso?”. Ora Calmette aveva riesumato il caso Rochette contro Caillaux. Le Figaro sosteneva, peraltro senza fornire prove, che Caillaux avesse infranto la legge per favorire Rochette. Queste prove dovevano essere contenute in un millantato rapporto di Fabre, in possesso di Barthou. Messo alle strette, Calmette, in cerca di qualcosa contro Caillaux, pubblicò delle vecchie lettere dell’amante di Caillaux, ora sua seconda moglie. La signora Caillaux scioccata si recò nell’ufficio di Calmette sparandogli mortalmente due colpi di pistola. Dopo questa tragedia Caillaux fu costretto a dimettersi.

Jaurès continuava instancabile a sostenere la pace e le minacce, anche di morte, alla sua persona incominciarono a diventare la norma. Jaurès disse ad un amico, Malfitte: “Posso perdonare il mio assassino. La vera colpa apparterrebbe a quelli che lo avranno armato”. Le elezioni del 1914 furono però una sconfitta per la destra e il centro. Con il supporto dei radicali Jaurès stravinse nel Tarn. I socialisti presero un milione e quattrocento mila voti, trecentomila più del 1910, guadagnando 103 seggi. I radicali unificati avevano conquistato 136 seggi, con i seggi dei socialisti indipendenti gli antimilitaristi, quindi, raggiungevano le 269 seggi su 603. Questa fu la più grande vittoria del partito socialista. Caillaux provava una profonda stima per Jaurès, un giorno in giugno fermandosi a parlare con Jaurès in corridoio fuori dalla Camera disse: “Appena possibile, dobbiamo formare un forte ministero di sinistra che farà pressione per una politica di pace in Europa […], ma è possibile solo se il Partito Socialista offre il suo completo supporto. Intendo una collaborazione non solo in parlamento ma anche nei ministeri. Non accetterei mai di diventare Premier, per esempio, ammenoché tu non diventassi ministro degli Affari Esteri”. Jaurès considerando che le circostanze straordinarie, causate dalla crisi, lo avrebbero consentito, e quindi in accordo la risoluzione di Amsterdam, rispose che avrebbe accettato.  Il governo Doumergue capitolò proprio a causa della coalizione Jaurès-Caillaux, ma il Presidente Poincaré, determinato a proteggere la legge dei tre anni, chiamò Viviani a formare il nuovo governo. Viviani faticò a trovare consensi perché mal visto dalla destra e dalla sinistra. Poincaré chiamò quindi il vecchio Ribot, ma senza successo. Quindi al secondo tentativo Viviani riuscì a formare un nuovo governo e sfumò quindi l’occasione di vedere Jaurès al governo.

Intanto il 28 giugno vi fu l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, innescando la celebre reazione a catena. Però la guerra non sembrava ancora così inevitabile. Proprio in quei giorni Jaurès scrisse un articolo sulla pace, che però uscì solo postumo, in ottobre, su L’Humanité. Il 7 luglio il governo chiedeva di finanziare per 400.000 franchi il viaggio di Poincaré e Viviani in Russia, i due partirono quindi il 16 di luglio. Jaurès s’appellò alla Camera ma senza risultato. Poi il 14 luglio vi fu il Congresso annuale del Partito a Parigi. Guesde si oppose ancora all’uso dello sciopero generale, con argomenti che diventavano sempre più antitedeschi ovvero, cosa succederebbe se noi facessimo lo sciopero ma i tedeschi no? Hervé ora insisteva sul fatto che i lavoratori patrioti non accetterebbero mai di fare lo sciopero generale. Jaurès però non cadde nella trappola nazionalista e si espresse a favore dell’uso dello sciopero generale da parte di tutti i lavoratori dei paesi belligeranti: usare lo sciopero generale per evitare la guerra. I giornali nazionalisti quindi ci andarono pesante sulla posizione pacifista sostenuta con coerenza da Jaurès. Le Temps parlava di “tradimento contro la madre patria” e L’Action Francaise suggeriva l’assassinio del “prussiano Jaurès”. Mentre Jaurès scriveva da L’Humanité: “Lo sciopero generale non sarà mai unilaterale […] non importa cosa dicono i nemici, non c’è contraddizione tra il massimo sforzo per la pace e, se noi dovessimo essere invasi, il massimo sforzo per l’indipendenza nazionale.” Sempre in quei giorni il Comitato Esecutivo della SPD proclamava che la classe dominante vuole opprimere i lavoratori e che i lavoratori devono gridare abbasso la guerra, viva la fratellanza internazionale.

Il 29 luglio si recò a Bruxelles per una riunione straordinaria del Bureau della Seconda Internazionale. Qui incontrò vecchi compagni, si abbracciò con Haase, leader della SPD. Victor Adler confessò al Bureau che la guerra dell’Austria conto la Serbia era inevitabile ormai. Haase, presidente della SPD, ormai però poteva parlare solo per una minoranza, perché la maggioranza della SPD era patriota. Jaurès si alzo per parlare: “Per noi, socialisti francesi, il compito è semplice. Non dobbiamo forzare una politica di pace sul nostro governo. La pratica già. Non ho mai esitato a far pervenire agli amareggiati sciovinisti la mia implacabile e decisa campagna di collaborazione franco-tedesca; ma devo dire che ora il governo francese vuole la pace e si sta adoperando per salvarla”. Quindi chiedendo: “Quando il tifo finisce il lavoro iniziato dalle pallottole, uomini disillusi si rivolteranno contro i loro governanti, se Germania, Francia, Russia, o Italia chiederanno spiegazione per tutti i loro cadaveri. E quindi, la Rivoluzione liberata griderà loro: ‘Vattene, e chiedi perdono a dio e agli uomini!’ ma se noi evitiamo la tempesta, spero dunque che le masse non si dimenticheranno e diranno: ‘Dobbiamo impedire che questo spettro esca dalla sua tomba ogni sei mesi a terrorizzare il mondo.’ Uomini di tutti i paesi, dobbiamo raggiungere il nostro obiettivo di pace e giustizia!”. Questo fu l’ultimo discorso pubblico di Jaurès. Tornò a Parigi il 30 luglio in treno assieme a Vaillant, Guesde, Sembat e la moglie, e Jean Longuet. Quest’ultimo ricordò di quel viaggio che Jaurès era insolitamente poco vitale e gioviale, molto stanco, si addormentò subito e sembrava morto. Così che Lounget pensò: “Cosa faremo se lo perdessimo, come potrebbe il nostro partito vivere e crescere senza il suo incomparabile genio?”. Il giorno seguente Jaurès e altri socialisti cercarono di vedere il Premier Viviani, ma senza successo, così si recarono dal sottosegretario agli affari esteri, Abel Ferry. Jaurès assicurò Ferry che il partito socialista avrebbe continuato la sua lotta contro la guerra, al che Ferry gli rispose: “No, non sarà in grado di continuare. Sarà assassinato al primo angolo”. Alle otto di sera Jaurès torno a L’Humanité per finire l’articolo del giorno successivo. Alle 9 andò quindi a mangiare con altri socialisti al café Croissant. Il locale era pieno di compagni, tra i quali Landrieu, Renaudel e Longuet. Attorno alle 9.40 Jaurès, che dava le spalle alla strada, fu raggiunto da due colpi di pistola, esplosi da Villain, un nazionalista esaltato e disturbato. Questi fu raggiunto da Renaudel che si precipitò per strada e lo colpì con una bottigliata. Bertre e Landrieu stesero Jaurès sulla panca, ma quando arrivò il medico, era ormai troppo tardi.   

 

Conclusioni finali 

Il libro di Goldberg mette in luce la grandezza di Jaurès come uomo e come politico. Jaurès è tuttora in Francia ricordato e celebrato come una grande figura politica, ma è altrettanto reclamato dal marxismo internazionale odierno? Come molti altri marxisti della Seconda Internazionale, è accantonato dai rivoluzionari marxisti, per essere un riformista e ipoteticamente un “venduto” alla borghesia. Il problema della collaborazione, del ministerialismo, del compromesso, del riformismo sono proprio centrali in Jaurès. È evidente che Goldberg sottolinei come l’impossibilismo (interpretazione del marxismo che sostiene il valore limitato delle riforme nel sovvertire il capitalismo e che insiste sull'azione politica rivoluzionaria come unico metodo valido per portare al socialismo) assieme al determinismo di Guesde e di Lafargue fossero un limite della corrente marxista rivoluzionaria francese. Credo che la storia abbia confermato che tale ascetismo purista, ovvero l’idea che non ci si debba corrompere con nessun tipo di compromesso, né con lotte sindacali e né con lotte parlamentari, e che il capitalismo avrebbe generato un giorno le condizioni del suo crollo, sia risultato in un nulla di fatto. Ma quel che è più doloroso da constatare è che se anche ci si fosse limitati al puro impossibilismo, senza cadere nell’idea del determinismo, anche questo tenderebbe a creare piccole sette che non possono che attendere che il capitalismo collassi. Di fatto rimanendo con una idea pura di socialismo che però non li renderebbe vicini alla classe lavoratrice. Ma quindi è giusto contaminare il marxismo con i vari compromessi di classe? Probabilmente un insegnamento che si può trarre da Jaurès e che il marxismo non è concepito, né è da concepirsi, come una dottrina monolitica fissa, ma deve adattarsi alle condizioni attuali, e che questo non vuol dire per forza di cose “revisionismo”. Lottare per condizioni di lavoro migliori, e fare questo mediante ogni mezzo, dovrebbe essere sempre consentito, rimanendo consapevoli che non è così che si arriva al socialismo, ma neanche con l’atteggiamento opposto. Se in passato vi era un eccesso di fiducia che la società dovesse evolvere in una certa direzione proprio perché era il sistema capitalista stesso a crearne le condizioni, oggi siamo consapevoli che il capitalismo continuerà a crearne le condizioni ma questo non esclude involuzioni, stagnazioni, o deformazioni della società. Anche in questo probabilmente Jaurès è da rivalutare, quando nella sua discussione con Lafargue, Jaurès aggiunge una componente umana al materialismo storico, fatta di idee, di speranze, di sogni e di creatività. Con questo Jaurès, secondo me, non aveva l’ambizione di migliorare il materialismo storico di Marx ed Engels, che apprezzava in tutta la sua originalità, ma sfidava il dogmatismo di molti dei materialisti  con cui aveva a che fare.   

Ora però in Jaurès vi sono anche aspetti che, noi socialisti rivoluzionari condividiamo meno. In Jaurès i concetti di Patria e Nazione, nonostante fossero più elaborati che in personaggi come Hervé, sono pur sempre molto legati alla tradizione della Rivoluzione francese. Secondo noi i lavoratori, come classe, seppur conservando le loro diversità etnico-culturali, non hanno bisogno del concetto borghese di Nazione. Il nostro non è l’antipatriottismo dei vari ciarlatani del caso, come Hervé, appunto, e Mussolini (quando si dichiarava antipatriottico), ma è l’internazionalismo ben presente nel pensiero di Marx ed Engels, diciamo quello della Prima Internazionale. Ovvero quello per il quale il Partito della classe lavoratrice deve essere internazionalista e internazionale. Il concetto che Jaurès aveva di patria era comunque molto vicino a quello di identità etnico-culturale. Jaurès parla di “spirito individuale, lingua, senso della vita, memorie, speranze, passioni, anima e genio,”, ma, secondo noi, associato, come da tradizione rivoluzionaria francese, al concetto borghese di Nazione, ovvero ai confini fisici all’interno dei quali incasellare tali attributi di civiltà. La posizione di Jaurès non poteva che portare al seguente paradosso: pacifista e antimilitarista prima della guerra e in caso di invasione, patriota; che fu proprio quello che ebbe modo di vivere, almeno durante la crisi di Caporetto, Turati. Ma se durante la prima guerra l’interventismo e il patriottismo di sinistra fu “scomunicato” dalla maggioranza del PSI, e non dai socialisti francesi, già durante la Seconda guerra mondiale, a parte la Frazione della Sinistra Comunista Italiana, per cui l’essere partigiano era sinonimo di essersi venduto al collaborazionismo di classe, per il resto dei comunisti e socialisti parteciparono attivamente nella guerra antifascista e di liberazione della patria. Quindi un Jaurès, come un Turati, sarebbe diventato un simbolo della resistenza contro una forma particolare di amministrazione capitalista, il fascismo.  E poi ancora, Jaurès, aveva concepito una resistenza del popolo, attraverso ne L’Armée Nouvelle.  

Infine, l’idea di Repubblica molto presente in Jaurès è probabilmente un’idea legata alla Rivoluzione francese, e pur di proteggerla Jaurès si screditò con l’affare delle fiches finendo per difendere la presunta infiltrazione della massoneria nelle istituzioni borghesi. Così come col caso Millerand, dove Jaurès difende l’amico Millerand probabilmente più che il principio di avere un ministro socialista nel governo. Sagace è il comento di Antonio Labriola, secondo il quale il caso Millerand era un’indecenza, ma “che i puritani (Guesde e compagni) combattevano con troppa passione”. Ed è un peccato che Jaurès abbia speso cosi tante energie a difendere un politicante come Millerand.

Per chiudere forse l’opinione di Antonio Labriola su Jaurès è quella che ci piace di più: “bravo, prode, eloquente, indefesso”.

                                 

Cesco



[1] Abbiamo affrontato questo argomento nel post di Maggio 2021, “La Comune di Parigi: un ideale socialista tra le barricate: a 150 anni dalla sollevazione parigina” di Cesco. https://adattamentosocialista.blogspot.com/search?updated-max=2021-06-23T07:53:00-07:00&max-results=11

[2] Quasi contemporaneamente a Milano si andava formando il Partito Operaio Italiano (POI).

[3] Ossia Il Dispaccio di Tolosa.

[4] Vicina alle posizioni dell’ex-comunardo Jean Allemane, ovvero per lo sciopero generale come arma rivoluzionaria.

[5] Leggi scellerate.

[6] Questi sono gli anni della globalizzazione del mercato del grano, che, con l’ingresso nel mercato europeo dei cereali più buon mercato statunitensi e russi, ebbe un crollò del prezzo.

[7] Memorandum

[8] Hubert-Joseph Henry produsse un documento falso per incastrare definitivamente Dreyfus. Il tenente colonello Picquard, a capo dell’inchiesta sul caso Dreyfus, si era già reso conto del falso e lo fece presente ai suoi superiori, ma venne quindi spostato dalla Section de statistiques, mentre Hubert-Joseph Henry fu promosso tenente colonello.

[9] Le Prove.

[10] Per contestualizzare il caso Millerand e la risoluzione Kautsky in chiave italiana, è necessario ricordare che con la XXI Legislatura del Regno d’Italia, ovvero del governo Saracco, vi fu l’elezione di 33 socialisti. Quella della collaborazione era una eventualità concreta. In settembre, l’8-11 del 1900, il PSI si riunì per il VI Congresso a Roma, dove vi furono modifiche strutturali dell’organizzazione del Partito, che riduceva il suo controllo sul Gruppo Parlamentare e sul direttore dell’Avanti! [cfr. Reformism and party organization: the Italian Socialist Party, 1900-14, James Miller], e dove Filippo Turati espose il “programma minimo”, che era già parte del programma costitutivo del 1892, ma con maggior vigore. I riformisti Turati, Treves, Bissolati e Sambucco ottennero la maggioranza, battendo gli intransigenti di Enrico Ferri. Il collaborazionismo, ovvero la possibilità di creare alleanze con partiti borghesi, vinse in virtù del fatto che al PSI avevano giovato, nelle recenti elezioni, tali alleanze politiche. L’ordine del giorno Treves-Modigliani-Prampolini concedeva autonomia alle organizzazioni regionali in fatto di alleanze. Turati precisò in questo Congresso che il socialismo si fondava su tre cardini: il collettivismo, come naturale evoluzione sociale; la lotta di classe, come progressiva espropriazione e socializzazione da parte della classe lavoratrice; e le riforme, come lenta e graduale trasformazione sociale. Al fatto che Kautsky sosteneva in opposizione a Bernstein che l’unico tipo di democrazia possibile in Germania sarebbe stata la democrazia proletaria, Turati commentava che: “il carattere rivoluzionario del partito non esclude il favore a tutte le riforme graduali, utili all’elevazione proletaria. Ad un patto però: che lo sforzo per ottenere le riforme non obliteri, neanche in minima parte, il carattere rivoluzionario del partito[La socialdemocrazia tedesca nello specchio della ‘Critica Sociale’ (1899-1904), Giorgio Trichilo]. Turati si poneva così a metà strada tra l’attendismo di Kautsky e il revisionismo di Bernstein. Si trovò molto vicino alle posizioni di Jean Jaurès. 

Antonio Labriola aveva un’alta opinione di Jaurès: “bravo, prode, eloquente, indefesso”. La risposta più articolata in Italia sui casi Dreyfus e Millerand fu proprio quella di Antonio Labriola, il quale a Liebknecht dichiara con franchezza “l’Avanti! va come può andare [...]. Gli scrittori dell’Avanti! sono dei giovani che non sono neppure esattamente informati della situazione all’estero: e inoltre sono carichi di lavoro”.  Labriola fa il quadro in una lettera a Louise Kautsky del 10 marzo 1894: “Ai combattenti - si sa bene- non è sempre tanto di scegliersi un campo nel quale discendono da bravi. Anche per questo rispetto, a noi socialisti, che non siamo invero fin qui ancora padroni dell’andamento delle cose del mondo si impongono, come agli altri mortali le chances della vita. E quale chance potea darsi migliore questa, di aver avuto modo di colpire ad un tempo, e come in un solo punto, il militarismo, il quale mette a nudo con tanta prodigalità le sue vergogne, il gesuitismo, che rialza il capo in nome della patria, ed il capitalismo, incapace a reggere la patria senza cadere nell’imboscata di una novelle Ligue”. Labriola condanna però l’azione di Millerand, come si evince dalla sua reazione alla mozione di Kautsky al V Congresso dell’Internazionale di Parigi del 1900. “Per me quella tua mozione era troppo dialettica, troppo fina e troppo elaborata per essere capita dal grosso del Partito socialista. Tu hai presentata la possibilità del ministro socialista in condizioni tanto impossibili, che la possibilità arriva alla negazione di sé stessa. Tu hai valorizzato il caso Millerand, togliendogli tutto ciò che ha di concreto e di passionale. Ne hai fatto un caso dottrinale. Ti sei messo troppo dal punto di vista esclusivamente tedesco, dove il caso Millerand è proprio il puro possibile che si confonde con l’impossibile. Invece in Francia si discuteva un fatto accaduto già – di un fatto che per me è un’indecenza, un fatto che i puritani (Guesde e ‘Genossen’ [‘compagni’, nota dell’autore]) combattevano con troppa passione, e gli altri difendevano per difendere se stessi. Tu forse ignori che nei paesi latini si fa carriera per tutte le vie …” [Il caso Millerand e il socialismo internazionale II, Carlo Pinzani].

Anche Andrea Costa, presente come Enrico ferri a Parigi, aderisce alla mozione Kautsky, sottolineando l’analogia con quella dell’autonomia della tattica elettorale approvata al Congresso di Roma, che ebbe luogo un paio di settimane prima, mentre Ferri fu contro la collaborazione. La risoluzione Kautsky passò con 29 voti contro 9. Questa mozione denota che c’era una sorta di tendenziale convergenza tra i partiti socialisti in termini di partecipazione al governo. Il caso italiano con la collaborazione del Gruppo Parlamentare nel governo Zanardelli non era quindi un caso isolato. Turati si esprime su Citrica Sociale in merito alla mozione di Kautsky.

In dicembre, in risposta alle misure antisocialiste del prefetto di Genova Camillo Garroni, atte a sciogliere le Camere del Lavoro nel capoluogo, non ostacolate dal governo Saracco, fu proclamato un imponente sciopero. Antonio Labriola commentò: “Dal rispetto negativo (della massima del lasciar fare e lasciar passare) passerà il Governo a legiferare efficacemente sulle Camere di Lavoro, sull’arbitrato in caso di scioperi, sul riconoscimento delle Leghe? Si metterà insomma mano da noi ad iniziare un riconoscimento ordinato e legale di politica sociale, che garantisca agli operai quei diritti di riunione di coalizione, di resistenza che ora così genericamente si reggono sopra congetturati presupposti, o vengono benignamente concessi da un determinato ministro?”. Giolitti, capì molto bene ciò, e attaccando in parlamento la posizione di Saracco, il quale era disposto a dare concessioni ai dimostranti se non fosse per la stima che lo legava al prefetto Garroni, sfiduciò il Governo, guadagnandosi, il Giolitti, simpatie a sinistra, tra le quali quelle dei riformisti Turati e Claudio Treves. Di conseguenza venne formato il Governo Zanardelli, con Giolitti agli interni, grazie ai socialisti [Reformism and party organization: the Italian Socialist Party, 1900-14, James Miller].

 

[11] Se non fosse già abbastanza evidente, notiamo che lo stesso tipo di percorso e di idee era presente tra alcuni giovani attivisti del PSI; uno tra tutti Benito Mussolini.

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