Anton Pannekoek: Lotta di Classe e Nazione - Parte II



II. La Nazione e il Proletariato

 

L’antagonismo di classe

La realtà attuale che determina più intensamente la mentalità e l’esistenza dell’uomo è il capitalismo [sottolineatura originale di Pannekoek]. Ma non riguarda tutti gli uomini allo stesso modo: è una cosa per il capitalista e un’altra per il proletario. Per i membri della classe borghese, il capitalismo è il mondo della produzione di ricchezza e della competizione: più benessere, un aumento della massa di capitale da cui essi cercano di estrarre il massimo profitto possibile in una lotta individualistica con i loro pari e che apre loro la strada al lusso e al godimento di una cultura raffinata. Questo è ciò che il processo di produzione fornisce loro. Per i lavoratori, invece, è il duro lavoro di una semi-schiavitù senza fine, è l’insicurezza permanente delle loro condizioni di vita, è l’eterna povertà senza la speranza di ottenere altro che un salario misero. Di conseguenza, il capitalismo deve esercitare effetti molto diversi sulla mente dei borghesi e su quella dei membri della classe sfruttata. La nazione però è un’entità economica, una comunità di lavoro, anche tra lavoratori e capitalisti. Il capitale e il lavoro sono entrambi necessari e devono unirsi affinché la produzione capitalistica possa esistere. È una comunità di lavoro di natura particolare in quanto in questa comunità, capitale e lavoro appaiono come poli antagonisti: costituiscono una comunità di lavoro nello stesso modo in cui predatori e prede costituiscono una comunità di viventi.

La nazione è una comunità di carattere nata da una comunità di destino. Ma con lo sviluppo del capitalismo, è la differenza dei destini [sottolineatura originale di Pannekoek] che diviene sempre più dominante quando si considera la borghesia e il proletariato all’interno di un particolare popolo. Per spiegare cosa s’intenda per comunità di destino, Bauer parla delle “relazioni costituite dal fatto che entrambi [l’operaio e il borghese inglese - nota originale di Pannekoek -] vivono nella stessa città, che entrambi leggono gli stessi manifesti e gli stessi giornali, partecipano agli stessi eventi politici e sportivi, dal fatto che a volte parlano tra loro o che, almeno, entrambi parlano con i vari intermediari esistenti tra capitalisti e lavoratori” 1. - Ora, il “destino” degli uomini non consiste nel leggere gli stessi cartelloni, ma in grandi e importanti esperienze [sottolineatura originale di Pannekoek] che sono totalmente diverse per ogni classe. Tutto il mondo conosce le parole del primo ministro inglese Benjamin Disraeli sulle due “nazioni” che vivono l’una accanto all’altra nella nostra società moderna, senza mai comprendersi veramente. Non intendeva forse dire che nessuna comunità di destino lega effettivamente le due classi? 2.

Naturalmente, non è necessario prendere proprio alla lettera questa affermazione nel suo senso moderno. La comunità di destino del passato esercita ancora la sua influenza sulla comunità di carattere di oggi. Finché il proletariato non ha una chiara coscienza della particolarità della propria esperienza, finché la sua coscienza di classe non è stata risvegliata (o è solo leggermente smossa), esso rimane prigioniero del pensiero tradizionale: il suo pensiero si nutre degli avanzi della borghesia, costituisce sicuramente con quest’ultima una sorta di comunità di cultura allo stesso modo in cui i servi in cucina sono ospitati dai loro padroni. Le peculiarità della storia inglese rendono questa comunità mentale ancora più potente in Inghilterra, mentre è estremamente debole in Germania. In tutte le giovani nazioni in cui il capitalismo sta facendo la sua comparsa, la mentalità della classe operaia è dominata dalle tradizioni della precedente epoca contadina e piccolo-borghese. Solo a poco a poco, con il risveglio della coscienza di classe e la lotta di classe sotto l’impatto di nuovi antagonismi, la comunità di carattere condivisa dalle due classi scomparirà.

Senza dubbio ci saranno ancora relazioni tra le due classi. Ma si limiteranno alle norme e ai regolamenti di fabbrica, nonché all’esecuzione degli ordini lavorativi, cosicché la comunità linguistica non sarà più nemmeno necessaria, come già dimostra l’uso di lavoratori stranieri che parlano lingue diverse da quella nazionale. Quanto più gli operai diventano consapevoli della loro situazione e dello sfruttamento subito, quanto più spesso lottano contro i datori di lavoro per migliorare le loro condizioni lavorative, tanto più le relazioni tra le due classi si trasformano in inimicizia e conflitto. Tra loro c’è poca comunanza come tra due popoli costantemente impegnati in scaramucce di frontiera. Quanto più i lavoratori diventano consapevoli dello sviluppo sociale e quanto più il socialismo appare loro come l’obiettivo necessario della loro lotta, tanto più sentono il dominio della classe capitalistica come un potere estraneo [sottolineatura originale di Pannekoek], e con questa espressione ci si rende ben conto di quanto la comunità di carattere si sia dissipata.

Bauer definisce il carattere nazionale come “la differenza degli orientamenti della volontà, il fatto che lo stesso stimolo produca reazioni diverse, che le stesse circostanze esterne provochino decisioni diverse” - 3. Si possono immaginare orientamenti più antagonisti di quelli della volontà della borghesia e della volontà del proletariato? I nomi di Bismarck, Lassalle, il 1848, stimolano nei lavoratori tedeschi e nella borghesia tedesca sentimenti non solo diversi, ma addirittura opposti! I lavoratori tedeschi del Reich, benché appartenenti alla nazione tedesca, giudicano quasi tutto ciò che accade in Germania in modo diverso e opposto a quello della borghesia. Tutte le altre classi sociali si rallegrano in modo simile per quanto contribuisce alla grandezza e prestigio estero del loro Stato nazionale, mentre il proletariato è ostile a ogni misura che porti a tali risultati. Le classi borghesi parlano di guerra contro altri Stati per accrescere il proprio potere, mentre il proletariato pensa a un modo per evitare la guerra o scopre nella sconfitta del proprio governo un’occasione importante.

Per questo non si può parlare della nazione come di un’entità se non prima del pieno dispiegarsi al suo interno della lotta di classe, perché solo in questo caso la classe operaia segue ancora le orme della borghesia. L’antagonismo di classe tra borghesia e proletariato si traduce nella progressiva scomparsa della loro comunità nazionale di destino e di carattere [sottolineatura originale di Pannekoek]. Le forze costitutive della nazione devono quindi essere esaminate separatamente per ciascuna delle due classi antagoniste.

 

La volontà di formare una nazione

Bauer ha pienamente ragione quando considera le differenze nell’orientamento della volontà come l’elemento essenziale nelle differenze di carattere nazionale. Quando tutte le volontà sono orientate allo stesso modo si forma una massa coerente, ma quando gli eventi e le influenze del mondo esterno provocano determinazioni diverse e opposte, allora si producono rotture e separazioni. Le differenze di volontà hanno separato le nazioni le une dalle altre, ma di chi è la volontà in gioco? È quella della borghesia in ascesa. Come risultato delle prove precedenti riguardo la genesi delle nazioni moderne, la sua volontà di formare una nazione è la forza costitutiva più importante.

Cos’è che rende la nazione ceca una comunità specifica rispetto alla nazione tedesca? Ciò che viene acquisito dalla vita in comune, il contenuto della comunità di destino che continua a influenzare praticamente il carattere nazionale, è estremamente debole. Il contenuto della sua cultura è quasi totalmente preso dalle nazioni moderne che l’hanno preceduta, soprattutto dalla nazione tedesca. Per questo Bauer dice che: “Non è del tutto errato dire che i cechi sono tedeschi di lingua ceca (…)” - 4. Si potrebbero anche aggiungere alcune tradizioni contadine completate da reminiscenze di Jan Huss, di Jan Žižka e della battaglia della Montagna Bianca 5, riesumate dal passato e senza alcun significato pratico oggi. Come è stato possibile erigere una “cultura nazionale” sulla base di una lingua particolare? Perché la borghesia ha bisogno di separazione, perché vuole costituire una nazione distinta rispetto ai tedeschi. Vuole farlo perché ne ha bisogno, perché la concorrenza capitalistica la obbliga a monopolizzare il più possibile un territorio in vista di mercati e di sfruttamento del lavoro. Il conflitto di interessi con gli altri capitalisti crea la nazione laddove esiste l’elemento necessario, una lingua specifica. Bauer e Renner dimostrano chiaramente nelle loro esposizioni sulla genesi delle nazioni moderne che è la volontà delle classi borghesi in ascesa che ha creato le nazioni. Non come volontà cosciente o arbitraria, ma come volontà e allo stesso tempo costrizione, conseguenza necessaria di fattori economici. “Le ‘nazioni’ coinvolte nella contesa politica, che lottano tra loro per l’influenza sullo Stato, per il potere nello Stato – dice Bauer 6 – non sono altro che organizzazioni delle classi borghesi”,della piccola borghesia, della borghesia vera e propria, delle classi intellettuali la cui esistenza è basata sulla concorrenza e qui proletari e contadini giocano un ruolo secondario.

Il proletariato non ha nulla a che fare con questa necessità di concorrenza delle classi borghesi, con la loro volontà di costituire una nazione. Per esso la nazione non significa il privilegio di assicurarsi clientela, posizioni o opportunità di lavoro. I capitalisti hanno imparato subito a reclutare lavoratori stranieri che non parlano né tedesco né ceco. Citando questa pratica capitalistica non è tanto nostra intenzione smascherare l’ipocrisia nazionalistica, ma soprattutto far capire ai lavoratori che sotto il dominio del capitalismo la nazione non può mai essere per loro sinonimo di monopolio del lavoro. E solo raramente si sente parlare tra i lavoratori più arretrati, come per esempio tra i sindacalisti americani della vecchia scuola, del desiderio di limitare l’immigrazione. Però la nazione può anche assumere, ma solo temporaneamente, un significato proprio per il proletariato: quando il capitalismo penetra in una regione agricola e i proprietari terrieri appartengono a una nazione capitalistica più sviluppata, allora gli operai industriali abbandonano presto i contadini per l’altra nazione. In questo caso il sentimento nazionale può essere per i lavoratori un primo mezzo per prendere coscienza della loro comunità di interessi contro i capitalisti stranieri. L’antagonismo nazionale è in questo caso una forma primitiva dell’antagonismo di classe, così come in Renania-Vestfalia, all’epoca del cosiddetto Kulturkampf [politica anticattolica di Bismark del periodo 1872-1887 – nota del traduttore –], l’antagonismo religioso tra gli operai cattolici e i loro datori di lavoro protestanti liberali fu una forma primitiva dell’antagonismo di classe. Ma dal momento in cui una nazione è sufficientemente sviluppata da avere una vera e propria borghesia che si assuma la responsabilità dello sfruttamento, il nazionalismo proletario viene sradicato. Nella lotta per migliori condizioni di vita, per lo sviluppo intellettuale, per la cultura, per un’esistenza più dignitosa, le altre classi della loro stessa nazione sono i nemici giurati dei lavoratori, mentre i loro compagni di classe di lingua straniera sono i loro amici e alleati. La lotta di classe crea una comunità internazionale di interessi. Per il proletariato, quindi, non si può parlare di una volontà di diventare una nazione separata basata su interessi economici, sulla sua situazione materiale [sottolineatura originale di Pannekoek].

 

La comunità di cultura

Bauer scopre nella lotta di classe un’altra forza per la costruzione della nazione. Non nel contenuto strettamente economico della lotta di classe, ma nei suoi effetti culturali. Egli definisce la politica della classe lavoratrice moderna come una politica nazional-evolutiva [sottolineatura originale di Pannekoek] 7, che unirà l’intero popolo in un’unica nazione. Ciò dovrebbe essere ben più di un modo primitivo e popolaresco di esprimere i nostri obiettivi nel linguaggio del nazionalismo, con l’intenzione di renderli accessibili a quei lavoratori che sono invischiati nell’ideologia nazionalistica e che non hanno ancora preso coscienza della grande importanza rivoluzionaria del socialismo. Quindi Bauer aggiunge: “Ma poiché il proletariato lotta necessariamente per il possesso della ricchezza culturale che il suo lavoro crea e rende possibile, l’effetto di questa politica è necessariamente quello di chiamare l’intero popolo a partecipare alla comunità nazionale della cultura e di fare così della totalità del popolo una nazione” - 8.

A prima vista ciò sembra del tutto corretto. Finché i lavoratori, schiacciati dallo sfruttamento capitalistico, sono immersi nella miseria fisica e vegetano senza speranza e senza attività intellettuale, essi non partecipano alla cultura delle classi borghesi, una cultura che si fonda, in ultima analisi, proprio sullo sforzo dei lavoratori. Fanno parte della nazione come ne fa parte il bestiame, non costituiscono altro che una forma di proprietà e non sono altro che cittadini di seconda classe nella nazione. È la lotta di classe che li porta alla vita. È attraverso la lotta di classe che ottengono tempo libero, salari più alti e, quindi, l’opportunità di impegnarsi nello sviluppo intellettuale. Grazie al socialismo le loro energie si risvegliano, le loro menti vengono stimolate: iniziano a leggere, prima di tutto i pamphlet socialisti e i giornali politici, ma poi l’aspirazione e la necessità di completare la loro formazione intellettuale li porta ad affrontare opere letterarie, storiche e scientifiche. I comitati educativi del partito dedicano persino sforzi speciali per avvicinarli alla letteratura classica. In questo modo entrano a far parte della comunità culturale delle classi borghesi della loro nazione. E quando il lavoratore potrà dedicarsi liberamente e senza coercizione al suo sviluppo intellettuale sotto il socialismo, che lo libererà dalla schiavitù infinita del lavoro (a differenza della sua situazione attuale in cui può appropriarsi solo negli scarsi momenti di svago e, anche allora, solo con difficoltà di piccoli frammenti di cultura), soltanto allora il lavoratore sarà in grado di assorbire l’intera cultura nazionale e diventare, nel senso più completo del termine, un membro della nazione.

Ma in queste riflessioni viene trascurato un punto importante. Una comunità di cultura tra operai e borghesi può esistere solo in modo superficiale, apparente e sporadico. Gli operai possono in qualche misura leggere gli stessi libri della borghesia, gli stessi classici e le stesse opere di storia naturale, ma questo non dà luogo a una comunità di cultura. Poiché le basi del loro pensiero e la loro visione del mondo sono così differenti da quelle della borghesia, i lavoratori traggono dalle loro letture qualcosa di molto diverso [sottolineatura originale di Pannekoek] rispetto a ciò che fa la borghesia. Come sottolineato in precedenza, la cultura nazionale non esiste in astratto, ma è l’espressione della storia materiale della vita di quelle classi la cui ascesa ha creato la nazione. Ciò che troviamo espresso in Schiller e Goethe non sono le astrazioni di un’immaginazione estetica, ma i sentimenti e gli ideali della borghesia nella sua giovinezza, la sua aspirazione alla libertà e ai diritti dell’uomo, il suo modo di percepire il mondo e i suoi problemi. Il lavoratore cosciente odierno ha altri sentimenti, altri ideali e un’altra visione del mondo. Quando legge e s’imbatte nell’individualismo di Guglielmo Tell o nei diritti eterni, incomprimibili ed eterei dell’uomo, la mentalità che così si esprime non è la sua mentalità, che deve la sua maturità a una comprensione più profonda della società e che sa che i diritti dell’uomo possono essere conquistati solo attraverso la lotta di un’organizzazione di massa. Non è insensibile alla bellezza della letteratura antica, ma è proprio il suo giudizio storico che gli permette di comprendere gli ideali delle generazioni passate sulla base dei loro sistemi economici. È in grado di percepire la loro forza e quindi di apprezzare la bellezza delle opere in cui hanno trovato la loro espressione più perfetta. Questo perché il bello è ciò che si avvicina all’universalità, all’essenza e alla sostanza più profonda di una data realtà, rappresentandole nel modo più perfetto possibile.

A questo si deve aggiungere che, per molti aspetti, i sentimenti dell’epoca rivoluzionaria borghese produssero un’eco potente nella borghesia, ma ciò che si trova come eco nella borghesia di quell’epoca, è proprio ciò che manca alla borghesia odierna. Questo è ancor più vero per ciò che concerne la letteratura radicale e proletaria. Di quello che rendeva il proletariato così entusiasta delle opere di Heine e Freiligrath 9, la borghesia di oggi non vuole saper nulla. Il modo in cui le due classi leggono la letteratura a disposizione di entrambe è totalmente diverso, i loro ideali sociali e politici sono diametralmente opposti, le loro visioni del mondo non hanno nulla in comune. Questo è in un certo senso ancor più vero per quanto riguarda la loro visione della Storia. Nella Storia quelli che la borghesia considera i ricordi più sublimi della nazione non suscitano altro che odio, avversione o indifferenza nel proletariato. In questo caso nulla indica il possesso di una cultura comune. Solo le scienze fisiche, chimiche e naturali sono ammirate e onorate da entrambe le classi. Il loro contenuto è identico per entrambe. Ma quanto è diverso dall’atteggiamento delle classi borghesi quello del lavoratore che ha riconosciuto in queste scienze la base del suo dominio assoluto sulla natura e sul suo destino nella futura società socialista. Per il lavoratore questa visione della natura, questo concetto della Storia e questo sentimento letterario non sono elementi di una cultura nazionale a cui si suppone che partecipi, ma sono gli elementi della sua cultura socialista [sottolineatura originale di Pannekoek].

I contenuti intellettuali essenziali, i pensieri determinanti e la vera cultura dei socialdemocratici non affondano le loro radici in Schiller o in Goethe, ma in Marx ed Engels. E questa cultura, che è nata da una lucida comprensione socialista della Storia e del futuro della società, dall’ideale socialista di un’umanità libera e senza classi e dall’etica comunitaria proletaria, che proprio per queste ragioni si oppone in tutte le sue caratteristiche alla cultura borghese, è internazionale. Questa cultura, nonostante le sue diverse manifestazioni tra i popoli - poiché le prospettive dei proletari variano a seconda delle loro condizioni di esistenza e delle forme assunte dalle loro economie - e nonostante il fatto che sia fortemente influenzata dal contesto storico di ogni nazione, specialmente dove la lotta di classe è poco sviluppata, è ovunque la stessa. La sua forma, la lingua in cui si esprime, è diversa, ma tutte le altre differenze, anche quelle nazionali, si riducono progressivamente con lo sviluppo della lotta di classe e con la crescita del movimento socialista. Infatti, il divario tra la cultura della borghesia e quella del proletariato è in continua espansione. È quindi inesatto dire che il proletariato lotti per la proprietà dei beni culturali nazionali che produce con il suo lavoro. Non lotta per appropriarsi dei beni culturali della borghesia, ma lotta per il controllo della produzione e per stabilire una propria cultura socialista su queste basi. Ciò che chiamiamo gli effetti culturali della lotta di classe, l’acquisizione da parte dei lavoratori della coscienza di sé, della conoscenza e del desiderio di imparare, di standard intellettuali più elevati, non ha nulla a che vedere con la cultura nazionale borghese, ma rappresenta la crescita della cultura socialista. Questa cultura è un prodotto della lotta di classe, una lotta che viene condotta contro l’intero mondo borghese. E come vediamo svilupparsi nel proletariato la nuova umanità, orgogliosa e sicura della vittoria, liberata dalla vile schiavitù del passato, composta da combattenti coraggiosi, capaci di comprendere senza pregiudizi e in modo completo il corso degli eventi, uniti dai più forti legami di solidarietà in una solida unità, così d’ora in poi lo spirito della nuova umanità, la cultura socialista, dapprima debole, confusa e mescolata con le tradizioni borghesi, si risveglierà in questo proletariato e diventerà poi più chiara, più pura, più bella e più ricca.

Con questo non si vuole ovviamente intendere che la cultura borghese non continuerà a dominare per lungo tempo e ad esercitare una potente influenza sulle menti dei lavoratori. Troppe influenze provenienti da quel mondo contaminano il proletariato, con o senza il suo consenso. Non solo la scuola, la chiesa e la stampa borghese, ma anche tutte le opere d’arte e le opere scientifiche impregnate di pensiero borghese. Ma sempre più spesso e in modo sempre più completo, la vita stessa e la loro esperienza trionfano sulla visione borghese del mondo nelle menti dei lavoratori. Ed è così che deve essere. Perché quanto più la visione borghese del mondo si impadronisce dei lavoratori, tanto meno essi diventano capaci di lottare: sotto la sua influenza, i lavoratori sono pieni di rispetto per i poteri dominanti, vengono indottrinati con il pensiero ideologico di questi ultimi, la loro lucida coscienza di classe viene oscurata, si rivoltano contro i loro stessi simili di questa o quella nazione, si disperdono e sono quindi indeboliti nella lotta e privati della fiducia in se stessi [sottolineatura originale di Pannekoek]. Il nostro obiettivo richiede, al contrario, una specie umana orgogliosa, consapevole di sé, audace, sia nel pensiero che nell’azione. Ecco perché le esigenze stesse della lotta stanno liberando i lavoratori da queste influenze paralizzanti della cultura borghese.

È quindi inesatto affermare che i lavoratori, attraverso la lotta, stiano accedendo a una “comunità culturale nazionale”. È la politica del proletariato, la politica internazionale della lotta di classe, che sta generando una nuova cultura internazionale e socialista nel proletariato [sottolineatura originale di Pannekoek].

 

La comunità della lotta di classe

Bauer contrappone la nazione come comunità di destino [sottolineatura originale di Pannekoek] alla classe, in cui la somiglianza [sottolineatura originale di Pannekoek] dei destini ha sviluppato tratti caratteriali simili. Ma la classe lavoratrice non è solo un gruppo di uomini che hanno vissuto lo stesso destino e che quindi hanno lo stesso carattere. La lotta di classe salda il proletariato in una comunità di destino [sottolineatura originale di Pannekoek]. Il destino vissuto in comune è la lotta condotta in comune contro lo stesso [sottolineature originali di Pannekoek] nemico.

Nella lotta sindacale lavoratori di diverse nazionalità si trovano di fronte allo stesso datore di lavoro. Devono condurre la loro lotta come un’unità compatta, ne conoscono le vicissitudini e gli effetti come nel più intimo tipo di comunità di destino. Hanno portato con sé dai loro vari Paesi le loro differenze nazionali, mescolate all’individualismo primitivo dei contadini o della piccola borghesia, forse anche un po’ di coscienza nazionale, unita ad altre tradizioni borghesi. Ma tutte queste differenze sono tradizioni del passato che si oppongono all’attuale necessità di resistere come una massa compatta e si contrappongono alla vivace comunità di lotta del presente. Solo una differenza ha un significato pratico: quella del linguaggio [sottolineature originale di Pannekoek]. Tutte le spiegazioni, tutte le proposte, tutte le informazioni devono essere comunicate a tutti i lavoratori nella loro lingua madre. Nei grandi scioperi americani (quello degli operai siderurgici a McKees Rocks o quello degli operai tessili a Lawrence, per esempio) gli scioperanti, un conglomerato eterogeneo delle più svariate nazionalità: francesi, italiani, polacchi, turchi, siriani, ecc., hanno formato sezioni linguistiche distinte, i cui comitati hanno sempre tenuto riunioni congiunte e comunicato simultaneamente le varie proposte a ciascuna sezione nella sua lingua, preservando così l’unità dell’insieme; la qual cose dimostra che, nonostante le difficoltà intrinseche della barriera linguistica, è possibile realizzare una comunità di lotta proletaria molto unita. Voler procedere a una separazione organizzativa tra ciò che unisce la vita, la lotta e i reali interessi delle persone coinvolte - e tale divisione è ciò che il separatismo nazionalistico implica - è talmente contrario alla realtà, sicché il suo successo può essere solo temporaneo.

Questo non vale solo per gli operai di una fabbrica. Per condurre la loro lotta con successo i lavoratori di un intero Paese devono unirsi in un unico sindacato e tutti i suoi membri devono considerare l’avanzamento di ogni gruppo locale come un successo personale. Ciò è tanto più necessario quanto, nel corso degli eventi, la lotta sindacale assume forme più dure. I datori di lavoro si uniscono in cartelli e associazioni padronali: queste ultime non fanno distinzione tra datori di lavoro cechi o tedeschi, poiché raggruppano tutti i datori di lavoro dell’intero Stato e, a volte, si estendono persino oltre i confini dello Stato. Tutti i lavoratori dello stesso mestiere che vivono nello stesso Stato scioperano e subiscono le serrate in comune e, di conseguenza, formano una comunità di destino realmente vissuta. Ciò è di estrema importanza, ben al di sopra di tutte le differenze nazionali. E nel recente movimento dei marinai per l’aumento dei salari, che nell’estate del 1911 si è confrontato con un’associazione internazionale di armatori, si poteva già vedere una comunità internazionale di destino nascere come realtà tangibile.

Lo stesso accade nella lotta politica. Nel “Manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels si può leggere quanto segue: “Anche se non nella sostanza, ma nella forma, la lotta del proletariato con la borghesia è all’inizio una lotta nazionale. Il proletariato di ogni paese deve, naturalmente, prima di tutto risolvere le questioni con la propria borghesia” - 10. In questo passaggio è chiaro che la parola “nazionale” non è usata nel suo senso austriaco, ma nasce dal contesto della situazione dell’Europa occidentale, dove “Stato” e “nazione” sono sinonimi. Questo passaggio significa solo che gli operai inglesi non possono condurre la lotta di classe contro la borghesia francese, né gli operai francesi possono condurre la lotta di classe contro la borghesia inglese, ma che la borghesia inglese e il potere statale inglese possono essere attaccati e sconfitti solo dal proletariato inglese. In Austria, Stato e Nazione sono entità separate. La nazione nasce naturalmente come una comunità di interessi delle classi borghesi. Ma è lo Stato l’autentica e robusta organizzazione della borghesia per proteggere i propri interessi [sottolineatura originale di Pannekoek]. Lo Stato protegge la proprietà, si occupa dell’amministrazione, mantiene in ordine la flotta e l’esercito, riscuote le tasse e tiene sotto controllo le masse.

Le “nazioni” o, più precisamente, le organizzazioni politicamente attive che usano il nome della nazione, cioè i partiti borghesi, non hanno altro scopo che quello di lottare per la conquista di una quota adeguata di influenza sullo Stato, ovvero per la partecipazione al potere statale. Per la grande borghesia, i cui interessi economici abbracciano l’intero Stato e persino altri Paesi, e che ha bisogno di privilegi diretti, dazi doganali, commesse statali e protezione all’estero ecc., è la sua naturale comunità di interessi, piuttosto che la nazione, a definire lo Stato e i suoi limiti. L’apparente indipendenza che il potere statale è riuscito a conservare a lungo grazie ai conflitti tra le nazioni non può nascondere il fatto che esso è stato anche uno strumento al servizio del grande capitale.

Ecco perché il centro di gravità della lotta politica della classe operaia si sta spostando verso lo Stato. Finché la lotta per il potere politico rimarrà una questione secondaria e l’agitazione, la propaganda e la lotta delle idee - che naturalmente devono essere espresse in tutte le lingue - avranno ancora la massima priorità, gli eserciti proletari continueranno a essere separati a livello nazionale durante la lotta politica. In questa prima fase del movimento socialista il compito più importante è quello di liberare i proletari dall’influenza ideologica della piccola borghesia, di strapparli ai partiti borghesi e di educarli alla coscienza di classe. I partiti borghesi, separati tra loro dai confini nazionali, diventano allora i nemici da combattere. Lo Stato appare in questa fase come, in primo luogo, il potere legislativo a cui si possono chiedere leggi per la protezione del proletariato, cosicché la conquista dell’influenza sullo Stato a favore degli interessi proletari viene presentata ai lavoratori appena embrionalmente coscienti come il primo obiettivo dell’azione proletaria. Mentre l’obiettivo finale, ossia la lotta per il socialismo, viene presentato come una lotta per il potere dello Stato contro i partiti borghesi [sottolineature originali di Pannekoek].

Ma quando il partito socialista raggiunge il livello per cui diviene un fattore importante in parlamento, il nostro compito cambia. In parlamento, dove si risolvono tutte le questioni politiche essenziali, il proletariato si confronta con i rappresentanti delle classi borghesi dell’intero Stato. La lotta politica essenziale, a cui il lavoro educativo è sempre più sottoposto e in cui è sempre più integrato, si svolge sul terreno dello Stato. Tale lotta è la stessa per tutti i lavoratori dello Stato, indipendentemente dalla loro nazionalità. La comunità di lotta si estende all’intero proletariato dello Stato, un proletariato per il quale la lotta comune contro lo stesso nemico, contro tutti i partiti borghesi e i loro governi in tutte le nazioni, diventa un destino comune. Non è la nazione, ma lo Stato a determinare per il proletariato i confini della comunità di destino costituita dalla lotta politica parlamentare [sottolineatura originale di Pannekoek]. Finché la propaganda socialista rimarrà l’attività più importante per i ruteni austriaci e russi 11, i due gruppi nazionali saranno strettamente legati. Ma dal momento in cui gli sviluppi raggiungono un punto in cui la vera lotta politica è condotta contro il potere statale - la maggioranza borghese e il suo governo - essi devono prendere strade diverse, e combattere in luoghi diversi con metodi a volte completamente diversi. I primi intervengono a Vienna nel Reichsrat insieme ai lavoratori tirolesi e cechi, mentre i secondi portano avanti la lotta in condizioni di clandestinità o nelle strade di Kiev contro il governo dello zar e i suoi cosacchi. La loro comunità di destino è stata così spezzata.

Tutto ciò si manifesta tanto più chiaramente quanto più il proletariato diventa potente e la sua lotta occupa una parte sempre più ampia del campo della Storia. Il potere statale, insieme a tutti i grandi mezzi di cui dispone, è un feudo delle classi possidenti e il proletariato non può liberarsi, non può sconfiggere il capitalismo se prima non sconfigge questa potente organizzazione. La conquista dell’egemonia politica non è una lotta per il potere statale, è una lotta contro il potere statale. La rivoluzione sociale che sfocerà nel socialismo consiste essenzialmente nella sconfitta del potere statale dopo la lotta con il potere dell’organizzazione proletaria. Per questo essa deve essere realizzata dal proletariato di tutto lo Stato. Si potrebbe dire che questa comune lotta di liberazione contro un comune nemico è l’esperienza più importante di tutta la Storia della vita del proletariato, dal suo risveglio fino alla sua vittoria. Ciò rende la classe operaia di uno stesso Stato, piuttosto che di una stessa nazione, una comunità di destino [sottolineatura originale di Pannekoek]. Solo nell’Europa occidentale, dove Stato e nazione più o meno coincidono, la lotta per l’egemonia politica condotta sul terreno dello Stato nazionale dà origine all’interno del proletariato a comunità di destino che coincidono con le nazioni.

Ma anche in questo caso il carattere internazionale del proletariato si sviluppa rapidamente. I lavoratori dei diversi paesi si scambiano teoria e pratica, metodi di lotta e concetti, e considerano questi argomenti come questioni comuni a tutti. Questo è stato certamente il caso della nascente borghesia: inglesi, francesi e tedeschi nelle loro concezioni economiche e filosofiche furono reciprocamente e profondamente influenzati dal loro scambio di idee. Ma da questo scambio non risultò alcuna comunità perché il loro antagonismo economico li portò a organizzarsi in nazioni reciprocamente ostili. Fu proprio la conquista da parte della borghesia francese della libertà borghese di cui aveva a lungo goduto la borghesia inglese a provocare le aspre guerre napoleoniche. Tali conflitti di interesse sono del tutto assenti nel proletariato e per questo motivo la reciproca influenza intellettuale esercitata dalle classi lavoratrici dei vari paesi può agire senza costrizioni nella formazione di una comunità culturale internazionale. Ma la loro comunità non si limita a questo aspetto. Le lotte, le vittorie e le sconfitte in un paese hanno un impatto profondo sulla lotta di classe in altri paesi. Le lotte condotte dai nostri compagni di classe in altri paesi contro la loro borghesia sono affari nostri non solo sul terreno delle idee, ma anche sul piano materiale [sottolineature originali di Pannekoek]. Fanno parte della nostra lotta e li sentiamo come tali. Lo sanno bene gli operai austriaci, per i quali la Rivoluzione russa fu un episodio decisivo nella loro lotta per il suffragio universale 12. Il proletariato di tutto il mondo si percepisce come un unico esercito [sottolineatura originale di Pannekoek] come una grande associazione, che soltanto per ragioni pratiche è costretta a dividersi in numerosi battaglioni che devono combattere il nemico separatamente, poiché la borghesia è organizzata in Stati e vi sono quindi numerose fortezze da conquistare. Questo è anche il modo in cui la stampa ci informa delle lotte all’estero: gli scioperi dei portuali inglesi, le elezioni belghe e le manifestazioni nelle strade di Budapest interessano tutti quanti alla nostra grande organizzazione di classe. In questo modo la lotta di classe internazionale diventa esperienza comune [sottolineatura originale di Pannekoek] dei lavoratori di tutti i paesi.

 

 

La nazione nello Stato del futuro

Questa concezione del proletariato riflette già le condizioni del futuro ordine sociale in cui gli uomini non conosceranno più gli antagonismi statali. Attraverso il rovesciamento delle rigide organizzazioni statali della borghesia da parte del potere organizzato delle masse proletarie, lo Stato scompare come forza coercitiva e come terreno di dominio così nettamente delimitato rispetto agli analoghi Stati stranieri. Le organizzazioni politiche assumono una nuova funzione: “Il governo delle persone lascia il posto all’amministrazione delle cose”, affermava Engels nel suo celebre Anti-Dühring 13. Per regolare consapevolmente la produzione occorrono organizzazione, organi esecutivi e attività amministrativa, ma una centralizzazione estremamente rigida come quella praticata dallo Stato odierno non è necessaria, né può essere impiegata per perseguire tale obiettivo. Tale centralizzazione lascerà il posto alla piena decentralizzazione e all’autoamministrazione. A seconda delle dimensioni di ciascun settore produttivo le organizzazioni copriranno aree più o meno ampie: mentre il pane, ad esempio, sarà prodotto su scala locale, la produzione dell’acciaio e la gestione delle reti ferroviarie richiederanno entità economiche di dimensioni statali. Ci saranno unità produttive delle più svariate dimensioni, dall’officina, al comune, allo Stato, e persino, per certe industrie particolari, all’intera umanità. Questi gruppi umani che si formano naturalmente, le nazioni, non prenderanno forse il posto degli Stati scomparsi come unità organizzative? Senza dubbio sarà così, per la semplice ragione pratica che si tratta di comunità con la stessa lingua [sottolineatura originaria di Pannekoek] e che tutte le relazioni dell’uomo sono mediate dalla lingua.

Ma Bauer conferisce alle nazioni del futuro un significato totalmente diverso: “Il fatto che il socialismo renda la nazione autonoma, che faccia del suo destino un prodotto della volontà cosciente della nazione, comporterà una crescente differenziazione tra le nazioni della società socialista, una più chiara espressione delle loro specificità, una più chiara distinzione tra i loro rispettivi caratteri” 14. Alcune nazioni, ovviamente, ricevono il contenuto della loro cultura e delle loro idee in vari modi da altre nazioni, ma li accettano solo nel contesto della propria cultura nazionale. “Per questo motivo, l’autonomia della comunità culturale nazionale all’interno del socialismo significa necessariamente, nonostante la diminuzione delle differenze tra i contenuti materiali delle loro culture, una crescente differenziazione tra le culture intellettuali delle nazioni” 15. Così “la nazione basata sulla comunità educativa porta in sé la tendenza all’unità: tutti i suoi figli sono soggetti alla stessa educazione, tutti i suoi membri lavorano insieme nelle officine nazionali, partecipano alla creazione della volontà collettiva della nazione e godono insieme della ricchezza culturale della nazione. Il socialismo porta quindi in sé la garanzia dell’unità della nazione” ” 16. Il capitalismo mostra già la tendenza a rafforzare le differenze nazionali delle masse e a fornire alla nazione una più forte coerenza interna. “Tuttavia, è solo una società socialista che vedrà trionfare questa tendenza. Attraverso le differenze nell’educazione e nei costumi nazionali, la società socialista distinguerà i popoli gli uni dagli altri nella stessa misura in cui oggi le classi colte delle diverse nazioni si distinguono le une dalle altre. All’interno della nazione socialista potranno anche esistere limitate comunità di carattere, ma non potranno esistere comunità culturali autonome all’interno della nazione, perché ogni comunità locale sarà soggetta all’influenza della cultura della nazione nel suo complesso e si impegnerà nell’interazione culturale, nello scambio di idee con l’intera nazione”17.

La concezione espressa in queste frasi non è altro che la trasposizione ideologica del presente austriaco in un futuro socialista. Essa conferisce alle nazioni sotto il socialismo il ruolo che attualmente è svolto dagli Stati, cioè un crescente isolamento dall’esterno e un livellamento interno di tutte le differenze. Tra i molti livelli di unità economiche e amministrative essa attribuisce alle nazioni un rango privilegiato, simile a quello che spetta allo Stato nella concezione dei nostri avversari (i quali lamentano a gran voce la cosiddetta “onnipotenza dello Stato” sotto il socialismo), dato che qui Bauer parla addirittura di “officine nazionali” 18. In ogni caso, mentre gli scritti socialisti fanno sempre riferimento alle officine e ai mezzi di produzione della “comunità” in opposizione a quelli soggetti alla proprietà privata, senza delineare con precisione le dimensioni della comunità, qui la nazione è considerata come l’unica comunità di uomini, autonoma rispetto alle altre nazioni e indifferenziata all’interno dei suoi confini.

Una simile concezione è possibile solo se si abbandona totalmente il terreno materiale da cui sono nate le relazioni reciproche e le idee degli uomini, insistendo soltanto sulle forze mentali quali fattori determinanti. Le differenze nazionali perdono così totalmente le radici economiche che oggi danno loro un vigore così straordinario. Il modo di produzione socialista non sviluppa opposizioni di interessi tra le nazioni, come invece avviene nel modo di produzione borghese. L’unità economica non è né lo Stato né la nazione, ma il mondo. Questo modo di produzione è molto più di una rete di unità produttive nazionali collegate tra loro da un’intelligente politica di comunicazione e da convenzioni internazionali, come la descrive Bauer 19. È un’organizzazione della produzione mondiale in un’unica unità [sottolineatura originale di Pannekoek] e un’impresa comune di tutta l’umanità. In questa comunità mondiale, di cui l’internazionalismo del proletariato è da questo momento già l’inizio, non si può discutere dell’autonomia della nazione tedesca, per fare un esempio, più di quanto non si possa parlare dell’autonomia della Baviera, o della città di Praga, o delle Acciaierie Poldi. Tutti gestiscono parzialmente i propri affari e tutti dipendono dall’insieme, come parti di quell’insieme. L’intera nozione di autonomia deriva dall’era capitalistica, quando le condizioni di dominio hanno portato dialetticamente al loro opposto, cioè alla libertà rispetto a una particolare forma di dominio.

Questa base materiale della collettività, la produzione mondiale organizzata, trasforma il futuro dell’umanità in un’unica comunità di destino. Per le grandi conquiste che si auspicano, ovvero il dominio scientifico e tecnologico di tutta la terra e la sua trasformazione in una magnifica dimora per una razza di signori, felici e orgogliosi della loro vittoria, i quali sono diventati i dominatori della natura e delle sue forze, per tali grandi conquiste - che oggi possiamo a malapena immaginare - i confini degli Stati e dei popoli sono troppo angusti e limitati. La comunità del destino unirà tutta l’umanità in una comunità intellettuale e culturale [sottolineatura originale di Pannekoek]. La diversità linguistica non sarà un ostacolo, poiché ogni comunità umana che manterrà un’effettiva comunicazione con un’altra comunità umana creerà una lingua comune. Senza cercare di esaminare la questione della lingua universale, ci limiteremo a sottolineare che oggi è facile imparare diverse lingue una volta superato il livello di istruzione primaria. Per questo è inutile chiedersi fino a che punto gli attuali confini e le presenti differenze linguistiche siano di natura permanente. Ciò che Bauer dice della nazione nell’ultima frase citata 20, vale quindi per tutta l’umanità: anche se all’interno dell’umanità sussisteranno comunità ristrette di carattere, non potranno esistere comunità indipendenti di cultura, perché ogni comunità locale (e nazionale), senza eccezioni, si troverà, sotto l’influenza della cultura di tutta l’umanità, in comunicazione culturale, in uno scambio di idee, con l’umanità nella sua interezza.

 

 

Le trasformazioni della nazione

La nostra indagine ha dimostrato che sotto il dominio del capitalismo avanzato accompagnato dalla lotta di classe, il proletariato non può essere una forza costruttiva della nazione. Esso non forma una comunità di destino con le classi borghesi, né condivide con queste una comunità di interessi materiali, né una comunità che possa essere quella della cultura intellettuale. I rudimenti di tale comunità, appena abbozzati all’inizio del capitalismo, scompariranno necessariamente con l’ulteriore sviluppo della lotta di classe. Mentre le potenti forze economiche generano l’isolamento nazionale, l’antagonismo nazionale e l’intera ideologia nazionalistica nelle classi borghesi, queste caratteristiche sono assenti tra i proletari. Sono sostituite dalla lotta di classe, che dà alla vita dei proletari il suo contenuto essenziale e crea una comunità internazionale di destino e di carattere in cui le nazioni intese come gruppi linguistici non hanno alcun significato pratico. E poiché il proletariato è l’umanità in divenire, questa comunità costituisce l’alba della comunità economica e culturale di tutta l’umanità sotto il socialismo.

Dobbiamo quindi rispondere affermativamente alla domanda che abbiamo posto sopra: per il proletariato, i fenomeni nazionali non hanno più importanza delle tradizioni? Le loro radici materiali sono sepolte nel passato e non possono essere alimentate dalle esperienze del proletariato [sottolineatura originale di Pannekoek]. Quindi, per il proletariato, la nazione svolge un ruolo simile a quello della religione. Riconosciamo però le loro differenze, nonostante la loro parentela. Le radici materiali degli antagonismi religiosi si perdono in un lontano passato e gli uomini del nostro tempo non ne sanno quasi più nulla. Per questo motivo questi antagonismi sono totalmente scollegati da tutti gli interessi materiali e sembrano dispute puramente astratte su questioni soprannaturali. Le radici materiali degli antagonismi nazionali, invece, sono intorno a noi, nel mondo borghese moderno con cui siamo in costante contatto, e per questo conservano tutta la freschezza e il vigore della giovinezza e sono tanto più influenti quanto più siamo capaci di sentire direttamente gli interessi che esprimono. Ma, proprio perché le loro radici non sono così profonde, esse non hanno la resistenza di un’ideologia pietrificata dal passare dei secoli, resistenza che è poi così difficile da superare.

La nostra indagine ci porta quindi a una concezione completamente diversa da quella di Bauer. Costui immagina, contrariamente al nazionalismo borghese, una continua trasformazione della nazione verso nuove forme e nuovi tipi. Così la nazione tedesca assumerebbe, nel corso della sua storia, sembianze sempre diverse, dal proto-tedesco al futuro membro della società socialista. Sotto queste forme mutevoli, tuttavia, la nazione rimarrebbe sempre la stessa e, anche se alcune nazioni dovranno scomparire e altre sorgere, la nazione sarebbe sempre la struttura di base della società. Secondo le nostre scoperte, invece, la nazione è solo una struttura temporanea e transitoria nella storia dell’evoluzione dell’umanità, una delle numerose forme di organizzazione che si susseguono o che esistono le une accanto alle altre: tribù, popoli, imperi, chiese, comunità di villaggio, Stati ecc. Tra queste forme, la nazione, nella sua particolare natura, è un prodotto della società borghese e scomparirà con quest’ultima. Il desiderio di trovare una “nazione” in tutte le comunità passate e future è artificiale quanto la ferma determinazione di interpretare, secondo la moda degli economisti borghesi, l’intera panoplia di forme economiche passate e future come varie forme di capitalismo e di concepire l’evoluzione del mondo come l’evoluzione del capitalismo, che procederebbe dal “capitale” del selvaggio, ossia il suo arco e le sue frecce, al “capitale” della società socialista.

Questo è il punto debole dell’idea di fondo dell’opera di Bauer, come abbiamo appena sottolineato. Quando dice che la nazione non è un oggetto fisso ma un processo in divenire, in effetti egli implica che la nazione in quanto tale sia permanente ed eterna. Per Bauer la nazione è “il prodotto mai finito di un processo che si ripete in eterno” 21. Per noi, invece, la nazione è un episodio del processo dell’evoluzione umana, un processo che si sviluppa verso l’infinito [sottolineatura originale di Pannekoek]. Per Bauer la nazione costituisce un elemento fondamentale e permanente dell’umanità. La sua teoria è una riflessione sull’intera storia dell’umanità dal punto di vista della nazione [sottolineatura originale di Pannekoek]. Le forme economiche cambiano, le classi emergono e scompaiono, ma questi sono solo cambiamenti della nazione, all’interno della nazione. La nazione rimane l’elemento primario a cui le classi e le loro trasformazioni conferiscono semplicemente un contenuto mutevole. Per questo Bauer esprime le idee e gli obiettivi del socialismo nel linguaggio del nazionalismo e parla di “nazione” laddove altri hanno usato i termini “popolo” e “umanità”: la “nazione”, a causa della proprietà privata dei mezzi di produzione, ha perso il controllo del proprio destino. La “nazione” non ha determinato consapevolmente il proprio destino, ma lo hanno fatto i capitalisti. La “nazione” del futuro diventerà l’artefice del proprio destino e abbiamo già fatto riferimento all’accenno di Bauer alle “officine nazionali”.

 

Bauer è quindi portato a descrivere come nazional-progressiste e nazional-conservatrici le due tendenze opposte della politica: quella del socialismo, orientata verso il futuro, e quella del capitalismo, che cerca di preservare l’ordine economico esistente. Seguendo l’esempio appena citato, si potrebbe benissimo chiamare questo tipo di socialismo “il socialismo della politica capitalistica progressista”.

Il modo in cui Bauer affronta la questione nazionale è una teoria specificamente austriaca, una dottrina dell’evoluzione dell’umanità che poteva nascere solo in Austria, dove le questioni nazionali dominano totalmente la vita pubblica. È una conferma del fatto, e non si tratta qui di stigmatizzarlo, che un ricercatore che padroneggia con tanto successo il metodo della concezione marxista della Storia diventi a sua volta, cedendo all’influenza dell’ambiente circostante, una prova vivente proprio di questa teoria. È solo l’influenza che lo ha posto in tali circostanze che può far progredire la nostra comprensione scientifica fino a questo punto. Insieme al fatto che non siamo macchine logiche pensanti, ma esseri umani che vivono in un mondo che ci obbliga ad avere una piena conoscenza dei problemi che la pratica della lotta ci pone, affidandoci all’esperienza e alla riflessione.

Ma ci sembra che le diverse conclusioni implichino anche diversi concetti filosofici di base. Su cosa convergono tutte le nostre critiche alle concezioni di Bauer? In una diversa valutazione delle forze materiali e intellettuali. Mentre Bauer si basa sul potere indistruttibile dei fenomeni mentali, dell’ideologia come forza indipendente, noi poniamo sempre l’accento sulla sua dipendenza dalle condizioni economiche. Si è poi tentati di considerare questa deviazione dal materialismo marxista alla luce del fatto che Bauer si è rappresentato in varie occasioni come un difensore della filosofia di Kant e figura tra i kantiani. In questo modo la sua opera è una doppia conferma del fatto che il marxismo è un metodo scientifico prezioso e indispensabile.

Solo il marxismo gli ha permesso di enunciare numerosi risultati degni di nota che arricchiscono la nostra comprensione, ed è proprio in quei punti che sono in qualche modo carenti che il suo metodo si allontana maggiormente dalle concezioni materialistiche del marxismo.



1 Per la versione italiana, cfr. Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).

2 Per la versione italiana, cfr. Benjamin Disraeli, conte di Beaconsfield, Sybil o Le due nazioni (Elliot, Roma, 2021).

3 Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).

4 Ibidem.

5 Ecco perché in Europa Occidentale i termini “Stato” e “nazione” sono spesso usati in modo intercambiabile. Il debito dello Stato è chiamato “debito nazionale” e gli interessi della comunità statale sono sempre chiamati “interessi nazionali” [nota originale di Pannekoek].

6 Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).

7 Ibidem.

8 Ibidem.

9 Ferdinand Freiligrath (1810-1876), un poeta e uno dei capi del partito democratico nella rivoluzione tedesca del 1848, collaborò con Marx ed Engels sulle pagine della Neue Rheinische Zeitung. Le sue poesie sono parte integrante del patrimonio culturale della Socialdemocrazia tedesca.

10 Per la versione italiana, cfr. Marx-Engels, “Manifesto del partito comunista” (Ed. Riuniti, Roma, 1977).

11 Ossia gli ucraini, come diremmo oggigiorno.

12 La Rivoluzione russa scatenò la lotta per il suffragio universale in Austria. Dopo un vasto movimento di massa alla fine del 1905 (in cui la socialdemocrazia svolse un ruolo di primo piano), nel gennaio 1907 l’imperatore diede la sua approvazione al progetto di riforma elettorale che imponeva il suffragio universale nel territorio austriaco (che non comprendeva però l’altra parte della duplice monarchia, l’Ungheria o Transleitania).

13 Per l’edizione italiana, cfr. Friedrich Engels, Anti-Dühring (Editori Riuniti, Roma, 1971).

14 Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999)

15 Ibidem.

16 Ibidem.

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 Ibidem.

20 Ibidem.

21 Ibidem.


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