Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin
Prefazione
Questo articolo è stato ricavato principalmente dall’imponente volume di Michael B. Loughlin. Loughlin è Professore di Storia alla Ohio Northern University. Il suo libro su Hervé è di più di mille pagine e questo potrebbe intimidire anche i più voraci lettori di storia del socialismo; tuttavia, il suo libro non è solo una ricostruzione molto dettagliata della vita e del pensiero di Hervé, ma è anche un ottimo spaccato di buona parte della storia della Terza Repubblica francese. Loughlin è sicuramente uno dei massimi conoscitori dell’anarco-reazionario bretone e il suo lavoro è esauriente. Un altro pregio del lavoro di Loughlin è la pressoché tenace imparzialità dell’autore. È ovvio che Loughlin non simpatizzi con il pensiero di destra, soprattutto la destra nazionalista e reazionaria presentata nel libro, ma non per questo si concede facili giudizi su Hervé, anche quando è lo stesso Hervé, nei fatti, ad auto-ridicolizzarsi. Loughlin cerca, riuscendoci, di rimanere un osservatore. Ad ogni modo il libro non è sempre di facile lettura, non perché non sia scritto in modo fluente e chiaro, ma perché da storico Loughlin tende a spezzare spesso il filo cronologico degli eventi prediligendo una narrativa causale. L’estratto a seguire non vuole essere per nessun motivo sostitutivo all’insostituibile ricchezza del lavoro di Loughlin.
Perché Gustave Hervé? Certo nella storia del socialismo vi sono figure ben più interessanti e costruttive, ma quella di Hervé è la storia di una metamorfosi, non poi così rara, dell’attivista politico. Capire Hervé vuol dire contestualizzare Mussolini; anche e soprattutto il Mussolini “socialista”. Capire come fosse eterogeneo e fluido il panorama politico all’interno del movimento operaio. Vuol dire anche puntualizzare come gli avvenimenti del socialismo italiano siano stati spesso, certo non sempre, una conseguenza o addirittura un’emulazione di quelli francesi. Infine, capire Hervé e la sua metamorfosi vuol anche dire immaginare cosa avrebbe potuto essere Mussolini senza lo squadrismo agrario. Hervé è senz’altro un personaggio negativo per il socialismo di allora e di oggi, ma conoscerlo è probabilmente il passo migliore per superarlo e per superare i vari rinnegati come lui.
CESCO
Nacque il 3 gennaio 1871 nella città portuale di Brest nel dipartimento di Finistère in Bretagna. La Bretagna era la regione più povera e arretrata della Francia ma, allo stesso tempo, Finistère era il dipartimento più densamente popolato anche se uno dei meno urbanizzati. Se la città di Brest, pressoché dominata dalla presenza della Marina militare e dall’arsenale, era fortemente repubblicana, il resto del dipartimento di Finistère era rurale, molto conservatore e monarchico.
La madre di Hervé aveva origini contadine e proveniva dal distretto di Léon. Mentre gli avi di Hervé da parte paterna erano marinai da generazioni. Il padre morì nel 1882 quando Hervé aveva solo 11 anni. Nonostante le condizioni molto modeste Hervé, sempre nel 1882, riuscì ad ottenere una borsa di studio per studiare al liceo di Brest che frequentò con eccellenti risultati fino al 1889, quando fu ammesso al Lycée Henri-IV di Parigi, dove si trasferì in preparazione alla École Normale Supérieure. Al Lycée Henri-IV fu compagno di classe di Léon Blum, Marius Roustan e Paul Lapié. Hervé ricordò più tardi che a quel tempo, assieme a Blum, fu “intossicato” dal marxismo. Purtroppo, dopo un anno di frequentazione del Lycée Hervé dovette ritirarsi per sostenere la famiglia. Quindi nell’ottobre del 1890, a 19 anni, incominciò a lavorare come pion [ovvero, letteralmente “pedone”, cioè tirocinante di sostegno] al Lycée Laval a Mayenne. Hervé confessava all’amico, e anch’egli pion, Émile Masson, che si sentiva in quel ruolo davvero un pedone. Ma quel lavoro gli permetteva di mandare soldi, spediva più della metà del suo salario, a casa. Al secondo anno al Lycée Laval si laureò in storia come privatista; quindi, nell’ottobre del 1892 si trasferì al Lycée de Quimper nella capitale di Finistère, ovvero Quimper. Poi passò di ruolo come supplente di Storia al Collège Saint-François de Lesneven a Léon, città natia del nonno materno. Questo era un College ecclesiastico, ovvero, un vero “covo di preti” per usare le parole di Hervé. Come insegnante Hervé suscitava il più grande rispetto, era severo ma capiva gli studenti che lo rispettavano e lo apprezzavano. Alla Storia si aggiunsero gli insegnamenti di Geografia, Filosofia e Retorica. La sua visione critica nei confronti della cristianità e la sua incapacità di compromesso gli costarono il posto a Lesbeven nel settembre del 1894. Tornò ad essere un insegnante di sostegno al Lycée di Saint-Brieuc nella Côté-du-Nord, dove iniziò a prepararsi per l’esame di abilitazione all’insegnamento ovvero l’agrégation, come privatista, cosa più unica che rara. Conclusosi l’anno accademico a Saint-Brieuc, passò, nell’ottobre 1895, al Lycée Lakanal vicino a Sceaux, sempre come pion. Nel gennaio del 1896 riuscì a ottenere una cattedra di Storia presso il Lycée di Sens nel dipartimento di Yonne, dove rimase fino all’ottobre; quindi, si trasferì proprio al Lycée Henri-IV dove aveva brevemente studiato da scolaro, tornando in veste di pion. Nell’estate del 1897 sostenne l’agrégation e in agosto divenne agrégé in Storia e Geografia e fu nominato professore di Storia al Lycée de Rodez nell’Aveyron nell’ottobre del 1897. Nello stesso anno era scoppiato l’affare Dreyfus e un articolo addirittura precedente al celebre J’accuse di Émile Zola fu pubblicato con lo pseudonimo l’Insegnante su Le Réveil di Rodez. Questo fu poi erroneamente attribuito a Hervé, ma in realtà venne scritto da un professore di Retorica, un certo Sarthou, il quale chiese il trasferimento al Lycée de Alençon. Nonostante Hervé non fosse stato l’autore chiese anch’egli, allo stesso tempo, il medesimo trasferimento. Ad Alençon Hervé incominciò il suo attivismo politico, iniziando a insegnare anche all’Università Popolare. Nonostante Alençon fosse una città molto poco politicizzata, Hervé vi inaugurò la prima Associazione Comunista. Nell’aprile 1899 Hervé tornò a Sens, come professore di Storia al Lycée de Sens, appunto, ed è qui che nacque, per usare un’espressione di Scher, l’hervéismo.
Il dipartimento di Yonne, dove è Sens, era il più rurale dell’intera Francia. Hervé si affrettò a istituire un’Università Popolare anche a Sens, per poter istruire gli operai e i contadini che altrimenti non avrebbero avuto accesso al lycée. Hervé si unì subito alla Federazione dei Lavoratori Socialisti, allemanista, ovvero rifacentesi a Jean Allemane. Hervé presto cominciò a palesare posizioni antimilitariste vedendo anche che questi sentimenti erano condivisi dai contadini che si vedevano strappati alle loro terre, per il servizio militare, ed erano fortemente sospettosi degli ufficiali, tutti borghesi. Hervé entrò anche nel partito fondato da Allemane, ovvero il Parti Ouvrier Socialiste Révolutionnaire (POSR). Questo partito, operaista, era forte a Parigi, come nei luoghi tradizionalmente vicini alla Federazione anarchica bakunista del Jura, e Yonne era uno di questi luoghi. La linea politica di Jean Allemane derivava dal possibilismo di Malon e Brousse, ma se ne era distinta per non averne accettato la deriva riformista, e quindi quella allemanista rimaneva anarco-sindacalista, operaista, federalista (alla Proudhon), antiparlamentare, anticlericale, antimilitarista e a favore dello sciopero generale. Secondo la buona tradizione operaista anni ‘80, gli allemanisti non vedevano di buon occhio gli intellettuali. La Federazione allemanista credeva fortemente nel federalismo ed era contraria alla centralizzazione tipica del POF di Guesde e dei Possibilisti; il POSR dava perciò grande autonomia locale. Sulla questione militare gli allemanisti erano per l’abolizione dell’esercito nazionale permanente in favore di un esercito popolare, ma di certo non erano contro la difesa della Francia.
Yonne aveva quindi una forte tradizione allemanista, ma il giornale fondato da Jean Allemane La Réforme Sociale de l’Yonne dovette chiudere già nel 1895 e solo nell’aprile del 1900 un altro giornale allemanista, Le Travailleur Socialiste de Yonne, riprese le stampe e Hervé iniziò subito a contribuirvi. Hervé vi scriveva sotto lo pseudonimo di Sans Patrie producendo pezzi principalmente antimilitaristi. Nell’ottobre del 1900 scrisse per il Le Travailleur Socialiste de Yonne, l’articolo “Aux Conscrits” dove neanche troppo velatamente suggeriva di usare le armi contro i “veri nemici”. Questo gli diede una certa notorietà e nel febbraio 1901 l’articolo fu ripubblicato su Le Pioupiou de l’Yonne[1], quindi in marzo su Le Garde des Sceaux, fin quando la Procura Generale, su imbeccata del Ministro della Guerra, il Generale André, querelò Le Pioupiou de l’Yonne e, nonostante la Procura constatò non ve ne fossero gli estremi, il Ministro di Giustizia decise l’autorizzazione a procedere contro il giornale. Il caso era stato segnalato dall’arcivescovo di Sens, monsignor Émilie Olivier. Quindi anche il Ministro della Pubblica Istruzione volle interrogare Hervé, che non aveva mai ammesso pubblicamente di essere il Sans Patrie. Fu quindi sospeso nel giugno del 1901 dal Consiglio Accademico Disciplinare di Digione, alla cui sospensione fece ricorso. Qualche settimana dopo Hervé pubblicò un articolo su Le Travailleur Socialiste de Yonne, che gli diede la massima notorietà. L’articolo era sull’anniversario di Wagram. In questo articolo Hervé, sempre dietro allo pseudonimo di Sans Patrie, mostrava quanto questa vittoria fosse stata una carneficina, ma l’articolo passò alla storia per una frase, sicuramente malintesa, ovvero “le drapeau dans le fumier”[2] con la quale Hervé si riferiva alla bandiera del reggimento napoleonico ma ovviamente fu intesa la bandiera francese. Siccome questo frainteso gli diede una enorme notorietà, Hervé si guardò bene dal chiarire il significato della frase. Paul Lafargue commentò che Hervé “spara fuochi d'artificio per spaventare gli spettatori”. Sta di fatto che con questa frase Hervé divenne la celebrità del momento. Ed in un articolo in agosto svelò la vera identità che si celava dietro al Sans Patrie. Nonostante lo scalpore suscitato da L’Anniversaire de Wagram, il ministero di Giustizia non riuscì a trovarci nessun appiglio legale da usare contro Hervé, e si dovette limitare alle infrazioni contenute nel Aux Conscrits.
Al processo Hervé fu rappresentato legalmente da Aristide Briand. Briand era ancora un socialista di punta, vicino a Jaurès, e addirittura anche più a sinistra, vicino alle posizioni del sindacalista Fernand Pelloutier sullo sciopero generale. Col senno di poi, vista la carriera politica di Briand, è lecito pensare che prese questo caso come espediente promozionale più che per convincimento. Loughlin riporta nel merito la frase proprio della madre di Fernand Pelloutier ad Augustin Hamon: “Briand è capace di tutto”. Il processo iniziò il 13 novembre 1901. In modo sprezzante Hervé si riferiva al giudice con il titolo di “Presidente” senza menzionarne il cognome, il che suscitò un certo scandalo. Vi furono diverse testimonianze di colleghi, quali il professor Sarthou o Gustave Téry per mostrare le sue doti professionali. Briand chiedeva la piena assoluzione del suo assistito in virtù della libertà di stampa e dei valori della Rivoluzione francese; mentre Hervé chiedeva la sua assoluzione nonostante promettesse di continuare a scrivere contro il militarismo e la guerra. La giuria, quindi, assolse Hervé che donò il risarcimento a Le Pioupiou de l’Yonne. Ma d’altro canto il Consiglio Accademico di Digione fissò l’udienza d’appello per la sua sospensione dall’insegnamento per la fine di novembre, quando fu confermata la sospensione di Hervé per otto mesi con una riduzione di salario a 2/5. Hervé fece appello questa volta alla Corte Superiore di Pubblica Istruzione di Parigi. Anche in questo caso Hervé fu rappresentato da Briand il quale aveva dichiarato l’esistenza di un dossier segreto che era stato mandato illegalmente al Consiglio Accademico di Digione. Briand minacciava di far diventare quindi l’affare Hervé un nuovo affare Dreyfus e quindi il Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione decise di annullare il verdetto del Consiglio Accademico di Digione e di riprocessare Hervé direttamente. Briand si oppose alla decisione di non rimandare il processo al Consiglio Accademico di Digione dove gli mancavano solo due voti per ribaltare la sentenza, ma il Ministro dell’Istruzione si oppose personalmente alla obiezione di Briand. Ancora una volta Hervé perse la causa, il diritto di insegnare e il salario. L’Affaire Hervé ebbe una grande risonanza nazionale che diede immediata celebrità a Hervé e il 13 dicembre 1901 l’Affaire Hervé raggiunse la Camera dei Deputati. Il deputato socialista René Viviani domandò un’interpellanza per l’illegittimità della sentenza, ma ciò non portò a nulla, come a nulla portò l’appello di Hervé al Consiglio di Stato. La celebrità creata dall’Affaire Hervé gli procurò diverse opportunità di collaborazione con i giornali radicali di Parigi. Ma rifiutò di trasferirsi a Parigi alle dipendenze di un giornale anche per motivi di libertà di azione ed espressione: essere legato a tempo pieno a un giornale avrebbe significato scendere a compromessi. Hervé, quindi, divenne una sorta di commesso viaggiatore del socialismo: visitò 400 dei 480 comuni della Yonne tra il 1902 e il 1905, ne ricavò una serie di articoli per Le Travailleur Socialiste intitolata Chez les ruraux. Sicuramente non si arricchì con questi giri che dovevano essere sempre organizzati al risparmio, ma è lecito pensare che grazie ai proventi di giornalista, soprattutto per Le Travailleur Socialiste, riuscisse a mandare anche qualche risparmio a casa. La sua attività di giornalista non si limitava al giornale locale ma a diversi giornali parigini o nazionali, come La Revue de l’Enseignement Primaire, o il celebre La Petite République, e ancora L’Action, L’Aurore e l’anarchico Le Libertarie. A testimonianza della sua febbrile attività nella provincia francese scrisse il “Carnet d’un commis voyageur en socialisme” sempre per Le Travailleur Socialiste.
La crisi del allemanismo portò alla dissoluzione del POSR e alla formazione della Federazione Socialista Autonoma, mentre, nello stesso periodo, tra il 1900 e il 1901, i guesdisti come i blanquisti avevano abbandonato l’Alleanza Socialista scossa dal caso Millerand, per andare a formare il Parti Socialiste de France (PSdF), mentre gli ex-allemanisti della Federazione Socialista Autonoma propesero per il Parti Socialiste Française (PSF) di Jaurès. La prima partecipazione di Hervé ad un Congresso di Partito fu quindi il II Congresso del PSF nel marzo del 1902 a Tours. Hervé partecipò in veste di delegato della Federazione di Yonne e, insieme all’altro delegato Adolphe Lenormand, promosse una mozione per mezzo della quale chiedevano che i ministri socialisti avessero l’approvazione del Partito; in più riproponeva le tesi antimilitariste, anticoloniali e a favore dell’arbitraggio Internazionale. Hervé fu tra i quattordici eletti alla commissione incaricata di redigere i principi del PSF, però argomenti chiave come il ministerialismo e la questione antimilitarista non furono ancora affrontati. Alla pubblicazione della seconda uscita de Le Pioupiou de l’Yonne, un mese dopo la conclusione del processo sul primo numero, si aprì un altro iter giudiziario, sempre rappresentato per la difesa da Briand, ma che evitava di coinvolgere Hervé. Il 6 febbraio 1902 finalmente Le Pioupiou vinse la causa. Ma il Governo poco tollerava il materiale fortemente antimilitarista contento ne Le Pioupiou, che, se scampò due processi per i numeri III e IV, non poté evitare il processo per il numero V, uscito nel novembre del 1903. Anche in questo caso Hervé fu fra gli imputati e Briand ne fu l’avvocato difensore per l’ultima volta. Gli imputati furono assolti e il caso ebbe l’effetto indesiderato di fare una grande pubblicità alle tesi antimilitariste, tanto che Hervé aveva commentato «Le Pioupiou de l’Yonne avrebbe avuto molto meno effetto se il Ministro della Guerra non avesse fatto del suo meglio a farci così tanta pubblicità». Inoltre, Hervé dichiarò più tardi che Le Pioupiou V lo trasformò da antimilitarista patriota ad antimilitarista anti-patriota.
Nell’aprile del 1903 si tenne a Bordeaux il Congresso del PSF al quale Hervé partecipò essendone uno dei protagonisti. Quello di Hervé fu un attacco alla presenza di Millerand, per via della deriva di destra del suo riformismo, nel Partito. La posizione di Hervé però non era una di intransigenza rivoluzionaria, ma poneva il problema dal punto di vista dei riformisti stessi. Il riformismo veniva screditato dall’operato e dalla presenza di Millerand. Secondo Hervé i riformisti avrebbero favorito l’espulsione di Millerand anche più dei rivoluzionari. Se Millerand stesso difese il suo operato in modo molto individuale e poco convincente, il vero difensore del riformismo collaborazionista fu Jaurès. Per Jaurès l’esercito andava conquistato dall’interno e non certo con la propaganda eccessiva, imprudente e con le false generalizzazioni dei rivoluzionari che avevano l’effetto di scoraggiare chi un domani avrebbe potuto arruolarsi nella milizia popolare. Quindi la mozione di Jaurès di censurare Millerand ma non espellerlo, prevalse con 109 voti a 89. Questa di Jaurès fu però una vittoria di Pirro. Infatti, Millerand verrà poi espulso in dicembre, 8 mesi dopo il Congresso. Nonostante ciò, la Federazione di Yonne con quella di Somme, avevano lasciato il PSF e così anche Hervé vi si trovò fuori. Alcuni gruppi della Federazione di Yonne entrarono nel partito guesdista, il PSdF, e Hervé vide opportuno seguirli, ma alla riunione della Federazione Autonoma di Yonne tenutasi in aprile ad Auxerre, Hervé trovò una maggioranza contraria all’ingresso nel partito di Guesde, noto per le sue posizioni intransigenti contro l’anarchismo, il sindacalismo e qualsiasi socialismo non interno al suo Partito. Hervé non riuscì a convincere la maggioranza della Federazione che, essendo di tradizione allemanista volle rimanere autonoma, e perse l’opportunità di andare al Congresso dell’Internazionale di Amsterdam dove avrebbe voluto promuovere le sue visioni antimilitariste e antipatriottiche. Invece si concentrò sull’interrogazione parlamentare sulla sua pubblicazione di un libro di storia, L’Historie de la France et de l’Europe, l’Enseignement Pacifique per l’Historie, avvenuta un anno prima. L’interrogazione era fissata nel giugno del 1904. Hervé rimase particolarmente amareggiato dal fatto che i deputati socialisti non avessero difeso la sua pubblicazione alla Camera e ne scaturì una polemica sulla neofondata L’Humanité, dove Jaurès precisava di non aver nessuna intenzione di difendere una frase in qualsiasi libro ma di difendere la libertà di insegnare la versione socialista della storia, accusando Hervé di egocentrismo, biasimandolo di lamentarsi per non aver ricevuto la pubblicità che si aspettava. Ad ogni modo molti osservarono quanto l’antipatriottismo di Hervé contenesse elementi patriottici. In aggiunta all’interpellanza si sommò la causa legale del Ministro della Guerra contro Le Pioupiou VII, che per ben sedici volte aveva rigettato questa ipotesi per evitare pubblicità alla famigerata rivista. Ma questa volta il Ministro della Guerra aveva visto l’opportunità di eliminare la rivista per sempre.
Mentre il Congresso di Amsterdam aveva luogo, Hervé continuò a spingere l’adesione della Federazione di Yonne al PSdF e nei fatti, dopo l’espulsione di Millerand, della sua unificazione con il PSF. In ottobre cinque gruppi della Federazione di Yonne entrarono nel PSdF. Intanto Hervé fu anche eletto rappresentante delle Federazioni di Bretagna, Herault, Nord, Somme e Yonne nella Commissione di Unificazione Nazionale. La causa contro Le Pioupiou VII fu archiviata.
Nel novembre del 1904 pubblicò una serie di articoli su Le Travailleur Socialiste sul collettivismo, sempre sotto forma di dialogo tra un agrario scettico e un lavoratore socialista. Questo dialogo richiamava temi di propaganda in voga a quel tempo. Quindi in dicembre prese parte alla riunione della Commissione di Unificazione Nazionale, che univa il POSR, il PSF, il PSdF e diverse federazioni autonome e, come membro di sei in una sottocommissione, redasse il Patto di Unione del 30 dicembre 1904. Nella prima parte del 1905 fu impegnato in un altro giro nella Somme. Quindi il 23 aprile partecipò al Congresso di unificazione al Globe Hall di Parigi dove venne fondato il partito socialista francese con il nome di Section française de l’internationale Ouvrière (SFIO). Hervé non si limitò a celebrare il momento storico ma partì subito a testa bassa con i suoi cavalli di battaglia, ovvero lo sciopero dei riservisti in caso di mobilitazione e il solito antimilitarismo e antipatriottismo. René Viviani si affrettò a specificare su L’Humanité che queste erano opinioni personali non necessariamente condivise dal partito. Hervé replicò su Le Travailleur Socialiste con un articolo intitolato “Gli internazionalisti patrioti”. Jaurès assente per motivi di salute alla discussione congressuale, in maggio replicò a Hervé notando che i socialisti stavano abbandonando la SFIO per via della linea politica assurda e paradossale di Hervé. Jaurès faceva notare che l’Internazionale stessa aveva abbandonato la linea dello sciopero militare. Quindi pochi giorni dopo, in occasione di una riunione organizzata dal Comitato Repubblicano-socialista sulla questione “Socialismo e la Nazione”, i due si poterono confrontare faccia a faccia. Jaurès accettava che Hervé avesse il diritto di stare nella SFIO ma puntualizzava che non poteva concordare con le sue idee, le quali erano estreme, eccessive, false e pericolose solo per le menti deboli, mentre per il resto erano una occasione di confronto e verifica delle idee del partito. Jaurès: «Bene, in questo ideale umano realizzato […] le Nazioni andrebbero a scomparire? Certamente le Nazioni scomparirebbero come forze di sfida, esclusività, e oppressione reciproca, ma sopravviverebbero in due modi e in due forme. In primo luogo, come accumulazione del genio originale, il paradiso comunista di domani sarebbe specialmente povero se monotono, ma erediterà molto nell’armonizzare la diversità del genio nazionale».
In più per Jaurès il mondo socialista sarebbe stato troppo complesso per essere guidato da una burocrazia globale centralizzata, il socialismo sarebbe stato più una federazione di nazioni. La scomparsa delle nazioni secondo Jaurès avrebbe generato, in una società socialista, una burocrazia centralizzata proprio come temuto dagli anarchici. Jaurès continuò quindi che l’appartenenza a una nazione non era una scelta e che Hervé se non avesse combattuto contro gli inglesi, gli italiani o i bavaresi avrebbe combattuto contro i russi e i turchi; questo per sottolineare come Jaurès si riferisse alla componente culturale quando parlava di nazione. Jaurès poi acutamente accusava Hervé di predicare lo sciopero dei riservisti, invece di quello dei coscritti.
Hervé esordì riconoscendo la superiore abilità oratoria di Jaurès, dopodiché lo accusò, anche se in buona fede, di aver completamente frainteso il suo punto di vista. Hervé puntualizzò che le sue idee provenivano direttamente dai lavoratori operai e contadini della Yonne, gente che non aveva mai letto Marx. Jaurès si contraddiceva, secondo Hervé, quando sottoscriveva le idee di lotta di classe e allo stesso tempo di collaborazione di classe in difesa della nazione e che distinzioni tra guerre offensive e difensive non avevano alcun senso. Per Hervé questi socialisti si avvolgevano nella bandiera mostrando solo il rosso, ma quando i voti dei radicali erano incerti, questi socialisti dispiegavano tutta la bandiera, mostrando così i loro veri colori. Per Hervé ancora la sola guerra plausibile per i socialisti era la guerre sociale. Portando il caso della Alsazia-Lorena puntualizzava che l’occupazione tedesca non era un problema per chi non possedeva nulla, come i lavoratori, che non avrebbero perso la loro lingua o le loro libertà politiche come la libertà di stampa. Poi Hervé spiegò che il suo sciopero dei riservisti era diviso in tre fasi. In caso di guerra la prima fase coinvolgeva i coscritti e i riservisti nelle caserme, la seconda i riservisti a casa, e la terza avrebbe avuto luogo quando solo i gendarmi sarebbero rimasti sul campo di battaglia mentre i lavoratori avrebbero iniziato la rivoluzione sociale. In chiusura di questa riunione l’anarchico Libertad[3] fece un breve discorso giudicandoli entrambi patrioti, ma convenendo con Jaurès che se Hervé fosse davvero contro la guerra avrebbe dovuto predicare per la diserzione dei soldati in tempo di pace e non lasciare che i giovani facessero due anni di leva. Nonostante questo, in altri dibattiti Jaurès venne spesso accusato di non ripudiare completamente le posizioni di Hervé. Ma per Jaurès la libertà di espressione nel partito era la cosa più importante. Il 24 giugno 1905 Hervé annunciò la pubblicazione della sua nuova opera Leur Patrie con la quale voleva finalmente essere preso seriamente. In questo libro spiegava il processo di formazione di un patriota e come era possibile invertire tale processo, tale era un processo di educazione. Secondo Hervé la Francia andava vista come una matrigna crudele, piuttosto che una madre benevola del popolo. Se la Germania avesse conquistato la Francia non sarebbe cambiato molto, in quanto il capitalismo, gli interventi militari, le cariche della polizia sarebbero state le stesse. I lavoratori avrebbero continuato a leggere giornali socialisti, a organizzarsi in sindacati, a fare sciopero, ad essere picchiati e presi a fucilate dalle forze dell’ordine. Non si poteva distinguere tra guerra offensiva e difensiva. La Revue de l’Enseignement Primaire recensì con entusiasmo Leur Patrie anche se il suo editore per paura di ripercussioni annullò il suo contratto di collaborazione. La posizione di Hervé fu presa da Jaurès, cosa che fece infuriare il rivoluzionario bretone, che accusò il primo di aver orchestrato la sostituzione, accusa in realtà infondata che Jaurès rigettò con forza.
Nello stesso periodo Hervé aveva passato gli esami di giurisprudenza ed era anche ufficialmente entrato nella Associazione Internazionale degli Antimilitaristi (AIA), associazione fondata l’anno prima ad Amsterdam da Domela Nieuwenhuis ma originata tra gli anarchici francesi. Anche se anarchici eccellenti come George Mathias (detto Paraf-Javal) e Joseph Albert (detto Libertad) non vi aderirono perché l’AIA non prevedeva il mandato di diserzione. Era rappresentata da delegati di nove paesi con l’evidente assenza di delegati tedeschi. Hervé non aveva partecipato alla riunione di Amsterdam. Il Comitato Nazionale dell’AIA aveva preso sede a Parigi ed era presieduto da Almereyda[4] probabilmente il numero di membri a livello nazionale si aggirava attorno ai 3000 ed erano principalmente ventenni. Marsiglia era la vera roccaforte degli antimilitaristi dell’AIA. L’Anarchie, giornale di Libertad, fu molto critico nei confronti dell’AIA per la sua struttura rigida e per l’ammissione di un neo-patriota, come il giornale considerava Hervé, nelle sue fila.
Un altro fenomeno interessante e importante fu l’avvicinamento della Confédération Générale du Travail (CGT) al movimento e quindi all’Associazione antimilitarista. Nel 1905 questa tendenza sindacale era in crescita ma raggiungerà l’apice solo tra il Congresso di Amiens del 1906 e quello di Marsiglia del 1908. Ma siccome lo sciopero dei riservisti era un punto chiave, l’influenza sui sindacati e le Bourses du Travail aveva una rilevanza centrale. Dopo il suo discusso ingresso nell’AIA Hervé presenziò il Congresso di Saint-Étienne nel luglio del 1905. Qui fu deciso di scrivere un manifesto che, al contrario di quanto fu poi scritto e pensato, vedeva Hervé come contributore minore. Méric e Almereyda ne furono i principali autori. Al Congresso si discusse e si rigettò la componete diserzionista. In più era Hervé riuscito a trovare il tempo per pubblicare un altro libro, Instruction Civique. Questo testo trattava di riforme politiche come l’eliminazione del Presidente della Repubblica in favore del Presidente del Consiglio e l’abolizione del Senato. Sempre nell’estate del 1905 Hervé si trasferì a Parigi.
Nella notte del 6 ottobre 1905 un manifesto inneggiante ai “Conscrits […]” fu attaccato sui muri di Parigi e di altre città. Ciò passò alla storia con il nome di Affiche Rouge. In breve, il manifesto invocava i coscritti alla leva alla disobbedienza e tra i firmatari c’era il nome di Gustave Hervé. La stampa conservatrice, come anche il Prefetto di Polizia, vollero la rimozione immediata dei manifesti e l’arresto dei firmatari, in linea con le disposizioni del Ministro degli Interni. Due giorni dopo l’affissione del manifesto partì la procedura legale e il 13 Hervé fu raggiunto dall’avviso di comparizione. Dopo aver fatto giuramento di fronte alla Corte di Appello di Parigi il 18 ottobre, Hervé aveva fatto richiesta di ammissione all’ordine degli avvocati, richiesta che fu rigettata per le sue posizioni sovversive. Hervé, che non riceveva grande pubblicità da parte della SFIO, decise d’intraprendere un giro prima che iniziasse il processo, fissato per il 26 di dicembre 1905. Diverse personalità politiche e intellettuali testimoniarono in difesa degli accusati, tra questi vi fu Briand, ma fra tutti svettò Jaurès. Malgrado Jaurès rigettasse il messaggio del manifesto perché contrario ai suoi principi, non poteva non difendere il fatto che gli autori avevano sollevato una questione importante come quella dell’uso di truppe contro gli scioperanti. La sua difesa però trovò dei contrasti tra gli accusati stessi come Almereyda e Georges Yvetot, al tempo co-segretario della AIA e leder della Fédération des Bourses de Travail, quindi della CGT. Ma l’avvocato della pubblica accusa, Seligman, non voleva ridurre il caso a un mero crimine di opinione, ma ad “istigazione all’omicidio, alla disobbedienza e all’insurrezione”, reati che sarebbero rientrati nelle famose lois scélérates del 1893. Hervé fu chiamato alla sbarra il 29 di dicembre, difese le sue posizioni antimilitariste, in sintesi, dicendo che i lavoratori socialisti avrebbero piuttosto difeso la nazione socialista già presente nelle loro menti che la nazione francese della borghesia. Il verdetto fu pesante con 25 condanne, due assoluzioni e due sconti di pena. Hervé prese quattro anni sui cinque possibili e una multa di cento franchi. Hervé ne sembrò soddisfatto in quanto ne usciva come il principale condannato, e anche perché probabilmente vi era sentore che la pena sarebbe stata annullata. Vi furono diverse manifestazioni di protesta contro il verdetto. Nel febbraio del 1906 un manifesto antimilitarista con 2000 firme fu affisso sui muri di Parigi. In una riunione segreta della CGT tenutasi nel gennaio del 1906, si decise di far circolare un altro manifesto “Guerre à la Guerre”. Mentre Hervé era in carcere vi fu un’ondata di scioperi non necessariamente legata al caso dell’Affiche Rouge. Clemenceau, ministro degli interni, dopo aver cercato il dialogo con gli scioperanti si orientò verso una politica repressiva, con l’intenzione di perseguire l’antimilitarismo preventivamente, anche prima che si commettessero reati. In concomitanza con la chiusura dell’affare Dreyfus, il 12 luglio 1906, con l’assoluzione del povero Alfred, anche Hervé, due giorni più tardi, fu rilasciato di prigione, grazie all’amnistia. Subito dopo la sua scarcerazione Hervé fu anche ammesso nell’ordine degli avvocati e già nell’agosto iniziò la sua carriera difendendo dei lavoratori scioperanti e antimilitaristi. Quindi partecipò al Congresso della SFIO tenutosi a Limoges a novembre. Qui ripropose le sue idee di antimilitarismo e antipatriottismo. La mozione di Hervé, che voleva ripudiare il patriottismo borghese in favore dello sciopero militare e dell’insurrezione sociale, fu bocciata. Guesde la considerava senza senso, accusando l’hervéismo di essere controrivoluzionario in quanto disorganizzava la difesa del paese più socialista. Vaillant ammetteva uno sciopero generale in caso di guerra ma non militare in quanto l’aggressore doveva essere respinto. Jaurès considerava quelle di Hervé “nulla più che idee oscurantiste dei contadini della Yonne”. La mozione di Vaillant e Jaurès ebbe la maggioranza ma si divideva in due parti: una, la quale prevedeva nel caso di minaccia esterna il dovere della classe lavoratrice a difendersi anche cercando la cooperazione internazionale e disarmando la borghesia, che trovava il favore di Guesde; un’altra, la quale prevedeva dimostrazioni di vario tipo incluso lo sciopero generale nel caso di guerra, aveva il favore di Hervé. Ma l’ordine del giorno verteva principalmente sul fatto che la CGT aveva sottoscritto la Carta di Amiens dove dichiarava la sua indipendenza da ogni partito politico. La posizione di Guesde era la solita: che il partito avesse la precedenza sul sindacato e che i socialisti potevano operarvi, ma come socialisti. Quindi che il sindacato fosse subordinato al partito. Vaillant e Jaurès erano dell’idea che le due organizzazioni potessero coesistere senza subordinare l’una all’altra, rispettando la loro indipendenza reciproca. Hervé considerava la Carta di Amiens come una giustificazione per delle forze rivoluzionarie di operare al di fuori del Partito secondo la pura linea sindacalista-rivoluzionaria.
Già durante il Congresso dell’AIA tenutosi a Saint-Étienne un anno prima, si era discussa l’ipotesi di fondare un giornale, organo dell’Associazione, ma prevalse la posizione di Almereyda di stilare un manifesto, che fu poi l’Affiche Rouge. Una volta in carcere Henri Fabre, Merle, Almereyda e Méric, riconsiderarono l’idea del giornale, che si sarebbe chiamato La Guerre Sociale. Negli anni l’iniziativa di fondare il giornale e il nome fu attribuita a Hervé, anche perché questi ne vantava i meriti, ma sta di fatto che gli anarchici dell’AIA dovettero fare una notevole opera di convincimento per avere il contributo di Hervé. Hervé però presto ne divenne il vero e proprio “Generale”. Nonostante la stragrande maggioranza del mercato pubblicistico fosse in mano a les quatre grands, ovvero Le Petit Journal, Le Petit Parisien, Le Journal e Le Matin, La Guerre Sociale usò formati o introdusse idee innovative per catturare l’attenzione dei lettori. Le Petit Journal, per esempio, aveva introdotto i faits divers (i fatti di cronaca) e romans-feuilletons (romanzi a puntate) che gli avevano portato un largo successo. La Guerre Sociale, nonostante il dichiarato impegno politico, non disdegnò l’uso di questi due espedienti per aumentare la sua popolarità, certo selezionando fatti di cronaca principalmente incentrati su eventi inerenti la lotta di classe. In più La Guerre Sociale non si poneva come giornale esclusivamente socialista o anarchico, ma era principalmente vicino al sindacalismo rivoluzionario, con tendenze antiparlamentari. Hervé come giornalista aveva delle doti innegabili, anche se per alcuni era un produttore di frasi fatte, usava infatti parole ad effetto, come: bombe, fuoco, facce rotte, impiccagione figurata di ufficiali e politici ai lampioni e, nonostante vi siano prove che abborrisse la violenza fisica, molti suoi seguaci non si fermavano alla sola violenza verbale. Il vantaggio di un giornale come La Guerre Sociale su uno come L’Humanité era il carattere meno dottrinario anche se, politicamente, pure il guesdista Le Socialiste catturava lettori più a sinistra del giornale di Jaurès. È probabile che La Guerre Sociale attingesse anche da fondi poco nobili provenienti dal clero e dai monarchici tesi a destabilizzare la Repubblica, o da milionari antimilitaristi come André Bruckère o l’anarchico russo, il barone Frédéric Stackelberg. Le donazioni ammontavano al 15% delle entrate. La Guerre Sociale faceva anche uso, come altri giornali, della pubblicità.
Nel 1907 l’opera antimilitarista all’interno della CGT si infittì anche grazie a Georges Yvetot e la minaccia antimilitarista entrò alla Camera dei deputati. Si infittì anche l’impegno di Hervé come avvocato difensore, principalmente, degli antimilitaristi, e in quel clima scoppiò la crisi del Midi. Nella provincia del Midi nel marzo 1907 si accese una mobilitazione popolare, capeggiata da un proprietario di un caffè e piccolo produttore di vino, Marcellin Albert detto “cicala”, che raccolse 87 produttori esasperati per le troppe tasse, i debiti e i mutui. Presto questo divenne un movimento importante e in maggio aveva organizzato dimostrazioni in varie città come: Béziers, Carcassonne, Montpellier e Perpignan. Quindi in giugno più di 700.000 dimostranti si trovarono a Montpellier dove si separò nei quattro dipartimenti della Languedoc. I dimostranti bloccarono la ferrovia, il 20 luglio fu proclamato lo stato d’assedio a Narbonne e l’esercito negli scontri uccise cinque persone. È in questa atmosfera che il 17o reggimento si ammutinò a Béziers. Clemenceau quindi prese la situazione nelle sue mani facendo approvare una legge antifrode per venire incontro ai produttori, ma allo stesso tempo fece incarcerare parecchi dimostranti. Poi in puro stile clemenceauniano compromise Marcellin Albert ricevendolo a Parigi e rimborsandogli le spese, facendolo passare come un colluso sulla stampa, ma ancora attuò uno sconto retroattivo delle tasse, estinguendo i disordini. Ma ciò che conta fu l’atteggiamento de La Guerre Sociale, la quale dapprima era contro i produttori per la campagna contro l’alcolismo e la loro mancanza di solidarietà nei riguardi dei soldati, quindi, quando scoppiò la ribellione del 101o reggimento e del 17o reggimento vi fu un’inversione di tendenza. La rivolta del 17o divenne un cavallo di battaglia de La Guerre Sociale. Gli antimilitaristi attorno a La Guerre Sociale organizzarono una dimostrazione per l’arrivo di Clemenceau e Picquart al grido di “À Narbonne!” e “Vive le 17e!”.
Nell’agosto 1907 si tenne il congresso della SFIO a Nancy, dove come a Limoges la maggioranza votò la mozione della Federazione della Seine. Secondo Jaurès per sviluppare il socialismo le nazioni avrebbero dovuto mantenere la loro unicità ed indipendenza. Guesde si oppose fermamente alle tesi anti-militariste e anti-patriottiche di Hervé, spiegando che se la Germania fosse stata attaccata, i socialisti tedeschi l’avrebbero difesa, e nel caso in cui la Francia fosse stata attaccata e i socialisti non avrebbero fatto nulla si sarebbero macchiati di alto tradimento. Quindi Jaurès definì Hervé un abile manipolatore di parole che confondeva la gente:
«Fammiti dire, non so se questo è un bisogno per te o una disposizione particolare, ma tu possiedi il genio dei fraintendimenti… (risate). Qualcuno potrebbe dire che ti applichi – e ci riesci quasi sempre – nel far sembrare quello che dici diverso da quello che stai dicendo. Al rischio di offenderti e rubarti uno dei gioielli più brillanti della tua corona, che la stampa borghese ti ha messo in testa… (ancora risate), devo dirti che tu non hai mai detto che fosse necessario piantare la bandiera francese in un mucchio di letame. Non l’hai mai detto. Voglio presentare al parlamento e ai tuoi avversari, la creazione di una giuria di letterati per certificare che tu hai detto il contrario… (Hervé fa segno di no), Ma si, Hervé […]. Il modo in cui hanno celebrato l’anniversario di Wagram, come era appropriato celebrare la bandiera per questo anniversario, tu ti sei indignato, scandalizzato, hai detto: ‘come possiamo scegliere, perché scegliere la data dell’anniversario di un abominevole massacro cesareo per celebrare la bandiera, mentre nelle sue pieghe sono scritte i nomi gloriosi di battaglie combattute per la libertà?’ (Bene! Bene!) In questo modo, era per proteggere la maestosità della bandiera che hai scritto il tuo articolo. (approvazioni) e hai detto: ‘Se questo tipo di cose accade, se convocate uomini a commemorare massacri abominevoli che hanno disonorato la bandiera, è come piantarla in un mucchio di letame’, e il tuo articolo mi ha ricordato il sermone di un prete spagnolo, il quale rimproverava gli uomini che andavano all’altare subito dopo un’orgia, dicendo: ‘È lo stesso di gettare Dio su un mucchio di letame’… Quella era la protesta di una coscienza religiosa fuori di sé dallo scandalo, ed è la religione ferita della bandiera che tu protesti (risate) […] Hai provato a rammendare le cose, per aggiustare le parti, una settimana dopo, e il “rompipiatti” diventò il “raccomodatore di maioliche” … (applausi e risate) [… e se la Germania avesse dichiarato guerra] In questo caso, non sarebbe il dovere dei socialisti di difendere l’indipendenza nazionale? Cosa faresti Hervé? Sono convinto che, per dovere socialista e rivoluzionario, difenderesti, assieme ai tuoi amici, l’indipendenza nazionale.» Ad un certo punto Hervé infastidito esclamò «E allora ascolta me Jaurès!», al ché questi si alzò facendo il saluto militare esclamando «Mi dica, Caporale!» facendo scoppiare ilarità per tutta la sala. Nonostante Nancy fu il trionfo di Jaurès, Hervé era contento che le sue idee avevano ricevuto così tanta attenzione.
Queste questioni furono riprese a Stoccarda al VII Congresso dell’Internazionale nell’agosto del 1907, e questo può essere considerato l’apice dell’hervéismo in campo internazionale. Hervé a Stoccarda ripeteva il suo antimilitarismo, l’indipendenza del sindacato e il superamento del parlamentarismo socialista. Bebel che rifiutava le tesi di Hervé allo stesso tempo non voleva appoggiare la proposta Vaillant-Jaurès che, in ultima analisi, concedeva troppo a Hervé. Per Bebel l’idea di sopprimere la guerra per mezzo dello sciopero generale era tanto strampalata quanto quella di sopprimere il capitalismo per mezzo dello sciopero generale. Per Jaurès l’Internazionale Socialista doveva fare qualsiasi cosa per impedire la guerra. Al Congresso Lenin annotò sul suo diario: “Anche se Hervé ha mostrato di essere frivolo… [e] superficiale, … sarebbe estremamente miope rispondergli con una mera esposizione dogmatica delle verità generali del socialismo. Vollmar in particolare è caduto in quell’errore e Bebel e Guesde non ne erano interamente privi. […] Vollmar ha attaccato Hervé senza notare che la sua stessa miopia e il suo indurito opportunismo lo costringono a riconoscere la vitalità dell’hervéismo malgrado le assurdità teoriche e la sciocca maniera con la quale Hervé stesso presenta la questione. Qualche volta accade che ad un punto di svolta di un movimento, un’assurdità teorica copra una verità pratica”. Lenin intendeva, con verità pratica, che la classe lavoratrice non poteva identificare i propri interessi con quelli delle varie borghesie belligeranti ma poteva usare la crisi creata dalla guerra a suo vantaggio. Bebel quindi, come Guesde, optò nel considerare la lotta al militarismo come la lotta al capitalismo. Lenin e Rosa Luxemburg invece volevano collegare alla guerra l’opportunità rivoluzionaria, quindi utilizzare lo sciopero, l’insurrezione non per cessare la guerra, ma per attuare la rivoluzione. Alla fine, la risoluzione di Stoccarda fu un connubio di tutte le proposte. Non per nulla Hervé descrisse il Congresso di Stoccarda come una vittoria, mentre nella SFIO cresceva il malcontento per la mancanza di una dura reazione da parte di Jaurès nei confronti di Hervé, che intanto predicava l’organisation de combat in tutti gli eserciti. Jaurès al suo ritorno da Stoccarda nel parlare ai lavoratori al Tivoli-Vauxhall ammise: «Non sono imbarazzato a riconoscere che è in parte per merito di Hervé, al quale dobbiamo che la questione sia stata posta con tale chiarezza e brutalità [… ma Hervé] non ha sufficientemente considerato la realtà delle nazionalità […] e l’autonomia delle nazioni». Al che Hervé rispose alla gremita Salle des Sociétés Savantes qualche giorno dopo, che Jaurès riconosceva del buono in tanto cattivo, dopo aver chiamato per anni l’hervéismo vile, terra-terra, ripugnante e reazionario, ora Jaurès accettava lo sciopero generale e l’insurrezione. Forse ai tedeschi toccherà un po’ di tempo in più vedere la stessa cosa, ironizzava il bretone. Intanto nel dicembre del 1907 per aver paragonato i soldati dell’esercito francese “ladri armati” riferendosi alla campagna del Marocco, fu condannato. La accusa nei suoi confronti era di diffamazione e ingiurie nei riguardi dell’esercito. Nonostante il discorso di difesa di un’ora, che riprendeva il celebre J’accuse di Zola e la richiesta del “massimo della pena” coma a Zola, la giuria condannò Hervé a un anno di prigione e 3000 franchi di multa. Anche Almereyda e Merle furono condannati a quattro anni, pena ridotta a due anni e 500 franchi di multa, per aver esortato i soldati alla disobbedienza. La multa fu molto salata e l’amico di gioventù Masson si premurò di mandare 25 franchi al mese a madame Dijonneau. Hervé fece appello e nel gennaio 1908 fu chiamato alla sbarra, cosa che lo fece depennare dall’albo degli avvocati. Hervé ripose con una lettera pubblicata da L’Humanité, e fece appello alla sua cancellazione dall’albo. Ironicamente l’attuale Ministro di Giustizia, Aristide Briand, era stato l’apostolo dello sciopero generale e l’avvocato difensore di Hervé. L’appello venne rigettato e in febbraio Hervé entro in prigione.
Sempre all’inizio del 1908 La Guerre Sociale incominciò a sussidiare la formazione di un giornale a Torino, chiamato La Guerra Sociale, con alla direzione Ugo Nanni e Alfredo Polledro [5]. Questo doveva essere l’organo dell’hervésmo italiano. Iniziò con una circolazione di 10.000 copie. A La Guerra Sociale contribuirono, tra gli altri, il venticinquenne Benito Mussolini, e Robert Michels. Nel giugno del 1908 Hervé recensì le Réflexions sur la violence di Georges Sorel. Hervé concordava con Sorel che il sindacalismo promuoveva i valori di battaglia e di solidarietà tra i lavoratori, ma non era d’accordo sull’idea sorelliana che i miti, oltre essere elementi “capacitanti”, avrebbero attratto da soli il popolo verso la rivoluzione. Per Hervé il libro di Sorel era troppo esoterico e conteneva l’equivoco tra direzione elitaria e spontaneità delle masse. Nella seconda parte del 1908, una serie di articoli di Almereyda ripeteva che in caso di mobilitazione i rivoluzionari dovevano opporsi con lo sciopero generale e l’insubordinazione militare, ovvero una insurrezione. Intanto nell’estate del 1908 iniziarono gli scioperi dei lavoratori edili a Parigi che portarono agli scontri e agli eccidi di Draveil (due morti). La Guerre Sociale accusò L’Humanité di essere ripugnante per invocare la calma, Hervé si spinse in un parallelismo, orribile, scrivendo che preferiva l’atteggiamento del nazionalista, antisemita, di Louis Gregori che aveva assalito il povero Dreyfus durante il trasferimento di Zola al Pantheon, violenza che i lavoratori dovevano emulare. In questo periodo l’influenza di Hervé era cresciuta anche all’interno della CGT. La corrente degli ultra era guidata da Georges Yvetot e Émile Janvion, che erano infatti hervéisti, e gli eventi di Draveil inasprirono le divisioni all’interno della CGT. Se la frazione degli ultra voleva rispondere alle violenze del governo con lo sciopero generale, la frazione politique più pro-riformista voleva negoziare anche perché consapevole della possibile ritorsione del governo, ma infine la CGT optò per lo sciopero. Le dimostrazioni continuarono e sfociarono nel bagno di sangue di Villeneuve-Saint-Georges, con quattro morti e 200 feriti. Clemenceau fece arrestare i principali leader della CGT, Griffuelhes, leader della frazione politique, Pouget, Yvetot, per “aver causato” il massacro di Villeneuve-Saint-Georges. Nonostante questo potesse sembrare l’apice dell’hervéismo, in un certo senso era anche la sua fine, dato che lo sciopero generale era fallito e la CGT era stata decimata. Al Congresso di Marsiglia, nell’ottobre del 1908, la leadership politique era oramai dimezzata e la frazione degli ultra, hérveista, con Janvion dominò il Congresso. Pochi giorni dopo il Congresso di Tolosa della SFIO vide il trionfo dei riformisti e solo grazie all’intercessione di Vaillant gli hérveisti non furono espulsi dal Partito. Hervé ancora in prigione non aveva potuto partecipare di persona al Congresso e ne rimase molto insoddisfatto per gli esiti.
Hervé uscì quindi di prigione il 18 novembre 1908 e già il 25 era impegnato in un dibattito con Jaurès al Tivoli-Vauxhall, moderato da Vaillant. Hervé ricordava che era entrato nella SFIO da allemanista, ma ora che la sua frazione non era più rispettata nel Partito, la scissione sarebbe stata inevitabile. Nel marzo del 1909 una serie di scioperi dei lavoratori delle poste interessò tutta la Francia. Il 19 marzo la Camera dei deputati condannò lo sciopero per 104 voti su 578. La Guerre Sociale predicava la minaccia del sabotaggio, e quando i lavoratori delle poste tornarono al lavoro senza perdere il posto La Guerre Sociale si convinse che la sua minaccia aveva funzionato, e il 31 marzo La Guerre Sociale intitolava “Par Le Sabotage Et L’Emeute!” (“Attraverso il sabotaggio e la sommossa!”). In maggio però scattarono i licenziamenti quindi i lavoratori delle poste votarono per lo sciopero generale. Hervé incitò altre categorie ad unirsi allo sciopero, ma questo avvenne solo parzialmente. Molti lavoratori delle poste non parteciparono allo sciopero per paura delle ripercussioni, che non mancarono per quelli che vi avevano partecipato. Mentre Jaurès cercava di spiegare che lo sciopero generale non era l’unica arma di lotta, Hervé continuava a predicare il sabotaggio e l’insurrezione. La Guerre Sociale, quindi, incominciò ad enfatizzare l’importanza delle organisations de combat, per organizzare i sabotaggi che invocava apertamente sulle sue pagine. Hervé biasimava un po’ tutti a questo punto: i riformisti, i leader della CGT e lo stesso Ufficio Telegrafico Centrale. Mentre per L’Humanité spesso i sabotaggi erano eseguiti dalle forze dell’ordine come atti provocatori.
Al Congresso della SFIO di Saint-Étienne nell’aprile 1909, Hervé era pronto a fare riaffermare la frazione hervéista, ma, al contrario, molte federazioni chiesero la sua espulsione e nonostante l’aspro trattamento ricevuto soprattutto da Guesde, riuscì almeno a riaffermare la sua corrente come la terza nel Partito. Intanto in luglio a Clemenceau succedette Briand e sempre in luglio in Spagna la sconfitta di una colonna dell’esercito spagnolo in Marocco e la conseguente chiamata alle armi di riservisti fece scoppiare una rivolta a Barcellona. Il Governo spagnolo, alla ricerca di un capro espiatorio, incolpò il filantropo Francisco Ferrer, fondatore della Escuela Moderna, senza uno straccio di prova del suo coinvolgimento nella rivolta. La Guerre Sociale fece molta pubblicità al caso, soprattutto dopo la cattura di Ferrer e la sua condanna a morte. Hervé aveva addirittura conosciuto Ferrer personalmente a Barcellona tre mesi prima della rivolta. Un Comitato di Difesa delle Vittime della Repressione Spagnola fu formato in Francia con la presenza dell’ex-comunardo Alfred Naquet e con Charles-Albert[6] come segretario: quest’ultimo aveva collaborato con Ferrer. Nel comitato vi erano altri nomi eccellenti come quelli di Anatole France, Pëtr Kropotkin, Séverine[7], Amilcare Cipriani e gli hervéisti più in vista, come Hervé stesso, Méric, Merle e Almereyda. Il 18 settembre vi fu una riunione affollatissima al Tivoli-Vauxhall in favore di Ferrer. Il povero Ferrer però fu fucilato il 13 ottobre e questo provocò una dimostrazione, probabilmente di 40.000 persone, davanti l’ambasciata di Spagna. Vi si precipitarono anche Jaurès e Vaillant. Vi furono scontri e furono sparati colpi di pistola. I disordini iniziarono soprattutto per una voce, falsa, che Hervé aveva sparato a una guardia municipale. Durarono fino all’una del mattino. La Guerre Sociale invocò una seconda dimostrazione per il 17 di ottobre. A questa seconda dimostrazione parteciparono 100.000 persone e fu totalmente pacifica, tanto che La Guerre Sociale sentì l’esigenza di scusarsi con i suoi lettori, mentre L’Humanité ne fu entusiasta. Dopo il caso Ferrer La Guerre Sociale s’imbarcò in una vicenda molto meno nobile: l’anarchico Liabeuf, coinvolto in una disputa tra sue amanti, venne fermato da due gendarmi uccidendone uno e ferendone un altro, ma La Guerre Sociale focalizzò l’attenzione sull’aggressione della polizia di un onesto lavoratore. Gli articoli contro la polizia fecero aprire un’inchiesta contro Hervé. Hervé sembrava voler scrivere articoli che scioccassero a sufficienza per tenere in vita l’hervéismo. Hervé, sempre in modo eclatante, dichiarò che avrebbe trasformato il processo in un’inchiesta contro la polizia e se questo era un crimine sarebbe stato contento di prendere cinque anni. Il giudice fu più generoso e la sentenza fu di quattro anni e 1.000 franchi di multa, gli hervéisti in aula gridarono: «Abbasso i maiali! … Lunga vita al Socialismo!». Alla esecuzione di Liabeuf i toni e le proteste divennero sempre più aspri. La Guerre Sociale suggeriva, nei suoi articoli, che il Presidente Fallière dovesse essere assassinato. Hervé entro in carcere nel marzo 1910.
Lo sciopero dei ferrovieri dell’ottobre 1910 ebbe una grande influenza sul cambio di linea politica di Hervé. I ferrovieri scioperavano per un aumento salariale e un turno più corto. Ma l’opposizione di Clemenceau e Briand fu molto dura e portò a usare l’espediente di richiamare i ferrovieri riservisti per poterli poi mettere davanti alla corte marziale. Nel tempo il leader del sindacato dei ferrovieri Eugène Guérard si era spostato sempre più da posizioni allemaniste, ovvero sindacaliste rivoluzionare a posizioni riformiste e fu anche al centro di uno scandalo per appropriazione indebita di fondi e quando rimosso fu sostituito da una direzione collettiva. Gli hervéisti furono strumentali nella rimozione del ex-allemanista. Questo e altri accadimenti resero i sindacati dei ferrovieri particolarmente ostruzionisti. Quindi nel settembre 1910 quando uno dei leader, Renault, cominciò a parlare, in tono hervéista, di sabotaggio fu prontamente licenziato, e di conseguenza fu indetto uno sciopero generale di 24 ore per protestare contro il licenziamento di Renault. Allo sciopero seguirono gli arresti dei principali leader sindacali. E le truppe occuparono le case cantoniere delle ferrovie. Nel frattempo La Guerre Sociale era diventato il principale organo del Comitato Centrale dei ferrovieri. I casi di sabotaggio furono molto numerosi nell’ottobre del 1910. Quando il governo scoprì il ruolo attivo de La Guerre Sociale dietro i sabotaggi, trasferì Hervé da una prigionia politica, relativamente moderata, ad una di criminali comuni, ovvero in condizioni decisamente più dure. Hervé minacciò addirittura lo sciopero della fame se il suo status di prigioniero politico non fosse stato ristabilito. La politica di licenziamenti di massa e richiamo dei riservisti spezzò lo sciopero. Il 13 di ottobre i leader del Comitato Centrale dello sciopero furono arrestati negli uffici de L’Humanité così come furono arrestati anche gli editori de L’Humanité e de La Guerre Sociale, inclusi Almereyda e Merle. Domenica 16 lo sciopero fu dichiarato cessato da Briand. Quindi malgrado gli sforzi de La Guerre Sociale lo sciopero era terminato in meno di una settimana. Dopo la famigerata frase di Briand alla Camera su qualsiasi mezzo, anche illegale, per cessare lo sciopero, il suo governo cadde. Nonostante l’impegno in prima linea di Hervé e La Guerre Sociale nello sciopero la sua sconfitta determinò l’inizio della rettificazione di Hervé. Questo periodo vide anche la circolazione più alta de La Guerre Sociale. Intanto in febbraio la SPD annunciò che in caso di attacco avrebbe supportato la difesa della Germania, ciò fece annunciare a Hervé il suo nuovo militarisme révolutionnaire. E nell’ aprile un giornale sindacalista La Battaille Syndicaliste della CGT determinava una chiara competizione per La Guerra Sociale, molti giornalisti de La Guerre Sociale passarono al nuovo giornale. Quasi parallelamente le vicende dello sciopero dei ferrovieri avvennero quelli della Campagna Aernoult-Rousset.
La Campagna Aernoult-Rousset è importante perché rappresenta il vecchio modo di far sensazionalismo di sinistra da parte de La Guerre Sociale, come dell’attivismo che diventa da antimilitarista a militarismo rivoluzionario, almeno a parole. La Campagna Aernoult-Rousset conduce, anche grazie allo scotto del fallimento dello sciopero dei ferrovieri, nel “disarmo degli odii” professato dall’estate del 1911 da Hervé; per non parlare poi, dell’indurimento delle condizioni carcerarie subite da Hervé proprio per le posizioni prese durante questi due avvenimenti, che sicuramente lo cambiarono profondamente. Prigioniero militare Albert Aernoult fu assassinato, in Algeria, a causa delle percosse ricevute dalle guardie, quindi Émile Rousset, un altro prigioniero, rivelò i maltrattamenti con delle lettere inviate a Le Matin, alla fine del 1909, poi quando la notizia della condanna a Rousset per violazione del codice militare trapelò, nel febbraio 1910, la sinistra si mobilitò. La Campagna per Aernoult e Rousset fu quindi portata avanti da Le Comité de Defese Sociale (CDS) un gruppo di militanti di sinistra pressoché anarchici e sindacalisti. In particolare da René de Marmande giornalista de La Guerre Sociale vicino appunto alla CDS, e dall’hervéista Émile Trissier il segretario del CDS. Per Hervé il caso Aernoult-Rousset poteva essere un nuovo affare Laibeuf. Nell’aprile 1910 il CDS mandò de Marmande a investigare in Algeria. Sempre nel 1910 un paio di manifesti contro Biribi[8] furono pubblicati da La Guerre Sociale e condussero ad una procedura giudiziaria nel luglio, contro il giornale, che portò però alla piena assoluzione. Nel novembre 1910 Thuillier ebbe il mandato di andare in Algeria a rimpiazzare de Marmande e alla riunione di febbraio 1911 Thuillier sostituì alla segreteria l’hervéista Tissier, fu allora che molti attaccarono le nuove idee di Hervé. Infatti ormai Hervé orientava le sue idee verso il militarismo rivoluzionario. Il CDS iniziò una campagna mirata al Ministro della Guerra per graziare Rousset, il quale, Ministro della Guerra Betreaux graziò quindi Rousset nell’aprile del 1911, ma questi fu mandato in una zona di combattimento in Marocco. Poi in settembre, Rousset fu accusato di omicidio di un suo commilitone a Médéa. Il CDS mandò subito un inviato in Algeria per indagare, ma nel frattempo Rousset fu condannato a 25 anni di lavoro forzato, determinando il Secondo Affare Rousset. La SFIO, ormai, non riponeva più fiducia sulla integrità di Rousset, anche se La Guerre Sociale lo continuava a difendere a spada tratta. Il funerale di Aernoult alla fine si tenne in Francia nel febbraio del 1912 ma non servì a chiudere la faccenda. Nel luglio del 1912 l’Alta Corte d’Appello, che in febbraio aveva ribaltato la sentenza del dicembre 1911, rimise il caso Rousset nelle mani dei militari, quindi Millerand decise di chiedere al Generale in capo in Algeria, Leguay, di giudicare sulla regolarità dell’inchiesta nei confronti di Rousset. Il Generale Leguay chiuse il caso, lavandosene le mani, rimettendolo in libertà nel settembre 1912.
Hervé aveva promosso il militarismo rivoluzionario ormai dall’inizio del 1911 e il disarmo degli odii dall’estate dello stesso anno. Quindi se da un lato veniva attaccato dai leader sindacalisti, Jouhaux, Griffeulhes, e Yvetot per il suo estremismo, dato il militarismo rivoluzionario, dall’altro Hervé stava migrando verso il riformismo, con il disarmo degli odii. Quando gli hervéisti lasciarono il CDS, i sindacalisti ne presero il controllo iniziando una campagna contro le posizioni ormai reazionarie e nazionaliste de La Guerre Sociale sul rivale La Battallie Syndicaliste. La SFIO non disdegnò di usare il cambio di rotta di Hervé per aumentare la sua influenza nella CGT. È sintomatico che un sindacalista di vecchia data come Yvetot già dagli inizi del 1911, quindi appena dopo il fallimento dello sciopero dei ferrovieri, percepito il cambio di rotta di Hervé e di conseguenza, aveva prontamente rotto ogni relazione con questo.
Al Congresso di Nimes sulla questione della legge sulle pensioni Guesde, Lafargue e Hervé si trovarono d’accordo nel non accettarla, perché secondo loro questo era un pretesto per abbassare indirettamente i salari, e contro il fatto che il fondo-pensioni fosse amministrato dallo Stato. Mentre per Jaurés questa era una riforma importante per i lavoratori, per Hervé questo era il trionfo del millerandismo. Al Congresso di Copenaghen il sostegno di James Keir Hardie a Vaillant sull’uso dello sciopero generale e dell’insurrezione per prevenire la guerra fu un concreto avvicinamento alle tesi di Hervé in opposizione alla SPD. Mentre Hervé era in prigione la formazione della falange “Jeunes Gardes Révolutionnaire” fu principalmente opera di Almereyda. La polizia riconduceva le Jeunes Gardes Révolutionnaire a Hervé come il Parti Révolutionnaire e le organisations de combat o l’Association des Malfaitures. Secondo alcune indiscrezioni le Jeunes Gardes Révolutionnaire erano però state formate con la complicità della polizia stessa per contrastare i Camelots du Roi, una formazione monarchica. Intanto le Jeunes Gardes Révolutionnaire fecero la loro prima apparizione pubblica il 1° maggio 1911, determinando scontri con le forze dell’ordine. Hervé vedeva le Jeunes Gardes Révolutionnaire come l’inizio del suo militarismo rivoluzionario. Quando alla fine delle celebrazioni si recarono di fronte alla Prigione di Saint Lazare, vi furono nuovi scontri con la polizia provocando molti feriti tra le forze dell’ordine. La guerriglia proseguì nei mesi a seguire contro i monarchici dei Camelots du Roi, i quali si organizzarono e gli scontri proseguirono. In giugno in questo clima di tensione e guerriglia Hervé annunciò la creazione del Service de Sûreté Révolutionnaire, sempre organizzato da Almereyda, per contrastare gli infiltrati da parte della polizia nelle Jeunes Gardes Révolutionnaire. Il Service de Sûreté Révolutionnaire scoprì effettivamente due spie e allestì una sorta di tribunale pubblicando la confessione dei due su La Guerre Sociale. Questo portò anche a Métivier, che aveva guidato un sindacato allo sciopero di Draveil nel 1908, apparentemente in combutta con Clemenceau. Questo scandalo fu utilizzato da Caillaux per screditare Clemenceau, cosa che Le Tigre gli fece pagare con gli interessi nel 1917. Nonostante il nome Service de Sûreté Révolutionnaire questo era in effetti un gruppo di giornalisti de La Guerre Sociale in cerca di notizie, che servì al suo scopo creando un gran ritorno al giornale.
Ogni volta che le sue critiche tramite i suoi articoli scritti dal carcere prendevano di mira il governo, Hervé subiva trasferimenti e restrizioni. In più un altro procedimento si andava a sommare quello per apologia di reato riferito al suo articolo Vers la conquête de la rue difendendo la violenza dei lavoratori e delle sue Jeunes Gardes Révolutionnaire. Anche L’Humanité denunciò le restrizioni carcerarie inflitte a Hervé. Hervé fu condannato a due anni di reclusione e 1.000 franchi di multa, da sommarsi alla sua precedente pena. Hervé nel gennaio 1912 era nuovamente davanti al giudice per un altro articolo Attila au Moroc che dipingeva i francesi come ladri e assassini: gli vennero aggiunti altri 3 mesi di reclusione e 500 franchi di multa. Non si può pensare che il carcere non contribuì a cambiare Hervé. Dall’ottobre 1911 iniziò a parlare di désarmement des haines, il disarmo degli odii, ovvero una grande coalizione di sinistra. Ora Hervé si era convinto che la guerra non poteva essere prevenuta, perché il regime del terrore avrebbe sopraffatto la rivolta. Il 24 settembre 1911, SFIO, CGT e anarchici avevano organizzato una manifestazione contro la guerra e per Hervé questa era il désarmement des haines in atto. Hervé iniziò a precisare che l’antipatriottismo era stato un errore pedagogico. Questi segni di rettificazione fecero abbandonare La Guerre Sociale a diversi anarchici, dato che molti incominciavano a pensare che l’hervéismo fosse stato solo un bluff. In marzo 1912 Hervé pubblicò Mes Crimes una raccolta dei suoi articoli incriminati, e le sue recenti giustificazioni, chiamando l’hervéismo un esasperato pacifismo.
Per la ricorrenza della Festa della Repubblica del 1912, il 14 luglio, ovvero la Presa della Bastiglia nel 1789, Hervé fu amnistiato. Rispondendo con un titolo dissacrante: “Et Je Vous Dis: Merde!”, tuttavia Hervé usciva dal carcere cambiato. Aveva rinunciato ormai all’attacco frontale al socialismo parlamentare perché non sarebbe servito a preparare la Repubblica Sociale, anche se la pistola era meglio del voto, a detta sua; quindi, il disarmo degli odii tra frazioni serviva per formare un Blocco tra SFIO e CGT, e magari includendo i Radicali, contro il cesarismo e la guerra. La sua nuova politica era un militarismo rivoluzionario e la legge Berry-Millerand che mandava i soldati antimilitaristi in esilio poteva esserne una prova. Nell’estate del 1912 Paul Vigné d’Octon lasciò La Guerre Sociale per andare a La Bataille Syndicaliste, Francis Delaisi, esperto finanziario de La Guerre Sociale, fu licenziato perché non allineato col nuovo corso di Hervé. Delaisi recriminava a Hervé di voler combinare l’insurrezionalismo con la democrazia, e la rivoluzione con il Blocco, l’internazionalismo al patriottismo, e l’azione diretta con quella parlamentare. La prima uscita pubblica di Hervé dopo i tre anni di prigione fu alla Salle Wagram il 25 settembre 1912, in occasione della partenza della nuova classe alla leva. Ma gli anarchici della Fédération Communiste Anarchiste crearono disordini per impedire il suo discorso; quindi, intervennero le Jeunes Gardes Révolutionnaires e vi furono diversi feriti negli scontri. Ma il discorso di Hervé era un deciso ritiro dall’antipatriottismo e dall’antiparlamentarismo, sostenendo che la rivoluzione era possibile solo se i lavoratori avessero conquistato l’esercito. Quindi i lavoratori non dovevano disertare, ma piuttosto diventare ufficiali. La riunione della Salle Wagram fu una profonda umiliazione per Hervé e probabilmente la fine ufficiale dell’hervéismo. In occasione della festa di ritorno in libertà di Hervé, organizzata dalla Federazione della Yonne, in settembre, Almereyda annunciò il suo ingresso nella SFIO, perché l’Entente Révolutionnaire era fallita, così anche altri anarchici, come Goldsky, Merle e Tissier entrarono nella SFIO. Nell’ultima parte del 1912 si impegnò in un giro in varie città francesi, dove fu, in alcune occasioni, disturbato dagli anarchici. In particolare, a Londra invitato dalla Syndacalist Union League, fu attaccato da Errico Malatesta. In novembre il Bureau della Internazionale Socialista gli chiese di parlare a Roma in merito al rischio della guerra, ma invece di essere in grado di partecipare alla manifestazione pacifista organizzata da l’Avanti!, fu arrestato e portato al carcere di Regina Coeli e quindi espulso dal Regno. Ovviamente la stampa borghese francese fece di questo episodio grande ironia: “M. Hervé ha scoperto in Italia che la Repubblica ha qualcosa di buono dopotutto”. Al Congresso della SFIO in preparazione del Congresso straordinario di Basilea, Hervé chiese una Commissione Internazionale che si assicurasse che ogni paese avesse una cellula rivoluzionaria all’interno dei rispettivi eserciti, ma le sue idee non furono prese in considerazione e quindi Hervé sostenne la posizione di Jaurès. A Basilea Hervé non tenne discorsi ufficiali che furono tutti per la prevenzione della guerra, ma come Jaurès anche Hervé dubitò che questo potesse essere sufficiente. Hervé non era convinto che tutti i partiti firmatari avrebbero rispettato la dichiarazione di Basilea. In occasione dello sciopero generale contro la guerra organizzato dalla CGT per il 16 dicembre 1912, Hervé, anche se poco convinto, appoggiò la CGT in questa iniziativa per, a sua detta, non essere disonorati, ma la partecipazione fu bassa e questo Hervé lo lesse come una mancanza di coordinamento con la SFIO. Ma il sindacalismo dal 1911 in poi si era fortemente indebolito e andrà addirittura a dimezzarsi alla vigilia della Prima guerra mondiale.
All’inizio del 1913 Hervé ammise che il suo cambio di tattica aveva avuto ripercussioni finanziarie su La Guerre Sociale. In febbraio tenne un discorso a Saint-Étienne sul concetto del disarmo degli odii. Nel marzo del 1913 questo evolvette ancor più nell’esigenza di un Blocco comprendente anche i Radicali. Nel suo libro La Conquête de l’Armée, Hervé spiegava le ragioni dell’esigenza di un nuovo Blocco. Sempre in marzo Briand introdusse la Legge di tre anni di leva che trovò la forte opposizione della SFIO, incluso Hervé. Il 13 luglio fu organizzata un’enorme manifestazione contro la Legge dei tre anni, ma Hervé non fu tra gli oratori. Hervé entrò in forte polemica con la CGT alla quale chiedeva di entrare nella SFIO come i sindacati tedeschi avevano fatto con la SPD. Intanto Almereyda e Merle avevano lasciato La Guerre Sociale per dirigere Le Courrier Européen e quindi fondare Le Bonnet Rouge. Questo nuovo giornale era sotto la completa influenza del presidente del Consiglio Joseph Caillaux, dunque un giornale anti-Clemenceau. Quindi, sempre nel marzo del 1913, al Congresso della SFIO di Brest, la sua città natale, era ormai chiaro che Hervé non giocasse più un ruolo centrale. Durante questo Congresso presentò le sue idee sull’intesa che doveva stabilirsi tra Francia e Germania per sistemare la questione dell’Alsazia e della Lorena, vero punto chiave per Hervé al fine di evitare la guerra. Pubblicò sempre nello stesso periodo il libro L’Alsace-Lorraine. Il libro una volta tradotto in tedesco, fu rigettato dalla SPD, invitando Hervé a cercare altrove le cause della guerra.
Intanto la politica bloccarda di Hervé trovò forti contrasti da parte dei guesdisti, anche se per Hervé era stata la dottrina della SPD precedente al 1904 a distruggere il Blocco. In preparazione delle elezioni del 1914, Hervé ammoniva che il Blocco per funzionare doveva risultare attendibile per dei Radicali, invitando quindi i socialisti a non allearsi con il clero o i monarchici. I Radicali con cui allearsi dovevano essere solo quelli della sinistra. In settembre Hervé ebbe un grande successo al Congresso dei Giovani Laici, che includeva Jaurès, Combes e Anatole France. Il suo discorso sul riavvicinamento tra Francia e Germania sulla questione dell’Alsazia e della Lorena fu ben ricevuto così come i Radicali sembravano favorevoli all’idea del Blocco. Contro il rifiuto formale del Blocco da parte di Guesde, Hervé argomentò che Marx sarebbe stato a sua volta bloccardo, paventando d’altro canto il tentativo bloccardo della destra. Ma il nuovo governo Doumergue-Caillaux non seguì il programma bloccardo dei Radicali. Nel gennaio del 1914 al Congresso della SFIO di Amines, Hervé proclamò la fine delle frazioni nel partito, dato che di fatto solo i guesdisti erano ancora frazionisti. Le sue posizioni furono ancora fortemente bloccarde. In febbraio il suo antimilitarismo era diventato lo sforzo di migliorare l’esercito, così come oramai rigettava la lotta di classe universale, perché i contadini, così come la piccola borghesia e alcuni elementi della classe media, mostravano una naturale benevolenza. Infine, sempre in febbraio 1914, Hervé attaccò i minatori per voler scioperare all’interno dei loro sindacati ormai assai disgregati. Ma in aprile senza l’appoggio de L’Humanité o de La Bataile Syndicaliste, organizzò una dimostrazione contro Briand che ebbe scarso successo: era indubbio che oramai, nel maggio del 1914, Hervé richiamasse pochissimo seguito. Quando l’Arciduca Francesco Ferdinando fu assassinato a Sarajevo, Hervé non dette troppo peso alla vicenda. Al Congresso straordinario di Parigi a metà luglio, Hervé fu contrario alla mozione Vaillant-Jaurès perché lo sciopero generale sarebbe stato un bluff, ricordando alla SFIO che questa mozione hervéista era stata sempre rigettata dal partito. Il 28 luglio La Guerre Sociale, uscì con “A Bas La Guerre!”, il 29 con “Ni Insurrection! Ni Grève Générale! A Bas La Guerre!”, il 30 la svolta con “Les Socialiste Et La Patrie En Danger”, e il 31 finalmente con “La Patrie En Danger”.
Appena tornato dalla riunione del Bureau Internazionale Socialista a Bruxelles, Jaurès si recò al palazzo del Governo dove incontrò il Primo Ministro Viviani che lo rassicurò che la Francia avrebbe cercato di evitare provocazioni. Quindi il giorno seguente si recò dal Ministro dell’Interno Jean-Louis Malvy e quindi da Ferry, minacciando (secondo il racconto dello stesso Ferry) di scrivere un nuovo J’accuse per il giorno seguente che avrebbe denunciato il Governo per essersi lasciato trascinare in guerra dalla Russia, mentre nel suo articolo dello stesso giorno chiedeva ai lavoratori di mantenere la calma, ma alle dieci di sera venne assassinato al Café du Croissant. Hervé apprese dell’assassinio direttamente da una Jeune Garde che corse negli uffici de La Guerre Sociale, molto vicino al Café, che era pieno di compagni di Jaurès, così come di giornalisti di altre testate. Infatti, Émile Tissier, amico di Hervé, così come Almereyda, erano presenti durante l’assassinio. Sembra che Almereyda subito dopo l’assassinio di Jaurès si recò dal Ministro dell’Interno Malvy, per evitare l’entrata in vigore del Carnet B, apparentemente promettendo al Ministro che i “rossi” sarebbero stati buoni se non fossero stati arrestati sotto la giurisdizione del Carnet B. Alla fine solo 59 sovversivi, su 2.500 del Carnet B furono arrestati per insurrezione, in grande maggioranza stranieri. Secondo Méric, se Hervé avesse chiamato all’insurrezione, questa avrebbe danneggiato non poco la mobilitazione francese, ma Hervé ormai, aveva cambiato linea e idea politica. Entrambi, Hervé e Almereyda, decisero di dare la notizia con un risvolto patriottico di difesa della Francia. La Guerre sociale intitolava la sua prima pagina del 1° agosto 1914, “Défense National d’abord! Ils ont assassiné Jaurès, Nous n’assassinerons pas la France”, ovvero “Difesa Nazionale innanzitutto ! Hanno ucciso Jaurès, Noi non assassineremo la Francia”. Il 2 agosto quando la Germania invase il Luxemburgo e il Belgio, Hervé scrisse al Ministro della Guerra di voler essere arruolato nonostante la forte miopia e i suoi quarantatré anni. Come lui anche l’altro ex-antimilitarista di punta, Almereyda chiese di essere arruolato, ma entrambi erano troppo preziosi per la propaganda pro-bellica. Il 4 agosto, il giorno dopo la dichiarazione di guerra della Germania alla Francia, Hervé uscì con un articolo in memoria di Jaurès, sottolineando che avrebbe dovuto essere contento di non dover vedere il momentaneo crollo del loro sogno di pace universale. Per Trotsky, a Parigi al momento dello scoppio della guerra, Hervé era un “buffone pseudo-rivoluzionario”, una “banderuola […] che prende la mira in un istante senza aver mai caricato il colpo”. Intanto già dopo i primi mesi di guerra l’ex-antimilitarista, insurrezionalista, era diventato un “jusqu’au boutiste”, ovvero, un oltranzista. Nonostante ciò l’ex-antimilitarista destava diffidenza tra la stampa di estrema destra, che lo credeva un doppiogiochista, amico dei tedeschi. L’immagine probabilmente più accurata del servizio che Hervé rese alla patria durante la guerra fu quella scritta nelle sue memorie da Raymond Poincaré: “Nella storia della Prima Guerra Mondiale, il nome di Gustave Hervé generalmente evoca ‘le bourrage de crâne’ (n.d.t, ‘il riempimento del cranio’, ovvero ‘il lavaggio del cervello’) e fanfara patriottica”. Altra opinione inequivocabile del giornale di Hervé durante la guerra è quella del suo amico di gioventù, l’anarchico Émile Masson, il quale scrive che i suoi giornali erano “i simboli consapevoli e calcolati del cretinismo popolare”, “Li leggevo, in particolare ‘La Garce Sociale’[9] […] un minuto prima di pulirmici il culo”. Masson e Hervé avevano smesso di capirsi già dagli inizi del 1913.
Il Presidente Raymond Poincaré il 4 agosto, in risposta alla dichiarazione di Guerra della Germania, tenne un celeberrimo discorso alla Camera dei Deputati e al Senato dove spiegava che la Francia era nel giusto, si doveva difendere e dovevano essere tutti i suoi figli (ovvero i cittadini) a difenderla. Nessuno poteva quindi distruggere questa l’Union Sacrée (Sacra Unione) di fronte all’aggressione nemica. Chiedeva in pratica di mettere da parte i vari colori politici e unirsi nello sforzo bellico contro l’aggressione tedesca. Non deve essere sottovalutata la suggestione che l’Union Sacrée giocò su Hervé, come su molti altri. Dal 6 agosto 1914 La Guerre Sociale divenne un quotidiano di due pagine. Attorno a metà luglio 1914 Hervé incominciò a esprimere la sua ammirazione per Clemenceau. Hervé indirizzò la sua attenzione anche verso i paesi neutrali, come l’Italia, con una serie di editoriali su La Guerre Sociale, come A Ponce-Pilate, socialiste italien del 24 settembre 1914, quindi Le deuxième a Ponce-Pilate del 1° ottobre, il Silence aux eunuques del 4 ottobre e La troisième a Ponce-Pilate, del 6 ottobre[10]. Poi quando Mussolini si unì a Corradini, de Ambris e Bissolati, ecco che Hervé ormai li considerava “i veri capi” del socialismo e del sindacalismo italiano. In particolare Hervé era entusiasta di Mussolini, che aveva lasciato quel giornale di eunuchi socialisti. Anche interessante notare che la prima menzione che Hervé fa del socialismo nazionale è in un appello dell’aprile 1915 ai socialisti italiani per cessare la loro neutralità. È analizzando la scissione all’interno della SPD che Hervé sviluppa ulteriormente il concetto di nazional-socialismo, “In tutti i paesi […] i socialisti sono portati dagli eventi a scegliere tra il vecchio socialismo tedesco basato sulla fallace idea della lotta di classe e un nuovo concetto di socialismo, il quale chiamerò intenzionalmente nazional-socialismo per mostrare chiaramente che tale socialismo deve emergere dalla terra, dalla storia e dal temperamento di ogni popolo. Deve portare il genio particolare di ogni razza e deve funzionare all’interno della nazione. San Karl Marx ci predicava la lotta di classe. Oggi ci appare che la ragione, il progresso, e salute risiedano nella collaborazione di classe all’interno di ogni nazione […]”. Per Hervé questo non era nazionalismo, ma nazional-socialismo che proveniva direttamente da Blanqui, Saint-Simon e la Rivoluzione francese. Hervé, quindi, predicava l’avvento degli Stati Uniti d’Europa formato da nazioni socialiste. La SFIO, però, nonostante fosse imbarazzata dalla china presa da Hervé, non si pronunciò ancora in merito alla sua espulsione.
La Guerra Sociale divenne La Victorie il primo gennaio 1916. Gli editoriali di Hervé durante la guerra rispecchiavano le reazioni popolari ai grandi eventi, anche se Hervé aveva accesso ai commenti di diretti protagonisti come Péguy, Poincaré, Pétain, Briand, Caillaux, Gallieni e Malvy. Hervé era ossessionato dalla difesa di Parigi per tutta la seconda parte del 1914. Sicuramente la guerra fece un gran bene al numero di copie vendute del giornale di Hervé, che salì a 80.000. Dalla fine della guerra in poi l’influenza di Hervé diventò molto marginale, poiché era spesso sia da destra che da sinistra considerato un clown, interessato solo a vendere copie de La Victorie. Soprattutto il particolare ostracismo della sinistra non gli venne mai a mancare.
Sulla questione russa, se Hervé si era espresso in modo estremamente positivo sulla Rivoluzione di Marzo contro lo zar, sembrava però più preoccupato con la continuazione del coinvolgimento russo sul fronte orientale: una ragione in più per odiare i bolscevichi o per chiunque invocasse l’armistizio su quel fronte. Con l’avvento della Rivoluzione d’Ottobre Hervé capì che la Seconda Internazionale non sarebbe più stata un veicolo per il socialismo o comunismo internazionali, ormai in mano ai bolscevichi. Per Hervé la Rivoluzione russa era stata un atto di jacquerie dei contadini e degli operai russi. Hervé ovviamente aveva vissuto il trattato di Brest-Litovsk come un atto deplorevole. Ironia vuole che Hervé, l’antimilitarista insurrezionalista, si vantava nel primo dopoguerra, che Pétain avesse mandato 150.000 copie di un suo articolo alle divisioni più colpite dalle diserzioni del 1917. In quel periodo si consumò l’affaire Malvy. Malvy era il Ministro dell’Interno che allo scoppio della guerra non aveva applicato il Carnet B, e Hervé non poteva che essergliene grato, ma ora era stato preso di mira da Clemenceau perché troppo morbido con le diserzioni di maggio e perché tendente, con Caillaux, alla corrente pacifista. Malvy fu implicato nell’affaire Le Bonnet Rouge. Malvy, infatti, aveva sussidiato il giornale radical-socialista Le Bonnet Rouge per assicurare che questo giornale si mantenesse su posizioni pro-belliche, ma quando questo incominciò ad assumere un atteggiamento critico i nodi vennero al pettine. Il nuovo amministratore de Le Bonnet Rouge, Émile-Joseph Duval, era stato arrestato al confine svizzero con un assegno tedesco. La destra si scagliò subito sui legami che Malvy aveva con il giornale. Malvy fu attaccato alla Camera e al Senato per i suoi legami con il giornale e con Almereyda, il quale fu arrestato qualche giorno dopo. Malvy e Viviani dovettero affrettarsi a cessare i loro rapporti con Almereyda, il quale di suo aveva anche sviluppato una forte dipendenza alla morfina e il suo costante bisogno di soldi non gli fece probabilmente vedere gli intrighi di Duval. Almereyda incarcerato preparò una lista di nomi eccellenti di tutti i suoi finanziatori, ma fu trovato morto “suicida” nella sua cella il 13 agosto 1917. Quando fu convocato durante il processo ad Almereyda, Hervé si rifiutò di apparire in difesa del suo ex-braccio destro. In novembre, quando avvenivano la Rivoluzione di Ottobre e la disfatta di Caporetto, Hervé intensificò le accuse al pacifismo senza vittoria di Caillaux. Clemenceau fu dietro i procedimenti giudiziari nei confronti di Malvy e Caillaux. Il primo fu processato per alto tradimento, condannato per illecito ed esiliato per 5 anni; il secondo fu messo sotto processo nel 1920, di fatto perché cercava di negoziare con i tedeschi una pace senza vittoria, fu incarcerato per tre anni e quindi graziato. Nonostante i passati non felici di Hervé con Clemenceau, il bretone dovette ammettere che Le Tigre era l’uomo forte del quale la Francia aveva bisogno, che Hervé non esitò descrivere come “il figlio più autentico della Rivoluzione francese”. Finalmente il 23 settembre del 1918 Hervé fu espulso dalla Federazione di Yonne, senza possibilità di appello. Hervé biasimò i bolscevichi per questo, data la sua ormai nota ostilità per la Rivoluzione d’Ottobre.
L’idea di Hervé nel primissimo periodo alla fine della guerra era di continuare l’Union Sacrée in un Blocco Nazionale. Hervé giudicava Jean Longuet ridicolo nel pensare che uno sciopero internazionale sarebbe servito a contrastare l’intervento degli Alleati in Russia. Allo stesso tempo attaccava duramente dalle pagine de La Victorie gli autotrasportatori e i minatori in sciopero, perché questo non poteva essere tollerato in un paese che aveva appena sconfitto la Germania. In verità Hervé, dopo la guerra, fu contrario ad ogni tipo di sciopero. Ancora nel 1919 vacillava tra essere a favore di rivendicazioni salariali (i salari erano il 15% più bassi di quelli del 1914) e per le otto ore, o contrario, a favore dello sforzo post-bellico come promosso da Clemenceau. Clemenceau dovette concedere alcune vittorie ai lavoratori che ormai vivevano in condizioni critiche, concedendo anche le otto ore e la settimana di sei giorni, rivendicazioni che nel 1906 aveva brutalmente represso. Nonostante ciò, vi fu una ondata di scioperi dal maggio per tutta l’estate che fece pensare addirittura a un’imminente rivoluzione, mentre a novembre le elezioni furono vinte dal Blocco Nazionale, che determinò la “Chambre bleu horizon”, ovvero la Camera blu cielo, per via delle uniformi azzurre dei veterani Deputati. Gli scioperi si protrassero anche nel 1920, repressi però dal neopresidente Millerand, anche minacciando di ricorrere al vecchio stratagemma di Briand di richiamare gli scioperanti come riservisti. Vi furono molti licenziamenti e queste ripetute sconfitte portarono addirittura all’abbandono di massa della CGT da parte dei lavoratori e all’ipotesi della sua chiusura. In quest’atmosfera si tenne il Congresso di Tours nel dicembre del 1920, dove il Parti Communiste Français si separò dalla SFIO e nel 1922 anche la frazione comunista della CGT si scisse andando a formare la Confédération Générale du Travail Unitaire (CGTU). L’ondata di scioperi del 1920 spinse Hervé a scrivere ‘La C.G.T. Contre La Nation’ dove attaccava i lavoratori i quali, scriveva Hervé:
“sono tanto egoisti quanto i borghesi. Non sono moralmente migliori e intellettualmente valgono molto meno. Il grande ostacolo all’avvento del paradiso comunista […] è la mediocrità intellettuale e morale delle masse di lavoratori, che hanno bisogno di essere educate, e la considerevole mancanza di carattere dei loro leader, che non hanno il coraggio di dire la verità”. Quando si rinfacciava a Hervé di aver cambiato completamente posizione da quella tenuta durante gli scioperi dei ferrovieri del 1910, questi ripeteva che c’era stata la guerra di mezzo e nulla era più come prima. Hervé oramai considerava i lavoratori stupidi ed ingenui e gli intellettuali troppo occupati a leggere per rendersi conto di come funzionava la vita. Già nel 1920 in occasione degli scioperi di maggio Hervé suggerì la sua soluzione corporativista, scrivendo sei appelli consecutivi ai socialisti francesi, appelli che raccolse in Lettre aux Socialistes. Alla fine del 1920 Hervé raccolse i suoi articoli sul Presidente del Consiglio Millerand in una brochure intitolata Millerand-De Strasbourg à l’Elysée, dove emergeva l’idea della necessità dell’avvento di un uomo provvidenziale, di una riforma della Costituzione per creare una Francia disciplinata, con il ritorno alla religione contro il pensiero libero e critico visto come il vero problema del Paese. Nel 1921 Hervé l’uomo de “le drapeau dans le fumier” addirittura rivalutò la figura di Bonaparte e del bonapartismo. Per Hervé anche la rivoluzione spartachista era stato un atto di jacquerie. Hervé spiegava che Liebknecht e la Luxemburg non avevano capito che il dogma socialista era solo un mezzo per evitare la guerra, ma ora che la guerra c’era stata non aveva più senso. L’errore dei marxisti era quello di pensare che la colpa della Guerra fosse del capitalismo e non della Germania. Hervé apprezzava l’intervento di Friedrich Ebert di salvare la Germania dalla rovina (inclusa la rivolta spartachista). Se all’inizio Hervé considerò il Trattato di Versailles equo e moderato, si rese conto in un secondo momento che le misure troppo severe nei confronti della Germania sarebbero risultate controproducenti e vide la necessità per un riavvicinamento tra Francia e Germania che la Repubblica di Weimar guidata dalla SPD poteva negoziare. Ad ogni modo qualsiasi giudizio di politica estera in Hervé era dettato dalla sicurezza della Francia. Singolare notare che per Hervé lo sciopero generale per contrastare il putsch di Kapp era riuscito solo perché l’esercito tedesco non aveva voluto combattere sul Reno. Hervé fu contrario al disarmo della Germania nel 1921 perché, non solo a sua detta, questo avrebbe messo a rischio l’Europa occidentale per via della minaccia bolscevica.
Il 6 luglio 1919 Hervé lanciò da La Victorie l’Appello ai Socialisti Francesi affermando la nascita del Parti Socialiste National (PSN). Questo era un Partito anti-bolscevico, e anti-marxista in generale, e coronava il nazional-socialismo già sviluppato da Hervé nel aprile del 1916. Hervé voleva rispondere al “volgare e semplicistico” socialismo della lotta di classe, dell’anti-capitalismo, dell’internazionalismo, con la versione francese del socialismo, tornando alle radici del socialismo francese di François-Noël “Gracchus” Babeuf, Claude Henri de Rouvroy-Comte de Saint-Simon, Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon, Auguste Blanqui e Jean Jaurès. Hervé poneva, o immaginava il suo Partito all’estrema sinistra del Blocco Nazionale e proprio per creare un Blocco Nazionale, il Parti Socialiste National era necessario per allontanare i lavoratori francesi dal socialismo tedesco. Il PSN non si basava sul materialismo marxista ma sull’idealismo francese. Hervé voleva raccogliere vari fuoriusciti dalla SFIO, dal Partito dei Socialisti Indipendenti, dai Socialisti Repubblicani nel nuovo Parti Socialiste National. Fece un appello ai vari Alexandre Millerand, Aristide Briand, René Viviani, Victor Augagneur, Maurice Allard, J.-L. Breton, Alexandre Zévaès, Albert Will e Jean Allemane. Dopo aver ridicolizzato Millerand e Briand per non aver risposto all’appello, Hervé annunciò l’ingresso del vecchio Allemane nel PSN, quindi anche Zévaès accettò di unirsi al PSN. Nonostante il PSN fosse stato creato per le elezioni del novembre 1919, non presentò candidati per mancanza di sostegno. Dopo le elezioni i nomi di Allemane e Zévaès sparirono da La Victorie così come cessò temporaneamente l’esperienza del PSN, dato che per Hervé la priorità vera era tenere in vita La Victorie. Il vecchio compagno Victor Méric raccontò di aver incontrato Hervé un paio di volte nel primo dopoguerra e in una di queste occasioni il bretone gli confessò «Ho creduto nella rivoluzione, […] non ci credo più. La guerra mi ha aperto gli occhi. Quindi non avendo più quella religione, son tornato alla fede dei miei avi […] la fede dei Bretoni, i miei avi […]; la fede Cattolica». Méric ovviamente, stentò a credere che quello che una volta era soprannominato il nuovo Blanqui potesse ora parlare così. In modo simile, anni dopo nel 1935 quando Charles Chassé intervistò Hervé per La Dépêche de Brest, rimase impressionato dalla sua metamorfosi, poiché lo aveva infatti visto l’ultima volta al Congresso Socialista di Brest nel 1913. Chassé racconta che nel suo ufficio del Boulevard Poissonnière, Hervé sedeva con un ritratto autografato di Mussolini dietro alla sua sedia.
Poincaré era tornato ad essere Presidente del Consiglio addirittura dopo esser già stato Presidente della Repubblica ed era determinato a far pagare i debiti di guerra alla Germania che ormai si rifiutava. Poincaré fu quindi il Capo del Governo che mandò le truppe a occupare la Ruhr, nel gennaio del 1923. Per poter contrastare questa deriva intransigente e controproducente in politica estera di Poincaré, i radicali e i socialisti formarono il Cartel des Gauches. Il radicale Édouard Herriot divenne il capo del governo in virtù di questa coalizione e smussò i problemi con il Governo di Weimar, riducendo le riparazioni e ritirando le truppe dalla Ruhr. Hervé riconobbe che la politica estera del Cartel des Gauches era più favorevole a una riconciliazione Franco-Britannica che quella dettata da Poincaré. Architetto del riavvicinamento tra Francia e Germania fu il Ministro degli Esteri, Briand, che con il Trattato di Locarno tra le altre cose vinse il Nobel per la pace. Il governo Herriot riconobbe anche l’Unione Sovietica. Nonostante ciò, Hervé, il quale era un grande sostenitore del riavvicinamento tra Francia e Germania e considerava la politica di Briand addirittura troppo timida e piena di errori, comunque la preferiva su quella della destra. La vittoria del Cartel des Gauches del 1924, fece riemergere le ligues di estrema destra e molti di questi gruppi bonapartisti e boulangisti vedevano di buon occhio il regime totalitario che si andava formando in Italia. Hervé aveva accolto positivamente il “colpo di Stato” che mandò al potere Mussolini, dopo la marcia su Roma, l’ottobre del 1922, considerando il fascismo la salvezza dell’Italia. Nel giugno del 1924 condannò il delitto Matteotti, ma lo considerò un atto di qualche pecora nera del fascismo, elogiando apertamente il regime sempre più totalitario di Mussolini. Dapprima vide Hitler come un discepolo di Mussolini, ed era addirittura fiero che questi avesse usato lo stesso nome per il suo Partito, ovvero Nazionalsocialista, anche se non ne approvava la politica antisemita, che comunque reputava una fase temporanea. Ma in Francia le condizioni erano diverse da quelle italiane. La Francia aveva vinto davvero la guerra, mentre l’Italia era un paese vincitore con i tratti tipici dei paesi sconfitti. La Francia poteva contare su un certo grado di prosperità negli anni ‘20 e, come nota Popkin, il vasto numero di aspiranti duci in Francia, incluso Hervé, indebolì l’estrema destra. Nel 1924 Hervé auspicava il ritorno di Clemenceau alla guida di una nuova Repubblica Autoritaria. Quindi nell’ottobre del 1925 formò il Parti de la République Autoritaire, questo era sulla falsa riga del PSN. Per Hervé questo partito voleva una Repubblica sotto la guida di un leader, che non era una dittatura fascista, non un Impero, ma la restaurazione dell’autorità a tutti i livelli della gerarchia sociale, iniziando dalla testa. In concomitanza con la fondazione del Parti de la République Autoritaire, Hervé, fondò le Jeunes Gardes, che erano l’opposto delle Jeunes Gardes Révolutionnaires, in quanto queste dovevano difendere il partito dagli assalti comunisti. Emile Tissier era il segretario generale del nuovo partito e giocò un ruolo importante nella creazione delle Jeunes Gardes. I punti principali del programma del Parti de la République Autoritaire erano: l’istaurazione della autorità non dittatoriale, un incremento demografico francese e la re-cristianizzazione, la grandiosità della Francia in campo internazionale, la giustizia sociale, revisione della Costituzione per mettere fine alla decadenza parlamentare, la promozione di ideali morali del lavoro, della disciplina, del sacrificio e della giustizia per promuovere l’ordine interno. Il Parti de la République Autoritaire avrebbe dovuto partecipare alle elezioni del 1928. Sempre nel 1924 Hervé pubblicò due libri, Propos D’Après-Guerre e La France Qui Meurt, due raccolte di articoli pubblicati su La Victorie dove univa il disfacimento della Francia allo spopolamento e alla de-cristianizzazione. Queste tesi furono riprese negli anni ‘29 e ‘31 sempre su La Victorie in La Nouvelle Historie de France e Nouvelle Historie De L’Europe. Nel giugno del 1926 tornò al governo la destra con Poincaré, che attuando una politica economica di austerità e rilancio del franco, chetò alquanto i conati di estrema destra. Intanto il Parti de la République Autoritaire sparì, per mancanza di seguito e di fondi, ma nonostante ciò Hervé, annunciò nel settembre del 1927 il ritorno del Parti Socialiste National per le elezioni del 1928.
Hervé, il quale non aveva tenuto comizi pubblici dall’inizio della guerra, aveva ora deciso di tornare a parlare alle folle per promuovere il riesumato PSN. Tenne il primo discorso in novembre nella Salle Wagram, dove le Jeunes Gardes, guidate da Tissier, operarono come sicurezza. La folla, alcune migliaia, era pressoché ostile, e l’ostilità proveniva sia dai lavoratori di sinistra che dai gruppi di destra, come quelli di Valois. L’Humanité ne descrisse il ritorno così: “Il clown Hervé trona sul palco. Il fondatore della ‘République Autoritaire’, della quale egli è il dittatore e unico membro, la scorsa notte ha deciso di spiegare il programma del nuovo partito socialista nazionale da lui creato, a sua detta, per combattere il comunismo”. La riunione si chiuse con scontri tra gruppi del PCF e della Jeunesses Communistes, i gruppi de Le Faisceau e la sicurezza delle Jeunes Gardes. In dicembre provò a parlare a Belleville, ma anche in questo caso si scatenò un vero e proprio pandemonio, contro il “rinnegato”. L’Humanité lapidaria commentò: “quando una persona dirige ‘La Victorie’ dopo essere stato l’uomo de ‘La Guerre Sociale’, quell’individuo non ha più il diritto di aprire bocca”. Dopo aver provato proferir parola per venti minuti Hervé dovette scappare scortato dalla polizia. Ma ancora nel pieno negazionismo della realtà, Hervé che era convinto che i lavoratori lo avrebbero seguito nel PSN come avevano fatto in Italia con Mussolini, emanò un appello ad entrare nelle Jeunes Gardes per garantire la libertà di parola. Quindi il 22 dicembre 1927 parlò alle Sociétés Savantes. L’Humanité non riportò neanche l’evento. Hervé riuscì a tenere dei comizi anche nel gennaio del 1928, mentre a Bordeaux in febbraio necessitò dell’intervento della polizia poiché la folla gettò soldi addosso a Hervé dandogli del venduto. Poi, il 7 marzo a Billancount vicino alla fabbrica della Renault, la stessa scena di devastazione e le Jeunes Gardes si mostrarono particolarmente violente assieme alle forze di polizia guidate dal Prefetto Jean Chiappe. Quindi il 28 marzo i comunisti, volendosi vendicare delle violenze di Billancount, si organizzarono a Courbevoie per impedire il comizio di Hervé. L’Humanité lo paragonò ad un Prudhomme[11] che propaganda incessantemente le corbellerie di Gavroche[12] ovvero il pensiero populista dei bassifondi. Ma ancora Hervé, che a Courbevoie riuscì a parlare grazie alla forza di polizia, si convinse di essere riuscito a spiegare ai lavoratori le ragioni della sua rectification e che i lavoratori lo avevano compreso. Ma alla fine di quattro mesi di campagna elettorale il seguito che era riuscito ad avere si limitava a pochi gruppi parigini. Hervé già parlava quindi di candidarsi per le elezioni del 1932. I quaranta candidati del PSN alle elezioni del 1928 erano più che altro giornalisti, piccoli imprenditori e bottegai. Tre di questi erano ex della SFIO, tre ex-comunisti e uno ex-rivoluzionario. Il PSN raccolse 13.541 voti, principalmente a Parigi, e fu ovviamente un totale disastro. La Victorie cominciò a perdere sempre più lettori dopo il 1928. Sempre nel 1928 La Victorie diede vita ad un gruppo xenofobo chiamato Syndicats Unionistes. Questo sindacato chiedeva la chiusura delle frontiere e il lavoro ai francesi. Il programma dei Syndicats Unionistes era il programma sociale del PSN, e comprendeva la difesa della proprietà privata, la crescita industriale e la cooperazione di classe, ma era chiaramente un sindacato anti-rivoluzionario e anti marxista. Nel 1929 il sindacato unionista aveva 3.850 iscritti in 300 industrie. Questo sindacato nonostante fosse molto secondario era considerato un sindacato fascista. Nel 1932 dopo l’assassinio del presidente Paul Doumer, Harriot tornò ad essere il presidente del Consiglio. Ma sulla questione del debito pubblico il suo governo cadde nel dicembre del 1932. Per Hervé la risposta alla crisi economica era necessariamente l’austerità, sottolineando il miracolo economico creato dal capitalismo che doveva essere però controllato dallo Stato, credendo che il corporativismo potesse soddisfare allo stesso tempo gli interessi degli imprenditori e quelli dei lavoratori. Per Hervé il corporativismo era la soluzione più semplice per la conservazione sociale. Ad ogni modo i suoi Syndicats Unionistes furono un fallimento.
Alle elezioni del 1932 ormai il PSN non aveva più candidati. Nel 1932 André Tardieu, che in qualche modo soddisferà Hervé, ormai doveva lasciare il passo ad un altro Governo di Herriot. Hervé si avvicinò ancora ai fascisti francesi e nel novembre del 1932 Marcel Bucard entrò ne La Victorie, come membro del Comitato Direttivo e capo redattore. Bucard aveva fatto parte de Le Faisceau e de L’Ami du Peuple, anche del bonapartista L’Autorité, infine della Croix-de-Feu. Dato il gran numero di veterani in Francia, l’arrivo di Bucard, veterano e il più giovane capitano dell’esercito, era un gran colpo. Bucard non venne a mani vuote ma portò a La Victorie due milioni di franchi ricevuti da Coty. L’arrivo di Bucard segnò la trasformazione del PSN nella Milice Socialiste Nationale. Per Hervé la Milice avrebbe potuto fare in Francia quello che Mussolini ed Hitler avevano fatto in Italia e Germania, anche se Hervé non credeva necessaria la violenza. La Milice era una milizia civile, secondo La Victorie, al servizio esclusivo della patria, della nazione e della repubblica. La Milice aveva lo stesso programma del PSN, ovvero allontanare i lavoratori dalla lotta di classe socialista per andare verso la cooperazione tra classi. Nel tentativo di fermare la migrazione dai Jeunesses Patriotes alla Milice, i primi definirono quest’ultima nazismo francese. Ma Hervé rimase fermo contro l’uso della violenza e a favore dell’uso elettorale. Due gruppi giovanili, la Union des Jeunes Générations Françaises e la Jeunesses Françaises Républicaines (1600 uomini in tutto) si allearono con la Milice. Quindi in dicembre 1932 la MSN pubblicò il suo manifesto. Hervé era descritto come il capo della MSN e Bucard come il suo vice in comando, Tisser il segretario generale. La Victorie divenne quindi l’organo della MSN, il cui network si estendeva nelle principali città francesi. Nel 1933 la MSN ebbe diverse riunioni a Belleville, Roubaix, Lille, Parigi e Montpellier. Ma non vedendo risultati soddisfacenti Bucard incominciò ad allontanarsi dalla Milice e se ne distaccò ufficialmente alla fine dell’estate del 1933. A settembre creò il Francisme cosicché il PSN e la Milice morirono nel silenzio.
Nell’ottobre del 1930 ebbe addirittura uno scambio di idee con Hitler. Nel suo editoriale Hervé auspicava comprensione tra Francia e Germania. Hitler, non capendo o non volendo capire il senso dell’editoriale, si congratulò con Hervé per auspicare una rettifica dell’ingiustizia subita dalla Germania e far sparire l’incomprensione, concludendo che o la Germania dei nazional socialisti sarà una nazione rispettata come le altre o sarà una Germania bolscevica. Per Hitler chiedeva a Hervé di promuovere il disarmo perché la Germania nazista non avrebbe mai rotto l’equilibrio europeo, e che non ci sarebbe stato bisogno di un accordo tra Francia e Germania in quanto la pace era già regolata dalla Lega delle Nazioni. Ma Hervé, che intendeva ben altro per “riconciliazione” e che considerava la Lega delle Nazioni uno scherzo, rispose a Hitler di approfondire direttamente la questione della riconciliazione tra Francia e Germania, ma Hitler non rispose mai. Nel 1931 raccolse i suoi articoli sul riavvicinamento in un libro intitolato France-Allemagne: La Réconciliation ou la Guerre. Nel giugno del 1932 Hervé in un suo editoriale sembrò addirittura giustificare in qualche modo l’antisemitismo nazista perché questo a suo dire prendeva di mira solo gli ebrei che avevano infettato la Germania con il marxismo. Allo stesso tempo incominciò a nascere in Hervé l’idea che la Germania nazista potesse diventare un pericolo per la Francia, seppure considerasse il nazismo, tranne l’antisemitismo, un ritorno al tradizionale autoritarismo necessario per creare una unione di nazionalismi europea contro la rivoluzione sociale internazionalista rappresentata dai collettivisti e comunisti di Marx e dai suoi alleati radicali massoni. Secondo Loughlin la necessità di Hervé di avere un uomo forte al governo gli faceva quasi mettere sullo stesso piano Clemenceau, Millerand, Briand, Pétain, Boulanger, Dérouléde, Mussolini e Hitler. Nel 1933 vide con piacere l’ascesa al potere di Hitler siccome per Hervé Léon Blum minacciava molto di più la Francia con il pericolo di una rivoluzione sociale che non la presa del potere del partito nazionalsocialista in Germania.
Alexandre Stavisky era un ebreo ucraino naturalizzato francese, che faceva la bella vita grazie alle sue innumerevoli truffe. Queste però non erano semplici truffe ma falsi buoni del tesoro delle municipalità che coinvolgevano le alte sfere. Quando la polizia si mise sulle sue tracce alla fine del 1933, dopo che il suo schema di buoni falsi era stato scoperto a Bayonne, questi si rifugiò a Chamonix dove apparentemente commise il suicidio il 9 gennaio 1934. Le condizioni della sua morte rimasero poco chiare e sembra che la polizia non fece del tutto per salvarlo e si dice che fu addirittura assassinato per le eventuali dichiarazioni scottanti che avrebbe potuto fare. Ad ogni modo, il fatto che era riuscito ad eludere il carcere per così tanto tempo concentrò i sospetti sul pubblico ministero, George Pressard, cognato del presidente del consiglio Camille Chautemps, radicale e massone, e se ciò non bastasse, il fratello di Chautemps era addirittura un legale di una delle imprese di Stavisky. Questo fece scoppiare l’affare Stavisky. Così tutti i gruppi di estrema destra, l’Action Française, i Camelots du Roi, i Jeunesse Patriotes, e la Solidarité Française, organizzarono delle dimostrazioni violente di piazza contro gli ebrei, i radicali, i massoni. Nonostante Hervé non accettasse il semplice schema anti-immigrazione uguale antisemitismo, si scagliò contro l’ondata immigratoria che da ormai 25 anni investiva la Francia; del resto Stavisky era un ucraino, scriveva. Al contrario di altri gruppi fascisti, Hervé non credeva che la violenza nelle strade potesse risolvere il problema di una Repubblica debole e corrotta. Per lui solo un uomo della provvidenza con consenso plebiscitario avrebbe potuto raddrizzare le sorti della nazione. Per Hervé i socialisti nazionali sono repubblicani giacobini che vogliono salvare la repubblica dallo sfacelo e dal disonore. Intanto il 27 gennaio il governo Chautemps aveva rassegnato le dimissioni a seguito dell’invasione da parte di dimostranti guidati da L’Action Française del Palazzo della Concordia. Il Presidente della Repubblica Albert Leburn diede quindi l’incarico ad un altro radicale, Édouard Daladier, di formare il governo e questi licenziò il direttore della Comédie Française che portava avanti una propaganda antigovernativa di estrema destra vicina alle ligues fasciste e trasferì in Marocco il prefetto di polizia Jean Chiappe, il quale rifiutò dimettendosi. A queste mosse del governo contro la destra seguì l’organizzazione di una dimostrazione, per alcuni, un vero e proprio tentativo di colpo di Stato guidato da la Croix-de-Feu, da L’Action Française e da altre leghe fasciste. Il pretesto era la protesta contro la cacciata di Chiappe. Paradossalmente anche i comunisti erano scesi in piazza per protestare contro il governo, la corruzione di uomini come Chiappe, e contro i socialisti. Ma anche i sindacati socialisti e la CGT si tenevano pronti. La polizia dovette schierare le Gardes Républicains, le Gardes mobiles, le Gardes mobiles à cheval, i Gardiens de la paix, e le truppe regolari della Gendarmerie e dei pompieri. Il 6 febbraio quindi, i dimostranti si recarono verso la Camera dei Deputati, quando le forze dell’ordine sbarrarono l’accesso al ponte della Concordia. Violenze si verificarono anche al Hôtel-de-Ville. Al sentore delle prime vittime la situazione divenne una vera e propria rivolta, vennero alzate le barricate e vi furono varie cariche della polizia a cavallo. Verso mezzanotte la guardia mobile a difesa del ponte dovette aprire il fuoco per non essere sopraffatta, infine l’ordine fu ripristinato verso le due e trenta del mattino. Vi furono in totale 15 vittime e 1.435 feriti, Daladier rassegnò le dimissioni il 7 febbraio. L’interpretazione degli eventi di Hervé fu anche in questo caso di parte: biasimava Daladier e il Ministro degli Interni Frot per aver causato la rivolta e l’eccidio, additandoli come assassini di patrioti ed eroi. Arrivando a dire che il complotto dei monarchici e dei fascisti era stata pura invenzione, e che la folla aveva protestato per disgusto nei confronti del Governo, un Governo dimissionario, sempre per Hervé, di diabolici imbecilli.
Una dinamica che era venuta fuori dal 6 febbraio fu la posizione più moderata de La Croix-de-Feu di de La Rocque, mentre, L’Action Française risultò la più aggressiva. Intanto nel governo di Gaston Doumergue, sempre radicale, che ne seguì, il Ministero della Guerra fu affidato all’eroe di Verdun, il Maresciallo Philippe Pétain. La dimostrazione del 6 febbraio 1934 aveva spaventato l’opinione pubblica a tal modo che, dopo una serie di dimostrazioni di piazza organizzate dal PCF, la SFIO e la CGT, nel luglio la SFIO e il PCF stilarono un patto di unità d’azione. Ovviamente Hervé leggeva questa reazione della sinistra come un rischio di rivoluzione collettivista. È interessante notare che non vi fu partecipazione alla rivolta del 6 febbraio da parte de La Milice Socialiste Nationale di Hervé, anche se su La Victorie si fece menzione di membri della MSN feriti negli scontri e un caduto tra le Jeunes Gardes. Secondo Loughlin è probabile che l’assenza della MSN come altri gruppi affiliati a Hervé era dovuta al fatto che la sua influenza e la loro entità erano ormai trascurabili. Nel gennaio del 1935 Le Petit Journal, pubblicò i risultati di un sondaggio che aveva fatto tra i suoi lettori di chi sarebbe stato un buon dittatore per la Francia: il Maresciallo Philippe Pétain si piazzò al primo posto seguito da Pierre Laval e quindi da Gaston Doumergue. Pétain era l’unico Maresciallo ancora in vita e l’eroe riconosciuto di Verdun. Per Hervé quello di Pétain fu un chiodo fisso da allora fino a Vichy. Nonostante Hervé avesse anche prima del 6 febbraio espresso la necessità dell’avvento dell’Uomo della Provvidenza, il nome di Pétain non venne fatto che dopo la rivolta e l’inizio del nuovo governo Doumergue, che comprendeva infatti Pétain.
Tra il 1933 e 1934 raccolse nuovi articoli sul riavvicinamento tra Francia e Germania intitolato Une Voix de France, che fu tradotto in tedesco e promosso da un gruppo vicino al partito nazista. In questo periodo Hervé paragonava la rivoluzione nazista a quella francese chiamando Hitler un moderno Danton o Desmoulins, così come il Boulanger tedesco. Allo stesso tempo Hervé continuava a precisare che il suo, di Hervé, socialismo nazionale non aveva nulla a che fare con l’antisemitismo. Siccome la politica di Hitler mostrava segni preoccupanti Hervé applaudì l’intesa firmata nel novembre 1934 tra Francia e Unione Sovietica, giustificando questo cambio nei confronti della Russia bolscevica, perché ora era in una fase nazional-socialista. Dopo il riarmo tedesco nel marzo 1935, Hervé si espresse a favore del trattato di mutua assistenza tra Francia e Unione Sovietica nel maggio. La Victorie non condannò la guerra di Etiopia fatta dall’Italia di Mussolini, giustificandola notando come anche all’Italia spettasse “un posto al sole”. La rottura della simpatia di Hervé per Hitler avvenne nel marzo del 1936 con la rioccupazione della Renania. Hervé si scagliò contro la politica britannica che non aveva mostrato nessuna intenzione di limitare la politica aggressiva di Hitler.
Il 2 luglio 1935 i socialisti e i comunisti stilarono un patto e nel giorno della Festa della Repubblica, Léon Blum, Édouard Daladier e Maurice Thorez, si misero alla testa di un’enorme parata che gettava le fondamenta del Fronte Popolare, che si formalizzò quando anche i radicali diedero il loro sostegno in ottobre durante il loro Congresso. Durante la campagna elettorale che ormai vedeva socialisti, comunisti e radicali uniti, Hervé consigliò i suoi lettori di votare chiunque tranne il Front Commune ou Communiste. Hervé metteva in guardia La Rocque di non tentare un colpo di Stato violento perché solo una vittoria legale del potere avrebbe consentito l’instaurazione di una République Autoritaire e avrebbe prevenuto un altro Cartel des Gauches. Nonostante Hervé volesse evitare la violenza di un coup d’état, minacciato dai gruppi di estrema destra come la Croix-de-Feu, la sua soluzione ai difetti del capitalismo francese era la République Autoritarie di Pétain. Durante la campagna elettorale Hervé divenne isterico nel vedere la possibile vittoria del Fronte Popolare come se fosse l’inizio della distruzione della Francia, del collasso economico, e della guerra civile. Hervé lamentava l’avvento del Fronte Popolare e allo stesso tempo la mancanza di leadership fascista e di un vero e proprio fascismo francese. Quando però Léon Blum fu assalito dall’estrema destra perché ebreo, Hervé si scagliò contro Maurras dell’Action Française, rinfacciandogli anche l’istigazione all’assassinio di Jaurès, ma allo stesso tempo riuscì a criticare Blum per la sua eccessiva retorica, la supposta promozione della guerra civile e i suoi ipotetici richiami alla dittatura del proletariato. Ma l’aggressione a Blum indignò la popolazione che il 16 febbraio 1936 scese in piazza numerosissima. Hervé invitava apertamente a votare per i nazionalisti che fossero a favore del trattato con la Russia. Con la vittoria del Fronte Popolare e la nomina di Blum come presidente del consiglio, Hervé prevedeva la guerra civile e l’ascesa di un dittatore di destra. Paradossalmente a seguito della vittoria del Fronte Popolare e del programma di riforme, anche molto coraggiose, e alla riunificazione della CGT con la CGTU, vi furono da subito occupazioni di fabbriche a partire da giugno e sei mesi di scioperi. Questo movimento operaio dettato dall’entusiasmo della vittoria aveva stupito Hervé che ora biasimava le élite francesi per aver portato la Francia vicina alla dittatura del proletariato. L’intero Fronte Popolare fu preso di sorpresa da questa reazione spontanea dei lavoratori e Hervé non vedeva ciò che negativamente, immaginando che questa situazione avrebbe necessariamente portato la Francia al Terzo Impero. La Victorie stessa fu afflitta dallo sciopero delle Messageries Hachette dal 5 al 9 giugno 1936. Hervé quindi ammise di accettare il principio delle quaranta ore settimanali, le vacanze pagate, i contratti collettivi, ma era contrario ai modi in cui i lavoratori le avevano richieste, ovvero occupando e scioperando. Hervé rispolverò, come soluzione, il suo PSN e i Syndicats Unionistes, le sole istituzioni che potevano istituire la entente cordiale tra capitale e lavoro. In più Hervé insisteva che la destra estrema, ovvero Le Faisceau di Valois, Le Croix-de-Feu di La Rocque e L’Ami du Peuple di Coty, era stata inefficace a creare una alternativa, cosa che, sempre secondo Hervé, La Victorie, avrebbe fatto se avesse avuto i fondi necessari. Nel luglio scoppiò in Spagna la guerra civile e Hervé prese le parti del Generale Franco, ma quando L’Humanité lo accusò, insieme ad altri, di essere nella stampa fascista a favore di Franco, Hervé sentì l’esigenza di proclamare che il PSN e La Victorie non erano fascisti, in quanto contro l’uso della violenza. Quando Blum si rifiutò di mandare l’esercito in Spagna, o comunque armare i repubblicani, il consenso popolare nei confronti del Fronte Popolare incominciò a venire meno, anche se in verità Blum aveva le mani legate su questo da accordi con Gran Bretagna e Stati Uniti.
Ne La Victorie Hervé biasimava i radicali francesi, ora nel Fronte Popolare, per aver infiammato i liberi pensatori volterriani spagnoli, inducendo così un assalto ai valori religiosi spagnoli. Intanto era così sicuro della breve durata del governo Blum, che aveva annunciato di riesumare il suo PSN. Cercò quindi di convincere il Colonnello de La Rocque, una volta che il governo Blum aveva dissolto le ligues, a dare manforte al suo PSN con delle forze coloniali, un centinaio di uomini, ma senza successo. Nell’ottobre del 1936 alcuni radicali incominciavano ad allontanarsi dal Fronte Popolare, che però reggeva ancora. La destra reazionaria si organizzò nel Comitato Segreto di Azione Rivoluzionaria guidato da Eugène Deloncle, mentre La Croix-de-Feu ormai illegale si trasformò nel Parti Social Français (PSF), che raggiunse il mezzo milione di iscritti nel 1937, ma La Rocque decise di smobilitare le sue forze paramilitari e d’intraprendere la strada parlamentare. Il Governo Blum dovette affrontare una dura e lunga crisi economica e si vide costretto a svalutare il franco, con gravi perdite auree da parte della Banca di Francia. Blum dovette annunciare un blocco alla politica di riforme nel febbraio del 1937. Vi furono forti scontri tra i fascisti del PSF e i comunisti del PCF che causarono anche diversi morti. Blum quindi si dimise nel giugno del 1937 ma partecipò al governo radicale guidato da Camille Chautemps. Il Fronte Popolare terminò sei mesi più tardi, nel marzo del 1938, quando i socialisti rigettarono il secondo rimpasto di Chautemps. È lecito pensare che l’ondata fascista del 1937 e 1938 sia stata facilitata dalla paura del comunismo, anche se in realtà questo giocò principalmente da freno per il governo riformista moderato di coalizione tra socialisti e radicali. Negli ultimi mesi del governo Blum, Hervé era giunto alla considerazione di essere più vicino alla sorta di nazional-comunismo del PCF che alla politica, a detta sua, molto più pericolosa di Blum e della SFIO. Difronte al governo radicale di Daladier, Hervé argomentava che tutte le genti civili, in Italia, Germania, Spagna e Polonia, avevano optato per una dittatura, mentre La Victorie non chiedeva una dittatura, ovvero un nuovo Bonaparte, ma una République Autoritaire, guidata da Pétain.
Se Hervé non si meravigliò troppo dell’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938, l’invasione della Cecoslovacchia nel marzo del 1939 gli aprì definitivamente gli occhi sulle intenzioni di Hitler. Hervé riponeva non poche speranze nella Russia sovietica per fermare la politica espansionistica della Germania nazista, ma col Patto tra Hiltler e Stalin questa fu disattesa. Una volta iniziata la guerra, Hervé riassunse l’atteggiamento del 1914, di supporto completo al Governo, anche dopo le prime sconfitte il suo atteggiamento fu di fiducia nella vittoria finale della Francia. A partire dall’aggressione della Boemia e della Polonia, Hervé aveva completamente cambiato il modo di rappresentare Hitler: non più come un patriota, ma come un assassino, un pazzo sadico e via discorrendo. Tuttavia, il suo giudizio per Mussolini era ancora positivo, dichiarando che non avrebbe mai creduto, neanche se lo avesse visto con i suoi occhi, che Mussolini si sarebbe schierato al fianco di Hitler. Ancora nel giugno del 1940, Hervé non faceva trasparire ne La Victorie la vera entità del collasso militare francese e quando la maggioranza dei giornali lasciò Parigi, solo La Victorie con Hervé e Le Matin non se ne andarono, ma nonostante ciò il ruolo de La Victorie durante l’occupazione nazista fu insignificante. Due giorni dopo l’occupazione di Parigi, avvenuta il 14 giugno 1940, a Hervé fu concesso di riprendere la pubblicazione de La Victorie, il che apparve a molti assai ironico. Hervé si era finalmente reso conto che senza un intervento russo la difesa della Francia era impossibile, quindi biasimò sessanta anni di scristianizzazione, lo spopolamento, l’ondata di paganesimo e di materialismo e la caduta nell’anarchia politica come le cause della sconfitta. Il 18 giugno uscì con un editoriale dove esaltava il suo ruolo, che in realtà era molto marginale, informando gli occupanti che lui, quando la Germania aveva toccato il fondo, aveva sempre chiesto alla Francia di darle una mano, facendo rivedere il trattato di Versailles per darle condizioni più onorevoli. Hervé si spinse a scrivere che lui era stato sempre un sostenitore di Hitler fino al marzo del 1939. Come osserva Loughlin “la speranza e l’ostinazione di pubblicare gli negò, con questa uscita, di sparire con dignità”. La volontà e la necessità di pubblicare La Victorie furono più del buon senso. Il 20 giugno il suo ultimo editoriale fu censurato, quindi ripubblicò un vecchio articolo su La République Autoritaire, ma la sua posizione che Pétain non dovesse accettare una pace senza onore per la Francia fu abbastanza per il regime nazista per far chiudere La Victorie. Anche dopo la chiusura del giornale Hervé continuò a visitare il suo ufficio al 24 di Boulevard Poissonnière, dove preparò clandestinamente 12 lettere, mille copie l’una, per i vecchi iscritti dal 1940 al dicembre 1943, in cui Hervé esprimeva la sua simpatia per de Gaulle e per gli ebrei, mentre i giornali collaborazionisti di tanto in tanto lo prendevano di mira. Per questo fu anche interrogato dalla Gestapo parigina, sempre nel 1943, come anche vi fu una visita della polizia di Vichy dati i suoi crescenti risentimenti contro Pétain, ma non fu mai incarcerato. Hervé mandò addirittura una lettera a Pétain nel maggio del 1941 dove dichiarava di prendere le distanze dall’eroe di Verdun, nonostante lo stimasse ancora come persona, pretendendo che la Francia ritornasse a combattere contro i tedeschi. Per Hervé l’Inghilterra e gli Stati Uniti erano gli ultimi paladini della civiltà cristiana. Implorava, usando le sue conoscenze generali del calibro di Charles Brécard (aiutante di Petain e Segretario di Stato a Vichy) a convincere il vecchio Pétain a riaprire il conflitto e perdonare de Gaulle. Ispirato dall’epistolario di San Paolo, Hervé ne scrisse uno composto da dieci lettere ai non credenti e dieci ai credenti, dove in pratica biasimava i liberi pensatori, i massoni e gli atei per la disfatta del 1940. In queste lettere Hervé affermava di non aver mai rigettato la Repubblica o il Socialismo ma di aver rigettato il libero pensiero e l’irreligione. Ora Hervé vagheggiava di un Partito Socialista Cristiano. Sempre ne Les Épîtres tornò a parlare di nazionalizzazione delle banche e dell’industria pesante, l’istituzione di una “international gendarmerie” per prevenire l’avvento di nuovi Hitler.
Dopo la liberazione di Parigi, avvenuta il 25 agosto 1944, Hervé fece richiesta di riaprire il suo giornale, non ricevendo risposta il 21 settembre scrisse al Generale de Gaulle, giustificandosi di non aver mai incontrato Pétain, di aver sempre scritto contro una resa ingloriosa e contro Vichy. Cercò di provare il suo non-collaborazionismo menzionando le molteplici perquisizioni da parte della Gestapo. Addirittura Hervé ebbe il coraggio di affermare nella lettera a de Gaulle che La Victorie aveva iniziato la resistenza, dichiarandosi il primo gaullista, anche se in passato però si era dichiarato il primo pétainista, il primo anti-bolscevico, il primo fascista. Il 25 ottobre 1944 Hervé morì a causa di un arresto cardiaco nel suo appartamento di rue de Vaugirard, due settimane dopo la morte della sua compagna di una vita, Madame Marie Dijonneau.
[1] “pioupiou”, letteralmente “pio-pio” è il nome gergale francese per la giovane recluta che allude ironicamente al pulcino appena nato.
[2] “la bandiera nel letame”.
[3] Libertad era lo pseudonimo di Joseph Albert.
[4] Soprannome ironico, in assonanza con lo scurrile “Il y a la merde”, di Eugène Bonaventure de Vigo.
[5] Ugo Nanni si era legato al PSI in Francia, ma fu espulso da Clemenceau nel maggio del 1907. Mentre Alfredo Polledro, da sindacalista rivoluzionario e antimilitarista, divenne interventista e aderì al fascismo.
[6] Pseudonimo di Charles Daudet.
[7] Pseudonimo di Caroline Rémy de Guebhard.
[8] Biribi era il nome dato dai Soldati al battaglione disciplinare in stanza in Algeria.
[9] La Garce Sociale, gioco di parole che si traduce in La Puttana Sociale.
[10] La risposta di Benito Mussolini all’articolo di Hervé A Ponce-Pilate, socialiste italien del 24 settembre arriva, in risposta al commento del Il Secolo, del 25, in un trafiletto intitolato Hervé promette… del 26 settembre sull’Avanti!: “[…] I socialisti francesi libereranno Trento e Trieste risponde Hervé ai socialisti italiani [n.d.a., titolo de Il Secolo a tutta pagina del 25 settembre], […] La causa che avete fra le mani è buona, ma voi, avvocato reintegrato, non dovete sciuparla con argomenti pessimi. […] Ah! Hervé, si direbbe che abbiate scritto questo articolo in un momento d'incoscienza. Altrimenti vi sareste accorto del grottesco in cui siete caduto. Voi non siete ancora... Napoleone. Nemmeno «Boulanger». Voi siete appena un... giornalista, L’avvenire d’Europa non sta nelle vostre mani. Non dipende da voi l'esclusione o l'ammissione dei «neutri» al futuro Congresso della pace”. Questo articolo è di soli 22 giorni prima del celeberrimo: Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, Avanti!, 18 ottobre, dove Mussolini, che ormai è per l’intervento, chiude il discorso iniziato a fine settembre: “Finché Hervé ci dirige le sue epistole presuntuose e insolenti, possiamo scrollare le spalle e pensare che il «brave général» vuol farsi perdonare i suoi trascorsi di «sans-patrie», ma quando parlano uomini – i giganti – che alla causa del socialismo e della Rivoluzione sociale hanno dedicato tutta la loro vita, bisogna, almeno ascoltare. ”].
[11] Sully Prudhomme, poeta parnasiano francese.
[12] Personaggio immaginario de “I Miserabili” di V. Hugo.
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