Il patto di pacificazione: tra calcolo politico e commedia - Parte II -
Il Governo Bonomi verso il patto
Il 21 giugno Mussolini, ora onorevole, alla Camera dei Deputati mise molta carne al fuoco: si volle togliere la soddisfazione di dire ai socialisti che nonostante lo avessero espulso lui era lì, e con i comunisti, in modo antistorico ma politicamente motivato, si voleva prendere il merito della loro esistenza perché sarebbe stato lui ad aver insinuato nei comunisti il germe bergsoniano e blanquista. Il suo discorso fu però una concreta apertura verso la tregua, “siamo disposti a disarmare, se voi [socialisti] disarmate a vostra volta, soprattutto gli spiriti”. Verso la CGdL nel caso si separasse dal PSI e verso i popolari e allo stesso tempo una apertura verso il Vaticano. Nello stesso discorso riuscì a far scoppiare un incidente diplomatico con la Svizzera, parlando di irredentismo ticinese[1]. Ovviamente la risposta dei comunisti, veri, non si fa attendere. Bordiga risponde dalle pagine de Il Comunista, in un articolo intitolato Il pioniere di Bergson. “Benito Mussolini non è oggi per noi quello che era nel 1914-15, non è più un ex-compagno, un rinnegato, è, se tanto gli accomoda, un ex-rinnegato che vive nuove incarnazioni”. Bordiga continua con disprezzo: “Le mirabolanti risorse della reclame, che si può fare con la stampissima gialla, possono mandar su, nonché un pallone gonfiato, problema fisicamente elementare, qualunque palla plumbea destinata a rotolare di fosso in fosso”. Poi sul contenuto: “Il discorso non è stato, malgrado l’impegno grossolano, che il solito tentativo di avvicinare il fuoco socialista e spegnerlo nell’acqua democratica. […]. È stato umoristico. Ha detto, pare, di aver dato i natali al nostro movimento introducendo Bergson con molto Blanqui. La battuta è destinata a noi nella traccheggiante orazione era dunque questa? […]. Bergson? Chi era costui? Si domanda il buon tesserato del P.S.I. imbonito dai Serrati e C. Ma ora la spiegazione diviene di portata comune. Bergson? È il diavolo, poiché Mussolini ne fu in Italia il rappresentante autorizzato. E il comunismo italiano è nato da questi impuri germi che hanno corrotto la bontà nativa dell’indigeno socialista marxista, facendo dar di volta il cervello perfino … a Graziadei. Il quale, da quell’ignorante che è, tardò a intendere le nuove verità di cui Benito era importatore, e appena cominciò a digerirle quando costui era passato a fucinare ben altro nelle incandescenze del suo cervello, seguitando a lasciarsi indietro la scia sfolgorante degli illuminatori. Ci pare sia ora di finirla con questa storia di Bergson. Le ideologie del Partito Comunista d’Italia e della Internazionale Comunista […] si alimentano nel campo della dottrina e, si vuole, della filosofia alla ortodossia marxista. ”[2]. Il disegno di Mussolini è, a questo punto, uno sganciamento netto da Giolitti e un tentativo di Governo di coalizione con i popolari e se possibile con la destra socialista. Come sottolineato da Tasca, Mussolini sapeva bene, che il temuto accordo tra Giolitti e il Gruppo Parlamentare socialista era molto improbabile, perché conosceva il PSI, il quale era per la sua grande maggioranza ostile alla partecipazione. “Se la destra del partito, i dirigenti della CGdL entrassero nel Governo, perderebbero una parte della loro influenza sulle masse e, in ogni caso, partito e sindacati sarebbero indeboliti da una furiosa lotta intestina.”[3].
Turati il 24 giugno alla Camera dopo aver riconosciuto i meriti di Giolitti, come uomo e come politico, mostra quanto fosse limitato il suo calcolo politico nei confronti dei fascisti. Le elezioni, infatti, avevano peggiorato la situazione, le spedizioni punitive erano passate dall’intimidazione alla punizione, appunto. Il Blocco Nazionale aveva colpito duramente la Proporzionale. Turati rinfacciava a Giolitti anche di non aver inteso l’apertura dei riformisti verso una collaborazione, scegliendo quindi il male peggiore. Riafferma come aveva già fatto in precedenza, che la risposta socialista alle violenze fasciste deve essere di non-violenza. Turati è ben consapevole della sproporzione tra la cosiddetta violenza rossa e la reazione fascista della quale il Governo è complice: “Or si è preteso che la violenza avversaria fu reazione, sia pure eccessiva, come avviene in tutte le reazioni, alle intemperanze di parte nostra, compiute da certe Leghe da noi protette e organizzate. Potrei in parte contestarlo; potrei dirvi che, se in ciò anche c’è del vero, come in tutte le cose che si dicono, c’è tuttavia qualche sproporzione tra la pretesa causa e l’effetto, qualche tardività nella rappresaglia. […]. Potrei pregarvi di considerare che le taglie, i boicottaggi, che avvennero in qualche località dove noi prevalevamo, e che sono stati deplorevoli, da noi non furono mai (e qui rubo il pensiero da un discorso di Matteotti) teorizzate, ostentate, ma più spesso anzi sconfessate; non furono mai il frutto di un’organizzazione generale ed armata; non costituirono mai il programma di un partito. […]. Lo dico con parola serena; disarmiamo davvero da ambo le parti, dimenticando che, da parte nostra… c’è ben poco da disarmare. Ho invocato le reciproche amnistie; le invoco ancora. Bruciamo questi due macabri libri «Fascismo» e «Barbarie rossa», che si annunziano come preludio di altre più complete e pericolose pubblicazioni…”. Il discorso di Turati continua sulle connivenze del Governo con i fascisti, chiedendosi ironicamente se alcuni articoli del Codice penale fossero stati soppressi a sua insaputa. Turati quindi conclude che la cosa più importante è la restaurazione economica e sociale [4].
L’eventualità della pacificazione dopo il discorso di Mussolini divenne concreta, anche se come giustamente precisava Turati che da parte socialista c’era: “ben poco da disarmare”. Se i socialisti riformisti erano disposti alla tregua, allo stesso tempo si erano organizzati gli Arditi del Popolo che avrebbero opposto alla violenza squadrista altrettanta violenza proletaria. Gli Arditi del Popolo però ricevettero una sorta di ostracismo da parte del PSI e anche dei comunisti[5]. Argo Secondari, come visto in precedenza, leader della corrente antifascista degli Arditi, convocò per il 22 giugno una riunione plenaria di iscritti e simpatizzanti. Questo fu il primo passo verso la nascita dell’Associazione Arditi del Popolo[6]. Il 27 giugno una nuova assemblea elegge il direttorio: ne fanno parte Secondari (presidente), il tenente Ferrari, e il sergente, comunista, già legionario fiumano, Dino Pierdominici, mentre Guido Luciani viene confermato nella sezione propaganda. C’è però ancora una componente filofascista capeggiata dal tenente Ulisse Igliori. “Questi, medaglia d’oro e capo della guardia di D’Annunzio a Fiume, facendo probabilmente affidamento sul suo personale prestigio tenta di arginare la deriva antifascista e di giustificare l’azione dei fasci di combattimento, ma la replica di Secondari è ferma e lo mette a tacere: fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida, gli arditi d’Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e arditi.”[7].
Il 26 giugno i fascisti organizzarono una grande manifestazione, principalmente per protestare contro il Prefetto Mori; qui, Mori si riferiva già esplicitamente alla possibilità, più un desiderio da parte degli squadristi, di avere il Comandante, ovvero Gabriele D’Annunzio, come nuovo duce. Lo stesso giorno cadde anche il governo Giolitti su un ordine del giorno presentato dai socialisti, contro la politica estera del Ministro Sforza, e al quale si erano associati, tra gli altri, i fascisti[8]. E il 27 giugno Mussolini rilasciò un’intervista al Resto del Carlino, dove riproponeva il “ritorno alla normalità degli spiriti “[9]. Giolitti quindi si dimise il 27 giugno, gli subentrò Ivanoe Bonomi[10], il socialista riformista di destra espulso al Congresso di Reggio Emilia del 1912 e da allora parte dei Riformisti Unitari, di cui dopo la morte di Bissolati era diventato il leader. Il governo Bonomi era un altro governo di coalizione, tra i popolari, i liberali e i Blocchi Nazionali, un governo di centro destra. La collaborazione socialista, con Giolitti o con Bonomi, avrebbe probabilmente messo in difficoltà il fascismo, ma era considerato dai socialisti stessi un anatema, come, sospettato da Mussolini, che quindi si poteva permettere una certa baldanza. Sul Popolo d’Italia il 28 giugno, commentando il nuovo ministero Bonomi, Mussolini scrisse: “Anche questo primo voto politico ha dimostrato che, in realtà, le sole forze politiche dominanti l’assemblea sono i popolari, i socialisti, i fascisti, perché hanno forze imponenti al loro seguito nel Paese”[11].
Le squadre comuniste appaiono pubblicamente per la prima volta a Milano in occasione dei funerali di Luigi Gadda, il 26 giugno 1921. Venti squadre per un totale di milleduecento giovani. Sotto il coordinamento dell’Ufficio I di Bruno Fortichiari per le attività illegali. “Bruno Fortichiari, intervistato da Luigi Cortesi nel 1977, ricorda che: “avevamo dei compagni che rischiavano anche la pelle, con dei sacchi da montagna, con valigie ecc., passando le armi da gruppo a gruppo. Era un lavoro molto pericoloso e faticoso. Poi c'era invece il senso contrario; dei compagni che avevano delle responsabilità in provincia e che potevano muoversi con una certa facilità. Arrivavano, venivano da noi e avevano la stessa attività. Noi non abbiamo mai avuto un magazzino e nessuno ci ha mai pescato armi in deposito; qualcuno è stato pescato personalmente perché poteva capitare una perquisizione improvvisa di qua e di là, ma non sono mai riusciti a scoprire il grosso dell'attività. Avevamo anche un altro mezzo, portare via le armi ai fascisti, e molte volte i nostri compagni avevano questa funzione. In uno scontro dovevano preoccuparsi soprattutto di portare via le armi”[12].
Come si può intendere da quanto scritto finora, la pacificazione fu sventolata a mo’ di pretesto, principalmente da Mussolini e da altre correnti di centro destra, sin dai fatti di Bologna; ma quelli che effettivamente si impegnarono nel metterla in atto furono il Neopresidente del Consiglio Bonomi e il Presidente della Camera De Nicola. Ora più che mai, avendo raggiunto il Parlamento, Mussolini voleva che le violenze squadriste cessassero, anche se da un lato lo avevano fatto crescere rapidamente: il fascismo doveva normalizzarsi. Quindi un tentativo di pacificazione, come poi sarà il tentativo di normalizzazione di un movimento a tutti gli effetti paramilitare, gli sembrava la cosa più razionale da fare, non credendo concretamente in un colpo di Stato. De Felice sottolinea, e questo lo si può evincere anche dai numerosi commenti dell’epoca, che Mussolini nonostante fosse ritenuto formalmente il leader del fascismo, nel 1921, non aveva né l’intera comprensione né il controllo del movimento fascista. Il fascismo si era modificato rapidamente e non era più quello del ‘19 e nemmeno quello della prima metà del ‘20. Ora il fascismo era un fenomeno provinciale. “La vera forza, la vera struttura del fascismo erano i ras e i capi locali, le squadre. Più che un movimento e successivamente un partito, era una unione di realtà locali, spesso minate - come dimostreranno gli avvenimenti del’23-‘24 - da profondissime rivalità latenti, legate a singoli uomini e varie situazioni locali”, mentre Mussolini era abituato a ragionare in termini politici, ed è in quest’ ottica che si può capire l’accordo con Giolitti prima, così come il patto di pacificazione poi[13]. Mussolini però si illudeva di poter manovrare lo squadrismo fascista. “Credeva di essere il capo, in realtà il suo controllo sul fascismo non andava oltre una élite di elementi più consapevoli e politicizzati, di dirigenti regionali e provinciali il cui effettivo potere sulle masse fasciste o era molto limitato, circoscritto a piccoli gruppi, o era tale solo se non entrava in contrasto con la propria base e con le forze che erano dietro di essa […]”[14]. E siccome questa base stava vincendo contro i rossi e avrebbe esteso la sua azione anche contro i popolari e i repubblicani, il patto di pacificazione non era, per loro, nulla di più inopportuno. De Felice arriva a chiedersi che se il fatto che politici come Bonomi e De Nicola al patto di pacificazione ci avessero creduto davvero possa essere comprensibile, come è possibile che ci abbia creduto anche Mussolini?
Dalle pagine dell’Avanti! si evince ancora come il patto di pacificazione sia visto più che altro come una chiacchiera politica, ma che nella pratica non rispecchia l’atteggiamento, ancora molto violento delle squadracce fasciste[15]. Il 2 luglio si tiene a Roma una prima adunata generale degli Arditi del Popolo. Il programma per l’associazione viene riportato dall’Umanità Nuova, giornale anarchico. Il 6 luglio sfila a Roma il Comitato di difesa proletaria che era stato istituito di recente, e vedeva la partecipazione dei rappresentanti delle due Camere del Lavoro dei repubblicani e degli anarchici, assenti i partiti socialista e comunista; l’Umanità Nuova parla dai 30.000 alle 70.000 persone, solo 15.000 secondo le fonti di polizia. In quella occasione sfilarono per la prima volta gli Arditi del Popolo, 500 secondo il Popolo d’Italia, 4 mila secondo Secondari, 2 mila secondo la questura, e 3 mila secondo l’Avanti![16]. La pacificazione però si concretizza in alcune realtà locali, proprio a confermare la natura molto organizzata dei Fasci. L’Avanti! riporta il 1° luglio trattative in corso, con tempestivo comunicato di non prendere iniziative personali per nome dei socialisti [17]. Non manca ancora una sana dose di diffidenza, come si può leggere sull’Avanti! il giorno successivo: In nome della pacificazione i fascisti continuano a terrorizzare col ferro e col fuoco[18]; o ancora il 3 luglio, I propositi di pacificazione del fascismo agrario nel Bolognese: una doppia e equivoca politica[19], titolo alquanto azzeccato, considerando che in sostanza la pacificazione era proprio doppia, nel senso far la bella faccia in parlamento, mentre i ras non avevano nessuna intenzione di cessare le violenze, e la pacificazione era anche equivoca, proprio perché prometteva ciò che non poteva mantenere, e addirittura si fondava sull’equivoco che la violenza venisse anche dai socialisti. Ad ogni modo “Le prime precise notizie sull’esistenza di concrete trattative apparvero sull’Avanti! E sul Popolo d’Italia del 5 luglio, il giorno successivo a quello in cui Bonomi aveva sottoposto al re la lista dei componenti il suo nuovo governo. Dai due giornali veniva reso noto che nei giorni precedenti erano avvenuti incontri ufficiosi tra i deputati Giuriati e Acerbo, per i fascisti, ed Ellero e Zaniboni per i socialisti”[20]. Il 6 e il 7 luglio Mussolini tornò sull’argomento con due articoli, La pace e il resto e La scelta. Mentre il presidente del Consiglio Bonomi inviò due telegrammi, uno al solito Lusignoli che diceva: “Mercoledì converranno costì socialisti e fascisti per addivenire noto accordo. - Deputato Zaniboni mi assicura che eserciterà sui socialisti azione diretta a favore accordo. - Occorre che eguale azione sia esercitata sopra elementi fascisti. - Reputo Mussolini non contrario accordo invece ho ragione dubitare atteggiamento Pasella segretario Fasci e altri elementi che gli stanno vicino. - Sarà necessario che V.S. servendosi ogni mezzo che reputerà efficace agisca per conclusione accordo. - Gradirò assicurazione.”. Al quale Lusignoli rispose di aver parlato con Mussolini e con Pasella e confermava che il primo era favorevole e meno il secondo.
Mentre il secondo telegramma era indirizzato ai prefetti di Mantova, Rovigo, Bologna, Ferrara, Modena, Firenze, Pisa, Parma, Reggio Emilia, Perugia e Siena e diceva: “Mercoledì prossimo si terrà a Milano importantissimo convegno per tentare nuovamente accordo tra socialisti e fascisti. È di eccezionale interesse che questo convegno non manchi il consenso di ogni organizzazione delle varie parti d’Italia delle due tendenze antagoniste stop. A tale scopo rivolgo viva preghiera a V.S. perché voglia senza indugio chiamare separatamente i capi delle organizzazioni stesse e indurli a manifestare la loro adesione con telegrammi o ordini del giorno da comunicarsi subito alle rispettive rappresentanze in Milano. V.S. ben intende di quale suprema importanza sia l’esito di tali trattative e vorrà quindi adoperarsi ad assecondare questa richiesta con lo zelo e l’accortezza dovute alla trattazione di una delle più gravi questioni che ora interessano la vita nazionale. Nelle conversazioni che V.S. dovrà condurre immediatamente a tal proposito, mirerà a scongiurare con ogni sforzo che, nel caso di negata, esplicita adesione al movimento di conciliazione, siano diffusi avvisi di avversione al buon corso delle trattative avviate. Attendo esplicite telegrafiche assicurazioni.”. I Prefetti di Pisa, Mantova e Modena risposero che i fascisti erano favorevoli; i Prefetti di Reggio Emilia e Siena risposero che i fascisti erano scettici; i Prefetti di Firenze e Rovigo risposero che i fascisti erano contrari; il Prefetto di Bologna rispose che i fascisti erano decisamente contrari[21]. Nonostante per Mussolini la scelta di Bonomi non fosse stata ideale e la considerava di “transizione”, Bonomi, come già visto e ancora il 9 luglio, istruiva la prefettura di Bologna di “prevenire e impedire con la dovuta energia” le incursioni fasciste contro le organizzazioni dei lavoratori[22]. In una conferenza stampa del 13 luglio Bonomi dichiarò che il governo appoggiava il tentativo di pacificazione anche se i fascisti erano ancora diffidenti nei confronti dei socialisti, ma che il socialismo vero rifuggiva dalla violenza e quindi non era bersaglio del fascismo, mentre le difficoltà sorgevano di fronte agli «orrori» dei comunisti[23].
La realtà però, soprattutto nel ferrarese, ma in tutte quelle province dove i fascisti avevano prevaricato al soldo degli agrari le amministrazioni e le organizzazioni socialiste, era ben diversa. Di orrori comunisti non se ne vedevano, mentre continuavano le violenze fasciste[24]. Negli stessi giorni i fascisti bolognesi inviarono telegrammi ai fasci di Piacenza, Reggio Emilia, Parma, Ravenna, Forlì, Modena e Ferrara in merito alla pacificazione dichiarandosi nettamente contrari. In particolare, la rivista degli squadristi bolognesi L’Assalto pubblicò un paio di articoli nettamente contrari al patto con i socialisti. Il 12 luglio si tenne il consiglio nazionale fascista. L’ordine del giorno di Marsich contro il patto di pacificazione fu approvato dal Consiglio Nazionale dei Fasci italiani di Combattimento. Questo ordine del giorno deliberava di non autorizzare la continuazione delle trattative, ma allo stesso tempo di richiamare le organizzazioni fasciste ad una severa, coraggiosa e spontanea revisione dei metodi di lotta. Mussolini insistette nel distinguere la CGdL dal partito socialista, essendo consapevole che andare contro i sindacati avrebbe significato mettersi contro la maggioranza dei lavoratori. Mussolini sosteneva che nel continuare la politica della violenza il fascismo si sarebbe isolato e avrebbe spinto i socialisti e i popolari ad accordarsi. Con intelligenza politica però, durante il Consiglio Nazionale, Mussolini aveva chiarito che non intendeva smobilitare le squadre ma tuttalpiù perfezionarle[25]. Le trattative per il patto vennero sospese dopo il consiglio nazionale fascista il 12 e il 13 luglio. Sempre il 12 luglio squadristi veneti, del Friuli-Venezia Giulia e toscani avevano occupato Treviso. Le trattative si rimisero in moto proprio grazie alla mediazione di Bonomi che già il 15 luglio aveva convocato Pasella e Cesare Rossi a Roma mentre alcuni fasci locali avevano stipulato accordi e il gruppo parlamentare fascista il 19 luglio, aveva firmato un ordine del giorno favorevole al patto.
Gli Arditi del Popolo e i fatti di Sarzana
Il 10 luglio gli Arditi del popolo tengono a Roma il loro primo comizio e quindi si recano al covo fascista del caffè Aragno, vi sono incidenti e diversi arditi, compreso Secondari vengono arrestati. Il 12 luglio esce su L’Ordine Nuovo una lunga intervista ad Argo Secondari di Antonio Gramsci, Chi sono e cosa vogliono gli Arditi del popolo. I propositi della nuova organizzazione in una intervista con Argo Secondari[26]. In questa intervista Secondari precisa: “Gli Arditi non potevano rimanere indifferenti e passivi di fronte alla guerra civile scatenata dai fascisti. […]. In un primo tempo il Fascismo sembrava animato da uno scopo che, nelle sue forme esteriori, appariva anche a noi ispirato dal patriottismo: arginare cioè le cosiddette violenze rosse. Noi che miriamo sostanzialmente a realizzare la pace interna, dando la libertà ai lavoratori, potevamo anche restare estranei alla contesa tra fascisti e sovversivi. Oggi però non è più il caso di parlare di violenza rossa. Il triste monopolio di brigantaggio politico è esclusivamente tenuto dai fasci di combattimento. […]. Fin dalle tragiche giornate di Fiume, gli Arditi avevano compreso che cosa si nascondesse sotto il manto del patriottismo per l’organizzazione fascista e da quel momento fra Arditi e fascisti si aprì un abisso. […]. Lo stesso Comandante [D’Annunzio] del resto, con un suo ordine, vietò ai Legionari fiumani, che sono in gran parte Arditi, di far parte dei Fasci. Gli Arditi più nulla debbono avere in comune coi Fasci. […]. Noi lotteremo contro i fascisti e contro chiunque vorrà impedire ai lavoratori del braccio e del pensiero la loro emancipazione” [27]. Non a caso a Viterbo c’è sentore che le cose stanno cambiando. Infatti, la cittadinanza avvisata di una imminente retata fascista, da Orvieto, si organizza, suona le campane, per avvisare tutti alla resistenza. Vi è anche un battaglione degli Arditi del Popolo, che si reca alla stazione. I carabinieri vanno incontro ai camion fascisti e vedono bene di scoraggiarli dall’entrare in città[28].
“Le dichiarazioni fatte ai giornali dall’on. Mingrino a proposito della sua adesione agli Arditi del popolo servono magnificamente per mettere in rilievo il comunicato del Partito Comunista sullo stesso argomento. […]. L’on. Mingrino aderisce agli Arditi del popolo. Dà all’istituzione il suo nome, la sua qualità di deputato socialista, il prestigio della sua figura, diventata simpatica al proletariato rivoluzionario per l’atteggiamento tenuto durante l’aggressione fascista contro il compagno Misiano. Ma qual è la missione degli Arditi del popolo, secondo l’on. Mingrino? L’on. Mingrino […] non si è ancora convinto che bisogna dare alle ideologie patriottiche, nazionaliste, ricostruttrici, di Mussolini e C. un valore puramente marginale e bisogna invece vedere il fascismo nella sua realtà obbiettiva, fuori di ogni schema prestabilito, fuori di ogni piano politico astratto, come un spontaneo pullulare di energie reazionarie che si aggregano, si disgregano, si riassociano, seguendo capi ufficiali solo quando le loro parole d’rodine corrispondono all’intima natura del movimento, che è quello che è, nonostante i discorsi di Mussolini, i comunicati di Pasella, gli alalà di tutti gli idealisti di questo mondo? Iniziare un movimento di riscossa popolare, aderire a un movimento di riscossa popolare ponendo preventivamente un limite alla sua espansione, è il più grave errore. […]. Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del popolo? Tutt’altro […]. L’on. Mingrino è deputato socialista, se è uomo sincero, come noi crediamo, prenda egli l’iniziativa di fare uscire dal torpore e dall’indecisione le masse che seguono ancora il suo partito”[29].
Turati intanto si era reso disponibile a partecipare al colloquio tra i socialisti e i fascisti organizzato da Bonomi, per quanto i socialisti fossero di malumore per quest’opera all’infuori degli organi direttivi del Partito. Bonomi aveva ricevuto Zaniboni e quindi Pasella e Cesare Rossi. Secondo L’Ordine Nuovo Bonomi con questo patto mirava a rafforzare la sua posizione al Governo, salvare i fascisti, nei quali blocchi era stato eletto, accontentare i socialisti e concentrarle forze contro i comunisti[30]. Ancora una volta è utile lo spaccato fatto da Zibordi per comprendere con che animo si parlava di pacificazione: “Mentre scrivo queste note (metà di luglio) il Fascismo, dopo una breve tregua durante la quale si era parlato di trattative per spontanea iniziativa delle parti contendenti, ha avuto una vivace recrudescenza, per le forme e per i luoghi assai impressionante. Se e quanto essa sia stata preordinata a fini, politici, per turbare gli albori del nuovo Ministero Bonomi, o per acuire contro di esso i sospetti e la intransigente avversione dei socialisti, in modo da costringerlo a ricercare l'appoggio della Destra e darlesi prigioniero, non è agevole stabilire. Certo questa recrudescenza ha avuto caratteri gravi; ha invaso la Maremma, che pareva destinata a rimanere immune, compiendo a Grosseto e a Orbetello, nella forma più feroce, le gesta con le quali il Fascismo usa «conquistare i Comuni amministrati dai socialisti; ha fatto una incursione a Viterbo, sollevando reazione viva, unanime ed energica nella cittadinanza, e provocando forte impressione per la vicinanza alla capitale, nonché per il fatto che nella fase ultima di quei conflitti ci andò di mezzo una famiglia di viaggiatori inglesi che, scambiata dal popolo per fascisti che venissero alla riscossa, ebbe un giovinetto ucciso e altra persona ferita: ciò che conferirà assai ad accrescere il nostro credito all'Estero e a favorire l'industria del forestiero». Il Fascismo ha poi, il 13 Luglio, preso d'assalto Treviso, distruggendo le sedi del giornale repubblicano e del giornale popolare. La stampa romana del 15 Luglio è unanime - salvo il foglio nazionalista, a dire, in toni diversi, il basta; a invocare l'intervento dello Stato, sia in veste di repressore con le sanzioni della legge, sia in veste di conciliatore tra le fazioni. Il danno che alla vita economica, a ogni forma di attività, alla produzione, al commercio, al credito interno e straniero, alla fiducia del capitale, deriva da questo perpetuarsi di convulsioni, sembra cominci ad impensierire un po' tutti, anche quelli che dal Fascismo trassero innegabili vantaggi, o che guardarono ad esso come a restauratore dell'equilibrio turbato dal massimalismo bolscevico. […]. Anche per questa comune iattura, che la violenza esaspera e accresce, un istintivo desiderio di pacificazione si va diffondendo. Il solito semplicismo dirà che la borghesia - quell’entità definita, monolitica, uniforme, munita di una volontà concorde ed unanime (in Italia soprattutto!) che taluni si creano nella mente! - finché ha interesse a percuotere il proletariato, non disarmerà. E non, io negherò che ciò sia una parte del vero; ma nego che sia tutto il vero, e che non si devano anche considerare altri coefficienti del fenomeno, che possono concorrere a prolungarlo o a deviarlo artificiosamente, per interessi particolari e subordinati. È verissimo, per esempio, che i gruppetti borghesi di alcune città o paesi, che mediante il Fascismo hanno sloggiato dai Municipi i socialisti, ottenendo uno scopo che per altre vie era follia sperare, poiché il proletariato ha assoluta e incontrastabile maggioranza nell'urna, non consentiranno alla pacificazione se essa significhi la perdita della agognata conquista. È vero che la grossolana e brutale mentalità di alcuni gruppi agrari si illuderà di conservare per sempre alcune rivincite contro le Leghe, che essi attribuiscono solo alla violenza fascista, o vorrà continuare a sfogare contro i «villani prepotenti» le proprie ire; e che anche nel Fascismo, come nel militarismo, vi sono i «professionisti» che non vogliono sentir parlare di smobilitare, per non restare disoccupati; e che, oltre a ciò, il Fascismo nei luoghi dove pur sembra fermo e tranquillizzato, perché ha ottenuto tutto quel che voleva, sente il bisogno di rimanere in armi per difendersi dalle rappresaglie, e per la paura degli odii che sente di aver seminato. Ne è men vero che nel fascismo, come in ogni altro organismo complesso, giova distinguere coloro che sono già arrivati e che inclinerebbero a disarmare, e coloro che sono in viaggio, e non intendono rinunciare al mezzo con cui videro altri conseguire la meta.”[31]. In sintesi, Zibordi ha capito come al Gruppo Parlamentare fascista faccia comodo la pacificazione, mentre allo stesso tempo questa sia impraticabile per gli squadristi agrari.
L’Avanti! riporta le dichiarazioni di Turati dopo il colloquio con Bonomi, dove Turati ammette che era disposto a trattare ma con un certo scetticismo e che anche i comunisti avrebbero dovuto essere invitati alle trattative, ma anche i popolari. Turati affermava di essere disposto di ingoiare non solo un moscerino, ma un rospo e addirittura un elefante pur di far cessare le violenze[32]. È emblematico che sullo stesso numero dell’Avanti!, in seconda pagina, vi fosse un trafiletto sul fascismo agrario bolognese. Si rifaceva a dichiarazioni del segretario “e duce rag.” Baroncini, che l’Avanti! ironicamente ringraziava “in quanto, come del resto supponevano giorni fa attraverso le sue dichiarazioni appare sempre più evidente lapalissiano, che cosa la classe dominante intenda per pacificazione sociale: abolizione dei diritti proletari, soppressione di ogni libertà di movimento delle masse, rinuncia ad ogni conquista sindacale, sudditanza, crumiraggio, miseria”. Qui praticamente c’è la sintesi di come andava letto il patto di pacificazione, ovvero come una grande balla. Ma l’articolo prosegue sempre con lucida ironia: “Paese che vai fascismo che trovi. A Milano Mussolini proclama che le conquiste operaie debbono essere conservate, corroborate, difese. Nella provincia di Ferrara, i fasci di combattimento sostengono un’aspra campagna per il mantenimento integrale dei concordati del lavoro strappati alla proprietà durante la furibonda offensiva proletaria del 1920. L’on. Grandi, nella sua intervista di ieri l’altro, sentiva prepotente il bisogno di riaffermare il carattere rivoluzionario del fascismo. Ah, sì, ci pensano, Baroncini e l’Agraria a rafforzare nella realtà le enunciazioni programmatiche del duce e dei pontefici maggiori e minori. Rivoluzionari sì ma alla rovescia, cioè precipitoso, fantastico, ritorno al passato, a cinquant’anni indietro, alla servitù più intollerabile e vile […]. Pacificazione, paradiso terrestre! Intanto il Baroncini proclama l’abrogazione dei concordati del 1920 ”[33].
Dopo una prima incursione fascista a Sarzana, in Lunigiana, contro l’amministrazione socialista, il 12 giugno, la popolazione si organizza e il 9 luglio nasce un Comitato di Difesa Proletaria formato da anarchici, socialisti, comunisti e repubblicani. Due repubblicani ex ufficiali di complemento, Silvio Delfini e Papirio Isopo, costituiscono la sezione locale degli Arditi del Popolo. Il 17 luglio parte una spedizione punitiva in Lunigiana, i fascisti di Carrara seminano morti e feriti a Monzone, ad Aulla e a Santo Stefano di Magra e al loro ritorno sarebbero dovuti passare per Sarzana, ma, purtroppo per loro, la notizia della strage era “corsa più veloce dei loro camion”, e la popolazione e gli Arditi del Popolo si organizzarono. Vera novità è che il tenente dei carabinieri Antonio Nicodemi andò incontro ai camion fascisti per persuaderli a non entrare in Sarzana, evitando gli scontri. Alcuni fascisti, tra i quali Renato Ricci, vengono quindi arrestati. Il 20 luglio gli Arditi del Popolo catturano e processano, condannando a morte, due squadristi. La stessa sera circa 600 camice nere, quasi tutte toscane, si concentrano a Marina di Massa per giungere a Sarzana. Un drappello di carabinieri guidato dal capitano Guido Jurgens, sicuramente non filosocialista, si dispone per bloccare l’accesso al paese. “Il capo della spedizione, Amerigo Dumini, chiede la scarcerazione dei fascisti arrestati i giorni precedenti, la consegna del tenente Nicodemi, accusato di aver schiaffeggiato Ricci durante l’arresto, e libero accesso alla città per dare una lezione ai comunisti del luogo. Dopo il rifiuto da parte di Jurgens, che tra l’altro informa i fascisti dei rischi che li aspettano nei quartieri difesi dagli Arditi del Popolo, gli animi si surriscaldano, finché dalla parte fascista esplode un primo colpo al quale fanno seguito altre scariche in entrambe le direzioni, procurando diversi morti: sei fascisti e un caporale di fanteria.”[34]
Questa non può che essere una conferma per i lavoratori socialisti che la pacificazione è palesemente una farsa. Scrive l’Avanti!: “Mentre il capo dei fascisti parla alla Camera del rispetto alla legge i fascisti seminano morte e distruzione con l’assenso delle autorità”. Dice un articolo dell’Avanti! intitolato Giornate di terrore e di sangue in Lunigiana: “I fascisti distruggono, uccidono e rubano: la resistenza del popolo lavoratore di Sarzana”[35]. Continua L’Ordine Nuovo: “Nei 365 giorni dell’anno 1920, 2500 italiani (uomini, donne, bambini, vecchi) hanno trovato la morte nelle vie e nelle piazze, sotto il piombo della pubblica sicurezza e del fascismo. Nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921, circa 1500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata del fascista, circa 40.000 liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti; circa 20.000 altri liberissimi cittadini della democraticissima Italia sono stati esiliati con bandi regolari o costretti a fuggire con le minacce dalle loro sedi di lavoro […]; circa 300 amministrazioni comunali elette col suffragio universale sono state costrette a dimettersi; una ventina di giornali socialisti, comunisti, repubblicani, popolari sono stati distrutti; centinaia e centinaia di Camere del Lavoro, Case del Popolo, di Cooperative, di Sezioni comuniste e socialiste sono state saccheggiate e incendiate. […]. Oggi la situazione muta. Non si tratta più di individui o di gruppi che si rivoltano, che cercano di difendersi e di vendicare i loro morti; sono intere popolazioni che insorgono; senza distinzione di partiti politici popolari; il prete fa suonare la campana a stormo, mentre la donna prepara l’olio bollente e gli uomini si armano […] e lo Stato finalmente si muove; oggi che la popolazione insorge, lo Stato si muove”[36].
I socialisti leggevano le rivolte di Viterbo e Sarzana, per la prima volta “sostenute” anche dalle forze dell’ordine, come un chiaro segno di crisi dello squadrismo fascista, ormai visto dalle forze dell’ordine come una organizzazione reazionaria criminale. I fatti di Sarzana fecero precipitare la situazione e Mussolini si affrettò a riprendere le trattative non solo con la CGdL ma anche con il PSI. Mussolini riunì nella notte tra il 21 e il 22 un Consiglio Nazionale d’urgenza. Secondo la testimonianza di Cesare Rossi, Mussolini era ancora più convinto che le trattative per la pacificazione andassero riprese per spezzare il “cerchio d’odio” che si stava stringendo attorno al fascismo, perché il paese aveva bisogno di pace. Secondo Mussolini si doveva distinguere tra i giovani fanatici antisocialisti e gli ufficiali al soldo delle varie Agrarie. Mussolini però confermò che il fascismo avrebbe votato contro la fiducia al Governo. Ottenne in questo Consiglio 23 voti a favore e 5 contrari. Una circolare fu quindi mandata a tutti i Fasci che ordinava tra le altre cose la cessazione della violenza individuale e delle spedizioni punitive[37]. Nel discorso alla Camera del 23 luglio, annunciò il voto di sfiducia dei fascisti al Governo, ma al medesimo tempo, però, parlò di possibile coalizione tra i fascisti, i socialisti e i popolari. Nello stesso discorso Mussolini gettava un ponte: “Penso che si va presto o tardi ad una nuova e grande coalizione e sarà quella delle tre grandi forze efficienti in questo momento nella vita del paese … Un socialismo che dovrà correggersi e già comincia: notevole il voto confederale contro i comunisti, soprattutto notevole il nuovo punto di vista della Confederazione generale del lavoro per ciò che riguarda lo sciopero dei servizi pubblici; la forza dei popolari che esiste, che è potente, anche perché si appoggia, non so con quanto profitto per la religione, alla forza immensa del cattolicesimo, e finalmente non si può negare l’esistenza di un terzo movimento complesso, formidabile, eminentemente idealistico, che raccoglie la parte migliore della gioventù italiana. Credo che a queste tre forze coalizzate sopra un programma che deve costituire il minimo comun denominatore, spetterà domani il compito di condurre la Patria a più prospere fortune”[38].
Dopo i fatti di Sarzana, il 24 luglio, si tenne a Roma il primo Congresso Nazionale degli Arditi del Popolo[39]. Il 27 luglio Mussolini pubblicò sul Popolo d’Italia, un articolo intitolato Ritorno al principio, con il quale cercava di spiegare il principio sul quale si fondava il patto, ovverosia, salvare il fascismo dall’essere ripudiato dalla nazione: “Il fascismo di questi ultimi tempi, in talune zone, non rassomiglia fatto il primo; non è intonato ai criteri che ispirarono la creazione del fascismo, il quale era un movimento di difesa, di donazione, non già un’organizzazione puramente e semplicemente repressiva a difesa di taluni interessi particolari”[40]. Ancora dell’idea di essere al comando dei Fasci italiani di Combattimento Mussolini dichiarò in un’intervista alla Provincia della Spezia che il fascismo era un esercito e che lui era in comando e quindi gli ordini da lui impartiti andavano seguiti. La realtà era ben diversa, i nazionalisti de L’Idea Nazionale ritenevano Mussolini un illuso, in quanto il fascismo non era nato nel marzo 1919 a Milano, ma nell’autunno 1920 a Bologna e il socialismo se non schiacciato avrebbe rialzato la testa e ripreso la sua politica antipatriottica. Sempre a seguito della presa di posizione di Mussolini, Marsich e Farinacci si dimisero dal Comitato Centrale. Marsich su Italia Nuova scrisse il 28 che: “La pace si fa non fabbricando trattati ma cambiando i governi”. Da L’Assalto di Grandi, quest’ultimo scriveva il 30 luglio in Parliamoci chiaro: “ Mentre Mussolini all’Hotel Des Princes discute la pace, alla camera Turati lo insulta e lo schernisce; mentre il Popolo d’Italia diventa purtroppo ogni giorno di più uno specchio quotidiano di cristiane virtù, l’Avanti! continua a capeggiare tutti i giornali della malavita accentuando i toni della sua campagna subdola e infame; - mentre a Roma si discute la pace, a Sarzana si rinnovano da parte dei comunisti sulle persone dei nostri le ferocie innominabili di Sciara-Sciat[41] - mentre quell’ineffabile presidente del consiglio (che i fascisti di Mantova hanno il torto di non aver lapidato, quando egli mendicava il loro appoggio elettorale) proclama alla camera l’imparziale impegno della legge, contratta nello stesso tempo in separata sede con Modigliani e con Turati nel promettere tante azioni poliziesche ai fascisti e l’immunità agli arditi del popolo. Eh, via! Non scherziamo, signori! Se qualcosa occorre oggi non è un ridicolo trattato di pace, bensì una preparazione militare solida e lenta per il nostro domani rivoluzionario contro lo Stato socialista che ineluttabilmente si prepara.”[42]
Gli squadristi si rendevano conto che se loro avessero cessato le violenze avrebbero potuto perdere il controllo sul territorio, tanto rapidamente quanto lo avevano conquistato. Anche se sporadici, gli episodi di resistenza armata contro le squadre fasciste erano bastati per metterle in crisi. Il 31 luglio l’Avanti! pubblica un articolo firmato da Alfa che abbraccia in pieno la resistenza violenta contro il fascismo: “Le violenze fasciste che continuano sempre più feroci in ogni parte d’Italia, con la complicità […] delle autorità di Pubblica Sicurezza, fanno pensare se non sia il caso di abbandonare ogni atteggiamento di resistenza passiva […]. Quello che avviene nelle province di Mantova, Rovigo, Ferrara e Bologna è la dimostrazione palmare delle buone intenzioni della classe padronale. […]. I capi del nostro movimento politico non devono più oltre tollerare il martirio di intere popolazioni se non vogliono passare per traditori del proletariato […]. Ai fasci di combattimento opponiamo gli Arditi del Popolo, alle violenze altrui rispondiamo con altrettanta violenza, facciamo nostro il motto avversario: occhio per occhio, dente per dente”[43]. La redazione dell’Avanti! si giustifica scrivendo che “non può il giornale del Partito Socialista tacere di un movimento che ha ormai larga simpatia fra la massa proletaria […]. L’arditismo popolare è un fenomeno di reazione contro il fascismo. […] l’arditismo popolare […]. È perciò al di sopra ed al di fuori di tutti i partiti politici. Vi ci sono iscritti socialisti, anarchici, repubblicani, sindacalisti, apolitici. Vi ci sono iscritti anche dei comunisti, per quanto la cosa sia vietata dal terribile Esecutivo, che vuole formare lui i suoi quadri. Gli arditi del popolo […] si illudono, evidentemente, circa la possibilità di arginare un movimento armato […] quando esso sia, come è, protetto e tutelato dallo Stato. Finché la borghesia sarà al potere essa se ne varrà, anche violentemente, contro le masse lavoratrici. E non ci sono bastoni o pugnali di arditi del popolo che possano valere contro le mitragliatrici, i cannoni gli aeroplani dello Stato gendarme e dei suoi difensori. Tuttavia, la formazione spontanea, rapida, larga di questa milizia popolare ha un significato politico che non può sfuggire al governo, come non sfugge al Partito Socialista”.
Il patto di pacificazione
Il 2 agosto viene firmato il patto di pacificazione, e la prima firma in calce al documento è proprio quella di Mussolini. Il giorno dopo al Resto del Carlino, Mussolini precisa che: “la pace poteva essere dettata a condizioni più dure un mese fa: prima cioè che la stella del Fascismo, che aveva brillato per tanto tempo all’orizzonte, impallidisse un po’ per i fatti di Viterbo, di Treviso, di Roccastrada … Il Trattato di pacificazione risolve la crisi del Fascismo, nel senso che l’elemento politico avrà d’ora innanzi la netta e decisa egemonia sull’elemento, dirò così, militare.”[44]. In prima pagina il titolo principale dell’Avanti! il 4 agosto, è: “Il concordato per la cessazione delle violenze è stato firmato da socialisti, fascisti e organizzatori operai”. Invitati dalla presidenza di De Nicola erano i rappresentanti del Consiglio Nazionale dei Fasci di Combattimento, del Gruppo Parlamentare Fascista, della Direzione del Partito Socialista, del Gruppo Parlamentare Socialista, della Confederazione Generale del Lavoro. Erano stati invitati anche il Direttorio del Gruppo Parlamentare Comunista e i rappresentanti del gruppo popolare e repubblicano. Il Direttorio del Gruppo Parlamentare Comunista declinò l’invito in virtù della decisione del Comitato Esecutivo del partito, anche i popolari respinsero l’invito, preferendo che il dibattito rimanesse nella Camera. I repubblicani respinsero l’invito dichiarando di voler rimanere neutrali. La cosa grave di questo patto era che se da un lato il Partito Socialista mostrava di mandare giù il rospo di far passare l’idea di pacificazione con i fascisti, ovvero cessare dal lato suo le violenze rosse, millantate dai fascisti, ma che in realtà non avevano mai realmente avuto luogo. Accettava di mandar giù questa menzogna pur di un impegno formale da parte dei dirigenti fascisti, illudendosi altresì che questi rappresentassero quella massa eterogenea e radicalmente localizzata che erano le squadre fasciste. Il Partito Socialista faceva ciò rinunciando all’unica vera forma di resistenza di classe, ovvero gli Arditi del Popolo, come citato dal VI punto: “Il Partito Socialista dichiara di essere estraneo alla organizzazione e all’opera degli Arditi del Popolo come – del resto – risulta già dallo stesso convegno di questi ultimi, che si proclamano al di fuori di ogni partito”[45]. La cosa interessante è che sempre nella stessa prima pagina, Serrati nei suoi “Scampoli”[46] riporta le dichiarazioni de L’Idea Nazionale, che riferisce la voce degli squadristi di Bologna, Firenze, che considerano questi patti come una manovra per snaturare il fascismo. Si chiede quindi Serrati perché il duce canta quindi vittoria? e perché gli stessi industriali che foraggiano l’Idea Nazionale, si dichiarano a favore dei patti?
Per gli Arditi del Popolo il concordato è effettivamente una beffa: “Il trattato di cui tanto si compiace la stampa antiproiettile ed antirivoluzionaria, non è che una feroce beffa al proletariato italiano, non è che una atroce ironia contro le Case del Popolo, le Cooperative e le Tipografie che fumanti per il petrolio e la bomba fascista; non è che il più atroce insulto a quanti furono freddati proditoriamente, a quanti furono costretti a ramingare per le boscaglie ed i monti della Toscana e dell’Umbria e dell’Emilia; alle famiglie infine che ancor oggi sono pervase dal terrore dalla desolazione conseguente alle "patriottiche passeggiate fasciste". La Sezione torinese degli Arditi del Popolo mentre manda un plauso di cuore al Partito Comunista d'Italia, alla Federazione Anarchica Italiana, all'Unione Sindacale ed agli altri raggruppamenti politici sul terreno della lotta rivoluzionaria che si estraniarono dalla beffa della pacificazione; dichiara che essa non ha alcuna fiducia nelle cosiddette leggi di protezione dello Stato Italiano, e che perciò essa continuerà a mantenere tutte le sue forze in vigile posizione di difesa e di offesa, perché nessun altro criminale attentato si compia ai danni della vita e delle istituzioni del proletariato[47]. Gli Arditi del Popolo preoccupavano non poco Mussolini anche se egli ostentava sufficienza in quanto, come scriveva, questi: “ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e da socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera”. Il loro avvento aveva fatto precipitare la situazione; erano state proprio le dimostrazioni di forza degli Arditi del Popolo a Viterbo e a Sarzana, che obbligarono Mussolini a forzare la mano e mettere il resto del movimento di fronte al “fatto compiuto”[48]. Il disarmo dei cittadini e lo scioglimento dei corpi armati non autorizzati, impartiti da Bonomi, furono applicati in modo sproporzionato, ovvero colpivano prevalentemente le organizzazioni socialiste e gli Arditi del Popolo, mentre i fascisti erano allertati dalle stesse autorità militari che avrebbero dovuto effettuare i sequestri[49].
Anche se con motivazioni diverse sia il PSI che il PCdI si dichiararono estranei al movimento degli Arditi del Popolo, mentre gli anarchici di Umanità Nuova offrono loro lo spazio per i comunicati, dimostrandosi attivamente così favorevole al movimento[50]. Non solo l’isolamento dal PSI e dal PCdI non giovava agli Arditi, ma ancor peggio i tentativi di avvicinamento e allineamento si dimostreranno fatali per gli Arditi del Popolo. Giovanni Mingrino, socialista, quindi volontario, capitano degli Arditi, medaglia d’argento, torna nei socialisti e nel ‘20 è segretario della Camera del Lavoro di Pisa. È eletto deputato nel ‘21. Il Mingrino cerca di allineare il movimento. Il 28 viene costituito il Direttorio cittadino dove al fianco di Secondari viene messo proprio Mingrino, insieme a Vincenzo Baldazzi[51]. Mingrino è un politicante, e si rivelerà più tardi assai losco, arrestato anche per contrabbando di cocaina, molto usata tra gli ufficiali dei Reparti d’assalto, viene espulso dal PSI nel 1924, e diventa informatore della polizia politica. Questo politicante riuscirà a spodestare Secondari e di fatto, anche se non solo per merito o colpa sua, ad affossare gli Arditi del popolo, nel giro di pochi mesi. Gli Arditi del Popolo sono quindi già fratturati nella direzione tra Secondari che scrive su L’Avanguardia Sociale e i vari Mingrino[52], Baldazzi e De Fazi che fondano in settembre L’Ardito del Popolo.
Luigi Balsamini espone la problematica dell’atteggiamento del Partito Socialista di fronte al fenomeno degli Arditi del popolo in modo chiaro e fattuale. A grandi linee illustra come fosse coerente con le proprie idee l’atteggiamento della frazione riformista, che predicava una risposta pacifica, non-violenta alle provocazioni, distruzioni e uccisioni fasciste. Mentre come la stessa risposta da parte dei massimalisti risultasse incoerente, in quanto invocando la violenza rivoluzionaria avrebbero più coerentemente dovuto contemplare una reazione armata contro gli squadristi. Di fatto i socialisti massimalisti erano dell’idea, come i riformisti, che la loro vera arma fosse la scheda elettorale, e reputarono quindi quelle del maggio 1921 elezioni vittoriose, ma questo mostrò al contempo e in pratica quanto non fosse adeguata la risposta legalitaria elettorale contro i crimini delle squadracce fasciste. Verissimo era che i socialisti, così come comunisti e ogni altro movimento di sinistra genuino, dovevano più che altro affrontare o avere a che fare con la connivenza dell’esercito e delle forze dell’ordine con i fascisti e che quindi se avessero portato la lotta sul campo illegale della violenza armata avrebbero ricevuto un doppio urto ovvero dalle forze dell’ordine dello Stato e dei criminali fascisti. È comprensibile quindi come i socialisti cercassero, seppur in fondo apprezzando, di stare a distanza dagli Arditi del Popolo. Gli Arditi del Popolo avevano suscitato una reazione da parte del Governo che faceva ancora una volta notare i due pesi e le due misure[53] con i quali venivano trattati i fascisti. Per Ivanoe Bonomi la reazione dei fasci di combattimento aveva ridato una forza vitale agli italiani dopo l’avvilimento dell’“italiano patriota”, prodotto dall’illusione della rivoluzione bolscevica. Per Bonomi quindi, interventista sia nel 1911 che nel 1914, volontario al fronte, una certa funzione positiva i fascisti la stavano avendo, contro il pericolo bolscevico. Ricordava Bonomi: “se fazioni, o gruppi, o partiti intendono preordinare un movimento rivoluzionario, o vogliono, per esempio, con gli Arditi del Popolo, opporre violenza a violenza o, peggio, attaccare le nostre armate dello Stato, allora il governo non può esitare ad applicare loro il più severo rigore delle leggi punitive. Egualmente, se fazioni o gruppi, siano di fascisti o di altri, vogliono insistere nell’organizzazione armata, nella formazione di squadre di azione, nell’azione punitiva a mezzo di violenze delittuose, allora il governo non può che applicare rigidamente il Codice penale, che non consente la formazione di corpi armati”[54].
Bordiga denuncia il pullulare di gruppi e movimenti rivoluzionari o semi-rivoluzionari di destra e di sinistra, confermando di non credere, come già affermato in passato, nella possibilità di un colpo di stato di destra, “che ci regali un regime peggiore di quello monarchico e parlamentare che godiamo”, per lui questo è solo un ridicolo spauracchio. Secondo Bordiga la rivoluzione dei sindacalisti e degli anarchici presta il fianco “a quelli che sono i più insidiosi nemici della causa proletaria”, ovvero i dannunziani, e quelli che vogliono fare la rivoluzione per la nazione invece che per la classe. Ora secondo Bordiga coalizzarsi nella lotta contro i fascisti con gli altri movimenti politici, risulterebbe in un grave errore, perché una volta battuto il fascismo questi si rivolterebbero contro i comunisti. Bordiga è quindi contro l’idea del fronte unico, che si sta sviluppando in seno all’internazionale[55] .
Il giudizio del riformista Treves su Bonomi è effettivamente veritiero, in quanto questi in un primo momento vedeva il fascismo come una necessaria medicina per contrastare l’ondata socialista estremista, quindi dopo i fatti di Sarzana, il Governo Bonomi cerca di fare da intermediario, nel nome dell’autorità dello Stato che fino al giorno prima latitava. Mentre il fascismo ormai in Parlamento promette “solennemente, con atto di benignità sovrana” di sospendere le varie spedizioni punitive, che, come sottolinea Treves, “il Codice penale prevede e reprime, teoricamente, come i più gravi crimini”. Bonomi, quindi, ha un arduo compito di affrontare il fascismo, ma, sempre secondo Treves, questo sarà duro a morire. I socialisti dal canto loro però non devono generare nessun pretesto[56]. Dal punto di vista fascista se il patto di pacificazione offriva a Mussolini il ruolo di un nuovissimo Giolitti [57], lo squadrismo fascista aveva tutto da perdere e nulla da guadagnare. I ras provinciali e locali avrebbero finito inevitabilmente per essere messi da parte[58]. La corrente sindacalista fascista, impersonata da Dino Grandi, vedeva il patto di pacificazione come un tranello per abbattere l’organizzazione economica sindacale fascista[59]. Il 30 luglio in Toscana 400 Fasci in un Convegno a Firenze avevano approvato un ordine del giorno che sconfessava le trattative di pace. Il 1° agosto anche quelli veneti e gli emiliani-romagnoli. Mussolini aveva risposto con l’articolo, già citato, Fatto compiuto, il 3 agosto sul Popolo d’Italia: “difenderò con tutte le mie forze questo trattato di pace, il quale, a mio avviso, assurge all'importanza d'un avvenimento storico...; e che metterò in pratica un vecchio, saggio proverbio, che dice: «Chi non usa le verghe odia suo figlio». Ora, se il fascismo è mio figlio... Io, con le verghe della mia fede, del mio coraggio, della mia passione, o lo correggerò o gli renderò impossibile la vita... Dal mio punto di vista personale, la situazione è di una semplicità lapalissiana: se il fascismo non mi segue, nessuno potrà obbligarmi a seguire il fascismo”[60].
Quindi sempre in risposta ad un altro articolo di Grandi, Pensieri in Pentola, pubblicato su L’Assalto, la replica di Mussolini non si fece attendere: “Io sono «duce» per modo di dire... Non ho mai imposto nulla a chicchessia... I fascisti emiliani vogliono dare un addio al fascismo italiano? Dal punto di vista personale, la cosa mi lascia indifferente o quasi. Per me il fascismo non è fine a se stesso. Era un mezzo per ristabilire un equilibrio nazionale... Gran parte di ciò è stato raggiunto. Il fascismo può dividersi, scomporsi, frantumarsi, decadere, tramontare. Se sarà necessario vibrare martellate potenti per affrettare la sua rovina, mi adatterò alla ingrata bisogna. Il fascismo che non è più liberazione, ma tirannia; non più salvaguardia della nazione, ma difesa di interessi privati e delle caste più opache, sorde, miserabili che esistano in Italia; il fascismo che assume questa fisionomia, sarà ancora fascismo, ma non è quello per cui negli anni tristi affrontammo in pochi le collere e il piombo delle masse, non è più il fascismo quale fu concepito da me... Siamo in troppi e quando la famiglia aumenta la secessione è quasi fatale. Venga, se deve venire, e i socialisti si rallegrino! La loro vittoria non è nel trattato di pace, ma è in questa indisciplina, è in questa cecità spaventevole che sta per perdere una parte del fascismo italiano... Non s'erano dunque accorti che il fascismo era diventato sinonimo di terrore anche presso le popolazioni non socialiste?
Io ho spezzato questo cerchio; ho aperto il varco tra i reticolati dell'odio, di questa ormai irrefrenabile esasperazione di vaste masse popolari che vi avrebbe travolti; ho ridato al fascismo tutte le possibilità... Or bene: è tempo che il fascismo italiano sputi fuori ciò che pensa, ciò che vuole. Il trattato di pacificazione è il reagente che deve precipitare la selezione. La prossima settimana deve costituire la settimana dell'esame di coscienza del fascismo italiano. I risultati mi indicheranno la strada da seguire. Molti rospi ho inghiottito in questi ultimi tempi e molte solidarietà ho accettato per carità di fascismo. Ma a tutto c'è un limite ed io sono giunto a questo limite estremo. Il fascismo può fare a meno di me? Certo, ma anch'io posso fare a meno del fascismo. C'è posto per tutti in Italia: anche per trenta fascismi, il che significa, poi, per nessun fascismo.”
Il 16 agosto si tenne, a Bologna, il Convegno Regionale dei principali Fasci padani, emiliano-romagnoli, che ammontavano a 600 su 1700. Il Convegno fu guidato da Grandi, Baroncini, Oviglio, Balbo, Farinacci, Marsich, Finzi e Barbiellini. Questi utilizzando il pretesto delle fazioni armate comuniste e degli Arditi del Popolo, «mentre comunisti e arditi del popolo si costituiscono in frazioni armate aggressive»[61], rigettarono i trattati di pacificazione, convocando il Congresso Nazionale. Il 17 agosto tappezzarono la città di Bologna con manifesti inneggianti “Duce: Chi ha tradito, tradirà”[62]. Il 18 agosto dal Popolo d’Italia Mussolini annunciò le sue dimissioni dalla Commissione Esecutiva dei Fasci: “Chi è sconfitto, deve andarsene. E io me ne vado dai primi posti. Resto, e spero di poter restare, semplice gregario del Fascio Milanese.” Tre giorni dopo Cesare Rossi si dimise da vicesegretario dei Fasci. Se la scissione sembrava inevitabile a Mussolini, per Grandi, Marsich, Farinacci e Balbo, i quali non avevano ancora la statura per poter prendere in mano il movimento, la situazione era più complessa. Sempre in agosto si recarono a Gardone da D’Annunzio per chiedergli di prendere il comando dei Fasci. Dopo tre giorni di meditazione, per “consultare le stelle”, D’Annunzio declinò evasivamente l’offerta, perché “era nuvoloso”. I ras furono, quindi, costretti a trattare con Mussolini a Milano[63]. Questo determinò il rientro in gioco di Mussolini, il quale, secondo, De Felice, non pensò mai di lasciare i Fasci di Combattimento, perché: “il fascismo era la sua vera casa, la sua unica carta politica e non voleva rinunciarci a nessun costo”[64]. Uscire dal fascismo avrebbe segnato la sua fine politica, mentre il fallimento del patto di pacificazione avrebbe significato solo una momentanea sconfitta interna. La carta che tornerà però utile a Mussolini, paradossalmente, sarà quella che, nonostante quanto i Fasci più legati all’agraria potevano far credere, la maggior parte dei Fasci non era poi così sfavorevole ai patti. Secondo i rapporti dei Prefetti al Ministero dell’Interno, i Fasci favorevoli ai patti erano quelli di: Avellino, Bergamo, Brescia, Catania, Catanzaro, Chieti, Cosenza, Grosseto, Lucca, Macerata, Mantova, Massa Carrara, Messina, Milano, Novara, Pavia, Pisa, Reggio Calabria, Roma, Siena, Siracusa, Sondrio, Teramo, Verona e Vicenza; i Fasci incerti erano quelli di: Arezzo, Firenze, Piacenza, Rovigo, Torino e Udine; i Fasci contrari erano quelli di: Alessandria, Bologna, Cremona, Ferrara, Foggia, Modena, Padova, Parma, Perugia, Ravenna, Reggio Emilia; diviso era quello di Venezia[65]. Quindi, nonostante gli squadristi “agrari” avessero avuto la meglio, Mussolini non era completamente isolato; vi erano ancora molti fascisti d’accordo con lui. Il bolscevismo in Italia era stato sconfitto, Mussolini era stato l’ideatore di questo movimento antibolscevico, e il paese aveva bisogno di pace, questi erano gli argomenti dei sostenitori di Mussolini. Ma anche tra i ras sorgeva il problema del capo. Italo Balbo, per esempio, il 23 agosto mandò un messaggio, tramite il Popolo d’Italia, nel quale spiegava che il voto del 16 agosto non era stato contro Mussolini, ma contro il patto di pacificazione, ispirato da Mussolini a causa del suo: “cieco amore di ricostruzione politica e nazionale”. Il Prefetto di Bologna, Mori, mandò, in quei giorni, un rapporto sui fasci emiliani, spiegando che questi non erano contro la pacificazione, la loro pacificazione però doveva essere coerente con il loro programma agrario, ovvero l’abolizione del monopolio socialista in materia di mano d’opera e contratti, quindi il riconoscimento dei sindacati fascisti. In più la mancata adesione ai trattati di pace da parte dei comunisti dava un pretesto, concreto, agli squadristi, per non accettare i patti[66]. Il 18 agosto Pasella aveva scritto a Grandi e Farinacci invitandoli a contattare Mussolini per convincerlo a ritirare le dimissioni. Il 19 agosto la Commissione Esecutiva dei Fasci respinse le dimissioni di Mussolini[67]. Già il 23 agosto Mussolini scrive sul Popolo d’Italia, Verso il futuro, dove annunciava l’esigenza di trasformare i Fasci in Partito politico. Il 26 e 27 agosto si riunì il Consiglio Nazionale fascista, assenti perché dimissionari Mussolini, Marsich, e Farinacci. Grandi si mise su una posizione di compromesso. Il 6 settembre esce il Movimento fascista e partito politico di L. Freddi, e a seguire escono articoli sempre favorevoli alla trasformazione, di Enrico Rocca, Silvio Galli, Alberto De Stefani, Massimo Rocca ed Emilio Varaldo; mentre Mussolini rimaneva in secondo piano, seppur riuscendo a far approvare un Programma da sottoporre al Congresso Nazionale[68]. Il 7 settembre il Gruppo Parlamentare fascista si riunì per discutere sul problema del patto di pacificazione convenendo di rimandare ogni decisione al Congresso Nazionale. Mussolini risultava, soprattutto dopo la rinuncia di D’Annunzio, ancora indispensabile al fascismo e, dal canto suo, dichiarandosi “gregario” aveva saputo fermarsi in tempo e in qualche modo mantenere la sua credibilità nei confronti dei Fasci.
Tra il 22 giugno e il 12 luglio 1921 si era tenuto in Russia il III Congresso della Internazionale Comunista. In marzo in Germania vi era stato uno sciopero insurrezionale (guidato dal partito comunista tedesco, la KPD), l’Azione di marzo, che trovava i favori dei leader del PCdI, ma non quelli del leader della KPD, Paul Levi. L’Azione di marzo fu però schiacciata dalla polizia. Quindi al Congresso vi fu un’inversione di tendenza, e i vari leader bolscevichi, fino ad allora per la tattica dell’offensiva, inaugurarono la tattica del fronte unico, ovvero la necessità dei comunisti di essere vicini alle masse. Lenin attaccò duramente l'intervento che Terracini aveva fatto in favore della teoria dell'offensiva, ormai fallita in Germania. L’Internazionale Comunista era anche nettamente positiva nei confronti degli Arditi del popolo, criticando quindi l’atteggiamento del PCdI[69]. Sempre al III Congresso dell’Internazionale di Mosca, tre socialisti, Lazzari, Maffi e Riboldi, denominati pellegrini, avevano vagliato la possibilità di rimanere nell’Internazionale, mentre il PCdI, come quello Russo li forzava sui punti 7 e 21, di espulsione dei riformisti e di coloro i quali non accettassero le condizioni dell’Internazionale. Lenin e altri bolscevichi ebbero una grande influenza sui pellegrini, che tornarono in Italia convinti che la cosa giusta fosse effettivamente espellere la compagine riformista. La questione, quindi, fu posta al XVIII Congresso nazionale tenutosi a Milano nell’ottobre.
Al Congresso di Milano, importante fu la presenza di Clara Zetkin. All’incirca un anno prima si era recata a Tours per il XVIII Congresso del Partito Socialista Francese, Section française de l'Internationale ouvrière (SFIO)[70], congresso che determinò la scissione del Partito Comunista, una Livorno anticipata di qualche giorno. Anche in questo caso si presentò in veste di delegata della Terza Internazionale. Ma a Milano la corrente massimalista centrista, guidata da Serrati, ancora maggioritaria, non accettò le disposizioni di Mosca, che di fatto la mettevano al di fuori dell’Internazionale, facendo sorgere la frazione dei cosiddetti “terzini”, ovvero i membri che volevano accettare i 21 punti[71]. Nel corso del 1922, Serrati, che rimaneva scettico sulla vera entità della Rivoluzione russa, alla fine cambierà opinione e passerà dalla parte dei terzini. In questo momento, però, a Milano, il PSI non volle ancora tagliare i ponti con la Terza Internazionale, ma non volle neanche estraniarsi l’alleanza della CGdL e dell’Internazionale Sindacale di Amsterdam. Con il Congresso di Milano, il PSI, iniziava il processo di abbandono del programma rivoluzionario che aveva adottato a Bologna nel 1919. Zibordi nota il disinteresse della Direzione, massimalista, in merito alle violenze fasciste, nota altresì, tristemente, che con l’eccezione della concentrazione socialista e dei centristi alessandrini, il Congresso fu pressoché occupato con i fatti di Mosca[72]. I riformisti, nonostante vedessero la conservazione dell’unità di partito come una vittoria, erano contrari all’ambiguità della politica serratiana, che se da un lato non cedeva a Mosca, rimaneva dall’altro filo-bolscevica[73]. Il Congresso non fu meno teso di quello di Livorno. Al guesdista Alexandre Bracke dello SFIO francese[74], poco dopo aver iniziato il suo discorso contro Turati e la collaborazione, venne impedito di proseguire. Il segretario Bacci nella sua relazione di apertura, accennò anche al fascismo, e alla condotta civile tenuta dalla Direzione e dell’importanza da parte del proletariato di non aver accolto le provocazioni. Quindi come accennato, Clara Zetkin prende la parola, come delegata della Terza Internazionale, al posto di Lunaciarski. La Zetkin è ovviamente per la scissione dai riformisti e non esita a commentare il patto di pacificazione, altrimenti ancora mai citato, al quale avrebbe preferito “l’energica rivoluzione delle masse”. La Zetkin sottolinea che ora il PSI è costretto a discutere di collaborazionismo, e questo è, secondo lei, molto più grave del ministerialismo. Il collaborazionismo è una conseguenza logica del riformismo. La Zetkin porta l’esempio dei nefasti effetti della collaborazione della SPD tedesca durante la rivoluzione che portarono appunto a continui assassini, 15 mila, tra i quali quelli più noti di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Tornando al PSI, afferma, che quando sarà risolta la questione dei collaborazionisti sarà anche risolta la questione della permanenza del PSI nella Terza Internazionale. Treves fa notare che la maggioranza massimalista centrista, che a Bologna aveva accettato il programma della Terza Internazionale, ormai era solo di nome rivoluzionaria, ma di fatto, aveva approvato degli ordini del giorno, che si avvicinavano a posizioni di dialogo parlamentare. Il primo dei pellegrini a prendere la parola fu Lazzari, che aveva votato sia a Bologna che a Livorno contro la frazione comunista, perché contro la violenza, e ora dopo, il viaggio a Mosca, si schierava con gli scissionisti. Il vecchio Lazzari rispolverava il suo intransigentismo, dichiarando che era ora di epurare i riformisti, lotta che effettivamente Lazzari aveva intrapreso già dal lontano 1903. Lazzari cita anche il fascismo, lui, colui il quale come segretario del PSI aveva proposto Mussolini come direttore dell’Avanti!, ora, riferendosi ai patti di pacificazione, diceva che questi avevano permesso a Mussolini, dopo essere stato espulso e rinnegato dal PSI, di trattare alla pari col PSI. La pacificazione quindi per Lazzari era incompatibile con la politica del PSI. Il contegno nei confronti del fascismo viene messo in discussione anche dal delegato del Partito Comunista polacco Henryk Walecki, che afferma: “vi illudevate sulla tattica pacifista, legalitaria, civile e su altre belle cose; tre mesi sono passati dalla firma del patto, ed io non voglio fare il bilancio sanguinante di questo trimestre. Voi avete spento nelle file delle vostre organizzazioni lo spirito di lotta, l’istinto della legittima difesa”. Il terzo giorno del Congresso salì sul palco Serrati, il quale ribadì l’unità di partito, polemizzando con Lazzari, ora scissionista. Maffi fu quindi il secondo pellegrino a prendere la parola durante la quarta giornata. Per Maffi il collaborazionismo è una illusione. Non è con la collaborazione che ci si salverà dal fascismo, sosteneva. Tocca quindi a Riboldi, terzo e ultimo pellegrino, che nota anche egli come il PSI si trovi ad un bivio, o andare a destra (per il collaborazionismo riformista) o seguire la via rivoluzionaria. A Friedrich Adler[75], presente al Congresso a titolo personale, venne impedito di parlare perché socialdemocratico. Bacci per calmare i massimalisti e gli scissionisti, ricordò che Adler fosse l’unico ad aver ucciso un ministro responsabile della guerra. Quando finalmente poté parlare non fece altro che dichiarare la simpatia dei socialisti austriaci verso il PSI, così come per Zimmerwald e Kienthal e non si espresse, in fondo, contro l’Internazionale Comunista. Sul fascismo Serrati minimizzò sostenendo che questa è una situazione generale presente anche negli Stati Uniti, in Cecoslovacchia, in Ungheria e che un po’ dappertutto esistevano ormai bande armate. Era inutile, secondo Serrati, ogni tentativo di collaborazione, concludendo: “Noi non diciamo a nessuno: andatevene. Noi siamo per l’unità. Ma da questo Congresso deve uscire ben chiaro che è fuori per sempre dal socialismo chi pensa di andare a collaborare con nemico”. Infine, vinse l’ordine del giorno dei massimalisti unitari di Serrati, esposto da Baratono, il quale conteneva una nota critica nei confronti della concentrazione riformista che non seguiva la linea politica dettata dalla maggioranza. Come già osservato altrove[76], a Livorno, così come a Milano, l’unitarismo di Serrati, seguiva un preciso disegno politico, quello di non estraniarsi la vera base del PSI, ovvero le istituzioni, effettivamente costituite nella maggior parte dai riformisti. Serrati già un anno prima, quindi ancora prima di Livorno, dichiarava: “Non è tanto delle sezioni […] che dobbiamo preoccuparci - divise domani si riuniranno più tardi, se i tempi e gli avvenimenti lo imporranno - ma i sindacati, le cooperative, le municipalità, creati o conquistate con tanto sforzo, istituti indispensabili per l'opera ricostruttiva, che noi dobbiamo preservare perché se li intristiamo o li roviniamo, non riusciremo più a costruirli. Questa deve essere la nostra preoccupazione unitaria. Gli uomini contano poco: sono le istituzioni che occorrono. Ora, dove abbiamo noi tanti «comunisti», anche contando i più accesi dell'ultima ora, da sostituire nei posti di fiducia a tutti coloro che dovremmo cacciare, secondo Terracini?”[77]. È probabile che avendo, in qualche modo, perso comunque irrimediabilmente le suddette istituzioni per mano del fascismo, finalmente nel 1922, a giochi ormai fatti, Serrati si decise di scindersi dai riformisti.
De Felice sottolinea che “il successo dei massimalisti – [al Congresso di Milano] che non avevano capito niente della crisi fascista e che, anzi, aveva provocato in essi un rigurgito di intransigentismo - salvava il fascismo e gli apriva le porte al potere.” Nell’articolo Popolarismo Mussolini nota che l’intransigenza del PSI chiudeva le porte ad una collaborazione con i popolari che sarebbero andati a destra[78]. Nel frattempo, il 27 settembre a Modena la Guardia Regia spara contro dei dimostranti fascisti, uccidendone e ferendone alcuni. Vi sono misure restrittive sul porto d’armi, questa è la reazione di Bonomi, che ormai vede il patto di pacificazione sfumare. Come con Giolitti anche con Bonomi, le autorità locali concentrano la loro repressione più che altro contro gli Arditi del Popolo, però. La base dei Fasci esige che il Gruppo Parlamentare fascista passi all’opposizione, mentre Mussolini media, cosciente che un’azione antiministeriale peggiorerebbe le cose. I Fasci, vedendo mancare la connivenza dello Stato, si dichiarano disinteressati alla lotta. Mussolini, che era stato, fino ad allora, proprio per la pacificazione e la normalizzazione politica, l’8 ottobre, vedendo questa ondata di panico, scrive: “dilaga tra i Fasci che, nell’agosto scorso, si agitarono per respinger il patto di Roma [quella … epidemia]. Dopo il Fascio di Firenze, ecco quelli di Ferrara, Padova, Venezia, tutti Fasci «sterministi», che si ritirano «a vita privata»”[79].
Il 7 novembre 1921 inizia il III Congresso Nazionale dei Fasci italiani di Combattimento al teatro Augusteo di Roma. Mussolini tra il 16 agosto e il 7 novembre aveva riguadagnato già molti consensi. I principali oppositori, non riuscendo a convincere D’Annunzio, mancarono di una personalità forte. Grandi era forse l’unico a poter contrapporsi a Mussolini. Ma Dino Grandi evitò lo scontro frontale. Mentre i fascisti affluivano a Roma per il Congresso la popolazione preoccupata si organizzò in un Comitato di Difesa Proletaria. Il 9 vi furono scontri con 6 morti e 14 feriti gravi. Questi scontri diedero il pretesto a Mussolini per condannare il patto di pacificazione. Il programma di Mussolini verteva su tre punti: 1. il fascismo deve essere liberale e non socialista, 2. l’abbandono della Carta del Carnaro, 3. libertà di fede, ovvero apertura nei riguardi del Vaticano. Mentre Dino Grandi oppose un programma focalizzato sul sindacato nazionale. Ma la visione di Grandi che si voleva opporre al “rassismo” agrario non trovava grande seguito nelle file fasciste. Anche perché la critica era che il suo sindacalismo nazionale era troppo legato alla reazione agraria dell’Emilia-Romagna[80]. Per quanto riguarda il patto di pacificazione questo argomento fu appositamente sorvolato durante il Congresso: Grandi disse che non aveva intenzione di discuterlo, e se fosse stato costretto avrebbe difeso la sua posizione: “o il trattato di pace si seppellisce tutto quanto e non se ne parla più assolutamente, e questa è la cosa migliore; oppure noi siamo costretti, dopo le dichiarazioni che farà Mussolini, a domandare la parola non per fare accuse, ma solo per difendere il nostro operato”. Mussolini “colse la palla al balzo”, dichiarando che non voleva guardare al passato e che il Congresso aveva agito in buona fede, e pregava il Congresso di decidere se voler esprimere un voto politico sul trattato di pacificazione. Quando Grandi disse che il trattato era sepolto, Mussolini replicò che era la discussione ad essere sepolta non il trattato, che aveva dato effettivamente la pacificazione. Ironia della sorte per un Congresso barricato nel teatro e protetto dalle forze dell’ordine, che aveva prodotto già sei morti. Ad ogni modo la commedia si concluse con Grandi che ribadì di non volere la scissione e quindi l’abbraccio con Mussolini. Il Congresso approvò la proposta di Michele Bianchi di trasformare il movimento in partito. Contro votarono Grandi, Giuriati, Piccinato, Marsich[81]. A congresso chiuso il 15 novembre vi fu l’aperta denuncia del patto di pacificazione ovviamente facendo cadere la colpa sui socialisti e i comunisti. Questo era stato, per Mussolini, il prezzo da pagare per riprendere il fascismo in mano dopo che era effettivamente diventato un fenomeno nazionale grazie allo squadrismo agrario. Scrive Mussolini: “Il trattato di pacificazione è, da oggi, denunciato e decaduto. Ne prendono nota tutti. Dopo lo sciopero pseudo-generale di Roma, la turpe commedia giocata dal PUS è smascherata. Nel comitato di difesa proletaria ci sono, infatti, socialisti, confederali, in allegra combutta con gli Arditi di Cagoia[82]. Il signor Mingrino è regolarmente iscritto al PUS. In generale c’è una recrudescenza di delinquenza socialcomunista. Il congresso di Roma non denunciò il trattato; si limitò a non discuterlo. Da oggi il trattato è morto e sepolto”[83].
Come visto in precedenza l’ostracismo nei confronti degli Arditi del Popolo, o ancor peggio, il vero e proprio sabotaggio dall’interno, li rese pressoché inefficaci e, tranne qualche evento di spontanea difesa come i fatti di Parma, nel 1922, gli Arditi erano ormai sconfitti. Mentre per la famigerata reazione dei comunisti, anche questa usata a puntuale pretesto dai fascisti, non fu una lotta seria. Analizza Tasca, a posteriori: “I comunisti, che non hanno firmato il patto, gridano: «Nessuna conciliazione è possibile; tra noi e il fascismo non vi è che una lotta a morte; fascismo o comunismo». Praticamente lottano contro i fascisti né più né meno degli altri, ma la loro posizione costituisce per il fascismo lo stato, la borghesia, la democrazia, i socialisti. Bisogna quindi battersi su tutti i fronti; contro i socialisti, contro la democrazia, contro la borghesia, contro lo stato, contro i fascisti. Mettere tutto insieme nel sacco, il che «semplificherà» la lotta. Non ci sarà da misurare e dirigere i colpi. In realtà i comunisti non conducono la lotta seriamente e a fondo che contro i socialisti […]. Il Partito comunista si oppone anche alla partecipazione dei suoi membri agli Arditi del popolo, che denuncia come una «manovra della borghesia» […]. In realtà, tutto ciò non è che demagogia settaria e impotente: dei comunisti si batteranno in qualche zona, tireranno qualche colpo di rivoltella in certe località, parteciperanno malgrado il veto del partito a gruppi di Arditi del popolo, ma il Partito comunista, in quanto tale, resterà particolarmente assente dalla lotta e faciliterà sensibilmente con la sua tattica la vittoria del fascismo”[84].
Lo Stato che aveva intimorito con i fatti di Modena, di fine settembre, i vari Fasci, non attuò però l’auspicata repressione delle squadre fasciste, che formalmente predicava a suon di circolari. Per esempio, il 23 dicembre fu fatta diramare una circolare riguardante tutte le organizzazioni armate. Recitava la circolare: “Arditi del Popolo, Guardie rosse, Squadre d’azione, Cavalleria delle squadre, Cavalieri della Morte ecc.” sono intimate di disarmo. Ma tali circolari lasciavano molte scappatoie e le autorità fanno perquisizioni principalmente nelle Case del Popolo e conto gli Arditi del Popolo. “Il Governo si rende conto che le disposizioni non sono eseguite dalle entità locali e progetta di sciogliere le squadre di combattimento. Appena i dirigenti del Partito fascista hanno sentore di questa intenzione mettono le mani avanti” e, affermeranno che il Governo dovrà dichiarare il Partito fascista fuorilegge se vorrà sciogliere le squadre. Il Governo Bonomi, che era stato comunque eletto a Mantova in una lista del Blocco Nazionale, non dichiarerà mai il Partito Nazionale Fascista illegale e le squadre e le violenze continueranno ad esserci.
CESCO[1] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 126-28.
[2] Amadeo Bordiga. Il pioniere di Bergson, Il Comunista, 26 giugno 1921.
[3] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo, 1950, PGreco (2012), p. 228.
[4] Filippo Turati. La nuova legislatura e il fascismo (discorso di Filippo Turati alla Camera dei Deputati nella tornata del 24 giugno 1921, discutendosi l’indirizzo di risposta al discorso della Corona). Critica Sociale, n. 13, 1-15 luglio 1921.
[5] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 128.
[6] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 95.
[7] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 114.
[8] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 268, nota 21. In questa nota Tasca riporta anche al rifiuto di Giolitti di formare un nuovo Governo. In un primo momento la Direzione del PSI aveva consentito, su richiesta della maggioranza del Gruppo Parlamentare, “di poter «assumere atteggiamenti tattici tali per cui, scartata in modo assoluto ogni e qualsiasi parvenza di collaborazionismo, i deputati non dovessero ostacolare a priori il tentativo che altri partiti si proponessero di fare, per attuare sinceramente e durevolmente una politica contraria al perdurare dell’uso della violenza contro il movimento proletario». Ma subito dopo la presentazione alla Camera di Bonomi, la Direzione ordinò di votare contro il ministero Bonomi. Questa decisione della Direzione fu letta da Giovanni Bacci il 21 luglio alla riunione del Gruppo e contro di essa la frazione Turati-Modigliani-Giulio-Casalini, protestò dichiarando che avrebbe obbedito «per disciplina di partito», ma lasciato «alla direzione tutta la responsabilità del suo atteggiamento»”.
[9] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 129-31.
[10] Il nuovo Presidente del Consiglio dei ministri è una vecchia conoscenza di socialisti e comunisti. Era stato redattore capo dell’Avanti! quando questo era sotto la direzione di Bissolati, ed era diventato deputato già nel 1909. Come già ricordato, era stato espulso dal PSI nel 1912, assieme a Bissolati, Cabrini e Podrecca. Era quindi stato un fervente interventista. Divenne ministro nel 1916 e quindi nel 1919. Fu ministro della Guerra nel governo Nitti, 1920 (si ricordino le circolari sulle smobilitazioni degli ufficiali) e anche nel Governo Giolitti, dove ricoprì anche la carica di Ministro del Tesoro. L’Ordine Nuovo sottolinea di come pur di rimanere attaccato al portafoglio, aderì al Fascio Parlamentare, tradendo anche Bissolati. Sempre L’Ordine Nuovo ricorda che da filo-dannunziano, quando poi come Ministro della Guerra, dovette cannoneggiare Fiume non esitò a tradire i dannunziani. Insomma, L’Ordine Nuovo lo vede come un Noske, un Millerand e Briand italiano. [da: Il “traditore” e i suoi compagni. L’Ordine Nuovo, martedì 5 luglio, 1921]. Anche se questa è una ricostruzione, ovviamente, politicamente schierata, il paragone soprattutto con Briand non può che sembrare giustificato.
[11] Da Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 272, nota 57.
[12] Bruno Fortichiari. Comunismo e revisionismo in Italia. Testimonianza di un militante rivoluzionario, prefazione di Luigi Cortesi, Milano, Mimesis, 2006, p. 143 (1. ed., Torino, Tennerello, 1978). [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 193, nota 30].
[13] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 113-115.
[14] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 120.
[15] {…} Come ci si avvia verso la pacificazione, Avanti! giovedì 30 giugno 1921, ed. romana; Si parla di pacificazione ma il fascismo continua le violenze contro socialisti e popolari nel perugino, Avanti! giovedì 30 giugno 1921, ed. milanese.
[16] [Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 120].
[17] “Comitati di pacificazione: Ci viene segnalato da alcune parti della provincia [Lazio] che per interessamento delle autorità o di privati cittadini sono in via di costituzione dei comitati con rappresentanza dei vari partiti, per addivenire alla pacificazione sociale. Le sezioni socialiste, prima di iniziare qualsiasi trattativa, sono pregate di interpellare in precedenza la federazione che a tal proposito ha già studiato la questione compilando un programma che aspetta soltanto la sanzione del comitato federale. La Segreteria” [da: Federazione nazionale fra i lavoratori della terra, Riunione del comitato federale. Avanti! venerdì 1° luglio 1921, ed. romana].
[18] In nome della pacificazione fascisti continuano a terrorizzare col ferro e col fuoco. Avanti! Sabato 2 luglio 1921, ed. romana.
[19] I propositi di pacificazione del fascismo agrario nel Bolognese: una doppia e equivoca politica. Avanti! domenica 3 luglio 1921, ed. romana.
[20] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 133.
[21] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p.132.
[22] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, 132, nota 2.
[23] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 134-135.
[24] La furia che non s’arresta. Come ci avviciniamo alla pacificazione nel ferrarese. Avanti! venerdì 8 luglio 1921 ed. romana. La pace fascista. Avanti! domenica 10 luglio 1921, ed. romana. Ancora a proposito di pacificazione nel ferrarese. Gli agrari e i fascisti. Avanti! mercoledì 13 luglio 1921, ed. romana.
[25] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 135-137.
[26] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 123.
[27] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 124.
[28] Dopo la circolare Bonomi. La furia della reazione continua a imperversare. I fatti di Viterbo. Avanti! giovedì 14 luglio 1921, ed. romana.
[29] Antonio Gramsci. Gli Arditi del popolo. L’Ordine Nuovo, 15 luglio 1921.
[30] Proposte e tentativi di pacificazione e fronte unico contro i comunisti. L’Ordine Nuovo, sabato, 16 luglio 1921.
[31] Giovanni Zibordi. Attraverso la guerriglia sanguinaria. Critica Sociale, n.14, 16-31 luglio 1921.
[32] Il colloquio al Viminale, per un tentativo di pacificazione. Avanti! domenica 17 luglio 1921, ed. romana.
[33]Argo. I due metodi del fascismo agrario nel bolognese. Avanti! domenica 17 luglio 1921, ed. romana.
[34] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), pp. 276-279.
[35] Giornate di terrore e di sangue in Lunigiana. I fascisti distruggono, uccidono e rubano: la resistenza del popolo lavoratore di Sarzana. Avanti! mercoledì 20 luglio 1921, ed. romana.
[36] Antonio Gramsci. Insurrezione di Popolo. L’Ordine Nuovo, 23 luglio 1921.
[37] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 139-140.
[38] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 239.
[39] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 127
[40] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 141.
[41] Sanguinoso episodio della guerra italo-turca.
[42] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 143-144.
[43] Alfa. La situazione presente e gli Arditi del Popolo. Avanti! domenica 31 luglio 1921, ed. romana.
[44] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 242.
[45] Il concordato per la cessazione delle violenze è stato firmato da socialisti, fascisti e organizzatori operai. Avanti! giovedì 4 agosto 1921, ed. romana. Il Concordato era stato firmato da: Bacci e Zannerini per la Direzione Socialista, Musafiti e Morgari per il Gruppo Parlamentare Socialista, Baldesi, Galli e Caporali per la CGdL, per i fascisti da Mussolini, De Vecchi, Giuriati, Pasella, Rossi, Sansanelli e Polverelli.
[46] Giacinto Menotti Serrati. Scampoli. Avanti! giovedì 4 agosto 1921, ed. romana.
[47] Gli arditi del popolo di Torino al proletariato. Umanità nuova, 12 agosto 1912. [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 276].
[48] Benito Mussolini. Il trattato di pace è stato firmato. Fatto compiuto. Il Popolo d’Italia, 3 agosto 1921.
[49] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. Citato da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 162.
[50] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 129.
[51] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), pp. 131-132.
[52] In ottobre Secondari, isolato, è costretto ad abbandonare gli Arditi del popolo e in un’intervista rilasciata a L’Epoca dichiara: “[…] dopo la costituzione del primo battaglione, l’onorevole Mingrino si presentava da me facendo domanda di avere una tessera di partito del popolo da me firmata, poiché egli intendeva essere un gregario dell’organizzazione. […] Egli, deputato, appoggiato da una forza quale quella del partito socialista, rappresentante proletario, ex capitano degli Arditi, avrebbe potuto creare egli un organismo di solida e materiale difesa assumendosi tutte le responsabilità e tutti i rischi. Occorse invece che sorgesse un giovane, che non aveva velleità politiche, lontano da ogni partito, spinto solo da un’immensa passione per il popolo, senza mezzi finanziari se non il proprio lavoro, quando le responsabilità erano tremende, quando i pericoli erano enormi, perché fosse posto un argine alle violenze fasciste. E vinse. Intanto le voci più false, le calunnie più volgari furono fatte circolare ad arte contro di me: le critiche politiche tramano nell’ombra. Se un capo esiste ed è esistito, legalmente, legittimamente riconosciuto, a cui venne prestato giuramento e che fu riconfermato da un convegno nazionale di rappresentanti e direttori (non è escluso l’onorevole Mingrino) questi sono io, Argo Secondari.” [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018)]
[53] Veniva però ironizzato che Bonomi utilizzasse due pesi e due misure. Ovvero la mano pesante nei riguardi dei socialisti e degli Arditi del Popolo e a mano leggera riguardo a dei fascisti. Quella di Bonomi è una “maschera dell’imparzialità”. [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 169].
[54] Ivanoe Bonomi. 10 anni di politica. A cura e con uno studio introduttivo di Ferruccio Rubbian, 1923. [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 164].
[55] Amadeo Bordiga. Il valore dell’isolamento. Il Comunista, 7 agosto 1921.
[56] “La borghesia italiana, dopo aver suscitato il fascismo, con la consueta leggerezza di spirito, ne ha ora terrore. […]. Che differenza di umore e di tono tra la fine della precedente legislatura e l’inizio della presente in ordine al fascismo! Allora tutti i partiti borghesi, non esclusi i piissimi uomini del centro cattolico, erano giubilanti per tutti gli «eccessi» che allora non chiamavano eccessi: la distruzione delle leghe, l’incendio delle Cooperative e delle Camere del Lavoro, i ferimenti e gli incendi dei capilega. […]. Le elezioni dovevano suggellare l’opera magnifica, disperdendo il proletariato, e l’on. Bonomi coi suoi elettori parlava di «crollo» della potenza politica del socialismo. […]. L’esito delle elezioni fu il secondo crollo. Il «crollo», il famoso «crollo» vaticinato sicuro, irrimediabile, si residuava nella perdita di un numero insignificante di collegi che lasciava il gruppo socialista il più forte della Camera […] il fascismo, secondo la natura di tutte le tirannie, iperbolizza se stesso, delira […] impazza in imprese […] attacca borghi e città con spedizioni armate […]. Una voce si fa sentire a Sarzana: la misura è colma! I carabinieri rompono la consuetudine della compiacente connivenza e sparano. La plebe infuria alla caccia dei fascisti dispersi. Ecco un altro… «crollo»! Da questo momento tutti i partiti borghesi, con la solita disinvoltura, ma non tale da lasciare intravedere lo sgomento interno, riprendono a parlare gravemente dell’autorità dello Stato, dell’impero della legge. […]. Il Governo, nella speranza di recuperare allo Stato l’autorità compromessa, assume di farsi intermediario tra i partiti rissanti. […] Lo Stato si scioglie nella egemonia dei gruppi. Il fascismo, più audace, parla alla Camera della propria potenza politica e militare e si impegna, solennemente, con atto di benignità sovrana, a sospendere alcune imprese che il Codice penale prevede e reprime, teoricamente, come i più gravi crimini. È a questo punto che i partiti borghesi, colpiti in pieno, ricuperano il sentimento di se stessi e dello Stato. La stagione delle apologie filofasciste accenna a tramontare; il tetro sindacalismo della vendetta privata e della rappresaglia antiproletaria, ma anche antistatale, è condannato. Tutti i deputati, smessi i corrucci delle vanità insoddisfatte e delle cupide gelosie dei gruppi inappagati, si precipitano a votare per il Governo, solo che dica che la guerra civile è incompatibile con lo Stato, solo che affermi che l'unica forza armata riconoscibile è quella costituita secondo le leggi dello Stato; che il diritto di guerra privata non c'è. Ci può essere un diritto alla rivoluzione per modificare e sostituire un regime ad un altro, uno Stato ad un altro; non ci può essere la coesistenza in uno Stato di più Stati, di cui ciascuno rivendica l'attributo supremo della sovranità, il diritto di guerra! Quanto tempo e quanti casi atroci ci vollero, perché gli imbecilli conservatori italiani che leggono e scrivono il Corriere della sera, il Giornale di Italia, ritrovassero questo abbiccì della teorica conservatrice dello Stato! Quanto tempo e quanti casi atroci, perché intendessero che, se il loro masochismo antisocialista si scioglieva in fremiti di voluttà per ogni aggressione, bastonatura, uccisione, dispersione, incendio di leghe e di leghisti, di sindaci e di deputati socialisti, l’organizzazione politica e militare che tutto ciò consumava, con ciascun suo colpo feriva lo Stato borghese, la classe borghese nei punti più vitali ed essenziali dell’organismo! Borghesia stupida di stupidità suicida!
Ed ora? Ora tocca all'on. Bonomi, per mandato ineccepibile dei partiti borghesi, di liquidare il fascismo. Impresa non lieve. Il diavolo invocato non se ne va al primo esorcismo. Il fascismo, finito nella teorica borghese, non è finito storicamente nel regime borghese. […]. I capi possono correre altre avventure; ad essi può sorridere di liberarsi degli sgabelli su cui sono saliti, ma la massa ingenua è premuta dalle necessità di conservare le condizioni di quella vita di allegra avventura bellica. […]. Perciò, perciò l'on. Bonomi, con tutta l'enorme e imprevedibile maggioranza riportata, ha una pessima gatta da pelare. I socialisti erano disposti a temperare la loro intransigenza parlamentare ove fosse stato necessario per lasciar passare il primo Gabinetto borghese chiamato ad affrontare il fascismo dopo le sfacciate complicità elettorali del governo precedente col fascismo […]. Il socialismo vuol ben favorire in ogni modo la cessazione dei disordini, dei tumulti e delle stragi fraterne, da cui nulla di buono ha da sperare, ma non potrà in nessun caso consentire che il suo nome e la sua azione legittima di organizzazione e di sostegno della classe operaia siano mai considerati «provocazione», e, quindi, causa giusta del mantenimento di organizzazioni militari private. In fondo, una delle difficoltà più grandi che si affacceranno all'on. Bonomi ed a tutti i promotori di accordi privati di pace, sta proprio in ciò – che il socialismo, come tale, non ha nulla da promettere alle controparti, non potendosi certo domandargli dell’impossibile rinunzi ad essere se stesso!”. [da: Claudio Treves. Bonomi e il fascismo. Critica Sociale, n.15, 1-15 agosto 1921].
[57] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 145.
[58] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 146.
[59] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 148.
[60] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 149.
[61] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 283
[62] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 244.
[63] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 150-151.
[64] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 155.
[65] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 156, nota 1.
[66] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp.157-158, nota 2.
[67] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 159, nota 2-3.
[68] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 177.
[69] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 207.
[70] Per approfondire sull’origine della SFIO si rimanda il lettore al post dedicato a Jean Jaurès. Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg, luglio 1921. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html
[71] Al Congresso di Milano si discusse una eventuale nuova scissione come richiesto dai punti 7 e 21 dettati dal II Congresso della Terza Internazionale tenutosi nell’estate del 1920.
[72] Giovanni Zibordi. La formula contro la vita. Critica Sociale, n. 20, 16-31 ottobre 1921.
[73] Emblematiche sono le parole di Filippo Turati nel merito durante il suo discorso al Congresso di Milano: “Il sogno messianico del 1919 è interamente sfumato: violenza, intransigenza assoluta, rivoluzione e dittatura soviettista a breve scadenza; quante cose non avete in realtà abbandonato, che or tentate timidamente di risuscitate per opportunità di Congresso! […] La sbornia del dopoguerra è svaporata, non tanto per opera nostra quanto per le gocce di ammoniaca, che i fatti, la lezione delle cose, vi vennero via via propinato. Ah! sì, compagno Serrati: io stesso avevo detto in altri tempi che, quando in un partito vi sono due anime che collaborare non possono, che contrastano in modo permanete, e l’una paralizza l’altra, e la discussione si esaspera con lo scopo di convincere, allora i partiti sono due ed è inutile ed è folle impuntarsi a rimanere uniti. Era questo il caso fra i comunisti e noi, divisi da un dissenso fondamentale inconciliabile. Ma a Livorno il dissenso fu risolto. Livorno finalmente ci ha separati.” [da: Filippo Turati. Per l’unità di partito nella libertà del pensiero. Critica Sociale, n 20, 16-31 ottobre 1921].
[74] Alexandre Bracke era sicuramente una figura di primo piano del socialismo francese, originariamente guesdista, svolse un ruolo primario nella nasciate del SFIO, al quale si deve il nome. Collaborò effettivamente a L'Humanité di Jaurès. Era segretario per gli affari esteri della SFIO e membro della Commissione Amministrativa Permanente nonché parlamentare. Bracke era vicino alla Unione dei Partiti Socialisti per l'Azione Internazionale, ovvero la Internazionale 2 ½.
[75] Friedrich Adler era il figlio del noto marxista e collaboratore di Marx ed Engels Victor nonché, sempre il padre, fondatore del partito socialdemocratico austriaco. Friedrich Adler fu segretario del partito e direttore del Volksrecht e della rivista socialista-scientifica, Kampf. Nel luglio del 1914, pochi giorni prima dello scoppio della guerra, si recò col padre a Bruxelles per una riunione straordinaria del Bureau della Seconda Internazionale. Dove come descritto nel post dedicato a Jaurès, vedi: https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/07/jean-jaures-estratto-da-life-of-jean.html, incontrò, giustappunto il leader socialista francese e i principali leader della seconda internazionale. Come fatto dimostrativo eclatante Friedrich Adler decise di colpire il presidente del Consiglio, austriaco, Conte Stürgkh, lo uccise con un colpo di pistola il 21 ottobre 1916. Condannato a morte fu quindi amnistiato alla fine della guerra. Nel 1921 era deputato della Costituente nazionale e fondatore della Internazionale di Vienna o Internazionale 2½.
[76] Vedasi post di Adattamento Socialista sulla scissione di Livorno: Cesco, “La scissione di Livorno ’20-‘21”, https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/01/la-scissione-di-livorno-1921-2021.html
[77] Intervento di Serrati del 1° ottobre alla direzione socialista. Avanti! 2 ottobre 1920 [da: Tommaso Detti. Serrati e la formazione del PCI. 1972, Ed. Riuniti, p. 50].
[78] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 181.
[79] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 255.
[80] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, 184-86.
[81] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 188-89.
[82] “Lumaca senza guscio” in dialetto triestino e noto insulto dannunziano a Nitti, qui usato come sberleffo contro Secondari che da buon ex-ardito di D’Annunzio seguitava ad avere una certa stima.
[83] Benito Mussolini. Il trattato di pacificazione da oggi è denunciato e decaduto. Morto e sepolto. Il Popolo d’Italia, 15 novembre 1921 [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), pp. 283-284].
[84] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 251.
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