La Comune di Parigi: un ideale socialista tra le barricate: a 150 anni dalla sollevazione parigina
Anonimo. Barricate su rue des Amandiers vicine al cimitero di Père-Lachaise nel ventesimo distretto (18 marzo 1871).
Il mito della Prima Comune
Lo storico Alfred Cobban inizia il suo articolo sul “Governo Locale durante la Rivoluzione francese” notando che “La natura e l’importanza dei cambiamenti introdotti nel governo locale durante gli eventi della rivoluzione francese sono stati a malapena riconosciuti dagli storici”. Già prima della rivoluzione, aggiunge, esistevano istituzioni locali chiamate généralités, anche se con poteri molto ridotti[1]. Tutto cambiò con la convocazione degli Stati Generali, indetta da Luigi XVI, dopo quasi due secoli.
L’Hôtel-de-Ville, quello che chiameremmo oggi Municipio, era tradizionalmente il luogo dove risiedeva l’ufficio amministrativo-commerciale, della città; aveva decisamente meno poteri dello Châtelet, ovvero il quartier generale della polizia parigina, e del prévôt de Paris, preposto di Parigi, una sorta di prefetto. Questo ufficio, o consiglio, bureau de la Ville, era un organo composto dal prévôt des marchands, ovvero il preposto dei commercianti, da quattro assessori, un segretario, un tesoriere, un ufficiale di giustizia, ventiquattro consiglieri e sedici ufficiali di quartiere. Il preposto dei commercianti era nominato dal re, mentre gli assessori erano scelti dagli ufficiali e dai notabili.[2] Questo era in sostanza il Comune di Parigi o, in francese, la Commune de Paris, durante gli ultimi anni dell’Antico Regime prima dello scoppio della rivoluzione.
Ma con la convocazione degli Stati Generali sorse il problema di eleggerne i deputati. Gli elettori[3] dei deputati dei tre Ordini[4], o Stati, dovevano essere riuniti a loro volta in una singola assemblea. Il preposto dei commercianti e il bureau de la Ville avrebbero dovuto gestirne le elezioni, anche se a loro volta lo Châtelet e il preposto di Parigi volevano, o pretendevano, di condurle. Il governo decise di incaricare lo Châtelet, tradizionalmente il centro esecutivo della Corona a Parigi, forzando il preposto dei commercianti Louis Le Peletier de Morfontaine alle dimissioni[5]. Senza aspettare disposizioni i nobili si riunirono indipendentemente e votarono per le assemblee dei distretti. Infine, le procedure elettive vennero regolamentate il 13 aprile 1789: Parigi fu divisa in 60 distretti e fu deciso che gli ufficiali dei distretti sarebbero stati scelti dal bureau de la Ville e non avrebbero potuto emanare nessun documento o ordinanza alla Assemblea Generale degli elettori. Ad ogni modo, solo circa dieci assemblee si conformarono alle regole del 13 aprile. Alcune assemblee scelsero i propri ufficiali indipendentemente e decisero di continuare le loro sedute anche durante lo svolgersi degli Stati Generali. Alcuni distretti incominciarono a mettere in questione il diritto della stessa indipendenza dei delegati da loro eletti agli Stati Generali e a tal proposito, per iniziativa di Jean Pierre Brisott, un comitato di corrispondenza fu eletto, per corrispondere, appunto, con i deputati di Parigi agli Stati Generali. Quando le elezioni dei deputati furono finalmente completate il 23 di maggio, invece di dissolversi, gli elettori formarono un comitato che, rifiutata l’ospitalità dal nuovo preposto dell’Hôtel-de-Ville, prese dimora temporaneamente in una sala privata. Con i successi del Terzo Stato agli Stati Generali e con le concessioni del re, il neo-preposto Jacques Fesselles si vide costretto, per prudenza, a dare dimora nell’Hôtel-de-Ville al comitato degli elettori[6].
La tensione era salita per via della chiusura dell’Assemblea Nazionale richiesta dal re, il quale aveva fatto anche circondare Parigi dall’esercito. Il 10 luglio su suggerimento di Nicolas de Bonneville si costituì provvisoriamente la Commune[7]. Quando le voci del licenziamento di Necker[8] arrivarono a Parigi, il 12 di luglio, una vasta folla si raccolse proprio fuori dall’Hôtel-de-Ville. La folla incominciò ad abbattere le transenne dietro le quali si raccoglieva il Comitato degli Elettori pressandoli ai loro posti. La folla, quindi, iniziò a reclamare le armi conservate all’Hôtel-de-Ville. Quindi il 13 di luglio sia il Comitato degli Elettori che il bureau de la Ville cominciarono a cooperare tra loro, anche senza aver veri e propri poteri legittimati e senza prendere un’aperta opposizione contro il re. Mentre i rappresentanti dei distretti erano occupati a organizzare le guardie, le milizie e a disarmare i vagabondi, e il preposto Fesselles temporeggiava[9], il 13 luglio il Comitato e il bureau formarono un Comitato Permanente che istituirà la milice parisienne della quale abbiamo già scritto in precedenza[10].
Il 14 luglio la folla invase l’Hôtel-de-Ville, e mentre la tensione e la battaglia montavano alla Bastiglia, la tensione all’Hôtel-de-Ville montò altrettanto rapidamente. La folla minacciava il Comitato degli Elettori allo scopo di ottenere più armi. Iniziarono quindi le prime esplicite accuse a Flesselles di tradimento da parte del Palais Royal. Quando arrivarono gli insorti vittoriosi dalla Bastiglia nuove accuse furono indirizzate al preposto, che invitò la folla a recarsi con lui al Palais Royal per essere giudicato, ma fu linciato durante il tragitto. Il 15 Gilbert du Motier, Marquis de La Fayette viene scelto come comandante della milice parisienne e Jean Sylvain Bailly come maire, ovvero sindaco di Parigi, per acclamazione. Dopo il linciaggio di Flesselles anche il vecchio bureau de la Ville veniva visto con risentimento[11]. Il club dei Cordeliers pretendeva che fosse rimosso il titolo di “permanente” al comitato della Comune di Parigi formatosi il 15 luglio da 8 membri del vecchio bureau, 14 del comitato degli elettori, dei quali 1 elettore nobile, 2 del clero e 11 del Terzo Stato. In primis perché non eletto dai parigini e poi perché non nominato per l’amministrazione municipale. La Fayette pretese che i deputati di tutti i distretti di Parigi concordassero su una nuova organizzazione, la Garde Nationale de Paris e in tre giorni il comitato fu organizzato. Il 18 luglio Bailly e La Fayette richiesero che le loro cariche venissero confermate da un voto popolare. La Fayette suggerì che questi voti venissero raccolti da una nuova organizzazione municipale[12]. L’Assemblea degli Elettori selezionò come suo esecutivo un Comitato provvisorio. Il 23 e 24 luglio i rappresentanti eletti parigini dei 60 distretti si riunirono e il 25 e formarono una nuova Commune provvisoria[13]. Questa Assemblea generale dei Rappresentanti della Comune provvisoria durerà dal 25 luglio 1789 all’8 ottobre 1790. Con questa Assemblea dei Rappresentanti era “già stata data un’organizzazione municipale embrionale”. La municipalità definitiva avverrà il 9 ottobre 1790, data d’insediamento del Consiglio Generale della Comune in conformità con il decreto del 21 maggio 1790, fino al 10 agosto 1792, quando il Consiglio Generale cedette il posto a una Assemblea di Commissari municipali eletti dai rivoluzionari.[14] Bailly fu rieletto sindaco ma la municipale costituzionale s’insediò solo nell’ottobre 1790. A causa dell’affare del Campo di Marte, nel luglio 1791, vi furono cambiamenti importanti nel Municipio: Bailly si dimise da sindaco, per poi riprendere brevemente la sua posizione, in modo da consentire all’Assemblea Legislativa di nominare un successore; questo fu nominato il 16 novembre 1791 nella persona di Jérôme Pétion de Villeneuve. La nuova Comune si reinsediò soltanto nel marzo del 1792. La situazione alla Comune di Parigi in questo periodo era la seguente: vi era un Consiglio Generale conservatore, un Corpo Municipale in gran parte democratico, un sindaco e un procuratore democratici, e infine, un Dipartimento interamente conservatore. La tensione si accentuò nelle giornate del 20 giugno 1792. Quindi il Dipartimento aveva sospeso il sindaco e il procuratore il 6 luglio, decisione ratificata dal re l’11, ma annullata prontamente dall’Assemblea il 13. Pétion, vicino ai girondini, disapprovava la propaganda repubblicana che si era andata sviluppando in quel periodo. La situazione precipitò nuovamente con l’annuncio del manifesto di Brunswick il 3 agosto 1792[15].
Da quando la famiglia reale, forzata dai parigini a risiedere al Palazzo delle Tuileries, tentò la fuga nei Paesi Bassi Austriaci nel giugno del 1791, la rivoluzione prese una piega decisamente più radicale. Quando, più o meno un anno più tardi, le forze prussiane minacciavano ormai concretamente, con le loro truppe e con il Manifesto di Brunswick[16], di ristabilire re Luigi XVI, i parigini diedero vita a una nuova Comune di Parigi prendendo possesso dell’Hôtel-de-Ville. Nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1792 i commissari di sezione si installarono nel Municipio scacciando la Comune legale. Pétion fu consegnato a un distaccamento di rivoluzionari. I commissari diedero un ultimatum all’Assemblea Legislativa di delegittimare il re, e quando questo ultimato il 10 agosto 1792 era scaduto, la folla lo andò a deporre con la forza combattendo contro le Guardie Svizzere. Questa nuova Comune, del 10 agosto, restò in carica fino al novembre 1792. La folla mise in piedi tribunali ed esecuzioni sommarie per quattro giorni. Il 16 agosto quindi Robespierre presentò una petizione all’Assemblea Legislativa per costituire un Tribunale Rivoluzionario. Il 21 agosto il dipartimento di Parigi fu dissolto dando di fatto più poteri alla Comune. La Comune si mostrava tendenzialmente contraria ai girondini anche se Pétion fu rieletto ancora il 9 ottobre ma rifiutò l’incarico.
La grande Rivoluzione francese del 1789, che in principio mirava solo a restituire parte del potere che i nobili, il clero e i “comuni”[17], reclamavano al monarca assoluto, era così “degenerata” in una vera e propria Repubblica, la Prima Repubblica Francese, proclamata in settembre, con annesso regicidio. L’apice del sogno repubblicano venne raggiunto con la presa del potere da parte dei giacobini, i quali però per poter far fronte agli attacchi esterni e “interni” si arroccarono nel regime del Terrore. Nelle nuove elezioni di novembre 1792 fu eletto un altro girondino, Chambon, a sindaco. La Comune provvisoria si riunì il 2 dicembre 1792, questa Comune era decisamente più montagnarda. Chaumette divenne procuratore e come sostituti procuratori vennero nominati Réal e Hébert. Un decreto del novembre però stipulava che i 22 membri del Corpo Municipale non potevano essere sostituiti, ma la Comune si volle sbarazzare dei 22 membri perché troppo moderati. Intanto Chambon della Gironda dopo l’esecuzione di Luigi XVI si dimise. Dopo le elezioni al suo posto subentrò Pache, nel febbraio del 1793. In questo periodo il Consiglio Comunale era ancora composto da elementi eletti prima del 10 agosto 1792, elementi eletti nel novembre 1792, e membri eletti in aprile 1793. Infine, nell’estate 1793 vi furono le ultime elezioni del Consiglio Comunale che s’insediò il 19 agosto 1793 e durò fino al nono termidoro[18]. Con la destituzione violenta dei giacobini da parte della Convenzione termidoriana, già nel 1794, per molti il vero spirito della grande Rivoluzione era ormai stato tradito. Robespierre e i giacobini si barricarono proprio nell’Hôtel-de-Ville, ma la Convenzione ebbe la meglio e ben 70 membri della Comune furono giustiziati. Durante l’ultima sollevazione del maggio 1795, detta del di pratile o anche ‘del pane e dei diritti’, la folla invase nuovamente l’Hôtel-de-Ville, come la Convenzione, ma mancando di chiarezza fu facile preda della Guardia Nazionale e del Direttorio, che mise fine alla tale Comune ufficialmente nel novembre del 1795. Ad ogni modo il mito di questa Comune rimase vivo nell’immaginario francese sino a quella del 1871. Vedremo in seguito come prontamente notato da Marx in La Guerra Civile in Francia quanto poco questa organizzazione municipale avesse a che fare con un’organizzazione sociale attuata dai lavoratori.
Restaurazione e la Monarchie de Juillet
Se Roma non fu costruita in un giorno anche per la Repubblica Francese ci vollero molti anni, due imperatori e quattro rivoluzioni per stabilirsi definitivamente. Napoleone Bonaparte, seppur rispettando molte delle conquiste della Prima Repubblica, riportò la Francia sotto una monarchia, la sua, ovvero quella del Primo Impero di Francia. Con la caduta di Napoleone, e il Congresso di Vienna fu restaurata la monarchia dei Borbone. Infatti, il primo fratello di Luigi XVI, ovvero Luigi XVIII[19] s’insediò sul trono di Francia ben ventun anni dopo la decapitazione del fratello maggiore. Nonostante Luigi XVIII si considerasse al suo diciannovesimo anno di regno per diritto divino, ovvero, contando dalla morte del giovane Luigi XVII, egli non poteva più seriamente pretendere di regnare come se la rivoluzione non fosse mai avvenuta. Luigi XVIII rifiutò di concedere una Costituzione, parola troppo repubblicana, ma dovette, o a dir suo si sentì, di concedere una Charte constitutionnelle. Luigi XVIII non era però incline a misure troppo reazionarie attuando in pratica una politica di compromesso. Proprio in quegli anni fioriscono in Francia, come altrove del resto, vedi Inghilterra e Germania, idee socialiste, le quali si concretizzano soprattutto nelle correnti del socialismo sansimoniano, quello fourierista e quello neobabuvista-robespierrista buonarrotiano. Ma la vera solida opposizione antimonarchica era pur sempre costituita dai repubblicani, sia di destra che di sinistra, che seppur non apertamente socialisti, non erano completamente estranei ai problemi dei lavoratori.
Alla morte di Luigi XVIII, nel 1824, fu il turno del secondo fratello di Luigi XVI. Il Conte d’Artois prese il nome di re Carlo X. Ora se Luigi XVIII da un lato si considerava sul trono di Francia per diritto divino, ma era giunto a concedere una Charte che prevedesse, per suo volere s’intende, la Camera dei Pari e la Camera dei deputati, Carlo X, al contrario si era rivelato ancora più ultra-monarchico e in qualche modo promotore della restaurazione vera e propria. Restaurazione per la quale si era già battuto durante gli anni della Grande rivoluzione come Conte d’Artois[20]. Quindi ben quarantun anni dopo la grande Rivoluzione del 1789, messa alle strette da una sferzata assolutista[21] di Carlo X, Parigi si dovette organizzare nuovamente in una rivoluzione che si concluse con la Monarchia di luglio, ovvero la monarchia costituzionale di Luigi Filippo d’Orléans. Come descrive Antonino De Francesco, con la rivoluzione del luglio 1830 tornava in scena il popolo di Parigi[22]. Ironicamente, però, al grido di “Vive la Charte!”, ovvero nel nome della carta che legittimava il diritto divino di Luigi XVIII. I parigini scacciavano suo fratello Carlo X, per ottenere il cugino Luigi Filippo. Quindi anche con la Rivoluzione di Luglio la componente popolare, lavoratrice, si sporca le mani con la lotta, ma non accede neanche in parte al potere. Durante Les trois glorieuses (27-29 luglio) i parigini montano le barricate, si riforma una sorta di Guardia Nazionale. La folla occupa l’Hôtel-de-Ville e il 29 luglio s’istituisce una commissione municipale. Il vecchio La Fayette[23] viene visto come il leader simbolico e Adolphe Thiers s’incarica di convincere Luigi Filippo a prendere il potere. Il 31 luglio Luigi Filippo si reca all’Hôtel-de-Ville dove con La Fayette si affacciano al balcone con il tricolore. Il 7 agosto il parlamento riconosce Luigi Filippo re, per grazia di Dio e del popolo francese.
La frustrazione della classe lavoratrice non si fece attendere. A Lione nel 1831 gli operai della seta si sollevarono, al grido di “vivi lavorando o muori combattendo!”[24], contro un abbassamento dei salari imposto dai marchands, prendendo possesso della città, ma rifiutando l’offerta dei repubblicani di costituire un governo provvisorio, ribadendo così la loro lealtà a Luigi Filippo[25]. Dal 1832 al 1833 in Francia vi furono una serie di scioperi e la costituzione di Società Operaie che andavano a formare una loro coscienza mutualistico-cooperativa. Sempre a Lione dove queste Società Operaie erano molto attive si stampava L’Echo de la Fabrique che esprimeva concetti di associazionismo e di alleanza tra i popoli. Nel 1834 vi fu una seconda insurrezione a Lione. Furono alzate le barricate e le bandiere rosse. Il governo attuò una forte repressione. De Francesco nota che il 1848 “costituì il banco di prova per la realizzazione delle idee sociali che il mondo del lavoro aveva già formulato nel 1833”. Come vedremo in seguito anche i cosiddetti gruppi proudhoniani in seno alla Prima Internazionale saranno come Proudhon stesso, fortemente influenzati da questi primi movimenti operai. Sempre a Lione, tra il 1832 e il 1834 verrà pubblicato il progetto dei giacobini Reverchon e Dupuy del 1794 di riorganizzare la manifattura delle stoffe per liberarla dai marchands[26], questo in tono provocatorio ma sempre in chiave “operaista”.
La Francia post-Rivoluzione di luglio e dei primi anni ‘40 vede l’importante formazione di organizzazioni e di una coscienza della classe operaia che iniziava a usare lo sciopero come modalità di lotta economica[27]. Infatti, dopo l’ondata di scioperi dei primi anni ‘30 vi fu quella degli anni ‘40. Giornali come La ruche populaire e L’Union portavano avanti una politica unionista e corporativa. L’Union riuniva repubblicani come Ledru-Rollin e Ferdinand Flocon e il socialista Louis Blanc, nomi che furono molto importanti durante la rivoluzione del 1848. I principali socialisti degli anni ‘40 in Francia erano Considérant, Blanc, Pecqueur, Dézamy e Cabet, Blanqui e Proudhon. Con l’avvicinarsi del 1848 i leader sansimoniani erano ormai prominenti figure della borghesia e integrati nello status quo. Mentre i fourieristi, i quali professavano un socialismo piccolo borghese, avevano comunque un certo seguito e Victor Considérant, editore del La démocratie pacifique, ne era il loro esponente di punta. Louis Blanc[28] era molto popolare tra i socialisti, anche prima del 1848, lo era diventato principalmente per il suo pamphlet L’Organizzazione del Lavoro, molto influenzato dalle dottrine sansimoniane e fourieriste. Nel 1848, come vedremo in seguito, Blanc prese parte al Governo Provvisorio e fu il presidente della Commissione di Lavoro del Lussemburgo.[29] La destra spaventata dalle masse lavoratrici creò la Commissione di Lavoro con Blanc alla presidenza e l’’operaio Albert alla vicepresidenza, come una sorta di contentino per i lavoratori, i quali invece avrebbero voluto l’istituzione di un vero e proprio Ministero del Lavoro. Il Governo Provvisorio voleva così usare Blanc per calmare le folle. Nella Commissione di Lavoro del Lussemburgo vi era anche Constantin Pecqueur[30]. Pecqueur era un collettivista, convinto che il collettivismo sarebbe venuto non dalla rivoluzione ma, dall’educazione, la persuasione, e la convinzione. La transizione sarebbe venuta attraverso lo Stato democratico. In continuità con la tradizione babuviana e buonarrotiana francese vi erano i comunisti “materialisti” come Pillot e Dézamy che rigettavano le elezioni e ammettevano solo la rivoluzione, poi vi erano i comunisti “mistici” come Constant ed Esquiros, ma il più influente comunista francese nel 1848 era certamente Étienne Cabet. Questi aveva già capito che sollevazioni come quelle di Blanqui e Barbés del 1839 non facevano presa sulla gente e, al contrario, la allontanavano. Cabet era già celebre per il suo Voyage en Icarie, del 1840, con un seguito importante tra il proletariato, circa 200.000 iscritti nel 1847[31]. Poi vi era Auguste Blanqui che, come Buonarroti, si era affiliato alla carboneria già dagli anni ‘20. Ebbe un ruolo attivo durante la rivoluzione del 1830. Aderì con François-Vincent Raspail[32] alla Société des Amis du peuple di Buonarroti a seguito della rivoluzione. Quindi passò nel 1833 alla Società dei diritti dell’uomo di ispirazione buonarrotiana. Gli affiliati di questa società parteciparono anche alle rivolte del 1834 a Parigi e a Lione. Sempre nel 1834 Blanqui e Barbés diedero vita alla Société des Familles. Appena uscito dal carcere proprio a causa della sua affiliazione alla Société des Familles, Blanqui fondò la Société des Saisons dalla quale originò più tardi la Lega dei Giusti, progenitrice della Lega dei Comunisti. Nel 1839, sempre con l’aiuto di Barbés, tentò un assalto al Palazzo di Giustizia e alla Prefettura di Parigi, attacco che fallì. Blanqui rimase in carcere fino al 1848, liberato proprio dalla rivoluzione. Infine, c’è Proudhon, il quale prima del 1848 era principalmente noto tra i letterati e i filosofi e meno tra le classi lavoratrici. Proudhon aveva pubblicato Cos’è la Proprietà? Nel 1840 aveva attirato l’attenzione di Marx ed Engels che lo invitarono, nel 1846, anche a prendere parte al Comitato di Corrispondenza Internazionale. Come è noto i rapporti si incrinarono quando su suggerimento dello stesso Proudhon, Marx criticò La Filosofia della Miseria nel suo celebre La Miseria della Filosofia.[33] La popolarità di Proudhon tra i lavoratori parigini crebbe proprio con il suo intervento a fine giugno del 1848, quando già parte della Assemblea Nazionale espresse solidarietà nei confronti dei rivoltosi del 25 giugno.
La primavera dei popoli del 1848, e il XVIII brumaio
Come scritto da Marx in Lotte di Classe in Francia[34] la Rivoluzione di Luglio non aveva migliorato di molto le condizioni della piccola borghesia e anche la borghesia industriale si sentiva penalizzata. Il regno di Luigi Filippo era perlopiù a favore dell’alta borghesia finanziaria e dei notabili. Passò alla storia il motto del presidente del Consiglio Guizot “Arricchitevi!”[35]. La monarchia di Luigi Filippo fu costellata da un alto numero di scandali parlamentari. La Francia sotto Luigi Filippo era comunque ancora molto povera, si contavano nel 1843 ben 4 mila mendicanti[36]. Nel 1847 vi fu una crisi economica con conseguente aumento del costo della vita e dunque fame. I movimenti repubblicano-liberale e democratico erano molto forti. I loro giornali erano il National[37] e la Réforme. Il 22 febbraio 1848 una folla di lavoratori e di studenti si recò alla Camera dei deputati cantando la marsigliese e gridando “Viva le riforme!” e “Abbasso Guizot!”. La rivolta guidata da Raspail obbligò la destra ad accettare la repubblica. Il giorno dopo la vittoria degli insorti il 25 febbraio 1848, Raspail si unì a migliaia di parigini di fronte all’Hôtel-de-Ville, dove il nuovo governo provvisorio aveva istituito la sua sede. Entrò nell’Hôtel-de-Ville accompagnato dai lavoratori nella stanza dove risiedeva il governo provvisorio e minacciò di tornare con uomini armati se non fosse stata riconosciuta immediatamente la Repubblica. Davanti alla folla Raspail proclamò la Repubblica «Nel nome del Popolo francese, dichiaro la Repubblica, una e indivisibile; da oggi, la pena di morte aspetterà chiunque cospirerà per stabilire la monarchia. Lunga vita alla Repubblica!».
Al contrario di quanto successe durante la rivoluzione del 1830, nel 1848 tutte le istituzioni rappresentative del precedente regime furono dissolte in tempo. La Guardia Nazionale fu il secondo istituto ad essere stabilito, composto da cittadini maschi adulti eleggenti i propri capi. Infine, l’Assemblea Nazionale una volta eletta si rivolse contro la Guardia Nazionale, i clubs e i comitati dei lavoratori. Le dimostrazioni del 15 maggio in supporto dell’insorgenza dei polacchi si trasformò nell’invasione dell’Assemblea e nella formazione di un nuovo governo provvisorio, ma entro la sera, sempre del 15 maggio, Raspail, come altri insorti, furono incarcerati, i capi della Guardia Nazionale arrestati e il prefetto Caussidiere sollevato dai suoi incarichi.[38]
Come analizza Marx “Il primo periodo, dal 24 febbraio, dalla caduta di Luigi Filippo sino al 4 maggio 1848, quando si riunì l’Assemblea costituente, cioè il periodo di febbraio propriamente detto, può essere considerato come il prologo della rivoluzione. Il suo carattere si espresse ufficialmente nel fatto che il governo da essa improvvisato si dichiarò da sé provvisorio, e al pari del governo, tutto ciò che in questo periodo venne proposto, tentato, dichiarato, non lo fu che provvisoriamente”.[39] Come aveva già descritto Marx: “La rivoluzione di febbraio aveva cacciato l'esercito da Parigi. La guardia nazionale, cioè la borghesia nelle sue diverse gradazioni, era l'unica forza armata. Essa non si sentiva però abbastanza forte per misurarsi da sola col proletariato. Inoltre, era stata costretta, benché dopo la più tenace resistenza e opponendo cento ostacoli diversi, ad aprire a poco a poco e in parte le sue file, e a lasciarvi entrare dei proletari armati. Non rimaneva dunque che una via d'uscita: opporre una parte dei proletari all'altra”. [40]
Anche Marx tornò a Parigi su invito di Flocon[41], come vicepresidente della Associazione Democratica e uno dei firmatari del suo indirizzo al Governo Provvisorio. Marx rimase a Parigi cinque settimane.[42] Come avverrà con lo squadrismo fascista, a Parigi durante il ‘48 la borghesia “formò […] battaglioni di guardie mobili”, ovvero squadre costituite dal popolino urbano, che non aveva né mestiere né proprietà ed era pronto a battersi per “un franco e 50 centesimi al giorno [e] una uniforme speciale [e] spacconate di morte per la patria e di sacrificio per la repubblica”.
Sempre Marx continua: “Accanto alla guardia mobile il governo decise di raccogliere attorno a sé anche un esercito di operai industriali. Il ministro Marie [li] arruolò nei cosiddetti laboratori nazionali [che] erano [anche] il nome dei laboratori popolari che Louis Blanc predicava nel Palazzo del Lussemburgo. I laboratori di Marie, progettati in diretta opposizione al “Lussemburgo”, causarono, grazie all'appellativo comune, una selva di equivoci […]. Lo stesso governo provvisorio diffondeva sottomano la voce che questi laboratori nazionali fossero la trovata di Louis Blanc, e la cosa sembrava tanto più attendibile in quanto Louis Blanc, il profeta dei laboratori nazionali, era membro del governo provvisorio. E nella confusione, in parte ingenua, in parte intenzionale, della borghesia parigina, nell'opinione, mantenuta ad arte, della Francia e dell'Europa, quelle “workhouses” furono la prima realizzazione del socialismo, che insieme con esse veniva messo alla gogna. […] Dal 4 maggio, non dal 25 febbraio, data repubblica, vale a dire la repubblica riconosciuta dal popolo francese, non era più la repubblica che il proletariato parigino aveva imposto al governo provvisorio, non era più la repubblica accompagnata da istituzioni sociali; non era più l'immagine di sogno balenata davanti agli occhi dei combattenti delle barricate. La repubblica proclamata dall'Assemblea nazionale, la sola legittima, non era un'arma rivoluzionaria contro l'ordine borghese, ma piuttosto la ricostruzione politica di questo, la restaurazione politica della società borghese, in una parola, era la repubblica borghese, [che] escluse immediatamente dalla commissione esecutiva da lei nominata i rappresentanti del proletariato, Louis Blanc e [l’operaio] Albert.” [43]
De Francesco nota la differenza anagrafica tra il popolino delle Guardie Mobili di dodici anni in media più giovane dei lavoratori rivoluzionari, riconducendo questo come sintomo che i più anziani si potevano ancora ricordare le esperienze corporative[44] alle quali abbiamo accennato parlando degli anni ‘30. Marx fa riferimento alla data del 4 maggio come nascita della Repubblica francese “borghese”[45] perché, se in aprile si erano tenute le elezioni dell’Assemblea costituente, che furono vinte dai repubblicani moderati, ovvero di destra, con una rappresentanza trascurabile degli operai, il 4 maggio, quindi, la neocostituita Assemblea Nazionale, proclama la nascita della Repubblica. Il 10 di maggio il Governo Provvisorio viene sostituito con una Commissione Esecutiva, che estromette Blanc e la sinistra. Questo porta a nuovi scontri di piazza, che il 15 maggio risultano nell’irruzione dei dimostranti nel palazzo dell’Assemblea, i quali la dichiarano sciolta. La Guardia Nazionale però prontamente disperde i dimostranti arrestandone i leader: Blanqui[46], Raspail, Barbés e l’operaio Albert. Come già accennato, con la chiusura dei Laboratori Nazionali, agli inizi di giugno il popolo, soprattutto quello impiegato in tali laboratori, invece di tornare alla sua miseria si rivolta, portando alle Journées de Juin, ovvero le giornate di giugno dal 22 al 26[47]. Il generale Cavaignac reprimerà duramente queste sollevazioni e instaurerà un regime di ordine sotto il suo controllo, arrivando quindi alle elezioni di dicembre. Alle elezioni presidenziali di dicembre, la classe lavoratrice propose la candidatura di Raspail, ancora in prigione, i repubblicani di sinistra avanzarono la candidatura di Ledru-Rollin, i repubblicani di destra quella del generale Cavaignac[48], che dopo l’insurrezione di giugno era il capo del governo provvisorio; e per i bonapartisti si candidò Luigi Napoleone, infine de Lamartine per i liberali e Changarnier per i monarchici. Come è noto fu eletto il candidato dei bonapartisti, il principe Luigi-Napoleone Bonaparte[49], nipote di Napoleone, che ottenne in queste prime elezioni presidenziali una schiacciante maggioranza dei voti[50]. La seconda Repubblica ebbe però vita breve, poco meno di quattro anni, e si concluse con il coup di Luigi-Napoleone Bonaparte nel dicembre 1851 e la successiva nascita del Secondo Impero. Questo fenomeno è analizzato da Marx nel suo celebre saggio Il XVIII Brumaio. Marx non può che notare i corsi e ricorsi storici adattando un adagio di Hegel in uno più consono a quella situazione: la storia si ripete come farsa[51]. Anche durante il periodo repubblicano Luigi-Napoleone non esitò a far uso del partito d’ordine e con una politica molto eclettica ad eliminare via via i suoi avversari politici, utilizzando la crisi della repubblica romana in suo favore[52]. Parigi, come Lione e i centri urbani in generale, furono sempre abbastanza ostili a Luigi-Napoleone che poteva però contare sul consenso delle campagne e sulla borghesia che pretendeva un “governo forte”[53]. Il regime di Luigi Napoleone viene definito anche come “romanticismo tecnocratico”, in quanto dava una forte priorità agli obiettivi economici. Per Napoleone III lo scambio era fondamentale per un’economia florida. Il suo consenso era basato principalmente sul successo economico[54]. Alla prima fase autoritaria, 1851-1866, ne segui una seconda più liberale[55]. Questo perché nel 1866 il consenso di Napoleone III aveva ricevuto un duro colpo soprattutto con il fallimento della lunga impresa messicana (nel maggio Napoleone III ritira le truppe dal Messico) e con la vittoria dei prussiani nella battaglia di Sadowa[56], in luglio, contro l’impero austroungarico. Con le elezioni del 1869 l’opposizione repubblicana si fa molto forte[57] e incominciano a emergere figure che saranno determinanti nell’avvicendamento del potere alla cattura di Napoleone III, come i repubblicani radicali Léon Gambetta[58] e Jules Ferry.
Sempre in questo periodo, nel 1864, vi fu la costituzione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL) a Londra, la quale ebbe anche una forte componente francese, che a Parigi dal 1864 al 1867 era noto come il gruppo di Gravilliers, un gruppo “cosiddetto” proudhoniano. Quest ultimo fatto è piuttosto atipico per la poca influenza che Proudhon ebbe se paragonato ad altri socialisti francesi. Il gruppo di Parigi era composto da artigiani, non propriamente rappresentativi dei lavoratori industriali, e quindi più legati al pensiero di Proudhon. Tra questi vi erano Henri Tolain cesellatore, Ernest Fribourg incisore, Charles Limousin tipografo ed Eugene Varlin rilegatore, e si può anche annoverare un giovanissimo Benoît Malon. Questi erano un tipico esempio di lavoratori urbani che ebbero un ruolo fondamentale nella Comune. Fu proprio una delegazione di tipografi che nel febbraio del 1848 prestò visita a Proudhon per chiedergli di contribuire al loro giornale Representant du Peuple. I delegati francesi degli anni ’50 del XIX secolo, avevano appreso da Proudhon la critica dello Stato e vedevano il comunismo come statismo. Il gruppo di Gravilliers seguendo Proudhon era per il cooperativismo. Altro elemento chiave dell’influenza proudhoniana sui Gravilliers era l’importanza data all’autonomia di classe come modalità di organizzazione e di lotta. Anche se il concetto di autonomia era già presente nella tradizione dei bottegai. Durante il secondo impero gli scioperi non mancarono, per esempio ve ne furono di importanti nel 1862 per i tipografi, ma anche negli anni successivi. Ma vi era anche una tendenza tra i gruppi dell’AIL di contrarietà verso questa pratica. Molti però la vedevano come una necessità; il concetto di sciopero generale non esisteva ancora. Essere contro gli scioperi non indicava necessariamente un’influenza proudhoniana. In particolare, se il gruppo di Gravilliers mostrava dei tratti proudhoniani, questo deve essere attribuito più a una considerazione politica di Marx. In un recente saggio Samuel Hayat sostiene che i Gravilliers costruirono la fama di Proudhon piuttosto che il contrario, adottandone il vocabolario e rendendolo un autore canonico dell’AIL. Sempre Hayat sottolinea che il mutualismo fu un’invenzione dei canuts lionesi, ovvero lavoratori della seta, che Proudhon tentò di concettualizzare. Il suo vocabolario mutualista e federalista influenzò quello dei lavoratori che poi andarono a influenzare a loro volta i bakunisti. Conclude Hayat che il proudhonismo all’interno della AIL non era paragonabile al marxismo o al bakunismo. Proudhon divenne popolare proprio nel ‘48 tra i lavoratori parigini per il discorso che fece il 31 di giugno a favore degli insorti. Alcuni dei collettivisti antiautoritarii presero parte nella Comune come Caméliant, Debock, Laplanche, Limousin, Malon, Valin, Murat, ma altri esponenti, anche di rilievo, no, come Fribourg, Héligon e Tolain[59].
Mikhail Bakunin aveva partecipato al ‘48, a Parigi, a Baden, e quindi a Praga, e poi a Lipsia e a Dresda per finire in prigionia, più o meno condizionata dal 1849 al 1861, dal 1857 in Siberia. Dopo la “fuga” dalla Siberia si reca a Londra nel dicembre del 1861, dove riallaccia legami con vari intellettuali radicali. Come sostiene Max Nettlau è possibile che nell’autunno del 1864 Marx e Bakunin si incontrarono quando il primo, nonostante i contrasti risalenti al 1848, lo informò sull’AIL e sulla sua operazione contro Mazzini[60]. Operazione che trovò in Bakunin un alleato. Oltre a Mazzini a Londra conosce altri italiani come Aurelio Saffi. Bakunin si reca in Italia ufficialmente per scrivere le sue Memorie. Arriva probabilmente nel gennaio del 1864 e si reca in visita a Garibaldi. Da subito, ovvero dal suo soggiorno a Firenze, organizza l’Alleanza della Democrazia Sociale. Questa società segreta si voleva opporre alle società mazziniane come la Falange sacra che si fuse più tardi con l’Alleanza repubblicana. Sempre a Firenze entrò a far parte della Massoneria. Soprattutto a Napoli riuscì a stabilire una cellula dell’AIL.[61] Negli anni ‘60 del XIX secolo, quindi, l’attività di proselitismo di Mikhail Bakunin ebbe un certo rilievo, ma più che in Francia, in Italia, Spagna e Svizzera. Se in Francia le Società Operaie e mutualistiche erano già emerse negli anni ‘30 del XIX secolo, in Italia incominciarono ad emergere proprio negli anni ‘60. Le Società Operaie italiane erano fortemente influenzate dai repubblicani, sia moderati che radicali, ovvero dai mazziniani. Mazzini, ma del resto anche i repubblicani moderati, avevano una grande influenza su queste neonate organizzazioni e ne avevano una idea alquanto filantropica e paternalista. Fu proprio in questo contesto che Bakunin, insieme ad altri suoi seguaci, iniziò la sua opera antimazziniana. Presto sarà chiaro che Bakunin aveva intenzione di stabilire una sua organizzazione interna alla AIL. Questo si concretizzò, ora apertamente, con l’Alleanza nel 1868 a Ginevra[62], che diede inizio una lunga diatriba con Marx ed Engels che si concluse con la dissoluzione della AIL poco dopo la Comune.
Bakunin e la prima Comune di Lione
In occasione dello scoppio del conflitto franco-prussiano, Bakunin scrisse Lettere a un francese sulla presente crisi. Quando sentì della Comune di Lione partì per la città francese dove arrivò attorno al 15 o 18 settembre. Come per Parigi il 4 settembre il popolo urbano aveva dichiarato la Repubblica[63]. Addirittura, la dichiarazione della Repubblica a Lione sembra aver preceduto di qualche ora quella che Gambetta poi ufficializzerà all’Hôtel-de-Ville di Parigi anche favorito da tale vociferare sugli avvenimenti di Lione. A Lione il popolo si era mosso dai distretti operai di La Guillotière, La Croix-Rousse e il Faubourg de Vaise. Era stato costituito quindi un Comitato provvisorio di Salute Pubblica, che proclamando la Repubblica, aveva fatto issare la bandiera rossa sul Municipio della città[64]. In realtà era già dall’agosto, ancora prima della sconfitta di Sedan, che i vari club soprattutto quelli dell’Internazionale cercavano di proclamare la Repubblica a Lione[65]. Iniziarono quindi arresti e requisizioni, per esempio dei possedimenti dei gesuiti. Nel Comitato vi erano sette internazionalisti, ma vi erano anche repubblicani moderati. Ancora prima dell’arrivo di Bakunin il Comitato di Salute Pubblica aveva attuato una politica di ispirazione socialista, sollevando contrasti interni tra moderati ed estremisti. Intanto il 13 di settembre Challemel-Lacour venne mandato da Parigi come Prefetto di Lione dal governo provvisorio[66]. Il 17 arrivò in città il “generale” Cluseret[67], un garibaldino repubblicano che aveva combattuto nella guerra civile americana con i nordisti, che sarà nominato comandante dei volontari del Rodano dal Comitato provvisorio di Salute Pubblica. Il 18 di settembre i poteri passarono dal Comitato Provvisorio di Salute Pubblica al Consiglio Comunale di Lione, con Challemel-Lacour, ultra-repubblicano, come Prefetto. In quei giorni Bakunin, arrivato in città, entrò a far parte del Comitato Centrale di Salute Pubblica che ormai stava perdendo la sua funzione. I rivoluzionari si organizzarono in una Federazione Rivoluzionaria delle Comuni e sfruttando l’ondata di malcontento organizzarono un’insurrezione per spodestare il Consiglio Comunale. Già il 26 settembre proclamarono il loro programma, indicendo l’abolizione della macchina amministrativa e governativa dello Stato, la sostituzione dei tribunali con la giustizia popolare, nonché il passaggio di potere ai Comitati di Salute di Francia. Il 28 settembre una massa di più di mille lionesi capitanata dallo stuccatore Saigne occupano l’Hôtel-de-Ville. Il capitano dei volontari, Cluseret, non avendo nessuna intenzione di battersi contro il Consiglio Comunale, repubblicano, non fece armare gli insorti. Affacciatosi dal balcone del Municipio i leader degli insorti Saigne, Albert Richard, Gaspar Blanc e Bakunin arringarono la folla. La folla confusa non sembrò capire le intenzioni della Federazione tranne che lo scioglimento del Consiglio Comunale e la sostituzione del generale Mazure col generale Cluseret. Intanto il Prefetto Challemel-Lacour era stato fatto prigioniero nel Municipio tenuto ostaggio dagli insorti. L’opinione pubblica, confusa da tutto questo, incominciò a vedere alcuni leader della Federazione, Richard, Blanc e Bakunin come agenti o di Napoleone, o di Bismark, e tramutò il suo entusiasmo in un grido per l’intervento della Guardia Nazionale del governo repubblicano provvisorio, la quale riprese con piacere e senza molta fatica il controllo del Municipio, al grido di “viva il Consiglio Comunale, viva il Prefetto”[68]. Di fronte a questo cambio di umore grottesco, Bakunin fu costretto alla fuga, e tornò a Locarno[69].
Marx, sempre molto caustico e con grandi doti di sintesi, in una lettera del 19 ottobre a Spencer Beesly scrisse: “In merito a Lione, ho ricevuto delle lettere non pubblicabili. All’inizio tutto andò bene. Sotto la pressione della sezione dell’Internazionale, la Repubblica fu proclamata prima che a Parigi. Un governo rivoluzionario fu instaurato in un sol colpo. La Comune, composta in parte da lavoratori appartenenti all’Internazionale, è in parte composta da repubblicani radicali della classe media. Le concessioni furono abolite, e giustamente. Gli intriganti Bonapartisti e Clericali furono intimiditi. Misure energiche furono prese per armare la gente. La classe media cominciò, se non a simpatizzare con esso, almeno ad accettare quietamente il nuovo ordine di cose. L’azione di Lione fu sentita a Marsiglia e Tolosa, dove le sezioni dell’Internazionale erano forti.
Ma gli asini, Bakunin e Cluseret, arrivarono a Lione e rovinarono tutto. Appartenendo entrambi all’Internazionale, avevano, sfortunatamente, abbastanza influenza da sviare i nostri amici. L’Hôtel-de-Ville fu occupato per poco tempo, e decreti cretini sull’abolizione dello stato e simili sciocchezze furono emessi. Capisci che il fatto stesso di un russo[70], rappresentato dai giornali della classe media come agente di Bismarck, il quale pretende di imporre se stesso come leader del Comitato di Salute Pubblica, era alquanto sufficiente per far cambiare bandiera all’opinione pubblica. Per quanto riguarda Cluseret, si comportò al contempo da incosciente e da codardo. Questi due hanno lasciato Lione dopo il loro fallimento”[71]. La Comune di Lione riprenderà poi dopo il marzo del 1871 sull’onda di quella di Parigi.
La Comune di Parigi
Come per Lione, anche a Parigi tutto era iniziato con la sconfitta di Sedan del 2 settembre 1870, dove Luigi Bonaparte, Napoleone III, era stato fatto prigioniero dai prussiani. Il 4 settembre ci fu una sorta di colpo di Stato, bianco, ed a Parigi fu dichiarata la III Repubblica francese; fu costituito un Governo Provvisorio, che indicava la sua intenzione di continuare la guerra contro i prussiani. Come a Lione, anche a Parigi i cittadini diffidavano del governo provvisorio, non sentendosi sicuri contro i prussiani né rappresentati da quel governo, e si organizzarono in Comitati di Vigilanza[72].
Il 6 settembre il Governo Provvisorio di Difesa Nazionale prescrisse la formazione di sessanta nuovi battaglioni della Guardia Nazionale[73]. Nei giorni dell’11, 13 e 14 settembre, il Comitato Centrale dei venti arrondissements[74] pubblicò il suo manifesto che enumerava le misure da prendere immediatamente per la difesa di Parigi; tra i quarantasei firmatari c’erano molti internazionalisti[75], ma anche blanquisti come Gustave Ernst Genton e Gabriel Ranvier, il celebre bobuvista, il capo barricadiere Napoléon Gaillard, detto anche “Gaillard padre”, e repubblicani di sinistra. Intanto il 18 settembre, dopo la disfatta francese di Châtillon, i prussiani avevano in poco tempo circondato le mura di Parigi mettendola sotto assedio. Il 20 settembre, il Comitato Centrale dei venti arrondissement si riunì per far adottare al Governo Provvisorio un numero di risoluzioni concernenti: la difesa contro l’occupazione prussiana, la difesa di Parigi, la coscrizione di massa dei cittadini di Parigi, la requisizione generale di tutto ciò che poteva essere utilizzato per la difesa del paese e la sussistenza dei suoi difensori, la soppressione della Prefettura di Polizia e la rapida elezione dei membri del Comune. Il giorno successivo alcuni delegati del Comitato si incontrarono all'Hôtel-de-Ville, con Jules Ferry che, interrogato sull’armistizio, diede "la sua parola d'onore che il governo non [avrebbe trattato] a nessun prezzo con la Prussia". Meno categorico fu però sulla questione dell'abolizione della prefettura di polizia che, secondo lui, avrebbe dovuto essere risolta dalla Municipalità parigina una volta costituita. Pochi giorni dopo, il Comitato Centrale dei venti arrondissements, salutando l'arrivo di Garibaldi[76], annunciò la fine della "grande guerra" e l'inizio della “guerra popolare”, appellandosi ai "repubblicani di tutto il mondo". Il 22 settembre la Gazzetta Ufficiale pubblicò il resoconto del colloquio a Ferrières tra Jules Favre e Bismarck, dove le speranze del Comitato Centrale dei venti arrondissements si infransero contro la dura realtà, anche se non era ancora tutto perduto.[77] Emblematica fu la partenza del Ministro degli Interni del Governo provvisorio Gambetta, il 7 ottobre, su di un pallone aerostatico. Vero leader della dichiarazione della IIIa Repubblica del 4 settembre, che ora i parigini vedono lasciare Parigi al suo destino, molti di loro pensano. In realtà la missione di Gambetta era di riorganizzare l’esercito, non ancora completamente sconfitto dai prussiani, azione vanificata dalla definitiva sconfitta dell’esercito francese a Le Bourget il 30 ottobre.
Fino al 31 ottobre la Guardia Nazionale e la popolazione di Parigi erano pressoché favorevoli al Governo di Difesa Nazionale, ma la notizia della disfatta Le Bourget e la resa di Metz, quattro giorni prima, e la presa in considerazione di un armistizio incentivarono Blanqui e Flourens a provare un coup de main. Jules Favre disse in seguito che dal 31 ottobre le cause generali della rivoluzione del 18 di marzo si erano già sviluppate[78]. Lunedì 31 ottobre incitata dal vecchio neo-giacobino, quarantottino, Charles Delescluze, una grande folla marciò sul Municipio per dimostrare la sua opposizione al generale Trochu, che intanto aveva convocato i suoi ministri all'Hôtel-de-Ville, per un consiglio eccezionale finalizzato alla rapida organizzazione delle elezioni municipali a Parigi, richieste ormai dai vari circoli, “club”, di repubblicani, giacobini, proudhoniani, blanquisti e marxisti parigini. Se le trattative tra il governo e i dimostranti iniziarono pacificamente, nel pomeriggio la situazione precipitò quando Gustave Flourens, capo di un battaglione della Guardia nazionale di Belleville, irruppe nell'Hôtel-de-Ville, affiancato da Auguste Blanqui, Jean-Baptiste Millière e Édouard Vaillant. Il Governo venne proclamato decaduto, e al suo posto vennero nominati i membri di un Comitato di Salute Pubblica istituito fino alle elezioni. Il generale Trochu e Ferry riuscirono però a fuggire, riorganizzando dal Louvre le truppe governative e la Guardia Mobile Brettone. La ripresa del Municipio avvenne con successo verso le 3 del mattino del primo di novembre. Il vecchio Blanqui, ora sessantacinquenne, e altri rivoluzionari vennero arrestati.
Il 5 novembre si tennero le elezioni municipali[79]. Tra i venti sindaci furono rieletti repubblicani come Georges Clemenceau, allora trentenne, ma lo stesso Delescluze; anche Malon figurava tra deputati del nuovo Municipio, ad ogni modo sia il Comitato Centrale dei venti arrondissement che la nuova amministrazione comunale non erano ancora ostili al Governo Provvisorio. Il generale Trochu si espresse in favore dei venti amministratori, “molto meglio” di quelli nominati da Gambetta[80], diceva, anche se tra questi vi erano vecchi giacobini come Delescluze, o Ranvier, o Mottu. Il Prefetto Cressin aveva già a questo punto denunciato l’AIL come l’Associazione da temere di più, anche se al momento Jules Ferry non la considerava come una vera minaccia, non avendo questa potere politico[81]. Mentre perdurava l’embargo su Parigi da parte dell’esercito prussiano, e la fame attanagliava i cittadini. Il 26 novembre l’AIL lanciò un appello ai contadini per sostenere l’indipendenza delle Municipalità (Le Comuni). Nel dicembre la popolazione parigina attanagliata dalla fame, dovuta all’embargo, esplose in rivolte per il pane, a Belleville e Montmartre. L’amministrazione parigina dovette organizzare dei rigidi razionamenti di cibo. A queste agitazioni si andarono aggiungere in gennaio quelle legate all’inizio dei bombardamenti prussiani. Questa situazione fece riaffiorare il Comitato dei venti arrondissements, che il 6 gennaio pubblicò il famoso manifesto “rosso”[82], probabilmente uno degli atti più significativi per l’origine della Comune. A questo manifesto il generale Trochu rispose con un contro-manifesto in cui affermava che non avrebbe capitolato! ma allo stesso tempo col Prefetto di polizia decisero di perseguire coloro che consideravano i più pericolosi tra i firmatari del manifesto “rosso”. Fu in queste condizioni che l'8 gennaio apparve un nuovo manifesto, sempre del Comitato dei venti arrondissement, dove esprimevano il loro disprezzo per il Governatore di Parigi Trochu, e la dichiarazione del Prefetto un vero e proprio attacco alla libertà di stampa e delle persone, da cui [derivava] il diritto di difesa personale. Il 22 di gennaio scoppiò un’altra rivolta dei parigini e della Guardia Nazionale, sempre innescata dai blanquisti. Anche in questo caso il Governo di Difesa Nazionale, si difese facendo massacrare i dimostranti dalla Guardia Mobile Bretone. Grazie all’azione del generale Vinoy, nuovo governatore di Parigi, e del capo della polizia Cresson, il Comitato Centrale dei venti arrondissement fu tenuto sotto controllo fino agli inizi di febbraio, quando, per via delle elezioni dell’Assemblea Nazionale che avrebbe dato a Parigi quarantatré deputati, il Comitato si attivò a redigere l'elenco dei suoi candidati. Questi erano gli stessi dei candidati del club montagnardi, la Camera Federale dell'Internazionale, l’Unione Repubblicana, l’Alleanza Repubblicana, i Socialisti Repubblicani e i Difensori della Repubblica. Le elezioni dell’Assemblea Nazionale, tenutesi l’8 febbraio, furono però una sonora sconfitta netta per i repubblicani, soprattutto per i radicali e la sinistra[83].
Dopo le elezioni dell’Assemblea Nazionale, così deludente per la sinistra repubblicana radicale, il Comitato dei venti arrondissement cercò di ricostituirsi sulla base dei vecchi Comitati di Resistenza, partendo da un programma che andava oltre le idee strettamente patriottiche dei suoi inizi, assumeva quindi un carattere decisamente più socialista rivoluzionario[84]. Il 12 di febbraio iniziarono i lavori della neoeletta Assemblea Nazionale, questa era costituita prevalentemente da conservatori legittimisti, orleanisti, che diedero l’esecutivo a Adolphe Thiers, il 16 febbraio. Il Governo provvisorio agli inizi di febbraio era oramai in disfacimento, Gambetta, Jules Favre e il Prefetto di polizia Cresson si dimisero prima delle elezioni dell’Assemblea. Il 20 e 23 febbraio, i Comitati di Vigilanza votarono otto risoluzioni che li impegnavano deliberatamente ad un'azione rivoluzionaria[85]. Nonostante la Francia rurale avesse premiato i conservatori realisti, le elezioni dell'Assemblea Nazionale, nei centri urbani e quindi anche a Parigi, avevano rimesso in libertà o comunque incentivato deputati ostili al Governo[86]. Inoltre, sempre a Parigi, vi erano ben 250.000 uomini dell'esercito regolare, disarmati, che vagavano nella grande città. Solo la Guardia Nazionale, a questo punto, costituiva a Parigi, un elemento di ordine, ma date le continue partenze dei borghesi, come quelli “Amici dell'Ordine” in fuga dall'assedio, la Guardia Nazionale diveniva sempre più ostile al governo. Fu sintomatica anche la riduzione in numero dei battaglioni costituenti la Guardia Nazionale che all'inizio di marzo erano solo quarantatré, secondo stime ufficiali, ma più probabilmente solo ventitré. A fine gennaio si era tenuto nel 3° arrondissement, una grande riunione presieduta da un certo mercante Courty, sconosciuto ai più. Il 15 febbraio nella sala da ballo del Tivoli-Vaux-Hall nella rue de la Douane, vi fu una seconda riunione dove i delegati della Federazione della Guardia Nazionale, inviati da diciotto distretti, si incontrarono. A seguito della riunione del 15 di febbraio vi fu l’elezione del Comitato Centrale della Federazione della Guardia Nazionale il 24 febbraio. Comitato Centrale, da non confondersi con il Comitato Centrale dei venti arrondissements. Secondo gli accordi di Bordeaux l’armistizio sarebbe scaduto il 26 di febbraio e i prussiani avrebbero marciato in Parigi il 27. Alle due del mattino del 27, 40.000 uomini risalirono gli Champs-Elysées, e la Avenue de la Grande Armée, per incontrare e scontrarsi con i prussiani. Aspettarono fino all’alba. Al loro ritorno i battaglioni di Montmartre avevano sequestrato tutti i cannoni e li avevano portati al 18 arrondissement e al Boulevard Omano. Intanto un proclama informò che l’armistizio sarebbe stato prolungato fino al 1° marzo e quindi seguito dalla occupazione degli Champs-Elysées da parte di 30.000 prussiani[87]. Fu deciso che la Guardia Nazionale non avrebbe potuto permettere ciò. La Commissione[88] del Comitato Centrale deliberò uno Statuto, il 28 febbraio, che prevedeva l’innalzamento di una serie di barricate per isolare il nemico, chiedeva alla Guardia Nazionale, insieme all'esercito, di prestare la loro assistenza per l'esecuzione di questa misura con l’obiettivo di evitare qualsiasi aggressione che avrebbe portato all'immediato rovesciamento della Repubblica.
Quando i prussiani entrarono in Parigi il 1° marzo, trovarono la città deserta, mentre la pace, fu firmata dall’Assemblea di Bordeaux, quindi, tra il 2 e il 3, i prussiani lasciarono Parigi. L’Assemblea Nazionale firmò il trattato di pace con i prussiani, che comprendeva grandi indennità di guerra[89] e la cessione dell’Alsazia e della maggior parte della Lorena. Il 3 marzo Thiers nominò il generale D'Aurelles[90] de Paladines, comandante superiore della Guardia Nazionale del Centro, inaugurando le maniere forti, in quanto questi non era disposto a tollerare qualsiasi azione avesse nuociuto la pace a Parigi, di fatto decretando la sospensione la pubblicazione dei giornali radicali: Le Vengeur, Le Cri du peuple, Le Mot d’Ordre, Le Père Duchêne, La Caricature e La Bouche de Fer; e condannando in contumacia gli imputati della rivolta del 31 ottobre, Flourens, Blanqui e Levraud, a morte, e J. Vallès a sei mesi di carcere. La Guardia Nazionale si rifiutò di riconoscere D’Aurelles e propose Garibaldi. Mandò quindi i suoi delegati al Vaux-Hall. Il Comitato Centrale era composto da tre delegati di ogni arrondissement, eletti dalle compagnie, dai battaglioni e dalla legione e dai capi di legione. Fu nominata una Commissione esecutiva Provvisoria[91], fu letto e approvato lo Statuto del 28, Varlin propose di rieleggere gli ufficiali della Guardia Nazionale approvata all’unanimità, Viard sollecitò la Guardia Nazionale ad obbedire interamente al Comitato Centrale della Federazione per lottare contro una restaurazione monarchica o un plebiscito, e Lacord, chiese l'abolizione degli eserciti permanenti; in fine, si procedette all’acclamazione di due proposte, una che tendeva a far licenziare dal Comitato Centrale i capi dei battaglioni che non le obbedivano; l'altra, di costituire in una Repubblica indipendente il Dipartimento della Senna, nel caso in cui l'Assemblea di Bordeaux privasse Parigi del titolo di capitale[92]. Per via della instabilità di governo l’esercito regolare aveva già abbandonato, dal 26 febbraio al 12 marzo, munizioni, pistole, postazioni alla Guardia Nazionale federale. Quindi tentò di rimpossessarsi dei cannoni, ora custoditi dalla Guardia Nazionale alla Butte-Montmartre e in Lussemburgo. Tuttavia, non fu commessa alcuna violenza; le truppe regolari si ritirarono davanti all'atteggiamento molto chiaro della Guardia Nazionale federale, non disposta a cedere le armi. Il 10 marzo una risoluzione dell’Assemblea Nazionale mirava a far perdere a Parigi lo stato di capitale e prevedeva che l’Assemblea si riunisse a Versailles. Mentre a Parigi molti dei suoi cittadini, non potendosi permettere di pagare più gli affitti, erano diventati morosi e in bancarotta [93]. Sempre il 10 marzo, si tenne al Tivoli-Vaux-Hall, sotto la Presidenza di Pindy, la terza Assemblea Generale dei delegati della Guardia Nazionale[94].
Il generale Vinoy non aveva più delle forze consistenti e la situazione andava peggiorando giorno dopo giorno. Mentre soldati smobilitati, sbandati, corpi irregolari, giubbe rosse […] che avevano combattuto in Borgogna nel nome di Garibaldi, agenti dell’AIL, socialisti di ogni sorta, soldati di fortuna, […] di tutti i paesi e tutti i tipi, si arruolavano nella Guardia Nazionale, non meno di 140.000 cittadini della Parigi bene avevano lasciato Parigi dopo l’armistizio.[95] Il ministro degli Interni, Picard, intanto aveva denunciato l’anonimo Comitato Centrale ed era certo che questo stesse cospirando un colpo di mano, pretendendo che l’Assemblea arrestasse il Comitato Centrale[96]. Il vicesindaco di Montmartre, Clémenceau, aveva intrigato per giorni per avere la restituzione dei cannoni agli ufficiali dell’esercito regolare, ma quando il 12 marzo il generale D'Aurelles mando i suoi uomini a requisirli, gli uomini della Guardie Nazionale presenti rifiutarono[97]. Il 16 marzo, proprio il giorno dopo la Quarta Assemblea dei delegati della Federazione della Guardia Nazionale, il governo tentò nuovamente di riprendere le armi installate dal 28 febbraio a Place des Vosges. La Guardia Nazionale manifestò chiaramente la volontà di non volerle consegnare[98] e le truppe regolari si ritirarono immediatamente. Infatti, quando il 17 marzo il generale Vinoy mandò a Montmartre solo tre battaglioni della Guardia Nazionale Centrale[99], due dei quali mandati all'Hôtel-de-Ville, questi si dispersero per strada dopo essersi liberati dei loro capi.
Il 18 di marzo alle 3 del mattino diverse colonne si diffusero in varie direzioni di Parigi, il generale Susbielle marciò su Montmartre con due brigate, la brigata di Paturel prese possesso del mulino della Galette. La brigata di Lacomte prese la Torre di Solferino. Alle 6 del mattino l’azione era finita e Clemencau si affrettò a complimentarsi con il generale Lecomte. Ma apparentemente Vinoy aveva dimenticato i cannoni. Le donne senza aspettare l’arrivo degli uomini circondarono le mitragliatrici e incominciarono a protestare contro i soldati «E’ una vergogna, cosa ci fate qui? ». Alle 8 del mattino una manciata di uomini della Guardia Nazionale federale si avviò verso la rue Doudeauville imbattendosi in un plotone dell’88a divisione, questa fraternizzò e si unì a loro. Il generale Lecomte cercò di riprendere in mano la situazione, facendo arrestare i disertori dell’88a nella Torre di Solferino e ordinando anche di aprire il fuoco contro la Guardia Nazionale federale e la folla radunatasi nel frattempo, ma i suoi soldati si rifiutarono di aprire il fuoco sui parigini, quindi Lecomte e i suoi ufficiali vennero arrestati. Intanto il generale Paturel che stava portando via i cannoni venne fermato dalla Guardia Nazionale federale, mentre il generale Susbielle diede l’ordine di caricare la folla, ma i cavalieri non eseguirono l’ordine. A quel punto anche il resto delle truppe fraternizzò con i parigini. Alle 12 D'Aurelles e Picard informarono che il Governo doveva avvisare la “gente per bene” a difendere le proprie case e la propria vita. Thiers, vedendo che la Guardia Nazionale del Centro aveva disertato ordinò di evacuare Parigi. Infine verso le otto e mezzo di sera la Guardia Nazionale federale guidata da Brunel prese possesso dell’Hôtel-de-Ville[100]. Il generale Lecomte venne, in seguito, fucilato, probabilmente dai suoi stessi uomini.
Secondo Jules Ferry le cause dell’insurrezione del 18 marzo erano da cercarsi nella esasperazione creata dall’assedio di Parigi da parte dei prussiani, dal disarmo delle truppe regolari e non della Guardia Nazionale, e dal permesso dato ai prussiani di sfilare a Parigi. Il Governo di Difesa Nazionale venne visto invece come un Governo di Offesa Nazionale[101]. Parigi si rese conto della sua vittoria solo nella mattina del 19 marzo[102]. Difatti il 19 il Governo poteva contare su soli 25.000 uomini, senza coesione né disciplina, due terzi di questi si erano dati ai sobborghi[103]. Il Comitato Centrale era intenzionato a indire le elezioni comunali per il 22 di marzo e aveva decretato la sospensione dello stato di assedio, l’abolizione della corte marziale, l’amnistia per crimini politici. Alle otto aveva ricevuto i deputati dell’Assemblea Nazionale eletti a Parigi, Clémenceau, Millière, Tolain, Cournet, Malon e Lockroy, i sindaci Bonvalet e Mottu, gli assistenti Murat, Jaclard, e Léo Meillet. Clémenceau, in qualità di deputato e sindaco di arrondissement fu il portavoce di questa delegazione. Egli chiedeva quale fossero le condizioni del Comitato per indire le elezioni; intendeva il Comitato limitare il proprio mandato chiedendo all’Assemblea Nazionale l’elezione del Consiglio Comunale? Anche Malon era convinto che l’Assemblea non avrebbe legittimato il Comitato Centrale. Altri liberali tra i quali Louis Blanc e Tirard insistevano che il Comitato Centrale non avesse l’autorità di indire le elezioni e semmai solo l’Unione dei sindaci dei venti arrondissement, eletti dal popolo, ne avrebbe avuto l’autorità. I delegati del Comitato Centrale, gli anonimi, molto pragmaticamente riposero di non volerne sapere, «Il Comitato Centrale esiste. Siamo stati nominati dalla Guardia Nazionale e l’Hôtel-de-Ville è nelle nostre mani. Procederete con le elezioni quindi?». Il mattino seguente il sindaco Bonvalet e due assessori si recarono all’Hôtel-de-Ville per prenderne possesso, ma i membri del Comitato esclamarono «Non abbiamo trattato!», di fronte all’insistenza del sindaco Bonvalet, il quale ricordava al Consiglio che l’amministrazione di Parigi toccava ai sindaci, venne messo al suo posto con un: «Le elezioni del Consiglio Comunale si terranno questo mercoledì 22 marzo», ovvero due giorni più tardi. Quindi, mentre il Comitato Centrale si organizzava per fare delle nuove elezioni democratiche dell’amministrazione di Parigi, l’Assemblea Nazionale a Versailles accusava Parigi e il Comitato Centrale di essere una banda di briganti. Il 21 Comitato Centrale sospese i debiti degli affitti che opprimevano la maggior parte dei lavoratori parigini, mentre i sindaci esposero una dichiarazione collettiva che chiedeva la rimozione del Comitato Centrale e cercarono di manifestare davanti all’Hôtel-de-Ville.
Come scritto da Lissagaray[104], a mediare tra Versailles e Parigi vi erano diversi deputati radicali, tutti i sindaci, e molti assessori; questi erano disprezzati dall’Assemblea, ma, allo stesso tempo, ripudiati dal popolo, ad ogni modo questi consideravano il Comitato Centrale come un usurpatore e l’Assemblea come una sciupatrice. Continua sempre Lissagaray, il 21 fu un giorno memorabile perché tutte queste voci si fecero sentire. Infatti fu impossibile tenere le elezioni il 22, proprio a causa di queste discussioni e dimostrazioni; la nuova data fu fissata per il 23 di marzo. Il 22 un gruppo di repubblicani si riunirono al Palace de Nouvel Opéra. Questi, armati di moschetti, aprirono il fuoco sulle guardie nazionali uccidendone 96. La guardia Nazionale però rispose al fuoco disperdendo i reazionari. Il Comitato Centrale dimostrò ancora una volta di essere in grado di reprimere questo tipo di insurrezioni. I sindaci, intanto, si erano arroccati nel 2o arrondissement con truppe bonapartiste. Avevano creato una città nella città. L’elezione fissata per il 23 doveva essere rimandata nuovamente, ora per il 26. Il Comitato Centrale aveva però organizzato un’azione per riprendere i distretti controllati dai reazionari. Allo stesso tempo il Comitato, avendo chiarito di non essere ostile ai prussiani, non si aspettava nessun attacco prussiano; ma in questi primi giorni l’unica e vera minaccia era costituita dai sindaci stessi, che ora si dividevano tra quelli favorevoli alla direttiva del Comitato Centrale di indire le elezioni e quelli favorevoli solo ad una apertura verso Versailles. Ma quando una loro delegazione si recò a Versailles, si resero conto come l’Assemblea vedesse Parigi, ovvero come una città ostile. Brunel, generale della Guardia Nazionale, si spinse nel 2° arrondissement per riprenderne il controllo e i sindaci del 2° arrondissement furono messi in minoranza. Il Comitato Centrale non voleva più ragioni di rimandare le elezioni, come richiesto dai sindaci della 2a circoscrizione, e minacciò di occupare la circoscrizione. Sabato, 25 marzo, il Comitato Centrale risolse finalmente il conflitto con i sindaci dissidenti e le loro truppe bonapartiste furono disperse. Il Comitato Centrale abbozzò un manifesto per le elezioni che però venne firmato solo da cinque deputati dissidenti: Lockroy, Floquet, Clemenceau, Tolain e Greppo, mentre Blanc e il suo gruppo di rifiutarono. Si discusse a questo punto l’occupazione di Versailles, principalmente da parte dei neo-giacobini e dei blanquisti, ma questa era un’ipotesi troppo avventata per prenderla sul serio. Anche se fosse stata in grado di prendere Versailles, che ancora mancava almeno all’apparenza di un esercito forte, Parigi non avrebbe avuto le risorse per tenerla. In fine le elezioni si tennero, proprio il 26 marzo, usando le liste di febbraio, secondo un principio democratico. Le urne produssero 16 sindaci e diversi assessori: vi erano liberali di ogni colore, qualche radicale e circa una sessantina di rivoluzionari di ogni sorta[105]. I parigini però avevano votato la persona più che il programma, solo ventiquattro lavoratori erano stati eletti, un terzo dei quali appartenenti all’AIL; gli altri erano appartenenti alla classe media e liberi professionisti. Il neoeletto Consiglio della Comune, o Comunale, a differenza del Comitato Centrale della Federazione della Guardia Nazionale, ovvero quello degli anonimi per intenderci, era diviso da personalità e rivalità interne. Lissagaray osserva che se la Repubblica del 1793 era stata un soldato che voleva centralizzare la nazione, la Repubblica del 1871 era un lavoratore che voleva la libertà per costruire la pace. Fu nominata una Commissione Esecutiva del Consiglio comunale[106] la quale, come prima cosa, voleva dissolvere il Comitato Centrale della Guardia Nazionale, secondo questa, non più necessario ora che il Consiglio Comunale era stato eletto. Il Consiglio, però, non si rivelò per nulla pragmatico come invece era stato il Comitato Centrale e aspettò 22 giorni prima di pubblicare il suo programma, mentre le insurrezioni nelle province venivano represse senza nessuna direzione da seguire[107]. Il Consiglio, non mostrando chiarezza, venne abbandonato dai liberali, ben 22 poltrone, che migrarono a Versailles come aveva già fatto Tirard[108] giorni prima.
Grazie al beneplacito dei prussiani, che avevano addirittura concordato di rilasciare i prigionieri di guerra francesi per dare a Thiers la possibilità di schiacciare i comunardi, le forze governative si riorganizzarono e partirono alla riconquista della città. Il 1° aprile l’Assemblea Nazionale a Versailles aveva quindi riorganizzato un esercito ben più forte di quello di marzo, e non tardò a dichiarare guerra a Parigi; già il 2 aprile, infatti, aprì il fuoco su Parigi. I federali, presi un po’ di sorpresa, dovettero ritirarsi evacuando la Courbevoie. La Guardia Nazionale mancava di comandanti competenti e per questo era stato difficile mobilitarla e guidarla in così poco tempo. Durante questa prima difesa contro i versagliesi, molti tra i quali Flourens, persero la vita. Il neo-giacobino Felix Pyat[109], eletto al Consiglio, assunse da subito un ruolo ambiguo incitando irrealisticamente sul Vengeur “A Versailles!”, mentre Duval e i suoi uomini erano impegnati in un’eroica quanto disperata resistenza; catturato dai versagliesi, fu fucilato senza processo per ordine di Vinoy stesso. Il 4 aprile la Guardia Nazionale parigina riuscì a contrattaccare all’assalto del 2 e 3 aprile; sempre il 4 aprile, tra altri, fu fatto prigioniero l’arcivescovo di Parigi Darboy, mentre il 6 aprile furono celebrati i funerali delle vittime del 3 e 4 aprile. Delescluze fece un discorso pubblico alla folla in onore dei defunti molto apprezzato dai parigini. Intanto il 7 aprile i versagliesi tornarono all’attacco, prendendo il parco di Neuilly. Il generale Bergeret della guardia Nazionale fu sollevato dall’incarico, per questa sconfitta, e al suo posto fu messo il garibaldino polacco Dombrowski. Il 9 aprile Dombrowski contrattaccò scacciando i versagliesi e riprendendo la Courbevoie, che Vinoy cercò di riconquistare senza successo il 12 e il 13 aprile. Nonostante un’abilità notevole nelle manovre Dombrowski aveva disperato bisogno di rinforzi mentre dal 14 al 17 era sotto bombardamenti incessanti da parte dei versagliesi. Dombrowski e Okolwitz con pochi uomini riuscirono a fortificate una testa di ponte, ma sempre in disperato bisogno di rinforzi, allo stremo, scapparono su un ponte di barche. A questo punto i comunardi erano ancora in parte a favore del dialogo con i conciliatori, ovvero i radicali e la sinistra repubblicana, ma in parte ostili ad essi.
Il 19 di aprile, la Comune adottò la Dichiarazione ai francesi che doveva assicurare libertà individuale, libertà di coscienza e di lavoro, il sostanziale intervento dei cittadini negli affari comunali[110] e molte altre riforme[111]. Una delegazione di conciliatori, massoni, e della Ligue d'union républicaine des droits de Paris si recarono a Versailles il 21 aprile, ma Thiers non aveva nessuna intenzione di negoziare. Questi però riuscirono a ottenere una tregua il 25 aprile per evacuare il distretto di Neuilly bombardato. Quindi il 26 i conciliatori massoni si riunirono al Châtelet a Parigi, dove Floquet, Lockroy e Clémenceau si dimisero dalla carica di deputati. I conciliatori massoni si recarono quindi all'Hôtel-de-Ville per mostrare il loro supporto, mettendo in piedi una parata alquanto pittoresca. Invece la sinistra repubblicana, Louis Blanc in testa, non si espose come i conciliatori e non ostacolò i thiersisti[112]. Il cessate il fuoco durò poco e il 27 aprile i versagliesi ripresero l’avanzata, progredendo dentro diversi distretti. Il contrattacco di Cluseret e La Cécilia a Issy rimandò i versagliesi fuori dal forte. Lissagaray riporta un’immagine emblematica dove le truppe federali “Al loro arrivo trovarono un bimbo, Dufour, vicino ad un barile pieno di cartucce e munizioni, pronto a farsi esplodere, con tutto il resto.” Il panico del forte di Issy fu la ragione principale che portò alla nascita del Comitato di Salute Pubblica. Il primo maggio con 34 sì contro 28 no fu nominato il Comitato di Salute Pubblica[113]. Secondo Miot questa era una misura indispensabile. Il neo-giacobino Félix Pyat, si espresse a favore con i suoi soliti modi retorici. Mentre Tridon, Vermorel e Longeut vedevano il Comitato di Salute Pubblica come inutile, se non deleterio, in quanto avrebbe creato di fatto una dittatura. Il Consiglio però rimase in carica e dopo otto giorni cambiò il Comitato. Molto si può capire nelle parole di Lissagaray “Questi uomini [a favore del Comitato] non capirono mai che la Comune era una barricata, non un governo”. Sempre nello stesso periodo Cluseret fu sostituito con Rossel. Questo cambio di leadership non variò le sorti del conflitto, la Guardia Nazionale federale nei primi di maggio fu sottoposta ad una serie di durissimi attacchi. Di fatto il Comitato di Salute Pubblica, in particolare Pyat, spesso interferì contro il comando di Rossel, mentre il Consiglio Comunale non sembrò essere in grado di risolvere questa situazione la situazione del conflitto dal 4 al 7 maggio diventò sempre più critica e ormai molti federali erano pronti alla resa. Infine, l’8 maggio iniziò un fitto bombardamento e allo stesso tempo il forte di Issy venne ripreso dai versagliesi, questo portò Rossel a dimettersi, non avendo secondo lui le condizioni necessarie per resistere. Il 10 maggio fu eletto un nuovo Comitato e Félix Pyat ne venne nominato presidente, che ovviamente immediatamente fece di Rossel un capro espiatorio e ne richiese l’arresto. Questo comitato era diviso da una maggioranza con Pyat e altri neo-giacobini e blanquisti e una minoranza, pressoché composta da internazionalisti, che a un certo punto la maggioranza, ovvero Pyat, avrebbe voluto fare arrestare. A questo punto finalmente Malon urlò: «Silenzio! Tu sei il genio diabolico di questa rivoluzione. Non continuare a diffondere il tuo veleno di sospetto per mettere zizzania. È la tua influenza che sta rovinando la Comune!» Arnold rincarò: «Sono ancora questi signori del 1848 che affosseranno la rivoluzione». Dopo il suo arresto Rossel riuscì a fuggire insieme a un membro del Consiglio. La maggioranza intanto instaurò una sorta di dittatura dei cinque[114].
Intanto i versagliesi non erano impegnati solo con le armi, ma cercavano anche di corrompere gli ufficiali della Guardia Nazionale federale, e addirittura lo stesso Dombrowski, per crearsi un varco dentro Parigi. Alcuni vedono con sospetto il loro ingresso pressoché indisturbato del 21 maggio. Ma Dombrowski, onestissimo, informò subito il Comitato che cercò di arrestare i cospiratori. Intanto il primo atto del nuovo Comitato fu quello di demolire la casa di Thiers. L’11 maggio Wroblewski, giunto a sostituire La Cécilia, caduto malato, riuscì con pochi uomini a riconquistare il forte di Vanves, che stava cadendo in mando versagliese, mostrando la poca capacità militare di La Cécilia. Di tutta risosta i versagliesi ricominciarono bombardare pesantemente per tutto il 12 e il 13 di maggio. Mentre il presidente del Consiglio di Guerra Delescluze era comunque alla mercé del Comitato di Salute Pubblica che continuava a impartire ordini, deliberare e imprigionare. Questa situazione fu denunciata dalla minoranza del Comitato. La goccia che fece traboccare il vaso, fu quando il 12 alcuni battaglioni mandati dal Comitato di Salute Pubblica avevano circondato la Banca di Francia per appropriarsi dell’oro, il governatore comunardo Charles Beslay, vecchio proudhoniano, che aveva capito che la Banca poteva essere utile solo se godeva di fiducia anche fuori dalla Comune, si oppose a ciò. La frazione della minoranza[115] quindi emanò un manifesto, il 15, contro la maggioranza neo-giacobina e blanquista. La minoranza era composta principalmente da lavoratori e membri dell’AIL, e di sicuro non vi erano blanquisti o neo-giacobini in essa. Proprio mentre la maggioranza e la minoranza erano in una accesa discussione sul manifesto della minoranza, questa discussione fu interrotta da un’enorme esplosione della fabbrica di cartucce sulla Avenue Rapp di origine dolosa, un altro sabotaggio. Il 16 maggio la colonna Vendôme, simbolo delle vittorie napoleoniche, fu demolita. Il 17 maggio i versagliesi erano riusciti a forzare le barriere di La Muette, Auteuil, St. Cloud, Point du Jour e Issy. Il Comitato di Salute Pubblica non fu in grado di mobilitare più uomini anche se ve ne erano almeno 1.500 inattivi nelle caserme di Prince-Eugene e un altro migliaio di guardie inutilizzate. Il 21 maggio, infine, grazie a una soffiata di una spia, le truppe versagliesi entrarono presso la porta di St. Cloud, che era stata lasciata incustodita. Dombrowski cercò, a questo punto, di prendere in mano la situazione della difesa, ma era troppo tardi, il Consiglio era ancora occupato con il caso Cluseret, mentre il Comitato di Salute Pubblica credeva la situazione fosse sotto controllo, e i dispacci fossero esagerati. La guerra civile iniziò casa per casa tra le barricate di Parigi, fino al 28 maggio[116]. La repressione, iniziata il 21 maggio e protrattasi fino al 28 maggio, fu poi chiamata la settimana di sangue: tra 17.000 e 25.000 sono secondo le stime i comunardi giustiziati sommariamente[117]. La città fu messa a ferro e fuoco.
Considerazioni conclusive
Qualche forma di amministrazione municipale, o comunale, Parigi l’aveva anche prima della Grande Rivoluzione del 1789. Questa era una sorta di camera di commercio, e, allo stesso tempo, di amministrazione comunale, ovvero il bureau de la Ville, la cui elezione rispecchiava i privilegi esistenti nella Francia assolutista. Nonostante l’Hôtel-de-Ville avesse la sua piccola guarnigione e il suo armamento, il vero potere esecutivo era solidamente nelle mani delle forze di polizia e delle truppe monarchiche distribuite nelle varie fortezze e prigioni della città, come lo Châtelet e la Bastiglia. Quando vennero convocati gli Stati Generali da un monarca succube del sistema del quale egli avrebbe dovuto essere la guida per grazia di Dio, i nodi vennero necessariamente al pettine. Le condizioni economiche della Francia erano critiche e la corona viveva ormai in un suo mondo irrealistico. Oggi è facile giudicare il comportamento di re Luigi XVI come estremamente naïve, ma anche l’idea che l’ancien régime si stesse palesemente sgretolando è un’idea semplicistica che infatti fatica a spiegare i vari ritorni di fiamma della monarchia in Francia. Quindi è comprensibile come Luigi XVI non avesse il sentore che convocando gli Stati Generali avrebbe messo in moto un processo rivoluzionario irreversibile. Ad ogni modo, con l’istituzione del Comitato degli Elettori il 23 maggio 1789, si mise in moto quel lungo percorso che, non senza poche interruzioni, porterà al Comitato Centrale delle venti circoscrizioni, gli arrondissments, del settembre 1870. Ovviamente le condizioni erano diverse, tuttavia si ha la sensazione che l’amministrazione di Parigi si sentisse in diritto e in grado in tutti e due i casi di amministrare anche il resto della Francia. Il paragone diviene però meno azzardato quando si pensa ai Commissari rivoluzionari del 10 agosto 1792 e al Comitato Centrale della Federazione della Guardia Nazionale del 15 febbraio 1871. In entrambi i casi vi era il timore del ritorno della monarchia, che, ironia vuole, con l’aiuto prussiano poteva seriamente minare il sogno repubblicano.
È comprensibile quindi come il mito al quale molti comunardi aspiravano fu la Comune giacobina eletta nell’agosto del 1793 e abbattuta prematuramente dai termidoriani. Il neo-giacobinismo in Francia rimase latente e uscì regolarmente fuori nei momenti topici, ovverosia nel 1830, nel 1848 e nel 1870-71. È vero che il neo-giacobinismo e il collettivismo si ibridarono. Buonarroti fu forse un emblema di ciò, ma il rivoluzionario neo-giacobino di sinistra più longevo, fu Blanqui. Se da un lato avevano una grande popolarità, per il loro attivismo, sprezzo del pericolo, imprese eclatanti ecc., dall’altro i neo-giacobini erano visti via via sempre più come i veri affossatori delle rivoluzioni. Tra questi vi furono sicuramente degli invasati, si veda per esempio Felix Pyat e Raul Rigault, che ricordano molto certi invasati fascisti del ventennio, come allo stesso tempo gli equivalenti bolscevichi. Visti dai clericali, dai notabili o dalla provincia, i comunardi davano indistintamente quell’impressione, ovvero di invasati, senza Dio e comunisti.
Infatti, la vera differenza con le altre rivoluzioni era la presenza di una forte matrice collettivista. Abbiamo visto come le idee socialiste si erano piano piano sviluppate soprattutto dopo la rivoluzione del 1830, i moti di Lione del ‘34 ne dettarono una svolta importante, ma anche l’influenza della seconda parte degli anni ‘40 con le varie correnti socialiste ebbe il suo ruolo. Il ‘48 a Parigi mostrò che il proletariato aveva una sua idea di rivoluzione non necessariamente combaciante con quella della borghesia alta o media che fosse. Louis Blanc si ritrovò a fare la parte dell’eroe dei lavoratori ma come si confermerà nel 1871 a sua insaputa. Blanc non aveva intenzioni rivoluzionarie ma conciliatrici e se nel maggio e giugno del ‘48 gli eventi lo spinsero in un angolo nella primavera del ‘71 ebbe la possibilità di schierarsi secondo coscienza. La sua figura difronte ai lavoratori degli anni ‘80 rimase quindi controversa, da un lato il mito del ‘48 era duro a morire, dall’altro il suo vero ruolo antirivoluzionario si era svelato. Altro corso e ricorso storico fu l’elezione dell’Assemblea Nazionale il 4 maggio 1848 e l’8 febbraio 1871. La Francia rurale in entrambi i casi si mostrò conservatrice, legata all’ordine e alla protezione ferrea della proprietà privata.
Leggere la Comune di Parigi solo dal lato della dottrina socialista però è un grave errore. La vera costante nella politica francese dal settembre 1792 fino alla Seconda guerra mondiale fu il repubblicanesimo. Questo assunse diverse sfumature, Mazzini in Italia non ne fu che una espressione, Dio e Patria, che fu in aperto conflitto con la monarchia, anche costituzionale, e la Chiesa. Questa fu la vera forza politica reazionaria, i repubblicani, i quali se traditi nel ‘30 dai legittimisti e nel ‘51 dai militaristi bonapartisti, si videro nel ‘70 e ‘71 costretti a diffidare dell’Assemblea Nazionale, dominata dai rurali, ovvero ancora dai legittimisti, ma allo stesso tempo si videro costretti a limitare le rimostranze della classe lavoratrice, cosa che diverrà una costante degli anni ‘80 e ‘90. Thiers fu da un lato ferreo nel non dialogare con nessun tipo di colore politico provenisse da Parigi o prendesse le sue parti, ma si assicurò bene di non mettere in discussione per la terza volta la Repubblica. Anche se la lotta tra repubblicani, legittimisti e clero andò avanti negli anni ‘80 e ‘90 rischiando nel 1889, con Boulanger, un altro colpo di mano autoritario. Jaurès si rese conto che gli ideali di libertà, eguaglianza e fraternità portati avanti dai repubblicani, nel nome della Grande rivoluzione, entravano in conflitto con la vera indole del capitalismo che i repubblicani effettivamente rappresentavano. Non è un caso che le organizzazioni socialiste ci misero molto poco a riformarsi nonostante una durissima repressione e persecuzione durata dieci anni. Come il mito della Comune del 1793-94 aveva influenzato chi venne dopo, il mito della Comune di Parigi del 1871 ha influenzato molto i socialisti. Se con l’Unione Sovietica è più complesso e dispendioso far passare l’idea che quello non fu socialismo, con la Comune si ha vita più facile proprio per la brevità e la circoscrizione dell’evento stesso. Ciò che conta realmente fu l’idea, l’idea che un’alternativa fosse possibile, un’alternativa dove i lavoratori avessero voce in capitolo.
La Comune ancora oggi ha un significato divisivo. Per i socialisti di ogni tipo, è comunque un momento da ricordare con orgoglio. Un momento nella storia dove le idee socialiste sono state messe al centro dell’amministrazione della cosa pubblica. Ma mostrò già allora le principali problematiche vigenti quando si parla di instaurazione del socialismo. Per molti i vagheggiamenti collettivisti sono pura barbarie, la proprietà privata è sacra e questo sentimento motiva e unisce diversi strati sociali nella lotta repressiva. Ma durante la Comune il problema di collettivizzare i mezzi di produzione non poteva che essere secondario, da quando Parigi era sotto assedio da mesi, dissociata dal resto della Francia. Il problema della proprietà diventava uno spauracchio. La Comune però diede spazio a diverse interpretazioni, socialiste, o per meglio dire, radicali. Vi erano coloro i quali pensavano ad una repubblica sociale simile a quella voluta dal Terrore giacobino. Ovvero una minoranza che per via coercitiva avrebbe fatto il bene comune. Vi erano altri animati dal senso repubblicano patriottico e non potevano accettare le condizioni di Bordeaux e di Versailles. Vi erano poi coloro i quali avevano una idea più democratica di come si dovesse amministrare la città di Parigi e quindi la Francia intera. In concreto però i più a Parigi difendevano le loro case e vedevano nel governo di Versailles il rischio del ritorno dei legittimisti che gli avrebbero di sicuro chiesto i fitti arretrati e li avrebbero tartassati. In almeno tre momenti ideali socialisti genuini vennero fuori dal marasma di quel periodo, il manifesto “rosso”, scritto dal Comitato Centrale dei venti arrondissment, lo Statuto del Comitato Centrale della Federazione della Guardia Nazionale, il manifesto della minoranza del Comitato di Sicurezza Pubblica, oltre che ovviamente al programma di riforme stilato dal Consiglio Comunale il 19 aprile. Sono questi gli atti e le basi dove la Comune di Parigi mostrò il suo valore socialista alla storia. Chi poi pensa che la Comune sia caduta perché troppo centralizzata, o troppo poco centralizzata, perché troppo rivoluzionaria, o perché troppo poco rivoluzionaria, non sa di cosa sta parlando. La Comune può essere vista come un ideale di autogoverno, ma allo stesso tempo è stata una barricata. Ha agito in emergenza, sotto assedio, nella fame, nel debito, nell’incertezza, di sicuro è da ammirare che in tutto questo, uomini, spesso, anonimi lavoratori, avevano sentito la necessità di affermare principi di libertà, eguaglianza e fraternità fortemente radicati nella tradizione francese sì, ma anche culla dell’idealismo socialista francese. Il mito della Comune fu quindi strumentalizzato e non conoscendone i fatti lo è tutt’oggi.
Marx, il quale fu chiamato ad esprimersi sui fatti, scrisse La Guerra civile in Francia e lesse la Comune come primo tentativo di abolire la proprietà di classe. Engels nella prefazione all’edizione tedesca del 1891, aggiunse chiaramente che la Comune era stata l’unico esempio di dittatura del proletariato, termine coniato per altro da Blanqui. Bakunin, cacciato da Lione, come visto in precedenza, aveva guardato con molto scetticismo agli avvenimenti della Comune di Parigi; secondo lui i francesi non avevano la volontà di fare la Rivoluzione. In Italia con la Comune di Parigi si ebbe un netto calo di popolarità di Mazzini presso i giovani rivoluzionari. Mazzini, che anche prima della Comune era attaccato da sinistra ormai da diversi anni come mostra l’azione stessa di Bakunin. Andrea Costa esagererà forse su questo punto vedendo nella sconfessione di Mazzini della Comune l’inizio della fine dell’influenza del genovese. Dall’altro lato si ebbe l’acuirsi del conflitto nato in seno all’AIL già un paio di anni prima tra Bakunin e Marx. Una cosa è certa, il lavoro che Bakunin aveva cominciato nel ’64 stava dando i suoi frutti, almeno in Italia e Spagna. Bakunin nella Risposta di un internazionale a Giuseppe Mazzini del 1871 si propone come alternativa politica rivoluzionaria. Lo scritto di per sé era una ripetizione delle critiche già mosse nel ‘67. Bakunin, polemizzando con Mazzini, andava sviluppando una sua visione volontarista del socialismo, ovvero anarchico-collettivista, che si poneva tra l’anarchia classica di Pierre-Joseph Proudhon, dibattuta a suo tempo da Marx in “Misère de la philosophie” del 1847, e il socialismo scientifico, proprio di Marx, delineato nel primo volume de Il Capitale del 1867, che Bakunin rispettava molto e si era sempre impegnato a diffondere. È vero che a caldo Marx in La Guerra civile in Francia fu molto esplicito su cosa la Comune avrebbe potuto simboleggiare. Enfatizzando il fatto che questa fu una iniziativa del popolo[118]. Un avvenimento nuovo, realmente rivoluzionario, dal punto di vista della classe dei lavoratori, questa volta, piuttosto che della borghesia[119]. Marx chiaramente non cade nel fraintendimento che la Comune del 1871 fosse in qualche modo la concretizzazione del mito della Comune giacobina[120]. La Comune del 1871 sostenne riforme sociali ancora più cruciali di quelle politiche[121]. Secondo Marcello Musto fu questa preferenza che aiutò la Comune a durare quanto durò, soprattutto se consideriamo in quali condizioni critiche era costretta ad operare[122].
Marx, almeno in La Guerra Civile in Francia, non si riferisce effettivamente a quello che la Comune fu, ma a quello che avrebbe dovuto rappresentare, ovvero: “un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro”. Va da sé che l’emancipazione dal lavoro, l’abolizione della proprietà di classe non erano alla portata della Comune. Continua Marx: “La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre “par décret du peuple”. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini.” Marx quindi coglie questa occasione per ribadire che un’alternativa al capitalismo è possibile e quando le condizioni lo permettono non è poi così inimmaginabile. Un altro elemento molto importante dell’analisi di Marx è la connotazione che egli dà al ruolo della classe media, ovvero gli artigiani, commercianti, negozianti, classe media che così tanto aveva pesato già nella Grande rivoluzione.
“Questa stessa parte della classe media, immediatamente dopo aver aiutato a schiacciare la insurrezione operaia del giugno 1848, era stata sacrificata ai suoi creditori dall'Assemblea nazionale, senza tante cerimonie. Ma questo non era il solo motivo per cui ora queste classi medie si schieravano attorno alla classe operaia. Esse sentirono che vi era una sola alternativa: o la Comune o l'impero, sotto qualsiasi nome questo potesse ripresentarsi. L'impero le aveva rovinate economicamente con lo sperpero delle ricchezze pubbliche, con le truffe finanziarie su larga scala che esso aveva favorito, con l'impulso dato all'accelerazione artificiale della concentrazione del capitale e con la concomitante espropriazione di una grande parte del loro ceto”
La classe media a Parigi era con la Comune, perché non aveva alternative. L’impero era crollato e la repubblica borghese era fuori dalle mura, preparandosi a cannoneggiare la città. Difficile volerle bene in quel frangente. Ma la classe media fa presto a passare, quando può, dall’altro lato della barricata. Quello che però molti marxisti hanno letto in questa episodica analisi è che la classe media è volubile. Ma la classe media è anche piccola proprietaria e come tale è facilmente reazionaria. Una grande verità della quale Lenin farà tesoro è che “La Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini che ‘la sua vittoria era la sola loro speranza’”. La classe contadina avrebbe potuto essere il vero braccio della rivoluzione, e lo sarà in Russia[123].
La Comune ebbe risonanza mondiale non solo durante il suo svolgersi, ma anche dopo. Tra tutti i paesi eccezion fatta per la Francia, direttamente chiamata in causa, la Germania e in particolare i fondatori della SPD furono profondamente influenzati dalla Comune[124]. Jean-Numa Ducange fa notare giustamente che Marx and Engels, a mente fredda, furono però meno celebrativi di quanto si poté leggere nel La Guerra Civile in Francia[125]. Ma la lettura probabilmente più interessante venne da una grande figura del socialismo francese, Jean Jaurès. Jaurès era ancora troppo giovane per apprezzare gli avvenimenti della Comune mentre accadevano, e, come politico, si formò inizialmente tra le fila di quei repubblicani radicali quali furono Gambetta e Ferry. Ma quando nel 1907, oramai maturo socialista, scrive sul suo l’Humanité, esplicitando senza nessun tipo di preconcetto quello che probabilmente aveva già inteso Marx nel suo noto brano: “La classe operaia […] Sa che per realizzare la sua propria emancipazione […] dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini”; Jaurès scrisse chiaramente e forse più concretamente che “anche se la Comune di Parigi avesse vinto non sarebbe stata in grado di trasformare fondamentalmente la società […] avrebbe potuto forse far avanzare lo sviluppo della Terza Repubblica di dieci anni, ma non avrebbe fatto sbocciare il socialismo da terra” [126]. La lettura che ne fu fatta da parte del bolscevismo però fu blanquista, ovvero, centralizzare il potere decisionale per fare il bene della classe lavoratrice, ignorando il fatto che il bene della classe lavoratrice però non sarebbe magicamente “sbocciato da terra”. Forse le parole dell’opportunista repubblicano Jules Favre, protagonista proprio del negoziato con Bismarck, non si distanziano troppo dalla realtà: “Sbaglia la gente che pensa che c’è nel socialismo, nell’azione dell’Internazionale e lo stesso può essere detto per il giacobinismo, una forza molto potente, capace di produrre eventi come il 18 marzo. Le idee socialiste e l’azione dell’Internazionale furono, per ciò che riguarda quell’evento, come un pizzico di polvere [da sparo] buttato nella conflagrazione. Il fuoco era già acceso; la sua sola fisiognomia fu cambiata dalla polvere, la quale da sola non avrebbe avuto alcun effetto."[127] Ovviamente cambiare la sola fisiognomia, ovvero l’aspetto esteriore, e non la natura e la portata stessa dell’evento stesso, è un giudizio molto aspro, ma dice in altri termini quello che sia Marx che Jaurès intendevano. Non si può credere che la Comune sia stato un momento di istituzione del socialismo a Parigi.
È importante poi collegare le sorti della Comune a quelle dell’AIL. L’internazionale, nata nel 1864, ebbe un ruolo non secondario nella proclamazione della repubblica in Francia, come abbiamo visto per Lione, ma anche nel resto della Francia urbana. La corrente proudhoniana, o cooperativista, ebbe modo di sopravvivere in Francia anche alla Comune. Però l’atteggiamento di alcuni socialisti durante la Comune, come Louis Blanc, e il proudhonista, o meglio gravillier, Henri Tolain, sul fronte versagliese, li aveva screditati di fronte alla classe lavoratrice. Bakunin, dopo aver “partecipato” alla Comune di Lione, fu scettico e per certi versi critico della Comune di Parigi. Al contempo Bakunin aveva fatto emergere il suo disegno cospirativo, ovvero esplicitando l’Alleanza, all’interno dell’AIL. L’ambigua segretezza dell’Alleanza e la sua incoerenza con la natura della AIL, può essere vista in un buffo episodio, che coinvolgerà l’onesto, ma ingenuo e sfortunato, Giuseppe Fanelli della sezione di Napoli. Il caro “Beppe”, bakunista, partito per la Spagna proprio nel 1868 per stabilire nuclei dell’AIL, fece effettivamente confusione tra l’Alleanza e l’Associazione, scoperchiando l’affare dell’Alleanza e la famosa adesione di Bakunin all’AIL a Ginevra. Fanelli è tutt’oggi ricordato in Spagna come il portatore dell’AIL nella penisola iberica, appunto.
La Comune si interpose tra l’ingresso di Bakunin nell’AIL a Ginevra nel 1868, lo scioglimento dell’Alleanza nel luglio del 1869 a Basilea, quindi la scissione della Federazione Romanza, ovvero la sezione dell’AIL nella Svizzera francese (nel Giura), libertaria, e quella del Temple Unico, nel 1870. Il Congresso Generale dell’AIL non si riunirà né nel 1870 né nel 1871 proprio a causa della guerra franco-prussiana; quindi, i nodi verranno al pettine a partire dalla conferenza del Consiglio Generale di Londra nel settembre del 1871. La Federazione del Giura si riunirà, in novembre, alla Conferenza di Sonvilier, e nella circolare di Sonvilier, accuserà il Consiglio Generale di aver, da Basilea, accentrato il potere della AIL in se stesso, di essersi riunito segretamente a Londra, di aver fatto passare risoluzioni autoritarie[128], di non essere rappresentata da tutte le sezioni dell’AIL, di rifiutare l’ammissione o sospendere l’attività di Sezioni dell’AIL arbitrariamente, e denuncerà il rischio che il Consiglio Generale possa sopprimere il Congresso Generale e sostituirlo con Conferenze segrete. Tra i firmatari di Sonvilier vi furono Jules Guesde e James Guillaume. Ora quanto fossero fondate le accuse del Giura può richiedere una trattazione a parte; sta di fatto che questa fu la frazione che si sviluppò nell’AIL dopo la Comune e che portò alla Conferenza Internazionalista libertaria di Rimini e alla risoluzione dell’Aja. È interessante notare come il conflitto tra l’autorità centrale e la periferia fu effettivamente un problema durante i giorni della Comune. Musto nota che le cose precipitarono quando la Guardia Nazionale dimostrò indisciplina e Jules Miot propose la creazione di un Comitato di cinque sole persone di Salute Pubblica, come quello di Maximilien Robespierre nel 1793. In effetti fu il panico provocato dalla perdita del forte di Issy che spinse i neo-giacobini e i blanquisti a proporre il Comitato. Questo Comitato, approvato il primo maggio, creò però, come già visto, una scissione nel Consiglio Comunale tra neo-giacobini e blanquisti, per la centralizzazione del potere, e gli Internazionalisti, ovvero la minoranza. Quest’ultima frazione rigettò la svolta autoritaria rifiutando di partecipare all’elezione del Comitato di Salute Pubblica[129].
Una conseguenza importante che la Comune provocò nel movimento operaio fu una sorta di ritorno all’operaismo degli anni ‘30. Dopo la repressione della Comune il socialismo in Francia cessò quasi totalmente di esistere. Al primo Congresso Operaio di Parigi, nell’autunno del 1876, pressoché nessuno dei presenti, aveva preso attivamente parte alla Comune. Questo perché lo stato di emergenza, repressivo, rimase in vigore dal maggio del 1871 all’aprile del 1876. Tale stato persecutorio verso i socialisti fu usato regolarmente, per esempio, contro Mathien nel 1874, quando provò a organizzare un giornale operaista, e che proprio a causa di una denuncia da parte dei repubblicani radicali (che lo accusavano di aver preso parte alla Comune) Mathien, tre anni dopo la Comune, fu condannato a ben cinque anni di carcere. Le leggi repressive contro la Comune furono usate, sempre in quel periodo, anche per reprimere ogni tipo di rimostranza dei lavoratori, come per esempio lo sciopero dei minatori d’Anzin, tra il ‘71 e il ‘72. Ad ogni modo come riporta Aimée Moutet è da notare la velocità con la quale, comunque, le associazioni operaie si riorganizzarono dopo la sconfitta della Comune. Già nella seconda parte del 1871 si erano ricostituite tre società operaie: dei tipografi, dei gioiellieri e degli intagliatori. Nell’ottobre del 1872 si era ormai ricostituito il grosso delle società operaie, pressoché la metà di quelle esistenti poi nel 1876, quando la legislazione repressiva fu rilassata. Nonostante la repressione vi furono almeno tre casi nei quali tali attività sindacali erano riconducibili direttamente a personaggi legati alla Comune, come M. Chauvet per les Ouvriers du Livre, Pastoureau per les Ouvriers du Cuir, e, infine, la Camera sindacale dei carpentieri legata agli ex-aderenti alla medesima organizzazione creata nel 1870. Le personalità probabilmente più influenti tra gli operai nel periodo che va dalla sconfitta della Comune al primo Congresso Operaio di Parigi nel 1876, furono il radicale Chabert, direttore del “Rappel”[130], e il mutualista Barberet, il quale era un cooperativista e intendeva conciliare il capitale col lavoro. La prima importante iniziativa operaia dopo la Comune fu l’elezione di una delegazione operaia all’Esposizione Industriale di Vienne nel 1873, dove 104 delegati andarono a rappresentare 33 corporazioni. Proprio in occasione dell’Esposizione di Vienne, Chabert ebbe l’idea di lanciare un giornale operaista che sfruttasse il raggruppamento della Camera sindacale. Ma i giornalisti radicali, tra i quali Barberet, che pure incoraggiavano in qualche modo l’autonomia operaista, perché ostile a quella positivista, sentendosi minacciati da tale approccio che li escludeva, ne sabotarono l’attuazione calunniando di fatto Chabert come traditore al soldo della borghesia, e facendo arrestare, come menzionato in precedenza, Mathien, il quale ne voleva portare a compimento l’idea.
Quando si arrivò al Congresso di Parigi, nel 1876, soprattutto grazie al ruolo fondamentale della rivista “La Tribune” e del senatore Cremieux, l’aspetto politico era ormai ridotto o cautamente assente. Questo fa capire perché in questo primo Congresso operaio si decise di negare il diritto di parola a chiunque non fosse un operaio[131], come Barberet, per esempio, il quale era in fondo il rappresentante di una cooperativa di consumatori, e di non trattare di affari politici. Al Congresso di Parigi, presieduto proprio da Chabert, vi erano due tipi di organizzazioni, quelle di mutuo soccorso e quelle sindacali, ma i leader degli operai vedevano con scarso interesse le organizzazioni di mutuo soccorso che facevano concorrenza alle Camere sindacali le quali erano più numerose e influenti. Al Congresso di Parigi quindi si discussero rivendicazioni concrete come la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari, ma soprattutto, il lavoro delle donne e lo sviluppo delle Camere sindacali e delle cooperative. Un’attenzione particolare nel Congresso di Parigi fu data agli interventi e ai rapporti dei delegati di Vienne.[132] Tra il gennaio e il febbraio del 1878 si tenne il II Congresso nazionale Operaio a Lione, disperso dal governo. Qui Guesde, fondatore in Francia della “Égalité”[133], e altri collettivisti vennero arrestati. A questo Congresso la presenza dei collettivisti fu comunque sparuta. Ma è rilevante notare il graduale aumento di politicizzazione del Congresso; si discusse infatti la rappresentanza del proletariato in Parlamento. Uno dei punti dibattuti dal Congresso prima del suo scioglimento, fu quello per far votare l’amnistia dei comunardi, ancora in esilio o in carcere, punto contrastato però dai cooperativisti. Ad ogni modo questo congresso preparò il campo ai collettivisti che, al successivo III Congresso nazionale Operaio, nominato allora socialista, nel 1879, a Marsiglia, prevalsero sui mutualisti e sui cooperativisti, fondando un partito collettivista, ovvero la “Federation du Parti des Travailleurs Socialistes”. Ma come anticipato, i collettivisti erano divisi dalla disputa tra i marxisti, accusati ora di essere autoritari, e gli anarchici. La memoria della Comune veniva rivendicata alla stessa stregua dai collettivisti marxisti, dai blanquisti, come dagli anarchici. Questi ultimi si erano incominciati ad attivare sempre nel 1879 in una raccolta fondi per i comunardi da amnistiare, ma con scarso successo. Nel luglio del 1880 finalmente il governo repubblicano concesse l’amnistia ai comunardi che poterono rientrare in patria, come Benoît Malon. Malon spiega efficacemente come la memoria della Comune operasse contro il mutualismo moderato di Barberet. I moderati, infatti, venivano visti come i repubblicani borghesi che avevano massacrato i parigini: la Comune era in fin dei conti collettivista.
Attorno a Guesde, che nel frattempo dall’anarchismo era passato al marxismo, e alla Fédération des Travailleurs Socialistes si riunirono socialisti, tra i quali lo stesso Malon, Jean Grave (presente alla fondazione a Marsiglia) e Paul Brousse. Jean Grave fondò proprio agli inizi del 1880 il Gruppo di Studi Sociali, frequentato tra gli altri da Errico Malatesta, da Carlo Cafiero e dallo stesso Guesde. Nel febbraio del 1880 Grave entrò a far parte della “Égalité” ma i contrasti tra anarchici e marxisti si inasprirono durante il Congresso Regionale del Centro tenutosi nel luglio 1880 a Parigi, in preparazione al Congresso di Le Havre che si terrà a novembre. Qui gli anarchici Grave, Lemale e Jeallet, si espressero negativamente sulla questione della partecipazione parlamentare e in generale elettorale. Grave sosteneva fosse meglio usare i soldi per la dinamite che per l’attività parlamentare. Il suffragio, secondo gli anarchici, avrebbe creato solo pecore. Gli anarchici attaccarono il programma minimo in quanto questo rappresentava una distrazione dal fervore rivoluzionario. Usando le parole di Grave: «Sappiamo che saremo solo una minoranza a fare la rivoluzione. Bene! È questa minoranza che deve essere sensibilizzata e non deviata.» Al termine di questo Congresso però la maggioranza adottò il programma minimo, preparato da Jules Guesde, Lafargue e Lombard, con i famosi Considerando di Karl Marx, dettati durante l’incontro in casa di Engels. Il IV Congresso nazionale Operaio Socialista di Le Havre nel novembre del 1880, concesse il pretesto per la scissione, tra le Camere sindacali, mutualiste moderate, e i collettivisti. La frazione collettivista, 51 delegati, si ritirò nella sala “de l’Union Lyrique” per avere un Congresso separato e dar vita al Parti Ouvrier Socialiste Français. I mutualisti, 70 delegati, rimasero nella sala Franklin e votarono contro i collettivisti, formando Union des Chambers Syndicales de France. Dopo la scissione del congresso di Le Havre, gli anarchici da critici del programma minimo così come della posizione elettorale, abbandonarono il Partito Operaio.
Al ritorno in Francia, il comunardo Malon si era convinto di “seguire Marx, ma senza trascurare i fattori idealistici della storia”, ovvero cercava delle risposte più che nella dottrina marxista, in una dottrina etica derivante dai vecchi socialisti francesi[134]. Dopo Le Havre i collettivisti, nonostante la scissione con i mutualisti e cooperativisti e gli anarchici, erano ancora pressoché eterogenei[135]. Al Congresso di Rheims nel 1881, si palesarono i contrasti tra i vari Paul Brousse e Benoît Malon da un lato e Guesde e Lafargue dall’altro; queste divergenze si concretizzarono con la scissione al congresso di Saint-Étienne nel 1882. Il primo punto di dissenso era nel fatto che se era vero che i lavoratori dovevano essere loro stessi gli autori della loro emancipazione e quindi dovevano organizzarsi nel partito dei lavoratori, i Brousse e i Malon volevano che i vari gruppi locali avessero la più completa libertà d’interpretazione e di azione, adottando una organizzazione decentralizzata. In secondo luogo, i Brousse e i Malon, rifiutavano di attuare il socialismo tutto in una volta, «che non ci ha portato da nessuna parte» diceva Brousse, ma di realizzare questo ideale per gradi, «immédiatiser en quelque sorte quelques-unes de nos revendications pour les rendre enfin possibles», ovvero risolvere alcune delle nostre richieste per renderle finalmente possibili. La politica del possibile di Brousse fu quindi chiamata possibilista da Guesde[136], che inaugurò per contrasto quella impossibilista. A Saint-Étienne il Parti Ouvrier Socialiste Français divenne il Parti Ouvrier Français, mentre i possibilisti si organizzarono nella Fédération des Travailleurs Socialistes de France, che si divise ulteriormente quando la frazione di Jean Allemane andò a formare il Parti Ouvrier Socialiste Révolutionnaire.[137] Se proprio volessimo trovare un movimento che possa coerentemente dirsi erede della Comune di Parigi, questo potrebbe essere proprio il municipalismo possibilista. Ciò perché la Comune ebbe idealmente un programma genuinamente rivoluzionario, ma cercò allo stesso tempo di attuare nel concreto ciò che la situazione, disperata, permetteva. Fu schiacciata non per una sua implosione ma per un assedio militare che durò in tutto circa sette mesi. Per tornare a Jaurès, la Comune, con la sua politica progressista, avrebbe potuto far avanzare lo stato della Terza Repubblica di dieci anni, ma non avrebbe dato vita al socialismo.
Infine, questa breve carrellata della storia delle rivoluzioni in Francia rivela come queste siano state di gran lunga rivoluzioni di emancipazione e legittimazione della classe borghese, con una breve ma importante parentesi relativa a cosa una rivoluzione della classe lavoratrice potrebbe assomigliare. Se nel 1789, come nel 1830, il popolo fu solo il muscolo della borghesia, già nel 1848 e ancora di più nel 1871, il popolo si dotò anche di cervello, ma i tempi non erano maturi. Non vedere ciò, voleva dire credere, nel senso di aver fede, che la rivoluzione sociale dovesse essere un evento politico che prescinde dalle condizioni socioeconomiche. I socialisti italiani come Antonio Labriola, ma anche lo stesso Filippo Turati, videro alla stregua di Jean Jaurès che la classe lavoratrice non era pronta e che le condizioni socioeconomiche non c’erano. Si è dibattuto a lungo su quale fosse stata la percezione di Marx e di Engels nel merito. I documenti possono essere usati per mettere in evidenza un atteggiamento rivoluzionario piuttosto che gradualista, ma, ad ogni modo, è giusto che questo rimanga un dibattito aperto. Ciò che conta è che il socialismo non poteva essere fondato nel 1871 in Francia, né nel 1917 in Russia, né nel 1920 in Italia. Ora la domanda più utile non è se il socialismo avrebbe potuto essere instaurato nel 1871, o nel 1917 o nel 1920, ma se ci siano oggi nel 2021 le condizioni per instaurare il socialismo nel mondo?
Cesco
[1] Alfred Cobban, Local Government during the French Revolution, The English Historical Review Vol. 58, No. 229 (Jan., 1943), pp. 13-31.
[2] Henry E. Bourne, Improvising a government in Paris in July, 1789, The American Historical Review Vol. 10, No. 2 (Jan., 1905), pp. 280-305.
[3] Ben 400 elettori parigini.
[4] Nobiltà, Clero e Comuni, nel senso di gente comune.
[5] Gli succedette lo sfortunato Jacques de Flesselles.
[6] Henry E. Bourne, Improvising a government in Paris in July, 1789, The American Historical Review Vol. 10, No. 2 (Jan., 1905), pp. 280-305.
[7] Michel Eude, La Commune Robespierriste, Annales historiques de la Révolution française 10e Année, No. 59 (1933), pp. 412-425.
[8] Jacques Necker, ministro delle finanze.
[9] Henry E. Bourne, Improvising a government in Paris in July, 1789, The American Historical Review Vol. 10, No. 2 (Jan., 1905), pp. 280-305.
[10] Cesco. La Rivoluzione Francese e il socialismo, Adattamento Socialista, febbraio 17, 2021.
[11] “Il vecchio bureau de la ville era privo di prestigio e di libertà” (da: S. Lacroix, Actes de la Commune de Paris, 1894-98).
[12] Henry E. Bourne, Improvising a government in Paris in July, 1789, The American Historical Review Vol. 10, No. 2 (Jan., 1905), pp. 280-305.
[13] Michel Eude, La Commune Robespierriste, Annales historiques de la Révolution française 10e Année, No. 59 (1933), pp. 412-425.
[14] S. Lacroix, Actes de la Commune de Paris, 1894-98.
[15] Michel Eude, La Commune Robespierriste, Annales historiques de la Révolution française 10e Année, No. 59 (1933), pp. 412-425.
[16] È interessante notare che lo svedese Conte Hans Axel von Fersen commissionò il manifesto poi firmato dal Duca di Brunswick. Il Conte Fersen servì nell’esercito francese di Rochambeau a fianco delle colonie nordamericane durante la guerra d’indipendenza dalla Gran Bretagna. Era pronto a intraprendere anche la campagna a fianco dei patrioti olandesi, quando furono schiacciati dalle truppe prussiane guidate, ironia della sorte, proprio dal Duca di Brunswick. Il Conte Fersen poi giocò un ruolo centrale nel tentativo di fuga della famiglia reale nel giugno 1791, dopo il fallimento di cui s’impegnò a organizzare una coalizione di forze. Anche il Conte d’Artois, il futuro Carlo X, aveva proposto un piano al re Leopoldo II per liberare la famiglia reale e perseguire gli insorti, specialmente i membri dell’Assemblea e gli ufficiali della Comune, i capi dei distretti e della Guardia Nazionale. Il Conte d’Artois aveva suggerito che fosse il Duca di Brunswick a guidare la coalizione. Il 20 agosto 1791 il Conte d’Artois presentò all’imperatore Leopoldo II un piano per restaurare i Borbone annullando l’Assemblea e tutte le concessioni estorte a Luigi XVI, che annunciasse la reggenza del Conte di Provenza, ovvero il futuro Luigi XVIII, ma senza convincerlo. Anche la regina Maria Antonietta si era data da fare per cercare promuovere una coalizione in suo soccorso. Lo attuò principalmente tramite il Conte Florimond de Mercy-Argenteau. Maria Antonietta, più realisticamente del Conte d’Artois, propose alla corte di Vienna un manifesto che non interferisse con alcuna frazione e che evitasse di menzionare troppo il re. Infine, fu la Francia a dichiarare guerra all’Austria il 20 aprile 1792, La Prussia entrò in guerra solo come alleata dell’Austria. Con l’ascesa dei giacobini le condizioni della famiglia reale diventarono più incerte e il Conte Fersen incominciò ad abbozzare il manifesto che elaborò con Mercy-Argenteau sotto il coordinamento di Maria Antonietta che lo sigillò il 24 di luglio. Il Duca di Brunswick lo firmò il 25. Il manifesto raggiunse Parigi il 28 luglio ma rimase segreto fino al 3 agosto quando il Moniteur lo rese pubblico [da: H. A. Barton, The Origins of the Brunswick Manifesto, French Historical Studies Vol. 5, No. 2 (1967), pp. 146-169].
[17] In merito alla composizione del Terzo Stato abbiamo già commentato in: Cesco La Rivoluzione Francese e il socialismo, post del 17 febbraio, 2021, dove, riportando le osservazioni di Dufourny De Villiers, abbiamo sottolineato che il Terzo Stato “veste di nero, il classico colore della borghesia, ed è diviso in due, quelli con le ‘culottes’ (pantaloni a mezza gamba alla cavallerizza) e quelli ’sans culottes’ (ovvero con i pantaloni ordinari da lavoro)”, ma esclude i braccianti, i giornalieri e il sottoproletariato.
[18] Michel Eude, La Commune Robespierriste, Annales historiques de la Révolution française 10e Année, No. 59 (1933), pp. 412-425.
[19] Il figlio di Luigi XVI, Luigi XVII, morì in prigionia nel 1795 a soli dieci anni.
[20] Vedi nota 16.
[21] Nella primavera del 1830 la maggioranza parlamentare aveva preteso che Carlo X dimettesse il suo ministero. Egli rifiutò e dopo aver perso le elezioni promulgò le cinque ordinanze, che stabilivano il suo dominio assoluto. I deputati liberali opposero una resistenza passiva a questa sferzata assolutista, mentre i lavoratori parigini, gli studenti e i leader repubblicani organizzarono la resistenza violenta. È chiaro che dietro alla sollevazione del popolo di Parigi vi fossero anche altre cause, ovvero la forte depressione economica a partire dal 1826. Gli anni che vanno dal 1826 al 1830 erano stati caratterizzati da raccolti scadenti, recessione, disoccupazione e forte incremento dei prezzi: quello del pane era aumentato di più del 125% tra il 1825 e il 1829. Nei quartieri popolari di Parigi si soffriva una fame nera. Il governo era biasimato per questo stato di miseria. Non è un caso che Les Misérables di Victor Hugo metta l’accento sulla connessione tra miseria e rivoluzione. C’è da notare che, come dichiarato dal primo ministro Casimir Perier, del governo di Luigi Filippo, “Il problema in questo paese è che ci sono molti uomini che immaginano che ci sia stata una rivoluzione in Francia. Nossignore, non c’è stata alcuna rivoluzione. C’è stato semplicemente un cambio nella persona in capo allo Stato”. Infine, molti ufficiali e figli di ufficiali bonapartisti allontanati dal potere nel 1815 tornarono nell’élite della monarchia di luglio [da David H. Pinkney, A New Look at the French Revolution of 1830, The Review of Politics, Vol. 23, No. 4 (1961), pp. 490-506].
[22] Antonino De Francesco, Democratici e socialisti in Francia dal 1830 al 1851, Il Politico Vol. 51, No. 3 (1986), pp. 459-494.
[23] Dopo l’affare del Campo di Marte La Fayette aveva perso tutta la sua popolarità ma fu comunque a capo all’esercito francese rivoluzionario a Metz nel dicembre e nella campagna contro l’Austria nell’aprile 1792; dopo il 10 agosto, però, La Fayette scappò dagli austriaci, per tornare in Francia solo durante la restaurazione durante il regno di Luigi XVIII.
[24] Samuel Bernstein, Marx in Paris, 1848: A Neglected Chapter, Science & Society Vol. 3, No. 3 (1939), pp. 323-355.
[25] Antonino De Francesco, Democratici e socialisti in Francia dal 1830 al 1851, Il Politico Vol. 51, No. 3 (1986), pp. 459-494.
[26] Antonino De Francesco, Democratici e socialisti in Francia dal 1830 al 1851, Il Politico Vol. 51, No. 3 (1986), pp. 459-494.
[27] Emersero negli anni ‘30 del 800 diversi leader operai, come il sarto Grignon, il calzolaio Efrahem e Dufraise, quindi Agricol Perdiguier, Pierre Moreau, Adolphe Boyer e Flora Tristan.
[28] Louis Blanc ebbe una educazione che seguiva i principi della restaurazione e questa lo influenzò nei primi anni fino a subito dopo la rivoluzione di luglio. Blanc, quindi inizialmente aveva idee monarchiche. Viveva della pensione di famiglia garantitagli dal regno di Luigi XVIII, la quale terminò con la deposizione di Carlo X. Quindi trovandosi in povertà, modificò rapidamente le sue idee per passare al socialismo democratico. Blanc si trasferì da Parigi ad Arras luogo di nascita di Robespierre e probabilmente non fu un caso che incominciò a maturare una certa apologia per l’incorruttibile giacobino. I neogiacobini lo influenzarono su posizioni chiaramente contro la monarchia di luglio. Tornò a Parigi nel 1834 dove si unì alla redazione di Bon sens, giornale della sinistra giacobina. Louis Blanc sviluppò il convincimento che solo con la lotta politica si potevano ottenere riforme sociali. Incominciò a formulare l’idea di cooperative, gli “opifici nazionali” (ateliers nationaux), che voleva finanziare con le tasse per dare lavoro ai poveri. Louis Blanc pensava che i comuni dovessero diventare associazioni fraterne, ovvero, l’equivalente civile dei laboratori sociali. Le idee di Blanc volevano essere la sintesi della sovranità popolare di Rousseau, del suffragio universale di Bentham e della repubblica della Virtù di Robespierre. Blanc era anche dell’idea che la maggioranza delle persone dovesse formare la democrazia, contro l’idea del dominio di una minoranza come sosteneva Guizot nel 1839. Infine, già in esilio nel 1850 Blanc, Ledru-Rollin, Barbès, Hugo, Pyat, Charras e Greppo (ovvero, Constantin Pecqueur) fondarono la Unione Repubblicana [da Leo Loubere, The Evolution of Louis Blanc’s Political Philosophy, The of Modern History, Vol. 27, No. 1 (1955), pp. 39-60]. Blanc tornerà in Francia nel settembre del 1870, dopo la disfatta di Sedan. Verrà anche eletto deputato all’Assemblea costituente l’8 febbraio del 1871, con più voti di Gambetta, e parteciperà alle trattative di Versailles con i prussiani, ma ormai sarà poco influente.
[29] Samuel Bernstein, Marx in Paris, 1848: A Neglected Chapter, Science & Society Vol. 3, No. 3 (1939), pp. 323-355.
[30] Constantin Pecqueur è considerato uno degli ispiratori di Marx, specie nei suoi scritti economici.
[31] Samuel Bernstein, Marx in Paris, 1848: A Neglected Chapter, Science & Society Vol. 3, No. 3 (1939), pp. 323-355.
[32] François-Vincent Raspail è sicuramente una personalità di primo piano nello scenario politico francese del XIX secolo. Fu un attivo partecipante alla rivoluzione del 1830 e alla rivoluzione del 1848. Fu anche scienziato e in particolare è ricordato per i suoi studi sull’uso terapeutico della canfora.
[33] Proudhon durante la rivoluzione di febbraio aveva aderito al giornale Le Représentant du Peuple e nell’estate del 1848 era stato anche parlamentare del nuovo governo. Proudhon non aveva però aderito alla rivolta violenta. In aprile scrive a Blanc per ricordargli di andare avanti con le sue riforme sociali senza prendere le parti di una o dell’altra classe. Tra marzo e maggio pubblicò una serie di articoli dove delineava la Solution du problème social. Ovvero facilitare il flusso monetario tramite la riduzione degli interessi sui prestiti. Il piano prevedeva che le banche cooperative coniassero banconote pagabili con i profitti promuovendo la distribuzione delle merci; prodotti che si potevano depositare nei magazzini della banca. Sopprimendo tutti gli utili monetari sui prestiti Proudhon pensava di affondare il capitalismo. Il 4 di giugno Proudhon entrò nell’Assemblea come deputato. In realtà il suo nome era stato fatto già ad aprile ma Proudhon non credeva di poter essere eletto. Proudhon scrisse nelle sue Confessions che “La memoria dei giorni di giugno peserà eternamente come un rimorso sul mio cuore. [...] fino al 25 non avevo previsto nulla, saputo nulla, professato nulla. Eletto rappresentante del popolo quindici giorni fa, ero entrato nell’assemblea nazionale con la timidezza di un bambino, e con l’ardore di un neofita.” Nonostante provasse simpatia per i lavoratori insorti durante le giornate di giugno, già l’8 luglio avanzò il suo progetto in un editoriale intitolato le terme, su Le Représentant du Peuple, dove richiedeva un decreto dall’assemblea nazionale che ordinasse ai proprietari un contributo di un terzo del debito maturato da tre anni di affitto per i loro possedimenti e le loro aziende agricole, metà del quale sarebbe stata trattenuta dallo Stato e l’altra metà restituita ai debitori individuali. Questo al fine di rilanciare le industrie e il commercio. In tutta risposta il generale Cavaignac, ormai al potere, fece sopprimere il suo giornale. Proudhon cercò comunque di far passare la sua proposta a legge. La proposta fu discussa da una commissione di esperti presieduta da Thiers, ma fu bocciata quasi all’unanimità, solo Greppo (ovvero, Constantin Pecqueur), la votò. Proudhon fondò Le Peuple e sostenne con i suoi la candidatura di François Raspail per le prime presidenziale di Francia da tenersi a dicembre (Mary B. Allen, P. J. Proudhon in the Revolution of 1848, The Journal of Modern History, Vol. 24, No. 1 (1952), pp. 1-14).
[34] “Sotto Luigi Filippo non regnava la borghesia francese, ma una frazione di essa, i banchieri, i re della Borsa, i re delle ferrovie, i proprietari delle miniere di carbone e di ferro e delle foreste, e una parte della proprietà fondiaria venuta con essi a un accordo: la cosiddetta aristocrazia finanziaria. Essa sedeva sul trono, essa dettava legge nelle Camere, essa distribuiva gli impieghi dello Stato, dal ministero allo spaccio dei tabacchi. […] La borghesia industriale propriamente detta formava una parte dell'opposizione ufficiale, era cioè rappresentata nelle Camere solo come minoranza. […] La piccola borghesia in tutte le sue gradazioni, ed egualmente la classe dei contadini, erano del tutto escluse dal potere politico. […] La monarchia di luglio non era altro che una società per azioni per lo sfruttamento della ricchezza nazionale francese, società i cui dividendi si ripartivano fra i ministri, i banchieri, 240 mila elettori e il loro seguito. Luigi Filippo era il direttore di questa società (da Karl Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue, 1850).
[35] La frase intera diceva: “Enrichissez-vous par le travail, par l'épargne et la probité, et vous deviendrez électeurs” ovvero, “Arricchitevi con il lavoro, i risparmi, la probità e diventerete elettori”.
[36] Samuel Bernstein, Marx in Paris, 1848: A Neglected Chapter, Science & Society Vol. 3, No. 3 (1939), pp. 323-355.
[37] “Sotto la monarchia di Luigi Filippo questa frazione [la borghesia repubblicana pura] aveva costituito l’opposizione repubblicana ufficiale, ed era stata quindi parte integrante riconosciuta del mondo politico di allora. Essa aveva i suoi rappresentanti nelle camere e una notevole sfera d’influenza nella stampa. Il suo organo parigino, il “National”, era, nel suo genere considerato rispettabile quanto il “Journal de Débats”. […] Si trattava piuttosto di una consorteria di borghesi […] L’influenza dei quali si fondava […] soprattutto sul nazionalismo francese, di cui essa manteneva desto l’odio contro i trattati di Vienna e contro l’alleanza con l’Inghilterra. Una gran parte dell’influenza che il “National” aveva sotto Luigi Filippo era dovuta a questo imperialismo latente, a cui più tardi, perciò, sotto la repubblica, poté contrapporsi un concorrente vittorioso nella persona di Luigi Bonaparte. Esso combatteva l’oligarchia finanziaria, con tutta la rimanente opposizione borghese. […] La borghesia industriale era riconoscente al “National” per la sua servile difesa del sistema protezionista francese, che esso nel frattempo aveva intrapreso più per motivi nazionali che per motivi economici; e la borghesia nel suo assieme gli era riconoscente per le sue denunce piene d’odio contro il socialismo e il comunismo. Per il resto il partito del “National” era repubblicano puro, cioè voleva una forma repubblicana invece di una forma monarchica di dominio della borghesia e, soprattutto, voleva avere in questo dominio la parte del leone. […] Questi repubblicani puri, come si conviene a puri repubblicani, stavano già per accontentarsi di una reggenza della duchessa di Orleans, quando scoppiò la rivoluzione di febbraio che gli dette un posto nel governo provvisorio ai loro rappresentanti più conosciuti. Naturalmente, essi godevano in anticipo della fiducia della borghesia e della maggioranza dell’assemblea nazionale costituente. Dalla commissione esecutiva, formata dall’assemblea nazionale sin dalla sua prima riunione, vennero subito esclusi gli elementi socialisti del governo provvisorio, e il partito del “National” approfittò dello scoppio dell’insurrezione di giugno per dare il benservito anche alla commissione esecutiva e sbarazzarsi in questo modo dei suoi rivali più prossimi, i repubblicani piccolo-borghesi o democratici, (Ledru-Rollin, ecc.). Cavaignac, il generale del partito repubblicano borghese, che aveva diretto la battaglia di giugno, prese il posto della commissione esecutiva con una specie di potere dittatoriale. Marrast, già redattore capo del “National”, divenne presidente perpetuo dell’assemblea nazionale costituente, e i ministeri, come tutti gli altri posti importanti, caddero in mano dei repubblicani puri. […] L’esclusivo dominio dei repubblicani borghesi durò soltanto dal 24 giugno sino al 10 dicembre 1848. La sua storia si riassume nell’elaborazione di una costituzione repubblicana e nello stato d’assedio di Parigi. La nuova costituzione non fu altro, in sostanza, che l’edizione repubblicana della carta costituzionale del 1830 (da: Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[38] Samuel Hayat & Sarah Louise Raillard, Running in protest. The impossible candidacy of Francois Vincent Raspail, December 1848, Revue français de science politique, Vol. 64, No. 5 (2014), pp. 2-35.
[39] Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852.
[40] Karl Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue, 1850.
[41] I leader dei repubblicani moderati erano de Lamartine, Garnier-Pagès, Arago, Marie. Quindi quelli radicali Marrast, Ledru-Rollin, Flocon; e a sinistra Blanc e l’operaio Albert (al secolo Alexandre Martin).
[42] Samuel Bernstein, Marx in Paris, 1848: A Neglected Chapter, Science & Society Vol. 3, No. 3 (1939), pp. 323-355.
[43] Karl Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue, 1850.
[44] Antonino De Francesco, Democratici e socialisti in Francia dal 1830 al 1851, Il Politico Vol. 51, No. 3 (1986), pp. 459-494.
[45] “Il secondo periodo, che va dal 4 maggio 1848 sino alla fine del maggio 1849, è il periodo della costituzione, della fondazione della repubblica borghese. Immediatamente dopo le giornate di febbraio non soltanto l’opposizione dinastica era stata presa alla sprovvista dei repubblicani e questi dai socialisti, ma tutta la Francia era stata presa alla sprovvista da Parigi. L’Assemblea Nazionale, che si riunì il 4 maggio 1848, essendo uscita dal suffragio della nazione, rappresentava la nazione. […]. Invano il proletariato parigino, il quale comprese immediatamente il carattere di questa assemblea nazionale, tentò alcuni giorni dopo la sua riunione, il 15 maggio, di negarne con la violenza l’esistenza, di scioglierla, di scomporre di nuovo nei suoi singoli elementi costitutivi l’organismo attraverso il quale lo spirito reazionario della nazione lo minacciava. Come è noto, il 15 maggio non ebbe nessun altro risultato all’infuori di quello di allontanare dalla pubblica scena, per tutta la durata del periodo che stiamo considerando, Blanqui e i suoi compagni, cioè i veri capi del partito proletario.” (da: Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[46] Come notato da De Francesco, però la connotazione di Blanqui come leader del proletariato francese è fuorviante, in quanto Blanqui per molti versi fu vicino ai repubblicani e, come vedremo poi, fu di netta ispirazione per gli anarchici.
[47] “A questa dichiarazione dell’Assemblea Nazionale costituente, il proletariato parigino risponde coll’insurrezione di giugno, l’avvenimento più grandioso della storia delle guerre civili europee. [...]. Più di 3000 insorti vennero massacrati dopo la vittoria; 15.000, deportati senza processo. Con questa disfatta il proletariato si ritira tra le quinte della scena rivoluzionaria. […]. In parte, esso si abbandona a esperimenti dottrinari, banche di scambio e associazioni operaie, cioè a un movimento in cui rinuncia a trasformare il vecchio mondo con grandi mezzi collettivi che gli sono propri, e cerca piuttosto di conseguire la propria emancipazione alle spalle della società, in via privata, entro i limiti delle sue meschine condizioni di esistenza, e in questo modo va necessariamente al fallimento. […] Certo, la disfatta degli insorti di giugno aveva preparato, spianato il terreno su cui poteva essere fondata, stabilita la Repubblica borghese.” (da: Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[48] “Mentre i repubblicani borghesi erano occupati, nell’assemblea, a pensare, discutere e votare questa costituzione, Cavaignac, al di fuori dell’assemblea, manteneva lo stato d’assedio a Parigi. Lo stato d’assedio a Parigi fu l’ostetrico della costituzione durante i dolori del suo parto repubblicano” (da Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[49] Luigi-Napoleone, ancora bambino, come tutti i Bonaparte aveva dovuto lasciare la Francia dopo la sconfitta di Waterloo. È perentoria la frase di Luigi XVIII, riportata da Emile Ollivier, «Il n’y a pas de justice en France pour les Bonaparte» ovvero, non c’è giustizia in Francia per i Bonaparte. Durante il suo esilio aveva tentato di prendere il potere con la “rivolta” di Strasburgo del 1836, fallita, e nel 1840 attraversando il canale della Manica con 60 uomini armati. In carcere da allora riuscì a scappare sei anni dopo per tornare a Londra. Una volta scoppiata la rivoluzione del febbraio del 1848, Luigi-Napoleone tornò ad aspirare al potere. Alle elezioni di giugno venne eletto in quattro distretti, ma non si recò ancora a Parigi. Luigi-Napoleone oltre ad avere un nome ancora molto sentito in Francia aveva pubblicato diversi lavori dal carcere, tra i quali uno, De l'extinction du paupérisme, particolarmente “socialista”. Alle elezioni di dicembre aveva quindi tutte le carte in regola per essere un forte contendente. Pochi mesi prima della fine del suo mandato il presidente Luigi-Napoleone Bonaparte organizzò un colpo di stato e con successivo plebiscito legittimò la sua permanenza al potere.
[50] “L’elezione di Luigi Bonaparte a presidente, il 10 dicembre 1848, pose fine alla dittatura Cavaignac e alla costituzione. Nel paragrafo 44 della costituzione è detto: “Il presidente della Repubblica francese non deve mai aver perduto la qualità di cittadino francese”. Il primo presidente della Repubblica francese, Luigi Bonaparte, non solo aveva perduto la sua qualità di cittadino francese, non solo era stato un funzionario della polizia inglese in servizio speciale, ma era persino naturalizzato svizzero” (da Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[51] “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte, ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa.” (da Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[52] “Il bombardamento di Roma da parte delle truppe francesi fu l’esca che le venne lanciata. Esso costituiva una violazione dell’articolo quinto della costituzione, che proibiva alla Repubblica francese di impiegare le sue forze militari contro la libertà di un altro popolo. Inoltre, l’articolo 54 proibiva pure ogni dichiarazione di guerra da parte del potere esecutivo senza il consenso dell’assemblea nazionale, e la costituente, con la sua decisione dell’8 maggio, aveva di disapprovato la sua spedizione romana. Fondandosi su questi fatti l’11 giugno del 1849 Ledru-Rollin depose un atto d’accusa contro Bonaparte e i suoi ministri. Irritato dalle punture di spillo di Thiers, egli si lasciò trascinare a minacciare di voler difendere la costituzione con tutti i mezzi, e anche con le armi alla mano. La Montagna si levò come un sol uomo e ripeté questo appello alle armi. Il 12 giugno l’assemblea nazionale respinse l’atto d’accusa e la Montagna abbandonò il parlamento. Gli avvenimenti del 13 giugno sono conosciuti: il proclama di una parte della Montagna, secondo cui Bonaparte e i suoi ministri sono dichiarati “fuori dalla costituzione” […]. Lione, che il 13 giugno aveva dato il segnale di una sanguinosa insurrezione operaia, venne pure dichiarata in stato di assedio insieme ai cinque dipartimenti circonvicini, e questo stato d’assedio dura tuttora. […]. Il 13 giugno il partito dell’ordine non aveva soltanto abbattuto la Montagna; aveva pure realizzato la subordinazione della costituzione alle decisioni della maggioranza dell’Assemblea Nazionale. Egli intendeva la repubblica in questo modo: la borghesia governa nelle forme parlamentari, senza trovare un limite al suo dominio, come sotto la monarchia, nel veto del potere esecutivo o nelle possibilità che il parlamento venga sciolto. Tale era la repubblica parlamentare, come la chiamava Thiers. […]. A metà ottobre 1849 l’assemblea nazionale tornò a riunirsi. Il 1o novembre Bonaparte l’ha sorpresa con un messaggio in cui annunciava il licenziamento del ministero Barrot-Falloux e la formazione di un nuovo ministero. Mai servitori furono messi alla porta con meno cerimonia di quello che Bonaparte fece poi con suoi ministri. […]. Il ministero Barrot-Falloux fu il primo e l’ultimo ministero parlamentare formato da Bonaparte. Il suo licenziamento costituisce quindi una svolta decisiva.” (da Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[53] “Alludiamo alle elezioni supplementari del 10 marzo 1850. Queste elezioni ebbero luogo per occupare i posti vacanti di quei deputati che, dopo il 13 giugno, erano stati imprigionati e mandati in esilio. Parigi elesse soltanto dei candidati socialdemocratici, e riunì persino la maggior parte dei voti sul nome di un insorto del giugno 1848, De Flotte. In questo modo la piccola borghesia di Parigi alleata del proletariato, si vendicava per la sua sconfitta del 13 giugno 1849. […]. All’improvviso Bonaparte vide la rivoluzione levarsi di nuovo contro di lui. Come il 29 gennaio 1849, come il 13 giugno 1849, così il 10 marzo 1850 egli si eclissò dietro il partito dell’ordine. Si piegò, offrì umilmente le scuse, profferse di nominare qualsiasi ministero, secondo gli ordinasse la maggioranza parlamentare; giunse persino a implorare i capi di partito orleanisti e legittimisti, i Thiers, i Berryer, i Broglie, i Molé, in una parola i cosiddetti burgravi, a prendere in persona il timone dello Stato. […] Frattanto il cosiddetto ministero di transizione vegetò fino a metà del mese di aprile. Bonaparte stancava l’assemblea nazionale, si faceva beffe di essa con sempre nuove combinazioni ministeriali. Ora sembrava che volesse costituire un ministero repubblicano con Lamartine e Billault, ora un ministero parlamentare con l’inevitabile Odilon Barrot, il cui nome non poteva mai mancare quando occorreva un minchione; ora un ministero legittimista come Vatimesnil e Benoit d’Azy; ora un ministero orleanista con Maleville. […]. Ma la borghesia reclamava un “governo forte” con tanta maggior forza, e tanto più imperdonabile le sembrava il fatto che si lasciasse la Francia “senza amministrazione”, quanto più pareva si avvicinasse una crisi commerciale generale che avrebbe rafforzato il socialismo nelle città, come i bassi prezzi rovinosi dei cereali lo rafforzavano nelle campagne. Il commercio diventava di giorno in giorno più fiacco; il numero delle braccia disoccupate aumentava a vista d’occhio; a Parigi, 10.000 operai perlomeno erano senza pane; a Rouen, Mulhouse, Lione, Roubaix, Tourcoing, St. Etienne, Elbeuf, ecc., innumerevoli fabbriche erano chiuse. In queste circostanze Bonaparte poté osare di restaurare, l’11 aprile, il ministero del 18 gennaio: i signori Rouher, Fould, Baroche, ecc., rafforzati dal signor Léon Faucher, che l’Assemblea costituente, durante i suoi ultimi giorni di vita, aveva colpito con un voto di sfiducia all’unanimità […]. È vero che la Francia aveva attraversato nel 1851 una specie di piccola crisi commerciale. Alla fine di febbraio si manifestò una diminuzione delle esportazioni rispetto al 1850; in marzo il commercio diminuì e le fabbriche si chiusero; in aprile la situazione dei dipartimenti industriali sembrava essere disperata quanto dopo le giornate di febbraio; immagino gli affari non avevano ancora ripreso; ancora il 28 giugno il portafogli della Banca di Francia indicava, con un enorme aumento dei depositi e con una diminuzione altrettanto grande degli anticipi su cambiali, la stasi della produzione; e solo alla metà di ottobre vi era stata una nuova ripresa progressiva degli affari. […]. Il suo comprendonio [di Luigi Bonaparte] era reso più acuto dalla crescente petulanza dei creditori, i quali in ogni tramonto di sole che avvicinava il 2 maggio 1852, giorno della scadenza dei suoi poteri, vedevano una protesta del movimento degli astri contro le loro cambiali terrestri. Essi erano diventati dei veri astrologhi. L’assemblea nazionale aveva tolto a Bonaparte ogni speranza di proroga costituzionale del suo potere; la candidatura del principe di Joinville non gli permetteva di esitare più a lungo. […]. Il colpo di Stato era sempre stata l’idea fissa di Bonaparte. Con quest’idea aveva rimesso piede sul territorio francese. Questa idea lo possedeva a tal punto che egli la tradiva e la divulgava continuamente” (da Karl Marx, Il XVIII brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).
[54] Christopher Clark, After 1848: the European revolution in government, Transactions of the Royal Historical Society, 6th series, Vol. 22, (2012), pp. 171-197.
[55] Dal 1866 il governo di Napoleone III non solo voleva apparire più liberale ma incoraggiare tutte le forme del commercio, incluse quello delle pubblicazioni di giornali e libri. Di conseguenza anche l’atteggiamento verso la censura divenne più tollerante. Napoleone III cercava di compensare il suo declino in popolarità per la situazione economica e geopolitica con un’apertura liberale. Nell’aprile del 1869 fu proclamata una monarchia costituzionale con elezioni parlamentari a maggio. Queste risultarono in una vittoria risicata per i monarchici e il consolidamento del potere di Emile Ollivier [Judith Wechsel, Daumier and Censorship, 1866-1872, Yale French Studies, No. 122, Out of Sight: Political Censorship of the Visual Arts in Nineteenth-Century France (2012), pp. 53-78].
[56] Battaglia molto importante anche per la terza guerra d’indipendenza italiana.
[57] Le elezioni del 1863 furono molto diverse da quelle del 1869. Nel frattempo, vi era stata la disfatta in Messico e la vittoria prussiana a Sadowa, nel 1869 anche il giornale di estrema destra “Le Pays”, era pronto ad un governo liberale. Nel 1863 si era votato per la costituzione e per la dinastia, per la libertà, ma non contro l’Impero. Ora nel 1869 le cose erano cambiate e si votava contro il potere arbitrario a favore di un governo costituzionale reale. Il programma del 1869 era la negazione del potere imperiale. Alla vigilia delle elezioni, 12 maggio 1869, i “rivoluzionari”, ovvero i repubblicani, erano determinati a impedire a Emile Ollivier, esponente moderato del governo, di parlare: «il ne faut pas qu’il parle!», intonando la Marsigliese e il Chant du Départ, tra questi c’erano al birrificio Dreher, Raoul Rigaut e Dacosta, futuri communards. Questo è come lo stesso Ollivier descrive, il clima tutt’altro che favorevole a Napoleone nel quale si svolsero le elezioni del 1969. Si parlava addirittura dell’attentato alla vita di Ollivier, sempre al grido di «Vive Baudin! Vive Bancel !» o « Vive Bancel ! A bas Ollivier !». François-Désire Bancel deputato repubblicano nel 1849, si era opposto alla deportazione sulle isole Marchesi ordinata dal tribunale del giugno del 1851 dei colpevoli del complotto repubblicano di Lione. Il complotto di Lione era quello che aveva fatto seguito ai disordini di Parigi, causati dalla notizia del voltafaccia di Luigi-Napoleone alla Repubblica Romana. Bancel ritornato a Parigi grazie all’apertura liberale del regime, viene infatti rieletto proprio nel 1869. Per quanto riguarda «Vive Baudin!» questo si riferiva ai fratelli Jean-Baptiste-Alphonse e Georges. Il primo martire del 3 dicembre 1851, ovvero morto sulle barricate durante il colpo di Stato di Luigi-Napoleone, il secondo Georges, fratello di Jean-Baptiste-Alphonse appunto, candidato alle elezioni del 1869, come Gambetta, Laurier, Henri Rochefort e Bancel. Come già scritto, il consenso per Napoleone III era andato diminuendo soprattutto a causa di netti insuccessi in politica estera come la tragedia in Messico, e la politica sostenuta con il neonato regno d’Italia che aveva portato i piemontesi ad allearsi con i prussiani in quella che fu la guerra austro-prussiana e la terza guerra d’indipendenza italiana. La chiusura delle urne del 24 maggio 1869, vide, almeno inizialmente, la sconfitta di Ollivier e la vittoria di Gambetta, Ferry, Rochefort e Raspail. Lo stesso Thiers non superò il primo turno. Alla fine in giugno il trionfo fu di Gambetta, Ernst Picard, Jules Simon e Pelletan, anche se i partiti bonapartisti ricevettero comunque 4.455.287 voti (il 55%), mentre l’opposizione 3.543.000 voti. Un’opposizione decisamente forte per un regime dispotico. A Parigi l’opposizione raggiunse il 75%. Inoltre, sempre nel giugno vi furono una serie di scioperi ed incidenti in tutta la Francia non solo provocati dai blanquisti. Vi fu una settimana di scontri a Parigi con barricate, al grido di «Vive Rochefort! Vive la République!». Ollivier commentò anni dopo che i voti per l’opposizione non significano l’amore per la Repubblica o l’orleanismo, ma piuttosto l’irritazione causata dall’ostinazione dell’imperatore ad aggrapparsi a un potere personale che aveva portato al Messico e all’alleanza italo-prussiana [da Émile Ollivier, Les élections de 1869, Revue des Deux Mondes (1829-1971) cinquième période, Vol. 33, No. 3 (1er Juin 1906), pp. 575-613].
[58] Nel luglio 1868, diverse personalità promossero una sottoscrizione per erigere un monumento in memoria del martire Alphonse Baudin, caduto sulle barricate per mano dei bonapartisti durante il coup del ‘51. Partecipano molti nomi prestigiosi non solo repubblicani. I promotori di questa iniziativa (Delescluze, Peyrat, Charles Quentin, Challemel-Lacour) furono assicurati alla giustizia per istigazione all’odio contro il governo. È allora che Gambetta, difensore di Delescluze, pronunciò qualche giorno più tardi, durante il processo, un discorso memorabile in loro difesa, discorso che lo inizierà alla sua fortuna politica (Michel Moisan, Pierre Baudin (1863-1917): un radical-socialiste à la Belle Epoque, Histoire, Université d’Orléans, 2009).
[59] Samuel Hayat, Chapter 20, The Construction of Proudhonism within the IWMA, from Arise Ye Wretched of the Earth: The First International in a Global Perspective, 2018.
[60] A Londra vi era già al tempo della fondazione dell’AIL l’Italian Working Men’s Association of Mutual Progress mazziniana. È noto che il generale Wolf, al secolo Louis Wolf, agente di Mazzini, rappresentò tale società italiana alla riunione inaugurale del 28 settembre. Secondo il racconto di Le Lubez, il regolamento stesso della società italiana portato da Wolf servì da base per gli Statuti generali. Wolf fece parte del sottocomitato per redigere il regolamento che si riunì due volte in assenza di Marx. Quindi Wolf dovette partire per l’11mo congresso delle Società Operaie Italiane a Napoli e non prese più parte alla redazione del regolamento dell’Internazionale. Fu a questo punto che Marx rimaneggiò il regolamento, come indicato in una lettera a Engels. La revisione di Marx delle regole “mazziniane” non passò inosservata. Mazzini aveva stampato i suoi Statuti al Congresso di Napoli e aveva scritto a Léon Fontaine a Bruxelles per premunire le società operaie belghe contro le idee socialistiche di Marx. Marx volle incontrare Bakunin il 3 novembre 1864, nonostante i due avessero rotto nel 1848 su una disputa dove Bakunin ammetterà di essere stato nel torto ma si era irato per la forma. Durante questo incontro è molto probabile che Marx metta a conoscenza Bakunin dell’Indirizzo inaugurale dell’AIL. Nettlau suggerisce che se Bakunin comunica da un lato la sua adesione all’AIL, e soprattutto nella lotta al mazzinianesimo, dall’altro celava a Marx il suo lavoro interno alla massoneria e il suo piano di istituire la sua società segreta. Nei primi mesi del 1865 questa cooperazione antimazziniana tra Marx e Bakunin sembrò funzionare, ma Bakunin, ora a Firenze, presto volle staccarsi da questo matrimonio d’interesse, dove egli era il partner meno forte. (Max Nettlau, Bakunin e l’Internazionale in Italia. Dal 1864 al 1872, 1928).
[61] Bakunin dopo un suo soggiorno a Firenze giunge a Napoli e fonda il giornale Libertà e Giustizia pubblicato a partire dall’agosto 1867. Sull’elenco degli associati al giornale Libertà e Giustizia, una lunga lista, che data, a giudicare dei nomi stranieri, l’autunno 1867, non ho notato che i nomi conosciuti, i quali mostrano che il giornale fu mandato alle personalità del nazionalismo italiano, ai corrispondenti di Bakunin ed a persone dell’ambiente della lega della pace nonché dell’internazionale. Carlo Marx scrisse il 4 settembre ad Engels: “... Ho ricevuto da Napoli i primi due numeri di un giornale: Libertà e Giustizia. Nel numero uno si dichiarano nostro organo [nel senso di un’adesione all’internazionale, nota di Nettlau]. Ho dato questo numero ad Eccarius perché lo presenti al congresso [a Losanna]. Il secondo numero, che ti mando, contiene un ottimo attacco contro Mazzini. Suppongo che Bakunin sia con questo giornale” (da Max Nettlau, Bakunin e l’Internazionale in Italia. Dal 1864 al 1872, 1928).
[62] In agosto 1867 Bakunin parte per il congresso della pace a Ginevra. Lì incontra Garibaldi, il presidente del congresso che di lì a poco affronterà la spedizione a Roma che terminerà con la disfatta di Mentana. Mazzini aveva chiaramente espresso la sua posizione circa lo scopo del Congresso. Nell’ottobre del 1867 Bakunin prende parte alla Lega della Pace e della Libertà che viene definitivamente organizzata, e in “Féderalisme, socialisme et antithéologisme” esprime ancora giudizi molto negativi su Giuseppe Mazzini e il suo stile repubblicano ispirato dalla Repubblica francese del 1793, “che si rifugia altresì nelle tradizioni poetiche di Dante e negli ambiziosi ricordi di Roma, sovrana del mondo, poi riveduta e corretta dal punto di vista di una nuova teologia, metà razionale e metà mistica”. Attacca Mazzini per essere contro il federalismo e sempre avverso all’autonomia delle province. Bakunin che non era mai formalmente entrato nell’Internazionale decide di entrarvi nel luglio del 1868 e nel novembre fonda l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista. Riporta Max Nettlau che sino alla fine del 1868 probabilmente nessuna Società Operaia Italiana ad eccezione di quella di Londra (1864-66) aveva formalmente aderito all’AIL e si vedrà che la prima sezione in Italia che avesse compiuto questa adesione fu la sezione di Napoli, fondata per impulso degli amici di Bakunin nel gennaio del 1869. Anche se, generalizzando, Andrea Costa dirà al Congresso dell’AIL di Ginevra del 1873 che fu solo dopo che Mazzini insultò la Comune di Parigi che l’AIL attecchì in Italia (da Max Nettlau, Bakunin e l’Internazionale in Italia. Dal 1864 al 1872, 1928).
[63] La resa di Sedan fu firmata il 2 settembre 1870. Charles Cousin-Montauban, conte di Palikao, preferì attendere una sua ufficializzazione prima di diffondere la notizia che comunque nella mattina del 3 già circolava ufficiosamente. Il Palikao quindi nel pomeriggio emise una dichiarazione ufficiale in cui si diceva che MacMahon era stato costretto alla ritirata a Mézières e a Sedan. Intanto all’imperatrice arrivò il telegramma “L’esercito è sconfitto e prigioniero; io stesso son prigioniero. Napoleone”. Fu alle 9 di sera del 3, quando si discusse la deposizione dell’imperatore e la costituzione del Comitato di Difesa, composto da membri dell’opposizione e cinque membri del partito bonapartista per avere il supporto di Thiers. Il leader repubblicano Favre suggerì un triunvirato accettabile da Thiers. Ma i negoziati tra liberali e repubblicani non furono semplici e questa riunione si protrasse fino al giorno dopo. i parigini ormai a conoscenza della disfatta di Sedan erano scesi in strada per avere notizie. Tra le 10 e le 11 di notte il deputato Dreolle uscì dal Palazzo Borbone dove erano riuniti i rappresentanti nazionali del Corpo Legislativo e s’imbatté nel cortile in una ressa, tra la quale vi erano membri repubblicani, come Gambetta, il quale dall’alto di una sedia arringava alla folla. Dreolle quindi informò Gambetta della seduta speciale del Corpo Legislativo. Gambetta pretese di far aprire i cancelli, ma il Questore Generale Lebreton si oppose. Intanto Favre aveva proposto un altro comitato governativo a Thiers, sempre composto da repubblicani, ma al suo rifiuto Favre avanzò la possibilità di deporre l’attuale governo e l’imperatore. Solo un deputato bonapartista protestò. Quando Jules Favre e Thiers lasciarono il palazzo alle due di notte, furono accolti da una grande folla acclamante la deposizione dell’imperatore. Il 4 di settembre era una domenica, per le strade la fine dell’impero era data per scontata. Il “Siècle" in prima pagina annuncia che la Guardia Nazionale si sarebbe recata al Palazzo della Concordia per salutare i deputati favorevole alla causa nazionale ma disarmati. Mentre il Consiglio tenuto dall’imperatrice stava discutendo la formazione di un Consiglio del Governo con a capo il Palikao, i deputati della Camera erano per far sì che il Corpo Legislativo prendesse in mano il potere. I nomi di Gambetta e Picard per la sinistra repubblicana, Thiers per il centro e due membri della maggioranza incluso Schneider erano stati fatti per il consiglio di governo. Gambetta rispose che una volta deposto l’imperatore potevano fare come volevano. La riunione ebbe inizio verso le 11 e verso le 12 vi erano già voci che a Lione era stata proclamata la Repubblica. Queste voci fecero montare l’impazienza e la Guardia Nazionale fece irruzione nel palazzo Borbone dove la polizia minacciò di resistere ma le fu ordinato di farsi da parte. Con la guardia nazionale entrò anche Ranc. La “Salle des Séances’’ fu quindi invasa dalla Guardia Nazionale, dai ragazzini di strada, dai lavoratori e dai borghesi. La situazione non era però ancora sfuggita di mano al Corpo Legislativo siccome la folla non aveva un piano chiaro; l’unica cosa chiara era il grido “Vive la République!”. Gambetta riuscì ad arringare la folla e portarla all’ordine quando una seconda ondata invase la Camera sconquassando l’ordine e Schneider chiuse la sessione e abbandonò la sala. Ancora una volta Gambetta riuscì a raggiungere la tribuna e accolto da “Vive Gambetta!” proclamò il discorso di destituzione di Luigi-Napoleone Bonaparte, della sua dinastia, e la promulgazione del suffragio universale. Jules Favre suggerì di proclamare la Repubblica all’Hotel de Ville dove i governi provvisori erano stati proclamati nel 1830 e nel 1848. È molto probabile che dopo il fallimento di invasione del palazzo Borbone la notte del 3 settembre, Gambetta e la sinistra repubblicana avessero pianificato l’invasione del 4. Le porte dell’Hotel de Ville si aprirono infine facilmente alla folla e Gambetta proclamò la Repubblica. Il Governo Provvisorio aveva però bisogno il supporto del generale Trochu il quale poteva dettare delle condizioni di moderazione come misure anti-clericali non estreme, o riforme socialiste, il rispetto di Dio, della famiglia e della proprietà. All’età di 32 anni Léon Gambetta diventa primo ministro anche se per pochi mesi (da J. P. T. Bury, Gambetta and the revolution of 4 September 1870, The Cambridge Historical Journal, Vol. 4, No. 3 (1934), pp 263-282).
[64] Bruno Benoit, Événements / La Commune de Lyon (1870-1871) Hypotheses, 11/04/2016.
[65] Bruno Benoit, Relecture des violences collectives lyonnaises du XIXe siècle, Revue Historique T. 299, Fasc. 2 (606), Histoire de la Violence (Avril/Juin 1998), pp. 255-285; Louis Andrieux, La Commune à Lyon en 1870, Revue des Deux Mondes (1829-1971) cinquième période.
[66] Louis Andrieux, La Commune à Lyon en 1870, Revue des Deux Mondes (1829-1971) cinquième période.
[67] Nella nota 75 si fa menzione proprio di Gustave Paul Cluseret in quanto membro del Comitato Centrale dei venti arrondissement, che il 15 settembre emana le misure di sicurezza pubblica, già il 17 settembre Cluseret viene mandato a Lione da Albert Richard.
[68] Louis Andrieux, La Commune à Lyon en 1870, Revue des Deux Mondes (1829-1971) cinquième période.
[69] Sam Dolgoff, Michael Bakunin on Anarchy: Biographycal Sketch (April 17, 2013).
[70] Negli anni che precedettero la guerra franco-prussiana l’amicizia tra la Prussia e la Russia si era consolidata, questo legame era dovuto all’amicizia tra le due case reali, la posizione ostile dell’Austria prima e durante la guerra di Crimea contro la Russia, e la successiva guerra austro-prussiana, vinta dalla Prussia, quindi la convenzione di Alvensleben sulla questione polacca.
[71] Lettera di Marx del 19 ottobre 1870 a Spencer Beesly.
[72] Sempre il 4 settembre si formò il Comitato dei venti arrondissement (circoscrizioni), riunito presso la sede dell'Internazionale, a Place de la Corderie. I promotori del Comitato esigettero dal Governo Provvisorio, tra le altre cose, la completa abolizione della Questura e l'organizzazione della Polizia municipale [da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66].
[73] La Guardia Nazionale Imperiale era stata formata il 13 giugno 1851 e il 12 agosto 1870. Non era però ben vista dal governo del Secondo Impero, ma dal 2 settembre si richiese l'elezione degli ufficiali per tutti i battaglioni già formati, vecchi o nuovi, che allora erano sessanta. La circolare del Governo di Difesa Nazionale del 6 settembre, prescrivendo la formazione di sessanta nuovi battaglioni, portò il numero a 120 battaglioni, mentre a fine settembre divennero 254. Il 30 settembre Gambetta, Ministro degli Interni, emise un ordine di censimento delle forze della Guardia Nazionale. Vi era un contatto permanente tra il personale dei battaglioni della Guardia e il personale dei municipi, in particolare i comitati di vigilanza che si erano costituiti spontaneamente ovunque. In una certa misura questi erano guidati dalle stesse idee politiche. Riporta Bourgin, che per comprendere la psicologia della Guardia Nazionale durante l'assedio, per conoscere le caratteristiche politiche di ciascuno dei suoi battaglioni, sarebbe essenziale disporre di dati precisi sul funzionamento di queste istituzioni. Soprattutto sarebbe necessario conoscere in dettaglio il meccanismo e gli esiti dell'elezione degli ufficiali, sia nei vecchi che nei nuovi battaglioni. Eletti dagli stessi cittadini che costituivano i collegi elettorali, gli ufficiali della Guardia Nazionale dovevano considerarsi non solo come capi militari, ma come i rappresentanti più qualificati della popolazione parigina all'epoca in cui, a Parigi, mancava questa famosa Comune così desiderata. Continua sempre Bougrin: molto presto, abbiamo visto i capi di battaglione avere un posto di rilievo nelle manifestazioni all'Hotel-de-Ville, e c'era una tendenza naturale a raggruppare per un'azione concertata gli sforzi degli ufficiali più audaci. Il deputato all'Assemblea Nazionale, nel suo Rapporto sulla Guardia Nazionale, cita un testo del 24 settembre che è, a questo proposito, molto sintomatico: si tratta di una convocazione per il 26, presso la casa d'aste di rue Drouot, dei capi di battaglione, firmato da Blanqui, del 169o battaglione, Pilhes, del 212o e Barberet del 79°. Non torneremo al giorno del 31 ottobre, quando la Guardia Nazionale, nella persona dei suoi dirigenti, ha svolto un ruolo così importante, ma si capisce che da quella data c'è stato da parte del governo di Difesa Nazionale ben poca fiducia nei leader che così scarsamente disciplinati. Inoltre, secondo una tabella pubblicata nel Rapporto Daru, ci fu, dal 27 settembre 1870 al 18 marzo 1871, un gran numero di licenziamenti e cassazioni, che prevalsero sugli ufficiali eletti e i sottufficiali. Revocazioni: 36 capi di battaglione, 171 capitani, 14 capitani aiutanti maggiori, 147 luogotenenti (di cui 7 pagatori), 119 secondi luogotenenti, 9 sottotenenti portabandiera. Cassazioni: 8 aiutanti, 31 sergenti maggiori, 333 sergenti, 20 sergenti furieri. L'elemento blanquista sembra essere stato preponderante nel quartier generale del battaglione; ma la stessa Internazionale era lì rappresentata, testimonia Varlin, e gli elementi rivoluzionari potevano quindi considerare la Guardia Nazionale come una potente macchina da guerra sia per abbattere il Governo di Difesa, sia per ottenere la "uscita torrenziale". Il carattere politico del personale deve aver preso forma a gennaio, sotto l'influenza delle condizioni in cui si trovava il governo, e anche perché è in questo periodo che le elezioni della Guardia Nazionale comprendevano il mandato imperativo per gli eletti [da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66].
[74] Circoscrizioni.
[75] Tra gli internazionalisti troviamo oltre al discusso Gustave Paul Cluseret, anche Antoine Mathieu Demay, Jules-Paul Johannard, Paul Lanjalley, Gustave Lefrançais, Charles Longuet, Benoît Malon, François, Joseph Mangold, Gustave Félix Pagnerre, Jean-Louis Pindy, Jules Valles, Édouard Vaillant [da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66].
[76] Nonostante la salute compromessa e l’età, 64 anni, Garibaldi decise di combattere in difesa della Repubblica Francese contro la coalizione degli stati tedeschi. Raccolse un esercito di volontari, l’armée des Vosges, composto da quattro brigate che mosse nel Borgogna in novembre. Il 14 di gennaio Garibaldi riconquista Digione, precedentemente occupata dai prussiani. Fu eletto due volte all’Assemblea Nazionale ma i rurali lo contestarono, mentre la Guardia Nazionale lo voleva eleggere loro generale. La sua contestazione causò anche le dimissioni di Victor Hugo dall’Assemblea.
[77] George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66.
[78] A S Hill. Causes of the Commune. The North American Review Vol. 116, No. 238 (1873), pp. 90-109.
[79] Il 3 novembre si era tenuto già un plebiscito, dando con 557.996 voti la fiducia al Governo Provvisorio contro i 62.638 voti ostili.
[80] Il quale era a Tours per organizzare la difesa che però non ebbe modo di concretizzarsi.
[81] A. S. Hill. Causes of the Commune. The North American Review Vol. 116, No. 238 (1873), pp. 90-109.
[82] Qui riportiamo il testo del Manifesto “rosso”: “Al popolo di Parigi. Delegati dei venti arrondissement. Il governo che, il 4 settembre, si è assunto la responsabilità della difesa nazionale, ha adempiuto alla sua missione? No. Siamo 500.000 combattenti e 200.000 prussiani ci assediano! Chi è responsabile, se non verso chi ci governa? Pensavano solo a negoziare, invece di forgiare cannoni e costruire armi. Si sono rifiutati di crescere in massa. Hanno lasciato i bonapartisti sul posto e messo in prigione i repubblicani. Decisero di agire contro i prussiani solo dopo due mesi, il giorno dopo il 31 ottobre. Con la loro lentezza, la loro indecisione, la loro inerzia, ci hanno portato sull'orlo dell'abisso; non sapevano né amministrare né combattere, mentre avevano a portata di mano tutte le risorse, le derrate alimentari e gli uomini. Non sono riusciti a capire che, in una città assediata, chiunque sostiene la lotta per salvare la patria ha pari diritto a riceverne la sussistenza; non sapevano prevedere nulla: dove poteva esserci abbondanza, creavano miseria; stiamo morendo di freddo, già quasi di fame; le donne soffrono; i bambini languiscono e soccombono. Ancora più deplorevole, la leadership militare è emersa senza meta; lotte omicide, senza risultati; ripetuti fallimenti, che potrebbero scoraggiare i più coraggiosi; Parigi bombardata! Il governo ha dato il suo provvedimento; ci sta uccidendo. La salvezza di Parigi richiede una decisione rapida. Il governo risponde solo con minacce alle critiche pubbliche. Dichiara che manterrà l'ordine, come Bonaparte prima di Sedan. Se gli uomini dell'Hôtel-de-Ville hanno ancora un po’ di patriottismo, il loro dovere è ritirarsi, lasciare che i parigini si occupino da soli della loro liberazione. La municipalità o il Comune, qualunque sia il nome, è l'unica salvezza del popolo, il suo unico ricorso contro la morte. Qualsiasi aggiunta, qualsiasi interferenza con il potere attuale non sarebbe altro che un rattoppo, perpetuare gli stessi errori, gli stessi disastri. Ora, la perpetuazione di questo regime è la capitolazione; e Metz e Rouen ci insegnano che la capitolazione non è solo sempre più fame, ma rovina di tutto, rovina e vergogna! Sono l'esercito e la guardia nazionale che trasportano prigionieri in Germania, e marciano nelle città sotto gli insulti dello straniero; commercio distrutto, industria morta, contributi di guerra che schiacciano Parigi: ecco cosa ci sta preparando l'imperizia o il tradimento! Il grande popolo dell'89, che distrugge le fortezze e abbatte i troni, aspetterà, in una disperazione inerte, che il freddo e la carestia si congelino nei loro cuori, di cui conta i battiti il nemico, l'ultima goccia di sangue? No! La gente di Parigi non vorrà mai accettare queste miserie e vergogna. Sa che c'è ancora tempo, che misure decisive permetteranno ai lavoratori di vivere, tutti per combattere. Requisizione generale; Razionamento gratuito; Attacco di massa. La politica, la strategia, l'amministrazione del 4 settembre, con lignaggi dell'Impero, vengono giudicati. Largo alla gente! Largo alla comunità! Delegati dei venti arrondissement di Parigi: Adoué, Ansel, Ant. Arnaud, J.-F. Arnaud, Edm. Aubert, Babick, padre Baillet, A. Baillet, Bedouch, Ch. Beslay, Bonnard, J.-M. Boitard, Cas. Bouit, Léon Bourdon, Ab. Bousquet, V. Boyer, Brandely, Gab. Brideau, L. Caria, Caullet, Chalvet, Champy, Chapitel, Charbonneau, Chardon, Chartini, Eug. Chatelain, A. Chaudet, J.-B. Chautard, Chauvière, Clamousse, A. Claris, Clavier, Clémence, Luc Combatz, lug. Conduché, Delayr, Delarue, Demay, P. Denis, Durins, Dereux, Dupas, Duval, Duvivier, R. Estieu, Fabre, F. Félix, Jules Ferré, Th. Ferret (sic), Flotte, Fruneau, C.-J . Garnier, L. Garnier, M. Garreau, Gentilini, Ch. Gérardin, Eug. Gérardin, L. Genton, Gillet, P. Girard, Giroud, Trouillier, J. Gobert, Alb. Goullé, Grandjean, Grot, Henri, Fortuné Henry, Alph. Humbert, Hortoul, Jamet, Johannard, Michel Joly, Jousset, Jouvard, Lacord, Lafargue, Laffite, A. Lallėment, Lambert, Lange, J. Larmier, Lavorel, Leballeur, F.Lemaitre, E. Laverdays, Armand Lévy, Lucipia, Amb. Lyaz, P. Mallet, Malon, Louis Marchand, Marlier, J. Martelet, Constant Martin, Maullion, Léo Meillet, A. Missol, D 'Tony-Moilin, Mollevaux, Montelle, J. Montels, Mouton, Mejard, Napias -Piquet , Émile Oudet, Parisel, H. Piednoir, Pérève, D 'Pillot, Pindy, Martial Portalier, Puget, D Th. Rémanage, Retterer ainé, Aristide Rey, J. Richard, Roselli, Mollet, Édouard Rouillier, Benj . Sachs, Sainson, Th. Sapia, Sallée, Salvador Daniel, Schneider, Seray, Sicard, Stordeur, Tardif, Treillard, Tessereau, Thaller, Theisz, Thiolier, Tridon, Urbain, Viard, Ed. Vaillant, Jules Vallès, Viellet. (da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[83] I deputati a Parigi scelti furono: Amouroux, L. Blanc, Blanqui, Briosne, Eug. Châtelain, Clemenceau, Cluseret, Combault, Courbet, Delescluze, J. Durand, Flourens, Floquet, Flotte, Gambetta, Garibaldi, Gaillard “padre”, Gambon, Genton, Jaclard, Joigneaux, V. Hugo, Lefrançais, Landeck, Lockroy, Matuszievig (capitano della 134a linea), Millière, Miot, Montelle (ex comandante revocato), Oudet, F.Pyat, Elder genitore, E. Quinet, Ranvier, Raspail, D'Pillot, E. Sans (editore di Réveil) , Seray (medico, ex bottaio), Tony-Révillon, Tridon, J. Vallès, Vermorel, Vésinier (da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[84] Una dichiarazione dei principi redatta a fine febbraio dal Comitato Centrale recitava:
“Tutti, membri di un comitato di vigilanza, dichiarano di appartenere al partito socialista rivoluzionario. Di conseguenza, chiede e cerca di ottenere con tutti i mezzi possibili la soppressione dei privilegi della borghesia, la sua caduta come casta dominante e il progresso politico degli operai. In breve, l'uguaglianza sociale. Niente più datori di lavoro, niente più proletariato, niente più classi. Riconosce il lavoro come unico fondamento della costituzione sociale, lavoro il cui prodotto integrale deve appartenere al lavoratore. Nel mondo politico pone la Repubblica al di sopra dei diritti delle maggioranze; non riconosce quindi il diritto di queste maggioranze di negare il principio della sovranità popolare, né direttamente per plebiscito, né indirettamente da un'assemblea, che è il corpo delle maggioranze. Si opporrà quindi, se necessario con la forza, alla riunione di una qualunque Costituente o altra cosiddetta Assemblea Nazionale prima che le basi dell'attuale Costituzione della società siano state modificate da una rivoluzionaria liquidazione politica e sociale. In attesa che avvenga questa rivoluzione definitiva, riconosce come governo della città solo la Comune rivoluzionaria proveniente dalla delegazione dei gruppi socialisti rivoluzionari di questa stessa città. Riconosce come governo del paese solo il governo di liquidazione politica e sociale prodotto per delega dei comuni rivoluzionari del paese e dei principali centri operai. Si impegna a lottare per queste idee e a diffonderle formando gruppi socialisti rivoluzionari dove non esistono. Federerà questi gruppi tra di loro e li metterà in collegamento con la delegazione centrale. Infine, deve mettere tutti i mezzi a sua disposizione al servizio della propaganda per l'Associazione Internazionale dei Lavoratori” (da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central, Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[85] Qui di seguito le otto risoluzioni: “1. I Comitati di Vigilanza in ogni arrondissement procederanno immediatamente alla loro ricostituzione, lasciando da parte quegli elementi non sufficientemente socialisti rivoluzionari; 2. Tutti i membri dei Comitati di Vigilanza approveranno con la loro firma la Dichiarazione di principio votata nell'adunanza del 19 febbraio 1871, una copia della quale sarà tenuta a disposizione di tali Comitati; 3. I Comitati di Vigilanza devono essere istituiti amministrativamente e avere: regolare ufficio; permanenza costante; contabilità seria; 4. Ciascun Comitato comunicherà all'ufficio centrale: il numero dei componenti che compongono questo Comitato; l'indirizzo del personale permanente; ore di servizio; l'indirizzo specifico del segretario del Comitato; 5. Ogni componente dei Comitati di Vigilanza è tenuto a versare un contributo settimanale fissato a 0.25 franchi, per far fronte alle spese della Delegazione Centrale, e le Commissioni saranno responsabili presso la Delegazione per la riscossione di tali contributi; 6. Ogni Comitato di Vigilanza deve, per quanto possibile, costituire nella propria circoscrizione gruppi di membri, in una forma o nell'altra, che, mediante un contributo settimanale, forniscano al suo fondo entrate regolari. incontri pubblici; 7. Alla fine di ogni mese, i Comitati di Vigilanza comunicheranno al tesoriere della Delegazione Centrale i dati del saldo di cassa, certificati secondo i verbali dai presidenti e segretari di tali Comitati, e la metà di questo il saldo sarà versato nelle mani del tesoriere; 8. I Comitati di Vigilanza dovranno realizzare la fusione al loro interno per mezzo di delegati di tutti i gruppi esistenti nei rispettivi distretti, ai quali riconosceranno il carattere socialista rivoluzionario.” (da: George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[86] Vedi anche nota 79.
[87] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871. Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[88] Membri della Commissione: Firmato: André Alavoine, A. Bouit, Frontier, Bourdier, David, Boisson, Haroud, Gritz, Tessier, Ramel, Badois, Arnold, Piconel, Audoynaud, Masson, Weber, Lagarde, Jean Larocque, Jules Bergeret, Pouchain, Lavalette, Fleury, Maljournal, Chouleau, Ladaze, Castioni, Dutil, Matté, Mutin (da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[89] Si parla di 8 miliardi di franchi.
[90] Two senators, Vinoy and D'Aurelles, two Bonapartists, at the head of Republican Paris — this was too much. All Paris had the presentiment of a coup-d'éitat (Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876).
[91] Prudhomme, Alavoine, Frontier, Arnold, Piconel, Chauvière, Bénard, Castioni, Weber, Lagarde, Bouit, Courty, Ramel, Bergeret, Lavalette, Viard, Fleury, Maljournal, Henri Fortunė, Boursier, Pindy, Varlin, Jacques Durand, Henri Verlet, Lacord, Ostyn, Château, Gasteau, Dutil, Matté e Mutin (da George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66).
[92] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876 e George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66.
[93]Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[94] George Bourgin, La Commune de Paris et le comité central. Revue Historique T. 150, Fasc. 1 (1925), pp. 1-66.
[95] A S Hill. Causes of the Commune. The North American Review Vol. 116, No. 238, (1873), pp. 90-109.
[96] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[97] Ibidem.
[98] “The National Guards arrived from all sides and unscrewed the pieces, and the shopkeepers of the Rue des Tournelles commenced unpaving the street” (da: Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876).
[99] Forze governative.
[100] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[101] A S Hill. Causes of the Commune. The North American Review.Vol 116, No 238, (1873), pp. 90-109.
[102] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[103] Ibidem.
[104] Olivier Lissagary soldato della Comune, una volta rifugiatosi a Londra per un periodo proprio dai Marx, si fidanzò anche con Eleanor Marx, raccolse le testimonianze dei rifugiati comunardi scrivendo il suo Historie de la Commune. In questo testo ci rifacciamo proprio alla traduzione inglese che Eleanor fece dell’originale francese.
[105] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871.Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[106] composto da Lefrancais, Duval, Felix Pyat, Bergert, Tridon, Eudes e Vaillant.
[107] Sempre in quei giorni le Comuni rivoluzionarie furono elette anche a Lione, Marsiglia, Toulouse and Narbonne. Il 2 aprile le comuni di Marsiglia e Narbonne sono già sconfitte.
[108] Tirard fece parte di della sinistra repubblicana e agì come agente di Thiers [da Philip G. Nord, The Party of Conciliation and the Paris Commune, French Historical Studies Vol. 15, No. 1 (Spring, 1987), pp. 1-35].
[109] Felix Pyat era stato un attivo repubblicano radicale durante la rivoluzione del 1848. È celebre nel 1848 durante un diverbio con Proudhon che questo ultimo sferrò un pugno a Pyat, che sfidò a duello Proudhon. Il duello poi non ebbe luogo.
[110] Marcello Musto, The Paris Commune Is Still a Beacon for Radical Change, 18/03/2021, Jacobin.
[111] “Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato. […]. La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. […]. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello stato scomparvero insieme con i dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. […] sciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto enti possidenti. […]. Tutti gli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della chiesa e dello stato. Così non solo l'istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le avevano imposto i pregiudizi di classe e la forza del governo. […]. I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici funzionari. […]. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il regime comunale, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle provincie all'autogoverno dei produttori. […]. Le comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un'assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali avrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato al “mandat impératif’’ (istruzioni formali) dei suoi elettori. […]. Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve a ogni altro imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda. Ed è ben noto che le associazioni di affari, come gli imprenditori singoli, quando si tratta di veri affari, sanno generalmente come mettere a ogni posto l'uomo adatto, e se una volta tanto fanno un errore, sanno rapidamente correggerlo. D'altra parte, nulla poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del suffragio universale una investitura gerarchica. […] (da Karl Marx, La Guerra Civile in Francia, 1871).
[112] A metà maggio la Comune ormai aveva fatto chiudere tutti i giornali conciliatori tranne Le Rappel. Mentre Blanc da un lato era chiaramente contro la Comune, chiedendo anche la censura della stampa conciliatrice, ma dall’altro si adoperò nell’Assemblea a difenderla contro le calunnie dei reazionari. Negli anni Settanta fu tra quelli a adoperarsi per l’amnistia dei comunardi [da Philip G. Nord, The Party of Conciliation and the Paris Commune. French Historical Studies. Vol. 15, No. 1 (Spring, 1987), pp. 1-35].
[113] Tra i “sì” si deve annoverare, anche quello del capo della polizia comunarda, il celeberrimo blanquista Raul Rigault, famoso per i suoi modi sprezzanti, soprattutto contro i preti. Rigault cercò di scambiare gli ostaggi, e soprattutto l’arcivescovo di Parigi Darboy per Auguste Blanqui, il quale rimaneva nelle mani governative. L’ironia vuole che mentre l’arcivescovo fu fucilato il 24 maggio dai comunardi oramai sconfitti, lo stesso Rigault fu ucciso per le strade di Parigi da soldati governativi, per via del fatto che si era messo in uniforme della Guardia Nazionale federale, proprio per mostrare ai suoi compagni di dover lottare fino all’ultimo.
[114] Ranvier, Arnaud, Gamlon, Delescluze e Eudes.
[115] Andrieu, Arnold, Arnould, Avrial, Beslay, Clemence, Clement, Courbet, Frankel, Gerardin, Jourde, Lefrancais, Longuet, Malon, Ostyn, Pindy, Serraillier, Theisz, Tridon,Valles, Varlin, Vermorel.
[116] Olivier Lissagaray, History of the Paris Commune of 1871. Traduzione inglese di Eleanor Marx, 1886, dell’originale francese pubblicato nel 1876.
[117] Ai quali aggiungere 43.522 prigionieri.
[118] "I proletari di Parigi", diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, "in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l'ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari... Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo." (da Karl Marx, La Guerra Civile in Francia, 1871).
[119] “È comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente nuove di essere prese a torto per riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza il moderno potere statale, venne presa a torto per una riproduzione dei Comuni medioevali, che prima precedettero questo stesso potere statale e poi ne divennero sostrato. La Costituzione della Comune è stata presa a torto per un tentativo di spezzare in una federazione di piccoli stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai girondini, quella unità delle grandi nazioni, che se originariamente è stata realizzata con la forza politica, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale. […]. Dopo ogni rivoluzione che segnava un passo avanti nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo del potere dello stato risultava in modo sempre più evidente. La rivoluzione del 1830, che fece passare il potere dai grandi proprietari fondiari ai capitalisti, lo trasferì dai più lontani antagonisti degli operai ai loro antagonisti più ristretti. I borghesi repubblicani che avevano preso il potere statale in nome della rivoluzione di febbraio, se ne valsero per i massacri di giugno, allo scopo di convincere la classe operaia che la repubblica "sociale" significava repubblica che assicurava la loro soggezione sociale, e per convincere la massa monarchica della classe borghese e dei grandi proprietari fondiari che poteva tranquillamente lasciare ai borghesi "repubblicani" le cure e gli emolumenti del governo. […]. Dopo la loro unica eroica impresa di giugno i repubblicani borghesi dovettero però retrocedere dalla prima fila alla retroguardia del "partito dell'ordine", combinazione formata da tutte le frazioni e fazioni rivali della classe appropriatrice nel loro antagonismo ormai aperto con le classi produttrici. La forma più adatta per il loro governo comune fu la repubblica parlamentare, con Luigi Bonaparte presidente” (da Karl Marx, La Guerra Civile in Francia, 1871).
[120] In realtà la Costituzione della Comune metteva i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti, e quivi garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi. L’esistenza stessa della Comune portava con sé come conseguenza naturale la libertà municipale locale, ma non più come un contrappeso al potere dello stato ormai diventato superfluo. Soltanto nella testa di un Bismarck - il quale, quando non è preso dai suoi intrighi di sangue e di ferro, ama sempre ritornare al vecchio mestiere così adatto al suo calibro mentale di collaboratore del “Kladderadatsch” [rivista satirica tedesca di taglio conservatore, n.d.r.] soltanto in una testa così fatta poteva entrare l'idea di attribuire alla Comune di Parigi l'ispirazione a quella caricatura della vecchia organizzazione municipale francese del 1791 che è la Costituzione municipale prussiana, la quale riduce le amministrazioni cittadine alla funzione di ruote puramente secondarie della macchina poliziesca dello stato prussiano. (da Karl Marx, La Guerra Civile in Francia, 1871).
[121] Marcello Musto, The Paris Commune Is Still a Beacon for Radical Change, 18/03/2021, Jacobin.
[122] Ibidem.
[123] Agli occhi del contadino francese la sola esistenza di un grande proprietario fondiario è di per se stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra l'imposta addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora lo avevano fatto in nome della rivoluzione, mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione, per far cadere sulle spalle dei contadini il peso principale dei cinque miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani. La Comune, d'altra parte, dichiarò in uno dei suoi primi proclami che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri autori. La Comune avrebbe liberato il contadino dall'imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le odierne sanguisughe, il notaio, l'avvocato, l'usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti da lui e davanti a lui responsabili; lo avrebbe liberato dalla tirannide della guardia campestre, del gendarme e del prefetto; avrebbe sostituito all'instupidimento ad opera dei preti l'istruzione illuminata del maestro elementare. […]. Il contadino francese aveva eletto Luigi Bonaparte presidente della repubblica, ma il partito dell'ordine creò l'impero. Quel che il contadino francese desidera veramente, incominciò a mostrarlo nel 1849 e nel 1850, contrapponendo il suo sindaco al prefetto del governo, il suo maestro di scuola al prete del governo e se stesso al gendarme del governo. Tutte le leggi fatte dal partito dell'ordine nel gennaio e febbraio 1850 furono misure di repressione aperta contro il contadino. Il contadino era bonapartista perché ai suoi occhi la grande Rivoluzione, con i suoi vantaggi per lui, era personificata in Napoleone (da Karl Marx, La Guerra Civile in Francia, 1871).
[124] Jean-Numa Ducange, The Communards Were More Than Just Beautiful Martyrs, 03-18-2021, Jacobin.
[125] Ibidem.
[126] Jean-Numa Ducange, The Communards Were More Than Just Beautiful Martyrs, 03-18-2021, Jacobin.
[127] A S Hill. Causes of the Commune. The North American Review Vol. 116, No. 238 (1873), pp. 90-109.
[128] Ci si riferisce alla IX Risoluzione presa proprio dal Consiglio Generale dell’AIL a Londra nel settembre del 1871, la quale specificava che: “la classe lavoratrice può agire contro il potere collettivo delle classi padronali costituendosi in un partito politico indispensabile per la rivoluzione sociale”. Marx ed Engels, con la collaborazione di Lafargue, nell’agosto del 1873 pubblicano un opuscolo intitolato “L’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista e l’Associazione Internazionale degli Operai” dove riportano pressoché tutta la vicenda. Ovvero, la nascita dell’Alleanza già dai primi giorni di Bakunin in Italia, il lavorio presso la sezione di Napoli, le calunnie riportate poi per esteso nella Circolare di Rimini, stilata in occasione della Conferenza di Rimini, come ironicamente riportato da Marx ed Engels: “Non appena l’Alleanza era venuta a sapere della convocazione di un congresso all’Aja, essa ha messo avanti il suo ‘Fascio Operaio’, il quale in nome della sua autorità autonoma o della sua autonomia autoritaria si è dato il nome di «Federazione italiana» e ha indetto per il 5 agosto una conferenza a Rimini”. Qui si ripeteva che nella “risoluzione IX, la dottrina autoritaria che è la dottrina del Partito comunista tedesco” voleva essere imposta a tutta l’AIL.
[129] Marcello Musto, The Paris Commune Is Still a Beacon for Radical Change, 18/03/2021, Jacobin.
[130] Neo-giacobini come Clemenceau e Hamel non sostennero la Comune ma furono per il partito della conciliazione. L’Avenir national, Le Rappel, Il partito della conciliazione era principalmente firmato da tre gruppi, la Lega d’Unione repubblicana della destra di Parigi, (Ranc, Celemenceau, Lockroy, Rochefort), l’Unione Nazionale del commercio e dell’industria (gli imprenditori: Rault, Lhuillier, Levallois) i massoni parigini (Hamel, e altri).
[131] Questa è una pratica che fu anche caratteristica dell’operaismo milanese del Partito Operaio Italiano del 1881 e 1882, eccezion fatta per Gnocchi-Viani.
[132] Aimée Moutet. Le Mouvement ouvrier à Paris du lendemain de la Commune au premier congres syndical en 1876, Le Mouvement social No. 58 (1967), pp. 3-39.
[133] La “Égalité” fu infatti organo ufficiale già dall’inizio del 1869 della Federazione Romanza, poi del Giura, nella Svizzera francese, della quale Guesde fece parte quando era esule a Ginevra.
[134] Carl Landauer, The origin of socialist reformism in France, International Review of Social History Vol. 12, No. 1 (1967), pp. 81-107.
[135] Ibidem.
[136] Carl Landauer, The origin of socialist reformism in France, International Review of Social History Vol. 12, No. 1 (1967), pp. 81-107.
[137] Marcel Fournier et Fernand Faure, Revue politique et parlamentaire: questions politiques, sociales et législatives, date de publication: 1898-01-01.
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