Mussolini e la sua lunga marcia da socialista col fazzoletto nero (1901-1914) - Parte III -
Conclusioni
Perché abbiamo dato così tanto spazio a Mussolini durante il periodo della sua militanza socialista? Senza dubbio, solo ed esclusivamente per via del ruolo che Mussolini giocò in seguito come “capo” del fascismo e del regime fascista italiano. Come sostenuto in precedenza, ancora pensiamo che il fenomeno fascista sia tuttora rilevante e si possa ripresentare. Certo, come ben espresso da Umberto Eco, non sarà né necessario né pensabile che il fascismo si ripresenti nella sua forma storica[1]. Secondo noi il fascismo si potrebbe ripresentare perché è legato al concetto di “difesa della proprietà privata e al concetto individualista dei diritti del cittadino”, ovvero, in “essenza [il fascismo] si pone come paladino dell’individualismo glorificato dal diritto della legge naturale, ovvero possedere e arricchirsi, a scapito di alcuni aspetti della libertà borghese stessa; il fascismo esiste per mezzo della sua violenza contro chiunque si ponga da ostacolo alla Fortuna e Gloria della Patria; il fascismo incarica una gerarchia per attuare con rigore totalitario tale difesa”[2]. Quindi il fascismo torna in esistere ogniqualvolta l’individualismo organizzato di una minoranza s’imbarca in una crociata in difesa della sacra proprietà privata andando a riprodurre le sue varie caratteristiche[3]. Secondo noi il ripresentarsi del fascismo cesserà solo con l’avvenire del socialismo.
In secondo luogo, è fondamentale chiarire che il fascismo non si origina dal socialismo. Per dirla in altre parole il fascismo non è una malattia degenerativa del socialismo, anche quando alla destra viene data una connotazione sociale. Mussolini[4] stesso si è sforzato di dimostrare il contrario, ma, ciò esulava dalla sua portata, che, per dirla alla Eco, “[…] non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica”[5]. Per tagliare corto questo argomento, seppure importante e da approfondire altrove, il socialismo nasce, nella sua forma istintiva, in contrasto al gretto individualismo bottegaio, e non prima. Ovviamente, stiamo attenti a non confondere socialismo con egualitarismo. Nella sua forma matura, il socialismo, pur conservando questa sua opposizione istintiva, si definisce come: “un sistema sociale che prevede la proprietà dei mezzi di produzione e di distribuzione di beni e servizi in comune e il loro controllo democratico da parte dell’intera comunità e nell’interesse di questa”[6], a scanso di ogni equivoco. Certo è che il pensiero radicale “illuminista”, che tutto mise in moto, e il pensiero socialista hanno matrici comuni, come si è visto, per esempio, nel nostro saggio su Filippo Buonarroti[7], ma è chiaro che “l’egualitarismo sanculotto e giacobino non si spinge mai fino alla negazione del diritto di proprietà”[8]. È davvero impressionante come Marx, più esattamente il giovane Marx, inquadri già la questione, quando scriveva sui diritti dell’uomo come concepiti dai rivoluzionari francesi: “L’applicazione pratica del diritto dell’uomo alla libertà è il diritto dell’uomo alla proprietà privata”, ovvero “di godere arbitrariamente (‘ à son gré ’), senza alcuna relazione con gli altri uomini, indipendentemente dalla società, del proprio patrimonio e di disporre dello stesso”[9]. Questo è in altre parole il carburante del motore fascista, l’istinto piccolo borghese, della minoranza che reclama con la violenza questo diritto di godere aprioristicamente del “proprio” patrimonio. E non vi è nulla di peggio quando l’alta borghesia eleva a suo sistema di governo questa mentalità piccolo borghese. Bordiga direbbe tanto peggio è tanto meglio, ma noi diciamo tanto peggio è tanto peggio.
La nostra considerazione che il fascismo non origini dal socialismo non vuol dire che la mentalità fascista, ovvero l’individualismo protezionista, non sia in grado di infiltrarsi tra le fila socialiste. Abbiamo molti esempi nei quali questo è accaduto più o meno palesemente. Nel caso di Mussolini il fascismo che si impose nel 1921-22, non fu certo quella sorta di anarco-sindacalismo urbano per ex-combattenti del ‘19, ma fu piuttosto lo squadrismo agrario. Come già visto in occasione del patto di pacificazione, Mussolini sarebbe stato rimpiazzato se avesse mantenuto posizioni sinistrorse e concilianti con i socialisti e i popolari, e non si fosse invece riallineato con i vari ras delle milizie[10]. Non appena si insinua l’idea che ci si debba affidare ad una minoranza organizzata che con la violenza si attribuisce il compito di gestire la proprietà privata sia per il suo stesso beneficio che per conto di tutti, non siamo in presenza di socialismo ma del fascismo che torna in una veste “progressista”, con drappo rosso e berretto frigio. Il socialismo nazionale ideato da Hervé, il nazionalsocialismo di Hitler, il comunismo in un paese solo di Stalin altro non sono che espressioni del medesimo concetto, ossia, una minoranza che determina il possesso e la distribuzione della proprietà privata in vena protezionista a favore della minoranza stessa. Questo concetto non ha bisogno di nessun presupposto socialista. Tutt’altro, come visto nel caso della filosofia del MUSIAD e del jihadismo più in generale, ma anche del neoliberismo capitalista in veste sovranista, tutto ciò si ripresenta. Oggi, che il movimento dei lavoratori è così debole e il pensiero socialista, di conseguenza, relegato in soffitta, l’indipendenza tra fascismo e socialismo è ancor più netta ed evidente. Certo rimane il discorso sullo statalismo: quando si pensa che secondo alcuni marxisti l’abolizione finale dello Stato debba per forza di cose passare temporaneamente attraverso la concentrazione di tutti i poteri nelle mani dello Stato stesso e che questo debba avere una forma dittatoriale, non si fa altro che cadere nel tranello della minoranza illuminata tipica del pensiero neo-giacobino. “Tranello” perché sostiene che la soluzione non possa venire dalla classe lavoratrice stessa che finalmente prende in mano le sorti del suo futuro, ma da una forza esterna, in questo caso un’élite intellettuale, che sa ciò che è bene per la collettività e che con le buone (o più spesso con le cattive) applica la giusta ricetta. La massa torna ad essere un elemento passivo che riceve la “manna caduta dal cielo”, insomma, si torna alla “venuta del Messia”, o dell’Essere Supremo, o perché no, dell’uomo forte, il Robespierre, il Napoleone, il Luigi Napoleone, il Georges Boulanger, il Philippe Pétain, o il nostrano Benito Mussolini.
Ma come scritto pocanzi la paternità del fascismo esula dallo scopo di questo lavoro con il quale invece si è voluto analizzare il contesto storico in cui Mussolini militò nel socialismo, e si è anche voluto caratterizzare il tipo di socialismo propagandato da Mussolini senza preconcetti dettati da tabù o anatemi. Avvalendoci di studi storici accreditati possiamo quindi concludere che Mussolini fu socialista secondo una sua formula prossima all’anarco-sindacalismo rivoluzionario, ovvero, secondo un’idea di socialismo infarcita di retorica barricadiera e neoidealista. Parafrasando Claudio Treves possiamo quindi concludere che il socialismo di Mussolini altro non fu che un’idea di ribellione puramente sentimentale che non molto aveva a che vedere con il socialismo in generale e con il socialismo marxista in particolare. È innegabile però, che come lui, molti altri attivisti, membri e addirittura dirigenti del Partito Socialista avessero similmente un’idea distorta del socialismo. In questo senso Mussolini non fu atipico. L’anarco-sindacalismo e la retorica barricadiera non erano del resto invenzioni o teorizzazioni originali di Mussolini. È altrettanto innegabile che la mancanza di una rigorosa selezione, in termini marxisti, degli attivisti della frazione intransigente rivoluzionaria, favorì il proliferare e l’affermarsi di personalità forti e dedicate (come quella di Mussolini) tra le loro file e questo, incidentalmente, essendo gli intransigenti la corrente in ascesa nel Partito Socialista di quel periodo, determinò altresì un’ulteriore ascesa alle “massime” cariche del partito socialista. Premesso ciò, Mussolini giocò un ruolo di rilievo soprattutto dal Congresso di Reggio Emilia al Congresso di Ancona, ovvero dall’estate del 1912 alla primavera del 1914. Si chiede Emilio Gentile se Mussolini fu un vero socialista e risponde, e su questo concordiamo, che: “Dal suo punto di vista, Mussolini si riteneva un vero socialista, marxista rivoluzionario […]. Tuttavia, se si pone come idea essenziale del socialismo la democrazia, come autocoscienza dei lavoratori in quanto classe, e se non si attribuisce eccessiva importanza al linguaggio tipico di un militante socialista, […], si può affermare che Mussolini non fu mai socialista perché non fu mai democratico e non accettò mai il principio dell’autocoscienza del proletariato come classe”[11].
Si vuole portare l’attenzione però sul fatto che la mancanza di solidi criteri di selezione dei propri membri e, soprattutto, dei propri dirigenti non voleva dire che le basi del marxismo fossero completamente ignorate. Anni di rilettura filosovietica della storia del movimento operaio e delle sue organizzazioni ha spesso offuscato il fatto che vi era nel partito chi un po’ di marxismo lo masticava, e questi individuarono da subito l’indole da “anarchismo individualista - forma rovesciata ancor esso di un pensiero tutto borghese” del socialismo di Mussolini. Già in tempi non sospetti, la vecchia guardia, Turati, Treves, Modigliani, Zibordi[12], per non menzionare la lucidissima Kuliscioff, avevano inquadrato la ‘vuota retorica’ di questo ‘parolaio’. Per Turati questi gli ricordava ‘un operaista vecchio stile che si trastulla con il fantastico anarchismo individualista’, per Treves era un ‘reazionario’ nell’applicare il ‘neo-idealismo’ al socialismo rivoluzionario, per Modigliani era un ‘anarcoide sotto la veste del rivoluzionario’, per Zibordi Mussolini era già il ‘dittatore che trascinava le folle facendogli ingoiare quello che voleva’, per la Kuliscioff quello di Mussolini altro non era che ‘massimalismo anarchico’ che già si poteva definire ‘nazionalismo socialista’. Ora tutti questi giudizi precedono addirittura la defezione del Mussolini socialista nelle file degli interventisti. E ancora tra le file intransigenti Serrati, colui il quale aveva aiutato il giovane Mussolini in Svizzera, a Oneglia e a Trento, già agli inizi del 1913 lo attacca perché agita la scure anarchica! Non fu l’unico, lo seguiranno Bacci e Ratti, quindi la Balabanoff e Vella, ma, ci vien da dire, che “la frittata era già stata fatta”. Si chiedeva Turati, “dobbiamo fare un’altra Sala Sivori?” La nostra modesta risposta è sì, ma storicamente è chiaro che i riformisti dal Congresso di Milano, nel 1910, avevano già perso il controllo sul Partito. Turati verrà poi attaccato da un altro tipo di “anarchismo” sui generis quello marxista-leninista dell’ortodossia bolscevica, ma questa è un’altra storia[13].
È evidente che i rivoluzionari intransigenti dal 1911 stavano vivendo una forte contraddizione interna: da un lato la guerra di Cirenaica e Tripolitania, e il conseguente frazionamento dei riformisti e sindacalisti li aveva enormemente rafforzati, dall’altro mancavano di attivisti di rilievo. Per esempio, Mussolini non è il candidato ideale alla successione della direzione dell’Avanti!, ma in una terra di ciechi beato chi ha un occhio solo, e Mussolini quell’occhio lo sapeva usare, e bene. Ha ben chiaro, già dalla sua esperienza alla Lima di Oneglia, che la sua vocazione è il giornalismo e ha anche un modello ben chiaro di giornalismo, quello d’attacco frontale à la Hervé. Come ricostruito da Bozzetti, l’aspirazione all’Avanti! per Mussolini partiva da lontano e la nomina (anche se egli non fu la prima, né seconda, né terza scelta) non cadde dal cielo. Costantino Lazzari, della stessa generazione del padre Alessandro, aveva addirittura co-fondato il “mitico” Fascio Operaio negli anni ‘80 ed aveva gestito il primo vero organo del PSI, ovvero La Lotta di Classe, quella di Prampolini per intendersi. Sì, quella di Lazzari sarebbe stata la scelta più autorevole, ma il suo nome era legato ad un ammanco di L. 500 proprio ai tempi della sua gestione de La Lotta di Classe nel 1893, ed essendo pure il neosegretario del Partito, non era compatibile con la carica di direttore. Altra scelta autorevole sarebbe stata quella di Giovanni Lerda, il quale era stato vicino a Ferri, unico direttore dei ‘rivoluzionari’ fino ad allora e aveva collaborato con Il Martello e Il Socialismo. Successivamente era stato il direttore de La Soffitta, ma a causa della sua appartenenza alla massoneria e la chiara presa di distanza del Partito nei suoi riguardi, Lerda era diventato incandidabile. Menotti Serrati era da più di dieci anni un attivo dirigente della frazione rivoluzionaria: abbiamo visto come all’arrivo del giovane Mussolini in Svizzera, Serrati era già stato Segretario del Partito Socialista Italiano in Svizzera, direttore de Il Proletario, quindi direttore di altri giornali. Però la sua candidatura viene liquidata con la vicenda di Barre, avvenuta quasi dieci anni prima. Ora, questa ragione ci sembra insoddisfacente, se si pensa che alla fine del 1914, con la defezione di Mussolini, Serrati diventò infine direttore dell’Avanti! come se avesse magicamente espiato il suo ‘peccato originale’. Si menziona il nome di Salvemini, che come si sa era stato critico con i riformisti di sinistra, il quale però si confessa più vicino ai neo-espulsi riformisti di destra. Troviamo curioso il nome di Ettore Ciccotti, accademico, ma tutt’altro che vicino ai rivoluzionari, nomina che se non altro denota una certa disperazione tra le file rivoluzionarie. Giovanni Bacci, proprio uno sprovveduto non era: stessa generazione di Lazzari, ma proveniente dalla corrente radicale-democratica, aveva maturato diverse esperienze da direttore. È evidente che il Bacci non aspirasse a una poltrona così ‘calda’, e, apparentemente, non così poco remunerativa la quale era quella dell’Avanti!. Accettò a malincuore la direzione del giornale che mancava agli intransigenti dal 1908, l’anno in cui Ferri era partito per il Sud America[14]. Nonostante ciò, riteniamo sia da approfondire il motivo per cui Arturo Vella e Francesco Ciccotti Scozzese fossero stati ritenuti troppo radicali. in realtà sul conto di Francesco Ciccotti Scozzese sembrerebbe che per quanto riguardava La Soffitta, la sua nomina a direttore era stata scartata per non dare il giornale “in mano ai riformisti” e, per quanto riguarda l’Avanti!, vi sia la prova che la poltrona gli fu offerta ma lui la rifiutò “perché non volle trasferirsi a Milano”, come appare dal “verbale della riunione [che] la direzione del P.S.I. tenne il 10 novembre 1912”. In effetti, dopo le dimissioni di Bacci, alla rinuncia di Francesco Ciccotti Scozzese, Mussolini “dichiarò" di non sentirsi in grado di assumere la direzione da solo ma con Francesco Ciccotti"[15]. Mentre per quanto riguarda Vella probabilmente la carica nel consiglio comunale di Roma gli impedì il trasferimento a Milano.
La scelta allora ricadde su Mussolini, cita Di Scala: “[…] il nuovo segretario nazionale Costantino Lazzari propose la direzione del giornale a Mussolini perché: «L’aggressività rivoluzionaria di Mussolini sembra […] vigore rivoluzionario»”[16], ora, dopo il carosello di nomi che abbiamo appena indicato, non ci pare che l’aggressività rivoluzionaria fosse stata poi così preponderante. La versione della Balabanoff, ovvero, di aver scelto l’ultimo arrivato, Mussolini, perché nessun altro voleva farlo, è forse esagerata, ma abbiamo anche da credere che Mussolini fosse effettivamente uno dei pochi candidati intransigenti con le carte in regola e disponibili a trasferirsi a Milano. Questa vicenda ridimensiona un po’ il mito della sua irresistibile ascesa tra le file socialiste. “Da direttore dell’ ‘Avanti!’ Mussolini si trovò a gestire la terza fase del sindacalismo, quella dell’Usi di De Ambris e di Corridoni”[17] e fu criticato per il suo filo anarco-sindacalismo, quindi, in occasione della ‘settimana rossa’, per il suo attacco frontale alla CGdL ed infine per il suo atteggiamento smaccatamente filofrancese e quindi interventista. Una volta che Mussolini reputò di avere le condizioni, ovvero le spalle coperte, per passare apertamente all’interventismo, egli “varcò il Rubicone”, ma non si portò dietro praticamente nessuno. Anzi possiamo comodamente affermare che gli interventisti socialisti più importanti avevano già fatto la loro scelta nell’estate del 1914 e il suo tenere un piede in due staffe diventò così palese da spingere la stampa filo-interventista a incitare e provocare la sua defezione. “Con la fondazione del «Popolo d’Italia» Mussolini si trovò nuovamente al proprio fianco i sindacalisti: non solo i teorici come Panunzio e Lanzillo, a cui peraltro aveva già aperto le porte dell’«Avanti!» e soprattutto di «Utopia», ma anche la consistente minoranza dell’Usi che si schierò immediatamente per l’intervento (Corridoni, De Ambris, Rossoni, Michele Bianchi, Ottavio Dinale)”[18]. “La retorica del Mussolini interventista, per il resto, non si distanziava molto da quella del Mussolini rivoluzionario, a parte l’antimilitarismo, che ovviamente scomparve. […]. Se la scelta di Hervé di schierarsi fin da subito a favore della guerra ebbe un peso su Mussolini, la maggioranza della Cgt aderì alla guerra più che altro per necessità […]. Si trattava di una guerra non rivoluzionaria ma di difesa, e dunque l’Union sacre era un passo obbligato” [19].
Marco Gervasoni sostiene che Mussolini si schierò a fianco dell’interventismo proprio perché si sentiva socialista alla stessa stregua degli altri leader, Guesde, Vandervelde e Kautsky, ma che in Italia questo interventismo aveva perso[20]. Se Mussolini, quindi, appartiene chiaramente a questa espressione del socialismo rivoluzionario Gervasoni si spinge ad affermare che “si trattava di un socialismo rivoluzionario all’altezza della società di massa che si andava affermando anche in Italia, che avvicinò Mussolini, con le ovvie e debite differenze [grassetto nostro], ad altri leader dell’estrema sinistra del socialismo europeo, da Rosa Luxemburg a Karl Liebknecht a Lenin a Gustave Hervé.”[21].
Nonostante capiamo cosa motivi Gervasoni ad azzardare questi due parallelismi, in modi diversi entrambi sono problematici. L’interventismo di Guesde è coerente con ciò che aveva sostenuto fin dalla Comune di Parigi: per lui i prussiani erano di nuovo alle porte e ci si doveva difendere. Guesde non aveva mai creduto ai vari scioperi, dimostrazioni o compromessi, e addirittura a causa della guerra accetta di entrare nel Governo. Anche l’accostamento con Emile Vandervelde è azzardato, questi è un socialdemocratico “puro”, che si trova a negoziare importantissimi scioperi nazionali nel 1902 e nel 1913 tra mille polemiche, durante la guerra fa parte del Governo belga ed è per la difesa nazionale. Kautsky invece fu piuttosto contro l’intervento tedesco: lui e Hugo Haase, il 1° agosto 1914, avevano già preparato una dichiarazione contro l’approvazione dei crediti di guerra, ma furono messi in minoranza. Rimane l’accostamento alla Luxemburg, a Liebknecht, a Lenin e ad Hervé. Ecco, per noi quello con quest’ultimo è ovvio, lo condividiamo a pieno. Mentre con gli altri tre abbiamo grandi riserve. Fino alla estate del 1912 è addirittura impossibile un accostamento. Quindi rimane principalmente il 1913 e parte del 1914. Si potrebbe pensare che la vicinanza di Mussolini allo spontaneismo dell’USI lo possa far accostare almeno alla Luxemburg e a Liebknecht; ma mentre Liebknecht diventa il simbolo mondiale dell’opposizione alla guerra, per essersi opposto alla disciplina di partito ed aver votato contro i crediti di guerra, Mussolini spande retorica antimilitarista sfacciatamente filofrancese, e già Bordiga lo deve ammonire ricordandogli di stare “al nostro posto”. Il paragone con Lenin è probabilmente dovuto all’idea, espressa dal russo, di utilizzare il disastro della guerra per una rivoluzione. Questa è una idea che circola, soprattutto tra gli anarchici, è in fondo l’antimilitarismo insurrezionale, ovvero rivolgere le armi contro i propri ufficiali. È questo sufficiente per un accostamento? Evidentemente no! Tutti i nomi accostati a Mussolini da Gervasoni sono marxisti, certo, si può discutere l’efficacia dell’impossibilismo di Guesde, del revisionismo di Vandervelde, del centrismo di Kautsky, del neo-blanquismo di Lenin, e dell’estremismo della Luxemburg e di Liebknecht, ma non si può mettere a paragone il loro marxismo con quello di Mussolini che è quasi inesistente, tanto quanto quello di Hervé. “Raramente uomo politico è stato incoerente come Mussolini, anche per sua personale ammissione. Una cosa che colpisce è il suo disinteresse per Marx. Vien fatto di pensare a quanto asserisce di lui Torquato Nanni, amico e collaboratore dell’ ‘Avanti!’: «[…] per quanto [riguarda] Marx, in tutti i numeri del suo giornale, torna come il nume immanente, Mussolini ha una repulsione organica per tutti i sistemi […]». Un episodio curioso lo conferma. Verso il 1913 Francesco Bonavita, altro personaggio che conosce bene Mussolini, ha uno scambio di battute con lui: Hai incontrato la Balabanoff? - l’ho incontrata, ebbene? - E non ti ha detto nulla? Figurati che essa si è offesa perché non rispetto abbastanza i santi principi e i santi padri della chiesa marxista. Ed è corsa a prendere gli opuscoli di Marx per dimostrarmi che avevo torto […] Mussolini si godeva, in un franco sorriso, la sua rievocazione. - La Balabanoff, continuò, ha la custodia delle opere di Marx. Quando essa è venuta a mostrarmi l’opera è la pagina che avrebbe dovuto dimostrare il mio torto, le ho risposto: - Così diceva Marx, ma io dico diversamente e il direttore dell'"Avanti!" sono io, perché, grazie a Dio, Marx è morto!”. Incalza Bozzetti: “Ma vi è di più: il suo egocentrismo, dimostrato e documentato ampiamente, è all’antitesi, non solo del marxismo, ma dello stesso socialismo.” [grassetto nostro]. Riporta quindi la testimonianza di Leda Rafanelli che nota come a Mussolini interessava risolvere la sua povertà più che quella di “folle ignote”[22]. Mussolini, che a due mesi dalla sua defezione è già mazziniano, sale in cattedra per ironizzare sui marxisti dell’ultima ora: “Che meraviglia se Giolitti ha relegato Marx in soffitta? Non è il caso di protestare. I socialisti italiani hanno ignorato sempre Marx. Ci sono degli uomini che fanno da padreterni e non hanno mai letto una riga di Marx; neppure il Manifesto dei Comunisti. Il socialismo italiano non ha mai avuto preoccupazioni dottrinali. Le ebbe fra il ‘50 e l’80 quando era anarchico. Giova ricordare che il primo compendio italiano del Capitale fu scritto da un anarchico: Carlo Cafiero. Poi c’è stato un lungo periodo di depressione culturale. C’è un uomo, è vero, che giganteggia: il Labriola. Ma egli era fuori dell’orbita ufficiale del Partito. Solo in quest’ultimo decennio l’Italia ha portato il suo contributo geniale alla letteratura del socialismo internazionale e - strano! - per opera di uomini che hanno abbandonato il Partito Socialista. Non è sintomatico il fatto che la Storia del marxismo in Italia sia stata scritta da un tedesco? Mancando una solida, organica tradizione culturale socialista (come vantano ad esempio Francia e Germania) è mancato un freno ai funambolismi teorici e tattici del riformismo, il quale è divenuto possibilismo, collaborazionismo, deviazione, tradimento”[23]. Secondo Emilio Gentile vi sono due distacchi evidenti dal socialismo di Mussolini, uno da attribuirsi al suo approccio idealistico, dell’agitatore, l’altro fu dettato dal suo tentativo di elaborare una ideologia rivoluzionaria.[24]
Per concludere siamo coscienti che la storia non si fa con i ‘se’ ma secondo noi per inquadrare il peso effettivo del Mussolini socialista, si immagini se, come Corridoni, Mussolini avesse effettivamente fatto la prima guerra non in licenza e in seconda linea, ma in prima linea come carne da macello e, come Corridoni, ci avesse lasciato la pelle. Come sarebbe ricordato oggi? Come un esponente emergente dell’intransigentismo rivoluzionario del PSI, vicino alla corrente anarco-sindacalista dell’USI che, come molti esponenti dell’USI stessa, passò, anche se dopo qualche esitazione dettata dalla linea ufficiale del Partito, all’interventismo. Come per Corridoni, nel dopo guerra, la sua memoria avrebbe potuto essere rivendicata, allo stesso modo, sia dalla sinistra sindacalista sia dalla destra reazionaria.
[1]Umberto Eco. Ur-fascismo. Giugno 1995.
https://digilander.libero.it/education/dati_box/STO_3/fascismo_eco2.pdf
[2] Cesco. Il terrore che il piccolo “patriotta” ha che gli si porti via la “roba”! Quintessenza del fascismo di ieri e di oggi. Adattamento Socialista. Marzo 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/03/il-terrore-che-il-piccolo-patriotta-ha.html
[3] Queste sono secondo Umberto Eco: 1. il culto della tradizione, 2. il rifiuto del modernismo, 3. il culto dell’azione per l'azione, 4. il disaccordo è tradimento, 5. la paura della differenza, 6. l'appello alle classi medie frustrate, 7. l'ossessione del complotto, 8. i nemici sono al tempo stesso troppo forti e troppo deboli, 9. il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente, 10. il disprezzo per i deboli, 11. ciascuno è educato per diventare un eroe, 12. il machismo, 13. il populismo qualitativo, 14. il controllo della comunicazione, ossia la “neolingua”. [da: Umberto Eco. Ur-fascismo. Giugno 1995. https://digilander.libero.it/education/dati_box/STO_3/fascismo_eco2.pdf]. Nonostante sia difficile racchiudere un fenomeno sociopolitico così articolato in 14 caratteristiche, il punto è che il fascismo non deve per forza ripresentarsi pedissequamente come quello del 1921-22 per essere riconosciuto come tale, ma che vi sono dei tratti di comportamento sociale riconducibile ad esso.
[4] “Nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartono dal Sorel, dal Peguy, dal Lagardelle del ‘Mouvement Socialiste’ e dalla coorte dei sindacalisti italiani che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell’ambiente socialistico italiano, già svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le Pagine Libere di Olivetti, La Lupa di Orano, il Divenire sociale di Enrico Leone” da Mussolini in “Dottrina politica sociale del fascismo” [citato da: Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 106].
[5] Umberto Eco. Ur-fascismo. Giugno 1995.
https://digilander.libero.it/education/dati_box/STO_3/fascismo_eco2.pdf
[6] Gruppo Socialista Internazionalista. Gruppo Socialista Internazionalista (“Adattamento Socialista”): ipotesi di piattaforma programmatica fondamentale. Adattamento Socialista. Novembre 2020. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2020/11/gruppo-socialista-internazionalista.html
[7] Cesco. Filippo Michele Buonarroti: uno, nessuno e centomila (Parte II). Adattamento Socialista. Maggio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/05/filippo-michele-buonarroti-uno-nessuno.html
[8] [da Gastone Manacorda. Introduzione della Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf di Filippo Buonarroti. Editore Einaudi, 1971. In Cesco. Filippo Michele Buonarroti: uno, nessuno e centomila (Parte II). Adattamento Socialista. Maggio 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/05/filippo-michele-buonarroti-uno-nessuno.html]
[9] Karl Marx. La questione ebraica (Zur Judenfrage) (1843). Massari editore 2003.
[10] Cesco. Il patto di pacificazione: tra calcolo politico e commedia (Parte II). Adattamento Socialista. Ottobre 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/10/il-patto-di-pacificazione-tra-calcolo.html
[11] Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019, p 95.
“Quella del Gentile è una legittima visione socialista-kautskiana del marxismo (in parte ripresa negli anni '70 dal PCI di Berlinguer). Bordiga e Lenin, che certo fascisti non erano, non avrebbero mai e poi mai approvato questo nesso socialismo-democrazia. Vedasi "il principio democratico" di Bordiga o "La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky" di Lenin. Per loro Mussolini fu un traditore principalmente per il suo gretto nazionalismo bellicista e il suo superomismo dal sapore irrazionalista e nietzscheano. Tutto qui. Infatti dopo la I Guerra Mondiale un buon numero di sindacalisti-rivoluzionari, cultori della violenza e delle barricate come Mussolini, passò al bolscevismo, specie in USA, UK e Francia. Persino il vecchio Sorel divenne un ardente leninista...” [Dankolog, comunicazione personale].
[12] Giovanni Zibordi arguto osservatore già nell’aprile del 1914 in preparazione del congresso inquadra l’attivismo di Mussolini che porta il socialismo indietro nel tempo alla sua preistoria: «quando socialismo, repubblica, umanitarismo, anticlericalismo e democrazia formavano una sola insalata russa, con salsa piccante di barricate che si sognavano sempre e non si facevano mai» [da: Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020. p 119].
[13] Nonostante la lucidità mostrata dai riformisti nell’imbeccare molto presto l’indole individualista piccolo borghese del “socialismo” di Mussolini, una critica che si può muovere loro è quella di avere la tendenza ad “amalgamare” anche altri tipi di interpretazioni marxiste, come il leninismo, lo spontaneismo, il consiliarismo ecc…, genericamente nell’anarchismo anti-socialista, cadendo così nel paternalismo bacchettone.
[14] Il vuoto lasciato da Ferri nelle file intransigenti è da un lato emblematico e dell’altro sintomatico della vulnerabilità di questa corrente. Ferri è per molti versi il precursore della ciarlataneria demagogica di Mussolini. Il Partito Socialista era in quegli anni in forte crescita ed era quindi terreno fertile per i vari approfittatori. Antonio Labriola aveva inquadrato bene il personaggio, Ferri, che non solo aveva imbambolato gli intransigenti ma anche i socialdemocratici tedeschi della Vorwärts.
Scriveva infatti a Engles: “Caro ottimo Engels, Fate, vi prego, che i nostri buoni amici di Berlino non si facciano minchionare. Il Vorwärts (n. 217) leva al cielo l’entrata nel socialismo del Professore Enrico Ferri, deputato già da sette anni, seguace della dottrina di Lombroso e ciarlatano insigne alla Loira. […]”. [Olevano Romano, 18 settembre 1893, Antonio Labriola a Friedrich Engels], evidentemente il Ferri era stato più convincente da quando Labriola scriveva due anni più tardi: “Ma l’illustre Ferri è venuto qui a dirci che il Vorwärts lo ha engagiert come redattore stipendiato per parte italiana, e di fatti i lettori della Sprea furono già onorati di una interpretazione antropo-fisico-topo-geografo-criminologica dell’Italia con alquanto di semi-apologia etno-fisio-psicologica del Dittatore”.[22 febbraio 1895, Antonio Labriola a Friedrich Engels]. Con ironia sempre Antonio Labriola spiega a Engels quanto fosse venale il “socialismo” del Ferri: “Il buon Pablo Iglesias invoca la mia mediazione, perché’ l’illustre Ferri si contenti di un minor compenso di quello che ha chiesto per la traduzione spagnuola del suo ormai famoso opuscolo. Il partito spagnuolo, come si sa, è povero. Gli risponderò tout court, che non mi occupo di negozio di cose sacre. L’illustre Ferri ha una ricca moglie, che vive in villa appo Firenze, e fa molti buoni affari come avvocato. Anzi a un circolo socialista di Cosenza, che lo invita a tenere un discorso, scrive: «Procuratemi una buona causa e verrò». È socialismo degno dei professionisti uniti agli «Erdarbeiter» [Terrazzieri] (o volevo dire «Landarbeiter» [Lavoratori della terra], ved. Vorwärts, n. 43, p.1, colonna 3. in fine)”. [25 febbraio 1895, Antonio Labriola a Friedrich Engels]. [da: Antonio Labriola. Lettere a Engels. Biblioteca del Movimento Operaio Italiano, edizioni rinascita. 1949, p123, p194 e p 196].
[16] Spencer M. Di Scala. Benito Mussolini, i riformisti e la Grande Guerra, da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 116.
[17] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 92.
[18] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 95.
[19] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 96.
[20] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p97.
[21] Marco Gervasoni. Mussolini: un sindacalista rivoluzionario? da Mussolini socialista a cura di Emilio Gentile e Spencer M. Di Scala. Editori Laterza, 2020, p 81.
[23] B. Mussolini. Il partito socialista in un libro di Colajanni, in La Soffitta, 15 giugno 1912. [da: Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019. p 75].
[24] Emilio Gentile. Le origini dell’ideologia fascista. 1918-1925. Edizione Il Mulino. 1996, ristampa 2019. p 81.
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