Il patto di pacificazione: tra calcolo politico e commedia - Parte I -

 


 

Il 1921 è stato un anno ricco di avvenimenti, abbiamo già dedicato, anche per ragioni commemorative, un articolo alla scissione di Livorno[1], che avveniva proprio nel gennaio del 1921. Abbiamo anche già dedicato un articolo al fenomeno fascista che proprio nel ‘21 esplodeva diventando verso la sua fine il partito-milizia[2]. Mentre la classe politica del movimento dei lavoratori attraversava un periodo così intenso, i lavoratori veri e propri erano sotto la più violenta repressione di classe per mano fascista. Questo articolo non ha l’ambizione di essere esauriente dal punto di vista storico; si è cercato qui di basarsi su testi indubbiamente riconosciuti, anche agli addetti ai lavori, come esaustivi nel loro genere. Ad ogni modo il fine ultimo di questo articolo è una valutazione politica, nostra, in quanto socialisti marxisti internazionalisti, dopo cento anni dai fatti.   

Perché mai il Partito Socialista Italiano e il movimento dei Fasci Italiani di Combattimento hanno firmato un patto di pacificazione il 2 agosto del 1921?

È comprensibile che pensare al solo concetto di pacificare il socialismo con il fascismo sia per molti, ancora oggi, come pensare di pacificare Cristo con l’Anticristo. Poi se si affronta questo argomento canonicamente con un impianto comunista filo-togliattiano, è più che normale che si fatichi a superare questo anatema. Per poter capire perché si parli per l’appunto di pacificazione è necessario affrontare il tema dell’ambivalenza fascista del 1921 e soprattutto della connivenza del governo liberale con questo movimento reazionario.

Etimologia

Etimologicamente il termine “fascismo” deriva probabilmente dal circolo operaio e omonima rivista, Il Fascio Operaio, fondato dagli internazionalisti anarchici emiliano-romagnoli, tra i quali Andrea Costa, appena dopo la Comune di Parigi nel 1871[3]. Il termine, che trae origine dalla Rivoluzione francese, fu utilizzato anche dai radicali che nel 1879 costituirono sempre a Bologna il Fascio della democrazia, con il quale si intendevano raccogliere candidati socialisti e repubblicani. Di questo fascio faceva parte sempre Costa, destando non poche perplessità tra i socialisti italiani[4]. L’omonimo Fascio Operaio (1883-1890), fu anche l’organo del Partito Operaio Italiano (POI)[5], sul quale scriveva l’internazionalista evoluzionista Osvaldo Gnocchi-Viani[6]. Nel novembre del 1889, in occasione delle elezioni amministrative di Milano, venne costituito il Fascio dei Lavoratori, che organizzava 19 società operaie, tra le quali la Confederazione milanese del POI e la Lega Socialista milanese di Turati, contando circa 6000 lavoratori[7]. Il termine, fascio, passava da una connotazione radicale-repubblicana ad una anarco-operaista e si incominciava a usare per indicare una organizzazione di lavoratori. Non è un caso che tra il 1891 e il 1893 si vennero a costituire, molto rapidamente, in Sicilia, i Fasci siciliani dei Lavoratori[8]; organizzazioni di contadini e operai che seguivano il filone degli operaisti di Milano, ovvero del Fascio dei Lavoratori, che ormai si era unito alla Lega dei Socialisti[9] nel Partito dei Lavoratori Italiani (1892); quello che sarà poi chiamato Partito Socialista Italiano (PSI).

Il termine fascio, legato fino ad allora ad un certo sindacalismo rivoluzionario, figlio dell’operaismo degli anni ‘80, riemerse con la nascita dell’interventismo intransigente di sinistra, alla fine dell’estate del 1914. Solo quattro mesi prima de “l’articolo-svolta” sul neutralismo attivo e operante[10], Mussolini, nel giugno del 1914 era, stato impegnato, ma a distanza, da Milano, nella campagna dell’Avanti!, del quale era il direttore, a favore dei moti della “settimana rossa[11]. La linea pro-insurrezionale tenuta da Mussolini, ma in realtà tenuta dalla Direzione intransigente del PSI, e diffusa da Mussolini tramite l’Avanti!, era in quel frangente molto vicina a quella dell’Unione Sindacale Italiana (USI), sindacato anarco-operaista, guidato tra gli altri da Filippo Corridoni e Alceste De Ambris, in opposizione polemica con la linea tenuta dalla Confederazione Generale del Lavoro (CGdL)[12]. Un mese dopo, nell’agosto, la dirigenza dei sindacalisti rivoluzionari dell’USI in un comizio[13] a Milano si espresse a favore della union sacrée[14], ovvero la coalizione di difesa nazionale francese, e quindi a favore dell’intervento al fianco della Francia. Corridoni, allora in carcere, confermò il suo consenso, a De Ambris, e il 6 settembre, appena rimesso in libertà, lo espresse pubblicamente[15].  Quindi i dirigenti dell’USI di Milano redassero, proprio in ottobre, il manifesto dei Fasci rivoluzionari internazionalisti[16] e, dopo diversi appelli, anche molto diretti, al direttore dell’Avanti!, di esprimere pubblicamente il suo filo-francesismo, proprio a metà ottobre, anch’egli si allacciò a questo filone fondendo ai Fasci rivoluzionari internazionalisti i Fasci d’Azione rivoluzionaria interventista. Da questo punto alla parola fascio verrà associata una componente antisocialista, ovvero contro la linea politica del PSI, e patriottica. Ecco che ritroviamo questa parola dopo la disfatta di Caporetto, quando al Governo, nel dicembre 1917, una frazione si costituisce in Fasci d’Azione nazionale parlamentare, allo scopo di unire la Patria nello sforzo bellico di difesa dei confini nazionali e soprattutto combattere il nemico interno, quello che, secondo loro, aveva deviato gli animi dei soldati con il suo disfattismo pacifista, ovvero il solito capro espiatorio rappresentato dai socialisti.

La cosa notevole è quindi che nel termine fascio coesistevano già da questo momento, due concetti, quello legato alla tradizione delle rivendicazioni operaie e contadine, vedi i Fasci dei Lavoratori e quello antisocialista della difesa della patria. Probabilmente la forte componente antisocialista alla parola fascio è proprio dovuta a Mussolini e il suo Popolo d’Italia, che oramai si rivolge ai combattenti e chiama il PSI in modo dispregiativo “pus”.   

Il 23 marzo del 1919, come è ormai ben noto, vengono fondati in piazza San Sepolcro a Milano, i Fasci Italiani di combattimento. Questo movimento ha ancora una matrice che si rifà alla tradizione operaista e sindacalista, come visto, ma anche all’interventismo della sinistra intransigente. Quindi è un movimento vicino agli ex-combattenti, ai reduci, e contro i partiti, soprattutto quello socialista, così come è contro il Governo, incompetente, che non riesce ad ottenere le terre per le quali i soldati si sono battuti, che non li ha né premiati né commemorati. Questo è spiegato in modo chiaro da Giovanni Zibordi su un articolo apparso su Critica Sociale e scritto già in giugno [17]. Zibordi nota gli spostamenti sociali, soprattutto quelli in negativo determinati dalla guerra, sulla classe media, e i molti che non riuscivano a reinserirsi nel tessuto sociale. I Fasci sono un minestrone di correnti già attive che usano volentieri il Popolo d’Italia come cassa di risonanza. Popolo d’Italia che, dopo la campagna interventista e con la fine della guerra, deve reinventarsi anche per poter mantenere la vita agiata alla quale si è abituato il suo direttore e padrone.  

 

L’arditismo e il rifare l’Italia

A guerra ancora in corso gli Arditi[18], o meglio alcuni arditi legati al movimento futurista, con la rivista Roma futurista lanciano appelli per la ricostruzione del paese manu militari, per spazzare il vecchio sistema, marcio e corrotto[19].  Nasce nel gennaio del 1919 l’Associazione fra gli Arditi d’Italia (AAI), ad appena un mese dalla fine della guerra, con finalità apparentemente mutualistiche, la cui sezione milanese, costituita da Ferruccio Vecchi, ruotava in effetti attorno al Popolo d’Italia[20]. Giusto per anticipare il dolente tema della connivenza con le forze dell’ordine, fondare un’associazione degli arditi infrangeva il regolamento militare, ma a Mario Carli, fondatore dell’Associazione, verranno inflitti soli dieci giorni di rigore, e addirittura il Ministro della Guerra, il generale Enrico Caviglia, si sentirà in obbligo di ricevere il Carli, quasi fosse stato costretto a prendere quel provvedimento. Il generale dichiarava la sua approvazione alla creazione dell’Associazione degli Arditi, come ricordò più tardi: “queste truppe, eccezionali in guerra, non avevano ragione di esistere in pace, onde io, come comandante d’Armata, avevo dato parere favorevole per il loro scioglimento, allorché me ne pervenne la proposta dal loro comandante, generale Grazioli. Ma quale Ministro della Guerra vidi la necessità di conservarle. Nei momenti politici torbidi, che stava attraversando l’Italia, essi costituivano una forza utile nelle mani del Governo, perché erano assai temuti per la loro tendenza all’azione rapida e violenta. Sciogliendoli, sarebbero passati a rinforzare i partiti rivoluzionari.”[21]

Come i carabinieri nelle trincee avevano sparato contro i soldati che si rifiutavano di andare all’assalto , come le forze di pubblica sicurezza e l’esercito avevano represso nel sangue i moti di Torino nel 1917, come l’esercito, e ancora i carabinieri e la Guardia Regia, erano ormai una costante nella repressione di qualsiasi dimostrazione di disagio economico e sociale da parte della popolazione, così anche gli Arditi, i Futuristi, gli studenti[22] patrioti, si sentivano in diritto di sistemare una volta per tutte i “disfattisti” e soprattutto i rossi bolscevichi. Quindi gli episodi proto-squadristi, come li chiama Luigi Balsamini, dell’assalto di nazionalisti, arditi, futuristi al comizio sulla questione dei confini di Leonida Bissolati[23] nel gennaio 1919 e dell’attacco, nell’aprile 1919, al corteo socialista in centro a Milano e della consecutiva distruzione dell’Avanti!, ai quali aggiungiamo la bomba lanciata il 17 novembre contro la folla socialista festante per la vittoria elettorale del PSI[24],  creano il modus operandi dello squadrismo del 1920 e soprattutto 1921.  

Gli Arditi, quindi, hanno dalla loro l’esperienza e l’organizzazione militare, l’odio per gli “imboscati”, ovvero quelli che erano rimasti a casa: molti operai, i contadini più anziani, la classe dirigente, cioè il Governo; per i nemici della patria, i disfattisti, ovvero i socialisti, per alcuni versi i popolari, per i “pescecani”, ovvero gli arricchiti grazie alla guerra, ma soprattutto coltivavano il culto della violenza[25], ovvero il concetto di proseguimento della guerra.  Come chiaramente espresso da Luigi Balsamini “Vengono così a trovarsi al fianco del nascente movimento fascista, ovvero di quel fascismo diciannovista che si presentava come antipartito, formula che serviva a evitare «i tranelli mortali della coerenza» e a sottolineare la tensione verso l’azione contro l’adeguamento ai tempi lunghi della politica […][26]

Un altro elemento chiave del primo dopoguerra fu la serie di ammutinamenti e insubordinazioni[27] che afflissero l’esercito. Uno fra tutti quello dove diversi ufficiali dell’esercito e i loro battaglioni si ammutinarono per imbarcarsi nell’impresa fiumana; un’impresa che dopo essere passata per le mani di diversi ufficiali fu raccolta dal poeta-guerriero, già cinquantaseienne. Con l’impresa di Fiume gli Arditi considerano e nominano D’Annunzio il loro Presidente onorario. Mentre Mussolini millantava supporto a D’Annunzio, soprattutto a parole, tramite il Popolo d’Italia[28], a partire dai fatti di Roma e Trieste nell’estate del 1920[29], gli si presentò la chiara opportunità di negoziare, con Giolitti, una crescente influenza politica proprio con la promessa di scollegare, almeno militarmente, le emergenti squadre fasciste in Italia dai Legionari di Fiume. Coerentemente, quindi, molti Arditi si allontanarono dal fascismo proprio per la posizione ambigua e opportunista presa da Mussolini su Fiume, anche se “la sezione di Milano continuò a intrattenere per tutto il 1920 stretti contatti con Mussolini[30].

Durante l’ammutinamento di Ancona a fine giugno 1920, le agitazioni dei ferrovieri, e poi le occupazioni delle fabbriche, Mussolini era rimasto guardingo, pronto a mostrare solidarietà alla causa operaia[31], e allo stesso tempo ad auspicare l’avvento del governo Giolitti per frenare l’ondata socialista; e per questo cercare di convincere D’Annunzio a ragionare. Il Governo Nitti, che dopo le elezioni generali del novembre 1919, era rimasto al potere fino al maggio 1920, era ormai in piena crisi, e il suo secondo esecutivo durò soli 25 giorni: dal 15 giugno si passò al Vo Governo Giolitti. De Felice nota che “tra luglio e settembre l’evolversi a destra dei Fasci fece passi da gigante[32]. Si misero a completa disposizione delle autorità contro i socialisti. Sempre nel luglio del ‘20 vi fu il passaggio dei Fasci dalla UIL[33] ai sindacati nazionali, questo per togliere più lavoratori possibili dall‘influenza socialista. Fabio Fabbri, come già riportato altrove, osserva che “in realtà tra il Concordato del 19 settembre e l'amara conclusione dello sgombero delle fabbriche (completatasi a fine del mese), una serie di episodi appare decisiva non solo per interpretare «stati d'animo» contrastanti, ma anche per comprendere le ragioni della saldatura tra lo squadrismo agrario nelle campagne emiliane e le frange della reazione antisocialista nei centri urbani.”[34]. Quando le rivendicazioni operaie si tramutarono in occupazione innescata dalle serrate, allora Mussolini e il Popolo d’Italia si dichiararono contro l’occupazione, definita “esperimento bolscevico”. Il 6 settembre la Commissione Esecutiva dei Fasci Italiani di Combattimento invitava tutti i Fasci “a tenersi pronti per compiere sino all’ultimo il loro dovere nel caso che il movimento degenerasse in un tentativo di aperta rivolta per instaurare la dittatura dei politicanti parassiti del Partito Socialista Ufficiale[35].

Il 10 ottobre 1920 si tenne a Reggio Emilia un Convegno della frazione riformista, che si era nominata «concentrazione socialista». La loro intenzione non era quella di fondare un altro partito riformista, ma il loro desiderio di unità e il tentativo di elaborare una strategia contro il diktat dei 21 punti di Mosca, che voleva la loro espulsione. Nel Convegno i riformisti si opponevano alla linea politica del socialismo di guerra, che era per la violenza, dietro alla quale non c’era un concreto programma di costruzione del socialismo, ma mera vendetta contro la borghesia. I riformisti dichiaravano, come del resto tutti gli altri, morta la Seconda Internazionale, che non aveva saputo unire il proletariato davanti alla guerra. Quindi si dichiaravano favorevoli all’adesione alla Terza Internazionale purché questa non soffocasse le autonomie vive all’interno del movimento socialista e non si alleasse con gli anarchici. Altro punto di divergenza era sull’uso della violenza, che per la concentrazione non poteva che essere ultima risorsa, e infine sulla dittatura del proletariato, concepibile per i riformisti solo quando il passaggio al socialismo fosse stato già maturo e alla quale si sarebbe potuto ricorrere solo per vincere resistenze esteriori[36].

Il ritorno di Giolitti e l’accordo con Mussolini

In merito al ritorno di Giolitti al governo è documentato che Mussolini ne avesse avuta voce già prima, ovvero il 17 maggio, ai tempi del secondo breve governo Nitti. Seppe, da buon politicante, aggiustare il tiro in confronto alla campagna interventista del 1915, per far passare il “vecchio” antinterventista come il male minore. Seppe anche, ipocritamente s’intende, accogliere “senza” pregiudizi i ministri Bonomi, Arturo Labriola e Croce “sommo filosofo e geniale storico” del quale, solo cinque anni dopo, dichiarerà falsamente di non aver letto nulla[37]. I governi liberali si basarono su coalizioni molto deboli. I partiti più forti dal punto di vista elettorale erano stati quello socialista con il 32% e quello popolare con il 20% dei consensi, ma non potendo formare una coalizione per motivi ideologici, il governo andava ai liberali che rappresentavano i notabili e l’alta borghesia. Giolitti avrebbe voluto stabilizzare il suo governo con la collaborazione dei socialisti riformisti di Turati. Questo non sarebbe stato impensabile, ma, se si considera l’enorme dibattito che attraversò il socialismo internazionale dal caso Millerand, 1899, alla risoluzione Kautsky e, ancora, la salita al Quirinale di Bissolati nel 1911 con conseguente espulsione, si comprende come sarebbe stato un avvenimento storico. Ma Turati anche dopo la scissione di Livorno, nel gennaio del 1921, non accettò di entrare nel Governo. Quando Giolitti non vide la strada socialista riformista percorribile, propese per la politica dei Blocchi Nazionali. Ma la situazione per i Fasci cambierà diametralmente tra l’autunno del 1920 e la primavera del 1921.  Ancora ad ottobre durante il Consiglio Nazionale dei Fasci, Mussolini si espresse contro la partecipazione al Blocco elettorale alle imminenti amministrative, e addirittura contro la presentazione alle elezioni. De Felice asserisce che Mussolini non volle partecipare alle elezioni amministrative, più che per paura di perdere come nel ‘19, per non mostrare l’effettivo consenso ma soprattutto per non creare un problema a Giolitti, il quale dal canto suo puntava sulla neutralità di Mussolini su Fiume, e quindi delle bande armate di Trieste e della Venezia Giulia, così da chiudere la partita senza che vi fossero troppe ripercussioni in Italia[38].  Angelo Tasca invece ritiene che per Mussolini la partecipazione dei fascisti avrebbe aumentato la probabilità di vittoria degli avversari. I socialisti ottennero 2162 Comuni su 8059 e 25 province su 69, conquistando la maggioranza dei Comuni in Emilia e Toscana, dove si scatenò da lì a poco la reazione squadrista[39].

Con la sua reazione al Trattato di Rapallo, il 12 novembre 1920, Mussolini dovette scoprire le carte e convincere il resto dei Fasci che questa era “la soluzione […] migliore fra quelle che [erano] state progettate”. Questo fu un ovvio voltafaccia per i fiumani, De Ambris e lo stesso D’Annunzio, quest’ultimo sempre e continuamente incensato dal Popolo d’Italia. Sul da farsi in merito alla Dalmazia, i Fasci si divisero in quanto Mussolini era per l’osservanza del patto di Rapallo. In questo si scontrò anche con i nazionalisti italiani che a sua detta erano imperialisti, monarchici, mentre il fascismo era espansionista e al di sopra della monarchia. L’intervento dei Fasci di Trieste fu richiesto direttamente da D’Annunzio, ma il Comitato Centrale fascista rispose sempre con cordiale ipocrisia che non era il momento, mentre Mussolini fungeva da informatore di Giolitti tramite il Prefetto Lusignoli. Quando De Ambris si recò a Roma per gli ultimi disperati negoziati fece tappa a Milano per pregare Mussolini a prendere parte alla causa fiumana e dalmata, e per fare un colpo di Stato basato sulla Carta del Carnaro, concepita dallo stesso De Ambris, sindacalista rivoluzionario di vecchia data come abbiamo visto. E qui Mussolini risultò freddo, scettico e contrario. De Ambris allora fece presente della “mancata divulgazione dello spirito innovatore della Carta del Carnaro da parte del Popolo d’Italia[40]. Ovviamente allo stesso tempo dato il “vento di rivolta” che tirava anche nel Comitato Centrale dei Fasci, Mussolini aggiustò il tiro dichiarando che il trattato di Rapallo era “sufficiente ed accettabile per il confine orientale, insufficiente per Fiume, inaccettabile per la Dalmazia[41]. Mussolini da un lato esprime sempre critiche al Governo Giolitti soprattutto sulla politica estera per non passare da traditore, si ricordi che ne aveva la fama, ma si affretta, dall’altro lato, a rassicurare l’assistente di Giolitti dei suoi veri piani, ovvero staccare i fascisti da D’Annunzio e dall’impresa di Fiume. Mentre Mussolini è occupato a fare diventare i Fasci un movimento d’ordine a tutti gli effetti, montano le violenze squadriste nelle campagne.

Possiamo quindi passare al secondo aspetto che aveva caratterizzato il termine fascio in passato, ovvero le lotte contadine, del 1893. I Fasci agrari però nonostante a parole si battessero per dare ad ognuno la propria terra erano in effetti il braccio armato dell’Agraria, e questo andava a cozzare con quel fascismo anarco-sindacalista patriota e combattentista impiantato da Mussolini a Milano. Se Giolitti si era “accordato”[42] con Mussolini di tener sotto controllo i Fasci più irredentisti, manipoli di giovani ex ufficiali organizzavano nelle città agricole, Bologna, Ferrara, Modena, delle vere e proprie bande armate da mettere al servizio degli Agrari, e questo fenomeno stava crescendo sotto il marchio fascista. Questo fatto era molto tollerato dalle forze dell’ordine a prescindere dalle disposizioni governative che furono però, inadeguate, probabilmente proprio perché come era stato incanalato il fascismo urbano così si pensava che si sarebbe potuto incanalare anche il fascismo agrario. Ma il fascismo squadrista agrario non era invischiato in questo accordo con Giolitti e si poneva come movimento rivoluzionario contro i “rossi” così come contro l’Autorità dello Stato “inservilita, invigliacchita, marcia nelle midolla[43].

 

Le lotte agrarie e il dopoguerra

Le violenze fasciste continuarono per tutta la prima parte del 1921. Queste erano principalmente spedizioni punitive ai danni di Leghe Contadine, Camere del Lavoro e Cooperative di consumo. Gli squadristi aggrediscono sindaci e amministratori socialisti, a volte uccidendoli. Mussolini alternava dichiarazioni di vendetta contro i socialisti con dichiarazioni di tregua, solo in vista alle inevitabili elezioni. A marzo era già chiaro che i nazionalisti e i fascisti avrebbero formato una coalizione con i liberali giolittiani. Oltre all’occupazione delle fabbriche dell’estate 1920, abbiamo una lunga storia di lotte nei campi. Sarebbe errato pensare che la lotta nei campi fu ristretta al 1920 e 1921. Questa proveniva da lontano ma grazie alle vittorie dei sindacati, di Federterra, delle varie Leghe socialiste anche con (o contro) la sinistra repubblicana, che soprattutto in Emilia-Romagna era dalla parte dei mezzadri, il potere contrattuale dei contadini giornalieri salì di gran lunga e, principalmente grazie alla organizzazione di bande armate, i grandi, medi e piccoli proprietari ora la potevano contrastare. Bande armate organizzatesi non necessariamente sotto la bandiera fascista, inizialmente, ma sempre con beneplacito delle istituzioni. Ad ogni modo le occupazioni delle terre avevano raggiunto il loro apice nella primavera del 1920, coinvolgendo 27 mila ettari, ovvero, un’estensione pari a metà circa del Lazio[44]. Il Governo con il decreto Visocchi aveva incentivato l’espropriazione temporanea delle terre incolte o mal coltivate a favore dei contadini ex combattenti. Allo stesso momento nonostante nell’estate del 1919 si era andata a formare la Lega Proletaria fra Mutilati e Reduci di Guerra, proprio atta a contrastare queste misure del Governo, e nonostante fosse presente nella CGdL un programma a favore degli ex-combattenti, questi di fatto erano stati severamente esclusi dal partito socialista per il loro passato interventismo. Questo atteggiamento duro nei confronti degli ex-combattenti fu una causa importante della loro adesione al fascismo[45].  Le Leghe contadine non solo avevano ottenuto delle vittorie sindacali ma in alcune regioni, come l’Emilia, controllavano il mercato del lavoro. Chi accetta di lavorare per un salario più basso lavora però tutto l’anno. Mentre chi non fa parte delle Leghe rosse viene boicottato dall’intera comunità. “Certe Camere del Lavoro, come quelle di Bologna, di Reggio Emilia, di Ravenna, controllano quasi tutta la vita economica della provincia. Hanno organizzato i salariati, i piccoli coltivatori, i coloni; decisone il prezzo delle derrate che distribuiscono in un gran numero di comuni attraverso la rete delle cooperative e del socialismo municipale.”[46]. Vi erano degli eccessi anche da parte delle leghe rosse che però molto raramente portavano a uccisioni. Erano principalmente azioni contro il crumiraggio. Ma vi era una componente importante della popolazione rurale alla quale non stava bene la collettivizzazione delle terre. Questi erano i piccoli coltivatori, gli affittuari, molti mezzadri. Per loro il sogno era di avere ognuno la sua terra. “La terra a chi lavora” o “ognuno la sua terra” erano gli slogan usati dal fascismo agrario. Si andò formando dopo la guerra “un desiderio sempre crescente di rivincita e di farla finita con le Leghe”. I primi a organizzarsi furono gli affittuari, i fattori, i medi e soprattutto i piccoli proprietari che avevano potuto acquistare la terra con i guadagni del tempo di guerra e ora ne vedevano messo in forse il possesso.[47] Altro problema fu che le Leghe rosse non ebbero “uno sbocco politico[48], non riuscendo così a consolidare le proprie conquiste[49]. Angelo Tasca osserva che “L’organizzazione «rossa»» è onnipotente solo grazie al monopolio: quindi basta che in una località un gruppo di salariati ceda alla prospettiva di poter lavorare tutto l’anno o di possedere un pezzo di terra, perché gli agrari abbiano partita vinta, poiché il sistema non regge più[50]. Emblematico anche il fatto che gli agrari non temevano i socialisti massimalisti o i comunisti rivoluzionari, ma le istituzioni create dai riformisti[51].

Alla fine del 1919 con la scadenza dei patti colonici, la Federterra bolognese aveva elaborato nuovi contratti con l’idea di colpire la mezzadria. La situazione portò a gravi scontri, perdita del raccolto per 70-122 milioni di lire e la requisizione del raccolto da parte dello Stato. Nonostante ciò, nell’ottobre 1919 la Federterra bolognese ottenne la firma dei contratti, ma fu la sua ultima vittoria[52]. Intanto con la smobilitazione, gruppi coesi di commilitoni, che si sentivano traditi dal governo, che faticavano a reinserirsi nel tessuto sociale e che avevano notato la tendenza degli agrari ad assoldare piccole squadre di difesa private, vere e proprie bande armate per contrastare con la forza i lavoratori braccianti e le loro organizzazioni, affluirono in queste milizie private. Emulando, per altro, quello che il Governo andava facendo con le Guardie Regie nei centri urbani. I piccoli, medi e grandi proprietari si cercarono di organizzare sul modello meridionale, ovvero con squadre di «mazzieri», ed emersero varie Associazioni antisocialiste, ma senza riscuotere grandi successi. Con la fine dell’occupazione delle fabbriche, nel settembre 1920, però il Fascio bolognese, che fino ad allora non aveva nessuna attività rilevante, si riempì di ex combattenti, di piccoli proprietari, e dopo i fatti di Palazzo d’Accursio[53], vi fu una grande affluenza di persone. Questi nuovi “fascisti” si ricollegavano idealmente, o meglio formalmente, ai fasci di combattimento e al movimento reducista degli Arditi, ma allo stesso tempo non avevano molto a che fare con esso. Secondo De Felice, “senza Mussolini il fascismo agrario si sarebbe, esaurito il suo compito di «guardia bianca» della borghesia, sgonfiato e sarebbe stato riassorbito in breve nei tradizionali partiti «d’ordine». Senza di esso Mussolini non avrebbe però potuto portare avanti il suo gioco politico e non sarebbe potuto arrivare al potere[54].

Alle elezioni amministrative di fine ottobre 1920 a Bologna vinsero i socialisti con il 58%. Il neoeletto sindaco Elio Gnudi si sarebbe dovuto insediare il 21 novembre e il Fascio di Bologna, assoldato dagli agrari proprio per le elezioni amministrative, e che già aveva attaccato la Camera del Lavoro il 4 novembre, organizzò una “retata” al palazzo comunale, preannunciata da un manifesto del 19. Domenica 21, 300 fascisti bolognesi si recarono in Piazza Maggiore scortati dalle forze di Pubblica Sicurezza. Quando il neosindaco si affacciò dal balcone di palazzo D’Accursio, cominciarono i disordini, iniziarono gli spari, molto probabilmente da parte delle forze dell’ordine e dei fascisti, e il lancio di bombe da parte delle Guardie Rosse, provocando 17 morti e 50 feriti, pressoché tutti socialisti.  Anche nella sala del Consiglio vi fu una sparatoria: un consigliere comunale della minoranza, Giulio Giordani, rimase ucciso. Furono arrestati 331 socialisti e nessun fascista[55].  Questo stato di cose portò al dilagare dello squadrismo fascista che si accentuò, grossomodo, dal novembre del 1920. Quotidianamente l’Avanti! riporta le violenze fasciste che dall’Emilia si allargano in Toscana, Veneto, Lombardia. Una prima spedizione punitiva viene registrata il 28 dicembre quando si parla di una eventuale azione per andare a stanare i rifugiati di Ancona e Bologna. Qui un chiaro esplicito nesso tra le squadre fasciste e l’Agraria bolognese viene fatto[56]. Mentre a Roma il Gruppo Parlamentare del PSI ha già promosso una mozione sulla politica interna del Governo, “obbligandolo ad intervenire nella forma pacificatrice di una inchiesta parlamentare[57]. Ma il peggio deve ancora venire: le violenze dei fascisti bolognesi si espandono nel ferrarese[58], dove chiaramente la Camera del Lavoro e la Federazione Socialista dicono ai compagni di stare al loro posto e di opporre ai fascisti la forza collettiva “nei modi e con le discipline che saranno per essere concretate[59]. Questo purtroppo è solo l’inizio e gli incidenti si ripetono quotidianamente[60]. Scrive Tasca: “E’ impossibile comprendere gli avvenimenti italiani, se non si riesce a misurare, con una certa approssimazione, l’ampiezza del fenomeno e se non lo si segue nella sua esplosione e diffusione territoriale[61]. In un anno, che va dalla fine del 1920, ovvero l’inizio della violenza sistematica dello squadrismo nelle campagne, alla fine del 1921, ovvero la costituzione del Partito Nazionale Fascista, gli iscritti erano aumentati di 10 volte passando dai 20.000 ai 200.000. Cifra importante soprattutto se si osserva che gli iscritti al PSI al Congresso di Livorno erano similmente attorno ai 200.000[62]. Nel marzo del 1921 i Fasci erano già 317 con 80.476 iscritti, in aprile 417 con 98.399 iscritti e a maggio dopo le politiche vi erano 1.001 Fasci con 187.098 iscritti [63]. Sempre De Felice riporta la stratificazione degli iscritti, mostrando come più della metà, il 57,5%, erano ex combattenti[64], dei quali erano lavoratori della terra il 24,3% e agricoltori (grandi, piccoli, medi proprietari e fittavoli) il 12,0%, quindi più di un terzo degli ex combattenti iscritti. Sulla composizione delle squadre fasciste uno spaccato topografico molto efficace viene dato, in tempo reale, dal socialista Giovanni Zibordi, il quale nota come fosse fondamentale la natura dualistica del fascismo squadrista, ovvero il centro urbano della borghesia emergente, sostenuta da molta gente politicamente a colore sbiadito, e la borghesia rurale, spesso residente in queste città, contro il circondario rurale bracciantile, socialista, che a maggioranza manda al Comune un sindaco socialista. Nota Zibordi, inoltre, anche il pretesto prestato a tali classi medie dai socialisti e comunisti rivoluzionari con i loro atteggiamenti estremisti, rivoluzionari solo a parole, si intende[65]. Altrove sottolinea come quella fascista sia la riscossa agraria borghese bottegaia[66].

Il dibattito parlamentare sui fatti di Bologna e il dilagare delle violenze squadriste

Il nocciolo almeno per molte zone dell’Emilia-Romagna è il rinnovo dei patti colonici[67], che soprattutto dopo la vittoria di Pirro degli operai con l’occupazione delle fabbriche della primavera ed estate del ‘20, ma di fatto la più palese sconfitta, incentiva gli agrari a non rinnovare i contratti e riprendersi questo e quello. Come a Bologna anche nel ferrarese e nel reggiano[68] la violenza fascista non cenna ad attenuarsi per tutto il mese di gennaio[69].  In merito a queste violenze la Direzione del partito socialista constata, il 25 gennaio, che queste “sono i prodromi di una vera e propria guerra civile che la borghesia va organizzando in tutti Italia; riconosce che il governo di Giolitti, sotto la maschera dell’instauratore dell’impero della legge, è complice se non eccitatore delle violenze; invita il Gruppo Parlamentare socialista a portare la questione alla Camera per chiarificare le ragioni profonde delle presenti asprissime lotte e con significato preciso di colpire direttamente il Governo, e chiama il partito, le organizzazioni, il Proletariato a prendere, senza provocazioni né iattanza una risoluta posizione di difesa contro qualsiasi ulteriore violenza[70]. Tra questa dichiarazione e l’apertura dei lavori della Camera dei deputati il 26 gennaio, i fascisti riescono a rifilare ancora una serie di attacchi, a Firenze e a Cecina[71]. Il 27 arriva quindi l’interpellanza e la protesta parlamentare da parte dei socialisti, per voce dell’on. Lollini[72].  Alceste Della Seta, socialista di vecchia data e ora passato al Partito Comunista d’Italia, interviene sull’inchiesta parlamentare sulle violenze fasciste[73], con una controrelazione a quella presentata dall’on. Giuffrida.  

Il Governo e i bolscevichi erano quindi messi sullo stesso piano e loro, secondo i fascisti squadristi emergenti, avevano voluto la guerra civile, nulla di più falso, ovviamente, ma questo fu lo spirito con il quale i fascisti si armarono per le loro spedizioni punitive, però solo contro i bolscevichi, non contro il Governo. È evidente da quanto Lusignoli il 26 gennaio scrivesse a Giolitti, ossia che il Comitato Centrale dei Fasci di Combattimento avesse ben poco controllo sui Fasci ferraresi, bolognesi ecc., e che comunque tale “forma civile” di violenza era rivolta alle provocazioni socialiste e si sarebbe estesa in tutto il Regno se necessario. È proprio nel contesto delle aspre lotte sindacali tra il padronato, grandi, medi e piccoli proprietari (così come una larga quota dei mezzadri, ovvero gli affittuari dei campi, e parte dei braccianti che non rientravano nel sistema delle Leghe socialiste) e le Leghe socialiste e Federterra appunto che si parla di pacificazione. Ovvero la tregua tra le violenze ormai dilaganti nelle campagne e le violenze rosse. Già il 27 gennaio, infatti, Mussolini pubblicò un articolo sul Popolo d’Italia:Fascismo e «PUS». A quali condizioni la tregua?”. Al contrario del sentimento degli squadristi e della effettiva realtà delle cose, Mussolini si dichiarava disposto ad accettare la “tregua” proposta dai socialisti a patto che questi “cessassero […] di calunniare i fascisti come assoldati dei pescecani, cessassero di presentarli come sicari degli agrari, cessassero di vomitare vituperi contro di essi” e loro i fascisti che sono “attrezzati perfettamente per la guerra” avrebbero preso in considerazione la pace. De Felice delinea due chiari motivi per i quali Mussolini fosse più possibilista verso la pacificazione. In primo luogo, da fonte certa, era noto che in quel periodo, soprattutto dopo il voltafaccia a D’Annunzio, il Popolo d’Italia aveva subito un calo di abbonati considerevole e altri problemi finanziari dovuto alla mala amministrazione di Morgagni. In secondo luogo, si era diffusa la voce di un possibile accordo tra socialisti e Giolitti, di cessare gli scioperi in cambio della repressione dei Fasci. Questo secondo De Felice fece tenere a Mussolini una linea filo-giolittiana[74]. Ma Mussolini e il Comitato Centrale non avevano un grande controllo sugli squadristi giuliani, emiliani, toscani e padani che erano decisamente dannunziani e antigiolittiani[75]. Il 30 gennaio 1921 Giulio Seganti sul Popolo Nuovo, giornale popolare scriveva:

Se il Governo invece di continuare a dare una specie di tacito mandato al fascismo per la difesa delle città e delle campagne dalla violenza rossa , si fosse , al momento opportuno, sostituito all'iniziativa fascista e alla spontanea reazione cittadina e avesse, con la sua autorità e con le debite forme legali, compiuto né più né meno la sua funzione di tutela dell’ordine pubblico, il fenomeno emiliano della lotta tra fascismo e socialismo non avrebbe dilagato, come sta dilagando, in tutta Italia, e non sarebbe divenuto un generale stato d'animo pericoloso e cioè una morbosa psicologia nazionale. Ma non è improbabile che questa inerzia del Governo di sostituire la sua normale funzione a quella anomala di una fazione politica (del fascismo, cioè) abbia sua ragion d'essere, voglia essere in certo senso, machiavellica abilità del governo: quella cioè, per cui, lasciando al fascismo l'iniziativa e la parte prima nella lotta contro il massimalismo anarcoide, il governo possa continuare a godere i favori e di simpatie del gruppo parlamentare socialista e dei massimalisti di tutta Italia. Il Governo, invece, verso il massimalismo in tutte le gradazioni continua a fare… della diplomazia, la quale pretende di addomesticare il nemico vezzeggiandolo. Ultimo sintomo di queste diplomatiche intenzioni dell'on. Giolitti verso i socialisti è costituito dal progetto sul controllo operaio nelle aziende industriali[76].

Dopo la mozione Lollini sulle responsabilità del Governo, il 31 gennaio, la mozione Matteotti rinnovava le accuse al Governo e a Giolitti. Il celebre discorso di Giacomo Matteotti alla Camera non fa altro che dire in faccia a Giolitti ciò che tutti già sanno e pensano. Lo Stato usa due pesi e due misure. Come accusava Giolitti, Matteotti in linea di principio avrebbe potuto accusare Nitti e prima di lui Vittorio Emanuele Orlando, ma il fascismo nel 1918 non si era ancora costituito e nel 1919 faceva parte di una varietà di forze patriottiche. Se Matteotti aveva perfettamente ragione nel rivolgersi a Giolitti in quanto capo del Governo, questo non significava che Giolitti fosse necessariamente filofascista. Nota De Felice che, nonostante non si possa negare la connivenza tra forze dell’ordine e squadre fasciste, è difficile imputare a Giolitti una volontà di gettare l’Italia nella guerra civile, cosa per altro anche osservata dalla Kuliscioff il 29 gennaio in una lettera a Turati e il 6 marzo a Treves[77]. Una possibile collaborazione tra Giolitti e i socialisti è confermata da un’altra lettera della Kuliscioff, del 3 febbraio, a Turati, dove giudica la linea di Serrati nell’appoggiare l’intervento di D’Aragona, favorevole, mentre Bordiga legge questo punto d’incontro negativamente[78]. In buona sostanza, la destra, i popolari ma anche parte della sinistra interventista, giustificano gli attacchi reazionari fascisti per via della politica “estremista”, uno fra tutti il pericolo bolscevico, fatta soprattutto nelle campagne dai socialisti massimalisti e comunisti, invitando al disarmo e alla pacificazione degli animi. Mentre i socialisti e i comunisti sottolineavano la responsabilità del Governo nel non essere intervenuto o ancor peggio nell’aver favorito le azioni fasciste, e che ora era giunto il momento che il Governo intervenga[79]. Continua intanto la discussione alla Camera, sulle violenze fasciste. Per i socialisti parla l’on. Gallani, e per i comunisti, l’on. Garosi. L’on. Roberto, per i comunisti, nota come il fascismo abbia già dei paladini dentro alla Camera, riferimento non troppo velato a quelli come l’on. Sarrocchi, che in tutte le sedute aveva giustificato il fascismo. Anche i socialisti salveminiani della Lega Democratica per il Rinnovamento risultano filofascisti, in quanto questi erano considerati la mera reazione alle violenze socialiste[80]. Sempre nella seduta del 2 febbraio, Giolitti si difende affermando che la sua è una politica coerente, come nel 1892 quando tutto ebbe inizio in occasione dei Fasci Siciliani ed egli optò per non applicare la violenza, che infatti si rivelò inefficacie nel 1898; così anche “oggi” non pensava che la repressione violenta dei Fasci di Combattimento fosse la via giusta. Continua che nel 1901 e nel 1903 si era battuto per la libertà di sciopero.  Anche il grande sciopero generale del 1904 passò: “avevo ragione di non preoccuparmene troppo” si giustifica Giolitti. La guerra aveva gettato il paese in una crisi acuta, che toccò il suo apice con l’occupazione delle fabbriche: anche in quel caso la repressione avrebbe significato “un periodo di lotte sanguinose”. Anche sulle accuse ricevute sull’intervento armato a Fiume, il vecchio Giolitti, fa notare di quanto fossero armati i legionari, e quanto moderata fu l’azione dell’esercito italiano in confronto. Sempre Giolitti: “Circa i fatti dell’Emilia […] alle violenze contribuì anche l’esempio russo […] la verità circa la condizione della Russia, che ora comincia a farsi strada, gioverà grandemente a togliere di mezzo molte pericolose illusioni. […] il Partito comunista avrà dalla Russia una grande delusione. Le molte decine di migliaia di contadini che ivi sono divenuti d’un tratto proletari, non cederanno la proprietà che hanno ottenuto e prepareranno una grande società borghese come è avvenuto in Francia alla fine del secolo decimottavo.”. Giolitti conclude tornando ai fatti di Bologna che il diritto comune, applicato con la necessaria energia, sia sufficiente per ripristinare l’ordine. Dopo l’intervento del Presidente Giolitti, interviene D’Aragona per i socialisti e per la CGdL, dichiarando la loro insoddisfazione nei confronti della politica del Governo[81]. Altri “pompieri” del momento sono i popolari che mentre invocano la pacificazione degli animi, giustificano e addirittura fomentano l’odio di classe. Fulvio Milani, deputato tra i popolari di Bologna, dei sindacati bianchi, nella seduta del 3 febbraio sostiene in polemica con Graziadei che il fascismo non ha nulla a che vedere con le lotte agrarie del Ferrarese, e che “dal male deriva spesso il bene, così dal fascismo potrà derivare un maggiore rispetto alle leggi”. Oltre che a notare come Milani vivesse evidentemente fuori dalla realtà, i socialisti rinfacciano a Milani di non essersi dissociato dalla “infame campagna fascista dell’on. Cappa”. Paolo Cappa era il direttore de L’Avvenire d’Italia, giornale ultraconservatore della curia di Bologna che denuncia quotidianamente la tirannide plebea, e che per anni ha continuato ad attaccare l’amministrazione socialista di Zanardi. Quindi in parlamento è continuamente zittito e insultato dai socialisti al grido di Spia! e venduto![82]. La pacificazione degli animi è in questo momento un vero e proprio insulto per il movimento dei lavoratori, che tuttavia subisce quotidianamente violenze criminali da parte di bande armate private sotto il beneplacito delle forze dell’ordine, vedi il secondo incendio del Lavoratore a Trieste, come nota bene Alceste Della Seta: “Sicché oggi in Bologna, mentre è sulle bocche di tutti il desiderio della pacificazione e del ripristino dell’impero della legge, in realtà si assiste a continue violazioni delle civiche libertà per opera dei fascisti. […] Sembrerebbe di sì se a Bologna può ancora giungersi - dopo tanti lutti, tante polemiche e tanto protestato desiderio di pacificazione - a incendiare «liberamente» i locali della Camera del Lavoro; a impedire «liberamente», che i pompieri spegnessero il fuoco” [83].

Ecco come risponde Mario Piazza segretario di Federterra, sotto lo pseudonimo di Rusticus in “Quello che occorre per la vera pacificazione?”, in polemica proprio con L’Avvenire d’Italia:Il paese ha bisogno di intensificare la sua produzione. Il proletariato agricolo bolognese vuole intensificare la produzione, non da oggi, non da ieri. Fin dal 1902 la prima tariffa agricola dei lavoratori della terra della bassa bolognese portava in testa la leggenda dell’antico filosofo: «Chi aumenta la produzione di un solo filo d’erba è benemerito della patria». Durante la stessa guerra mondiale i lavoratori bolognesi sono stati i cani a guardia della produzione. […] Con l’applicazione rigida dei contratti di lavoro per i coloni e per i braccianti - e solo con questo - l’agro bolognese potrà avere alfine la sua età di pace e di prosperità. E siccome le masse operaie sono a seconda delle stagioni ora esuberanti, ora insufficienti dei lavori agricoli, occorre che una sana politica assicuri lavori pubblici in modo conveniente ed utile. […] Ma perché il loro lavoro sia più possibilmente proficuo occorre dare con l’applicazione intera ed onesta dei concordati la sensazione che il tale lavoro non è più soggetto alla vorace speculazione delle imprese e degli agrari. Questi, a loro volta, debbono cercare di assicurarsi loro profitto con la maggiore migliore intensificazione delle culture, e non con un maggiore sfruttamento della mano d’opera. […] Il proletariato agricolo bolognese […] Sa lavorare, egli vuole lavorare, ma sa anche studiare e risolvere i problemi che lo interessano. […] Il socialismo distruttore dell’onorevole Sarrocchi è nelle campagne emiliane il socialismo ricostruttore. Tanto peggio per chi chiude gli occhi e non vuol vedere[84]. Al Congresso della CGdL alcuni dirigenti di Federterra suggerirono la socializzazione della terra, anche per arginare l’emorragia verso il fascismo agrario, questo progetto dell’on. Piemonte fu presentato alla Camera il 17 dicembre 1921, ma aveva trovato l’opposizione della maggioranza massimalista. A proposito dell’emorragia verso il fascismo agrario, Tasca nota che il sindacalismo fascista attecchisce per primo, nel ferrarese, dove gli slogan demagogici di “la terra a chi la lavora”, attecchiscono facilmente e “le «leghe» contadine, che il «sistema» tradizionale non protegge più, passano in blocco ai sindacati fascisti, sotto l’insegna della lotta contro la «tirannia socialista»”. Il 25 febbraio nel Comune di S. Bartolomeo in Bosco, nasceva il primo sindacato fascista, nella vecchia lega socialista[85]. È necessario sottolineare che queste della pianura padana, erano zone dall’agricoltura molto redditizia, e le organizzazioni riformiste avevano quindi un giro di affari considerevole. Nella sola provincia di Reggio Emilia, per esempio, le cooperative agricole coltivavano 2227 ettari e le cooperative di consumo nel 1920 avevano 16.800 membri e 53 milioni di lire. Sempre molto equilibrata e corretta è la visione di Zibordi, il quale non ha mai perso di vista la vera essenza del fascismo, e su Critica Sociale puntualizza anche su cosa si basa la tanto sventolata violenza rossa:

… Le particolari circostanze storiche, per cui in Italia si sopraggiunsero e si accavallarono, nel corso di 50 anni […]. Nel Fascio […] vediamo giovani industriali ed agrari che freddamente difendono i loro interessi, e uomini di cultura convinti di rivendicare delle idealità, professionisti stipendiati della violenza, e volontari fanatici […]. Il programma è vario, ed abbraccia la difesa della libertà e l’odio all’Ente autonomo dei consumi; la tutela della patria e distruzione della Cooperativa; la rivendicazione dei valori morali della guerra, e l’incendio alla Camera del Lavoro. Nessuna linea, nessuna logica, nessuna unità […]. Questa gente, che ha inaugurato il metodo dell'armarsi da sé, del farsi legge e ragione da sé, dell'agire fuor dalle norme di buona guerra, non vediamo che accetti tutte le responsabilità e le conseguenze della sua posizione. […]. È mediocre e meticcia come Don Rodrigo, che metà voleva fare il tiranno e metà voleva valersi della legalità. […]. Questo scoppio furibondo di violenza antisocialista - si dice - risponde a una lunga serie di violenze rosse. Ma le violenze rosse, a volta loro (e senza dissimularne le forme e gli eccessi), erano state precedute da uno stato e da una consuetudine di violenze dall'altra parte. […]. I boicottaggi! Prescindendo dal fatto che tutta la vita del mondo capitalistico è un boicottaggio generico in permanenza, ma chi può negare che il boicottaggio specifico, ben più duro di quello che oggi si rimprovera ai rossi, fosse abituale negli ambienti che sono più rapidamente passati dal dominio clerico-padronale al dominio proletario? Son molto lontani gli anni in cui chi aveva idee avanzate, […] era messo al bando e perseguitato dalla triplice autorità del prete, del proprietario, del brigadiere? […]”[86].  

Il giudizio storico di De Felice è, se vogliamo, ancora più chiaramente sbrigativo della conclamata violenza rossa[87], parlando di vera e propria “leggenda che se l’Italia era stata salvata dal «pericolo rosso» ciò era dovuto al fascismo”. Non per nulla è accettata la formula di reazione sproporzionata o eccesso di difesa[88]. L’Ordine Nuovo riporta, sull’edizione del 6 marzo, un atto di ritorsione contro le numerose violenze subite, con l’incendio della falegnameria del Cartiere San Marco[89]. Il giornale nazionalista e filofascista L’Era Nuova, invocò subito la pace per carità di Patria.  Aggiunge con amara ironia la redazione de L’Ordine NuovoD’altro canto questo giornale dichiara «atto vandalico» l’incendio del cantiere e «azione patriottica» la distruzione della Camera del Lavoro. E si capisce. La Camera del Lavoro non è mica proprietà dei capitalisti[90]. Tasca cerca di spiegare il perché di questo odio viscerale degli agrari verso i contadini. Su 280 Comuni in Emilia 223 erano socialisti; l’agrario in campagna deve fare i conti con la Lega e con l’ufficio di collocamento[91], sul mercato, con la cooperativa socialista, nel Comune con la lista rossa. Certe Camere del Lavoro controllano tutta la vita economica della provincia[92].  Dopo aver devastato il triangolo Bologna-Ferrara-Piacenza, le squadre fasciste dilagano a Rovigo e Pavia[93]. Il 10 marzo Matteotti tiene un discorso alla Camera dei deputati sulle violenze nel Polesine, dove descrive per filo e per segno in cosa consistono effettivamente queste spedizioni punitive fasciste. Matteotti sottolinea che la politica del partito socialista è: “non rispondete alle provocazioni” e conferma che il nocciolo della questione sono i patti colonici [94]. Anche il famigerato on. Gino Sarrocchi nel suo discorso alla Camera aveva parlato di fascismo bolognese ed emiliano come non essere una “filiazione diretta del fascismo mussoliniano[95].

Se i riformisti, vedi appello di Matteotti, invocano la resistenza passiva, e i massimalisti, dalle pagine dell’Avanti! alternano messaggi poco chiari di passività e reazione, il Partito Comunista d’Italia (sezione dell’Internazionale Comunista) con l’Appello ai Lavoratori italiani, pubblicato su L’Ordine Nuovo il 2 marzo, diffonde una chiara parola d’ordine, che “è dunque di accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende, […] è di rispondere […] colla forza alla forza, colle armi alle armi” .[96] Il 17 marzo Turati e D’Aragona sottoscrivono un’interpellanza ai Ministri dell’Interno, della Giustizia e dell’Agricoltura dove, in soldoni, chiedono se non sia tutta una prese in giro quella della pacificazione degli animi, mentre i lavoratori della terra vengono arrestati in massa mentre esercitano il loro diritto di sciopero[97].  La pacificazione entra a far parte della negoziazione di Mussolini, il quale crede, come del resto crede e spera Giolitti, di avere il controllo sul movimento fascista. Ma il fascismo è in questo momento, ovvero nella sua fase crescente un movimento eterogeneo e multiforme che si adatta alle varie realtà locali. Probabilmente come minimo comun denominatore l’organizzarsi in bande armate sotto i vari Fasci locali. Il solito Zibordi spiega tutto ciò ancora una volta in modo magistrale e in tempo reale. Il fascismo è: “Frutto psicologico ed economico del dopoguerra”, “è la controrivoluzione di una rivoluzione che non ci fu” e “si propone di essere o si immagina di essere a sua volta e a modo suo, una rivoluzione”. “Prende lineamenti e colori dal luogo, sarà agrario a Ferrara e Rovigo, massonico sindacalistoide a Parma, aristocratico, patriottico, letterario a Firenze, esercentesco, anticooperativo e antimunicipalizzante ora dove il Comune è nostro … monarchico e in molti luoghi, mezzo repubblicano in altri, D’Annunziano fiumano or sì or no; è un po’ di tutte queste cose - e abbraccia anche il Partito popolare e assorbe il clericalismo, mentre altrove si dà arie anticlericali - a Bologna, dove è più numeroso, più imponente e più vario”. Poteva quindi Mussolini essere a capo di tutto questo? Sempre Zibordi però insiste su un punto fondamentale, ovvero il ruolo giocato dalla guerra e la leva di massa. Infatti, secondo Zibordi, vi sono due elementi della smobilitazione dell’esercito che alimentano la crescita e il successo del fascismo. Uno diretto ovvero i reduci che non riescono a reintegrarsi, o quelli che in guerra avevano salito la gerarchia e ora che la guerra era finita tornavano ad essere straccioni, o ancor peggio alti ufficiali che però dalla pace hanno tutto da perdere. Uno indiretto ovvero la classe media, impoverita dalla guerra che si vede passare davanti proprio i lavoratori organizzati. Ma probabilmente ancora più notevole è la penetrazione di Zibordi nella comprensione del fenomeno fascista, quando scrive: “Tutto l’atteggiamento del Fascismo contro le autorità, contro il Governo, perché «protegge i socialisti» perché qua e là infrena certi eccessi, perché non è abbastanza reazionario, insomma, appaga però un istinto rivoluzionario, da un’estetica di ribellione, un pennacchio di sovversivismo, che piace ai giovani.”.[98] Lo stesso Zibordi il 24 marzo è vittima di una aggressione da parte di una squadra fascista[99]. È interessante anche riportare un’analisi del fenomeno fascista da parte de L’Ordine Nuovo già risalente al 2 gennaio. La rivista diretta da Gramsci si concentra sul fallimento e la riscossa della piccola borghesia: “La settimana rossa del giugno 1914, contro gli eccidi, è il primo, grandioso intervento delle masse popolari nella scena politica […]. Si può dire che nel giugno 1914 il parlamentarismo è, in Italia, entrato nella via della sua organica dissoluzione e col parlamentarismo la funzione politica della piccola borghesia. La piccola borghesia, che ha definitivamente perduto ogni speranza di riacquistare una funzione produttiva (solo oggi una speranza di questo genere si riaffaccia, coi tentativi del Partito Popolare per ridare importanza alla piccola proprietà agricola e coi tentativi dei funzionari della Confederazione Generale del Lavoro per galvanizzare il morticino controllo sindacale), cerca in ogni modo di conservare una posizione di iniziativa storica: essa scimmieggia la classe operaia, e scende in piazza. […] è come la proiezione nella realtà di una novella di Kipling; […] del popolo delle scimmie, il quale crede di essere superiore a tutti gli altri popoli della Jungla […]. Era avvenuto questo: la piccola borghesia, si era asservita al potere governativo attraverso la corruzione parlamentare, muta la forma della sua prestazione d’opera; diventa antiparlamentare e cerca di corrompere la piazza. Nel periodo della guerra, il parlamento decade completamente: la piccola borghesia cerca di consolidare la sua nuova posizione e si illude di aver realmente raggiunto questo fine, si illude di aver realmente ucciso la lotta di classe di aver preso la direzione della classe operaia e contadina, di aver sostituito l’idea socialista, immanente nelle masse, con uno strano e bislacco miscuglio ideologico di imperialismo nazionalista, di «vero rivoluzionarismo», di «sindacalismo nazionale». […]. La classe proprietaria ripete, nei riguardi del potere esecutivo, lo stesso errore che aveva commesso nei riguardi del Parlamento: crede di potersi meglio difendere dagli assalti della classe rivoluzionaria, abbandonando gli istituti del suo Stato ai [illeggibile, gridi?] isterici del «popolo delle scimmie» della piccola borghesia. Sviluppandosi, il fascismo si irrigidisce intorno al suo nucleo primordiale, non riesce più a nascondere la sua vera natura. Conduce una campagna feroce contro l’on. Nitti, presidente del Consiglio, campagna che giunge fino all’aperto invito ad assassinare il Primo Ministro: lascia tranquillo l’on. Giolitti e gli permette di portare facilmente a termine la liquidazione dell’avventura fiumana; l’atteggiamento del fascismo verso Giolitti ha subito segnalato la fortuna di D’Annunzio e a posto in rilievo il vero fine storico dell’organizzazione della piccola borghesia italiana. […]. La piccola borghesia, dopo aver rovinato il parlamento, sta rovinando lo Stato borghese […]”[100]. Questa de L’Ordine Nuovo è sicuramente una analisi già molto matura del fenomeno.

Nel marzo L’Ordine Nuovo, riferendosi a due articoli dell’Avanti!: Triste scuola e Inversioni, denuncia la doppiezza dei massimalisti che, da un lato invocano la violenza rivoluzionaria e, dall’altro, pregano di non reagire alle violenze. Per L’Ordine Nuovo questa ambiguità è dovuta alla preoccupazione elettoralistica. Precisa L’Ordine Nuovo: “Le masse lavoratrici che ci leggono sappiano questo: il metodo della violenza per combattere la violenza borghese che noi sostenemmo sempre, ininterrottamente, è un caposaldo del programma comunista[101]. L’8 marzo alla Camera si discute l’assassinio del direttore de L’Azione Comunista, Spartaco Lavagnini, avvenuto a Firenze, per mano dei fascisti il 27 febbraio. L’on. Coda esclude che possano essere stati i fascisti “di cui tutti sanno i generosi propositi” e continua: “I socialisti hanno risvegliata e aizzata la belva che dorme in fondo all’anima umana”, al che replica Serrati: “voi l’avete esaltata e premiata durante la guerra”; quindi Coda conclude: “bisogna disarmare il proprio programma e finirla con questa balorda esaltazione della Russia”. L’on. Meschiari, ex-repubblicano, filofascista, sostiene che il dovere di ogni onesto è di concorrere alla pacificazione degli animi, e propone di lanciare un appello per la pacificazione firmato da tutti i partiti, ma il suo appello è accolto con ironia. L’on. Sarrocchi reputa questi propositi di pacificazione, retorici, e che la responsabilità politica della violenza sarebbe solo dei socialisti, involontariamente ammettendo la connivenza tra fascisti e forze dell’ordine. Quindi Treves cerca di riportare il dibattito sulla corresponsabilità del Governo, sui fatti di Firenze, Siena e Trieste. Treves prevede che il Governo “vuol farei del fascismo strumento elettorale[102]. Lo spettro delle elezioni è, infatti, già chiaro a metà marzo[103]. Nonostante i Fasci fossero molto eterogenei e “molto slegati”, ovvero non seguivano una linea generale, in quel contesto Mussolini riuscì a convincerli a costituire i Blocchi Nazionali con i giolittiani[104]. Allo scopo di raccogliere il consenso necessario a questa mossa strategica, venne organizzato un numero di adunate regionali, dalle quali risultarono delle linee programmatiche sulla politica estera, il movimento operaio e la questione agraria. Il Trattato di Rapallo era ora imputato all’ostilità degli Alleati verso l’Italia, alla disfatta di Caporetto e alla cattiva diplomazia del Governo italiano. Mussolini ora sosteneva di essere sempre stato contro il Governo di Giolitti, mentre si è visto in precedenza come questo era messo in tutt’altra luce nel maggio e giugno dell’anno precedente.  Dal punto di vista delle lotte operaie, il fascismo si poneva a paladino degli interessi nazionali, quindi pur ammettendo il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori, si opponeva, allo stesso tempo, ad ogni sorta di sciopero che paralizzasse le attività nazionali. Il fascismo era a favore della collaborazione di classe, ma, al di sopra di tutto poneva la ricchezza nazionale. Dal punto di vista agrario il fascismo si dichiarava per “la terra a chi la lavora e la fa fruttare” e soprattutto contro la “socializzazione della terra[105].

Nel frattempo, l’arditismo presente nello squadrismo fascista non è più identico a quello del ‘19 e del ‘20. Mario Carli, l’ardito che aveva fondato l’AAI, aveva abbandonato l’Associazione stessa nel giugno del 1920; il Vecchi, quello dell’attacco all’Avanti! nell’aprile dell’19, era stato espulso. La carica di direttore de L’Ardito passò a Piero Bolzon, già segretario del Fascio di Combattimento di Milano. L’Associazione Arditi, fattasi appendice del fascismo, viene così a perdere la propria autonomia. Fino a sciogliersi per inattività. Solo nel novembre del 1920 venne rilanciata su nuove basi a partire, ancora una volta da Milano. Nella sezione romana, nel marzo 1921, il tenente, decorato mutilato di guerra, Umberto Beer, dannunziano, tenta di risolvere i contrasti tra due correnti contrapposte, l’una, filofascista, capeggiata da Giuseppe Bottai, l’altra, antifascista, guidata da Argo Secondari[106].

Dopo ben sette anni senza Congresso si riunisce a Livorno, un mese dopo il XVII Congresso del Partito Socialista, che aveva portato alla scissione, il V Congresso della CGdL[107]. Secondo la critica dei comunisti la CGdL è in mano alla dittatura dei funzionari, ovvero, in mano al Consiglio Nazionale costituito dai rappresentanti delle Federazioni sindacali, delle Camere del Lavoro. Sono soprattutto i rappresentanti delle Federazioni nazionali a controllare il Consiglio Nazionale piuttosto che rappresentanti delle Camere del Lavoro. Questo, nota criticamente sempre L’Ordine Nuovo, è controllato a sua volta dal Consiglio Direttivo, formato di soli organizzatori di carriera[108]. L’ordine del giorno socialista, di Bensi, vinse con un milione di voti su quello comunista, di Tasca. La CGdL quindi dichiarava il programma rivoluzionario fallito, e addirittura l’arma dello sciopero ormai spuntata. Vi è addirittura una aperta condanna di D’Aragona agli scioperi nel servizio pubblico. La CGdL, se da un lato non chiudeva le porte alla Terza Internazionale di Mosca, rimaneva allo stesso tempo nell’Internazionale sindacale cosiddetta “gialla” (come la chiamavano con spregio i comunisti) di Amsterdam.     

 

I Blocchi Nazionali verso le elezioni

Il 24 marzo, la bomba fatta detonare da un anarchico-individualista al Teatro Diana di Milano aveva scosso l’opinione pubblica, e ovviamente, aveva rafforzato la pretestuosa reazione fascista, nonostante, gli stessi anarco-comunisti di Malatesta, come tutta la sinistra, ne presero le distanze. Secondo De Felice con le adunate di Trieste, Venezia, Milano, Torino e Livorno, Mussolini aveva convinto anche la periferia estrema della strategia dei blocchi. Il 2 aprile venne reso noto l’ingresso dei Fasci nei Blocchi Nazionali giolittiani. Mussolini nel suo articolo Preludi elettorali, la mise giù come una scelta puramente strategica, quale effettivamente era: “Nelle zone dove il fascismo è ancora agli inizi e i vecchi partiti sono i dominatori della situazione, almeno dal punto di vista elettorale, il fascismo schiererà le sue forze a lato dei partiti nazionali che abbiano le maggiori affinità col nostro movimento e che presentino candidati politicamente e personalmente rispettabili. Nelle zone dove il fascismo ha assunto un grande sviluppo, ma dove però esistono ancora forze nazionali considerevoli, e, dal punto di vista elettorale, importanti ai fini della vittoria dei partiti nazionali, il fascismo deve essere perno del blocco nazionale”. Continuava Mussolini che dove il fascismo, con la violenza si intende, aveva spazzato via gli altri partiti, il fascismo si sarebbe presentato da solo. E infine precisava che la seconda ipotesi era la più frequente[109]. Erano ovviamente le parole del politicante, in quanto alla fine i blocchi si fecero ovunque. Mussolini ipocritamente, ma anche agevolato dal silenzio di D’Annunzio, oramai quasi completamente ritiratosi a vita privata, nei suoi discorsi pretese che la vittoria dei blocchi avrebbe significato la vittoria di D’Annunzio e non del vecchio «uomo del parecchio», ovvero, Giolitti; e che il dissidio tra i fiumani e i fascisti era stato creato ad arte da “certi politicanti, che forse non erano neppure a Fiume quando a Fiume ci si batteva sul serio” riferendosi a Umberto Foscanelli e De Ambris[110]. Con questo atteggiamento aveva tenuto, almeno per il momento, a freno gli antigiolittiani. D’Annunzio non solo non smentì tali affermazioni, ma incontrò Mussolini e così legittimò Mussolini nel dichiarare il riavvicinamento[111], anche se non volle candidarsi, mentre De Ambris lo metteva in guardia dal calcolo politico e dalla falsità di Mussolini. Su L’Ordine Nuovo del 6 aprile appare un esplicito articolo, contro la tregua proposta da alcuni fascisti. Dato che i comunisti non avrebbero mai accettato, mentre era plausibile che i socialisti lo avrebbero fatto, questa tregua, veniva vista come una manovra per concentrare la repressione contro i comunisti[112].

Il 2 aprile 1921 Filippo Turati tenne un discorso al Teatro del Popolo di Milano per commemorare le vittime del Teatro Diana. Nel cercare di analizzare le causa di tale inutile strage, Turati, afferma molto saggiamente e correttamente: “Verrà tempo che le cause saranno tutte analizzate colla impassibile severità dello storico, e affonderemo il bisturi implacabile in questa cancrena. […]. Ma […] son mesi e son anni che le masse e i partiti si andavano allenando a questa scellerata scuola del sangue. […] Gli assassini, si sa, non hanno partito: perché ogni partito prudentemente li rigetta da sé […]. Il prode e gentile Giordani, assassinato nell’aula consigliare di Bologna, e il nostro buon vecchio Inversetti, trucidato da un assalto brigantesco in un Circolo socialista di Milano, sono uguali per noi […]”. Turati quindi sottolinea quanto sia necessario non rispondere alla violenza con la violenza, poiché la violenza genera un circolo vizioso, eruditamente nota Turati, e questo farebbe tornare alla faida longobarda. Turati fa anche una concessione che apparentemente prestava il fianco alle pretestuose declamazioni fasciste sulle violenze rosse, legate alla occupazione delle fabbriche. In realtà Turati intendeva condannare la prematura occupazione delle fabbriche, che la classe operaia non era in grado, “ecco il punto!”, di gestire e mantenere portando la inevitabile reazione dei padroni. Precisa Turati: “Io non so quanto noi salveremo del controllo sulle industrie, che […] potrebbe essere un utile strumento di progresso civile, di lotta di classe […]. Ma non ci salveremo certo, era facile prevederlo […], da un periodo di reazione politico-economica […]. L’occupazione delle fabbriche è un ideale altissimo, che dobbiamo avere presente agli occhi e nel cuore. Ma essa è niente altro che il socialismo, tutto il socialismo, e non può venire, per essere mantenuta, se non all’ora stessa in cui tutto il socialismo sia maturo pel trionfo. E verrà per atto di imperio nazionale e internazionale, non per locale, sporadica, caotica irruzione di gruppi.”. Turati, in fondo, non accusava chi ci aveva provato, ma metteva in guardia contro la sbagliata concezione di fondo, di avere fede nel miracolo della violenza rivoluzionaria. “La violenza non è che una frode” diceva il vecchio riformista[113].   

Il 7 aprile Giolitti scioglie le Camere per andare alle elezioni politiche il 15 maggio 1921, e, il 7 stesso, i Fasci ratificano il loro ingresso nei Blocchi Nazionali. La manovra di Giolitti[114], nonostante i fascisti e Mussolini continuino da un lato ad esprimersi contro il sistema, è comprensibile e compresa dai più. Già l’11 aprile Zibordi commenta il Blocco come un chiaro disegno di normalizzazione del fascismo, ma al contrario probabilmente ai piani di Giolitti, non si illude che come organizzazione armata, non possa però sopravvivere continuando a sterminare; mentre come entità politica dovrà finire di essere quel minestrone reazionario e si dovrà definire; in ultimo è sempre interessante notare come Zibordi sottolinei la mancanza di un vero e proprio capo tra i fascisti[115], rispecchiando così più fedelmente la realtà di quei giorni. Con l’ingresso nei Blocchi di Giolitti, sottolinea Tasca, “lo Stato «liberale» compie così il suo primo ed irreparabile gesto di suicidio[116]. Anche in questo frangente il giudizio del leader comunista, Bordiga, è eccessivamente schematico. Bordiga rimprovera ai riformisti di ripudiare ogni azione rivoluzionaria a patto che si rigetti ogni violenza, ai fascisti di esser pronti a deporre le armi di fronte alla scheda elettorale, ad entrambi di essere pronti alla futura collaborazione col Governo[117]. Bordiga basa le sue affermazioni sull’articolo L’equilibrio, di Mussolini, del 23 marzo, pubblicato sul Popolo d’Italia, dove quest’ultimo dichiara che: “una volta che l’organizzazione politica del socialismo sia resa inoffensiva, non c’è più motivo di violenza contro i singoli e le istituzioni”. Le violenze squadriste in aprile si estendono al Veneto e al Friuli, “Tuttavia [aggiunge Tasca] in nessuna parte d’Italia, forse, si è arrivati a superare in violenza e in crudeltà l’azione del fascismo nella gentil Toscana. In questa regione, il proletariato agricolo è meno numeroso che in Emilia (12,80% della popolazione totale, invece del 23,20%); la forma dominante di conduzione agricola è la mezzadria, che occupa un poco più della metà della popolazione rurale. Socialisti e popolari si disputano l’influenza sui mezzadri, e l’offensiva fascista, che tende a rinforzare i diritti dei proprietari, se la prende tanto con le leghe «bianche» quanto con quelle «rosse»”[118].  Filippo Turati legge i Blocchi Nazionali come la morte della Proporzionale per affondare il PSI[119].   

È interessante notare come proprio nell’aprile del 1921 vi è una serie di rapporti dei Prefetti a Giolitti che si preoccupa dello svolgimento legale delle elezioni, che denotano la simpatia di Carabinieri, Guardia Regia e Magistratura nei riguardi dei fascisti[120]. Considerando come la connivenza tra forze dell’ordine, prefetture ed esercito vi fosse già prima del ritorno al governo di Giolitti nell’estate del 1920, è errato concludere, nonostante i Blocchi Nazionali di Giolitti che “avrebbero sostenuto politicamente e addirittura armato materialmente” i fascisti, che egli fosse filofascista. Le contromisure che almeno il Governo Giolitti cercò di imporre anche durante lo svolgimento delle elezioni di richiami e trasferimenti per i funzionari e agenti che avevano aiutato i fascisti erano risultate inefficaci[121].  Del resto, Mussolini non può essere visto come una eminenza grigia che avesse in testa un piano strategico-politico chiaro che lo avrebbe condotto al governo. Mussolini era un politicante che sapeva cavalcare bene le tendenze e leggere “l’evolversi delle cose”. Tendenze e cose che non necessariamente seguivano le sue idee e impostazioni. Correttamente, quindi, De Felice osserva che: “il rincrudimento e l’esplosione della lotta di classe nelle campagne padane e l’affermarsi grandioso del fascismo agrario costituivano per Mussolini un fatto al tempo stesso positivo e negativo[122]. Continua De Felice: “All’attivo, il fascismo agrario significava per Mussolini la promozione - indiscutibile - del suo movimento a movimento di portata nazionale; una promozione ottenuta non con il ricorso alla sua abilità manovriera - che poteva assicurargli dei successi (come con la vicenda fiumana), ma non poteva garantirgli la stabilità di questi successi e tanto meno il loro moltiplicarsi - ma con il peso di una forza reale e di consenso che, a sua volta, non era certo meno reale per il fatto di essere circoscritto soprattutto a determinati ceti e classi sociali. Grazie al fascismo agrario […] il fascismo compiva un grande balzo in avanti e si affermava come uno dei maggiori partiti e movimenti politici italiani.” De Felice insiste sulla differenza ideale e psicologica “notevole” tra il fascismo mussoliniano e quello squadrista agrario, dove come unica cosa in comune nota la guerra. In aggiunta, per i nuovi squadristi fascisti, Mussolini, Bianchi, Cesare Rossi e Pasella erano “vecchi”, Mussolini aveva nel 1921, 38 anni, quindi per nulla vecchio, ma gli squadristi ex-combattenti erano pressoché ventenni come i loro leader, Balbo 25 anni, Farinacci 29 anni, e Grandi 26 anni. De Felice documenta questa divergenza di natura politica tra segreteria nazionale dei Fasci di Combattimento di Milano e il fascismo agrario con un esempio emblematico, ovvero la lettera che il Comitato Centrale di Milano manda al Fascio di Ferrara in data 2 gennaio 1921: “Giungono a questa Segreteria continue notizie, qualcuna delle quali anonima, circa l’attività di codesto Fascio e non tutte simpatiche. Vi si accusa di fare una politica tutta locale anzi che nazionale e di svolgere un’azione che è tutta ispirata dall’Associazione Agraria, così da mettervi in cattiva luce fra i lavoratori della terra della Provincia di Ferrara. È superfluo che vi dica come il C.C. faccia debita tara su queste informazioni, ma la notizia comparsa sul «Popolo d’Italia» di venerdì scorso, e cioè che i Fascisti ferraresi si erano impossessati di un assessore socialista traducendolo nella sede dell’Agraria ha impressionato tutti. Se ciò è vero è deplorevole, perché voi non dovete apparire né essere i difensori di una casta o di una classe, ma i difensori degli interessi nazionali. Se voi vi limiterete a tutelare la libertà dei contadini che intendono svincolarsi dall’organizzazione socialista, sarete nei limiti del Programma Fascista, ma se intendete dare al Fascio il carattere di organizzazione prona ai voleri padronali, urterete contro il detto Programma, costringendo il C.C. a prendere conseguenti e dolorosi provvedimenti “.

Una volta spiegato l’accordo[123] sui Blocchi Nazionali, Mussolini, conscio del fatto che Giolitti l’avrebbe comunque usato, ancora in piena campagna elettorale, divenne sempre più esplicito nei suoi comizi e articoli che quella dei blocchi era stata una mossa strategica, che i blocchi non erano più giolittiani ma che i fascisti ne avevano preso il controllo: “La Camera nuova non sarà fatta a immagine e somiglianza di Giolitti. In questa incalzante ora, egli appare come un uomo soverchiato da altre forze. La gente nuova è in vista e si prepara a navigare. La navigazione è appunto un governo.”[124]. Quindi paradossalmente i fascisti fecero una campagna antigiolittiana pur essendo nei blocchi di Giolitti. Oltre il danno la beffa, in quanto le violenze fasciste non diminuirono dopo l’accordo ma si inasprirono durante tutta la campagna elettorale e le elezioni[125]. Lo stesso De Felice scrive: “occorrerebbe un’analisi dettagliata, provincia per provincia, delle notizie di stampa e soprattutto dei rapporti di polizia; solo così si potrebbero rendere evidenti l’imponenza e la drammaticità di un fenomeno che non aveva e non avrebbe avuto di simili in tutta la nostra storia”. De Felice riporta dall’ 8 aprile all’accordo ratificato al 14 maggio (vigilia elettorale) 105 morti e 431 feriti contro i 102 morti e 388 feriti dal 1° gennaio fino al 7 aprile[126]. Quindi Giolitti aveva nettamente fallito nei suoi intenti, ma non uscì dai blocchi, perché ormai non poteva più tirarsi indietro. Il 28 aprile, 2 giorni dopo aver scritto contro l’idea di un nuovo governo Giolitti, Mussolini scriverà sul Popolo d’Italia, ai fascisti, i quali ormai avevano ridimensionato i socialisti, di non perdere il senso del limite per non vanificare il lavoro fatto. “Reso innocuo il PUS, non bisogna turbare la nazione, ma aiutarla a riprendere il suo faticoso cammino verso la pace interna ed esterna.” Quindi con questo articolo “Il senso del limite”, del 28 aprile, faceva un tentativo di calmare la violenza squadrista e cercare la pacificazione [127]. Secondo De Felice nell’articolo “Il senso del limite” era in nuce il «patto di pacificazione» e l’ascesa del fascismo al potere per via politica, con un governo di coalizione[128]. Mussolini pensava di non rischiare una rottura del blocco, attaccando duramente il suo capo Giolitti, perché secondo lui Giolitti non avrebbe potuto più fare marcia indietro, e su questo ebbe ragione. Mussolini quindi in piena campagna elettorale parlava del ritiro dalla vita politica del vecchio Giolitti. Serrati in un discorso, del 26 aprile, al Consiglio Nazionale della Confederazione del Lavoro esprime la sua preoccupazione nei confronti della rivoluzione reazionaria che si sta andando a sviluppare in Italia: “Il fatto che D’Annunzio si ritira per ora tra le quinte e che i suoi amici fanno del fascismo, significa che c’è qualcosa d’altro che bolle in pentola, che c’è qualcosa d’altro che si prepara domani. Giolitti che ha voluto le elezioni per favorire i suoi amici, Giolitti diventerà la prima vittima della sua stessa politica. Noi andiamo incontro ad avvenimenti che non saranno più devastazioni di Camere del Lavoro, ma andiamo incontro a un avvenimento rivoluzionario reazionario. Onde bisogna che sappiamo che cosa facciamo e dove andiamo. Questo fatto non l’abbiamo visto, questa ipotesi che a me pare una realtà, non ce la siamo affacciata. Secondo me non possiamo stare in disparte, secondo me noi dobbiamo prendere posizione”. Questo viene ridicolizzato come al solito da Bordiga che in pratica ironizza sul fatto che certa sinistra parla sempre di colpo di stato, come uno spauracchio che in realtà non verrà mai.  Ironizza altresì sul fatto che “il fascismo fregerà Giolitti o Giolitti dovrà soffocare il fascismo[129].

Le elezioni si svolsero in un clima di guerra civile, soprattutto dove i Fasci erano cresciuti e avevano intensificato la loro azione, si può dire con certezza che in molte zone, come per esempio nel ferrarese, non vi furono elezioni libere[130]. Nonostante ciò, le elezioni del 15 maggio, però, non risultarono nel tracollo dei socialisti che ritennero 122 seggi, con 16 seggi ai neocostituiti comunisti, mentre il blocco conquistò 275 seggi, il vero ago della bilancia divenne il partito popolare che aumentò di 7 seggi, andando a 107. All’interno del Blocco Nazionale 45 dei 275 eletti erano fascisti e nazionalisti, Mussolini stesso fu eletto in questa occasione. Non vi è dubbio che parte di questo successo elettorale fascista era stato frutto di dirette azioni di violenza squadriste. “I vecchi quadri dei partiti operai non sono intaccati se non dove i fascisti impediscono materialmente di votare.”[131]. Nel campo socialista si aprì presto il dibattito di non buttar via una seconda volta la vittoria elettorale, anche in vista dell’ormai inevitabile ingresso dei fascisti al Governo[132].  I comunisti avevano ricevuto il 4.61%, ma se da un lato era prevedibile, in quanto quella comunista era stata una minoranza, scissasi dal PSI, appena a gennaio, dall’altro il PCdI era guidato da quelli che erano stati, ed erano tuttora convinti astensionisti. Bordiga, infatti, si dichiarava più interessato alla purezza, che per natura era extraparlamentare, che al numero. Bordiga insiste che: “Il fenomeno fascista, sanamente inteso, non è che una conferma evidente dell’illusionismo contenuto in quel concetto maggioritario o, mi si perdoni la parola, «numeritario». Basti pensare che esso ha, maggiormente infierito dove più sono stati gli allori numeritari (contate i deputati, i consiglieri provinciali, i comuni socialisti nel ferrarese!) e arretra là dove, come nel Mezzogiorno, credeva di essere senza alcuno sforzo il padrone”[133]. Questa di Bordiga è una analisi un po’ ingenerosa. Se è vero che il massimalismo aveva sventolato il “babau” della rivoluzione, e questo aveva da un lato creato il pretesto e dall’altro scoraggiato le masse, quando la rivoluzione non si concretizzò, è anche vero che nelle province in questione, come abbiamo illustrato, vi era una lotta di oltre 50 anni tra agrari e braccianti, e che le organizzazioni socialiste, riformiste, avevano ottenuto delle conquiste importanti, e inoltre, che la stessa frazione astensionista aveva contribuito al mito della rivoluzione come in Russia. Quello che a Bordiga non andava giù era lo sforzo elettorale, dei massimalisti, ma anche dei comunisti, che secondo lui era riuscito ad arginare, al meno per i comunisti; uno sforzo elettorale che aveva dissipato e dissipava preziosa carica rivoluzionaria. 

 

Probabilmente ancora una volta l’analisi più concretamente realista arriva dai riformisti, scrive infatti Zibordi: “Senza dubbio lo spettacolo ignominioso nacque dalla situazione generale politica, cioè da quella febbre di blocco antisocialista che, coincidendo col sistema delle liste per Collegi, diede luogo alle unioni e a idee e programmi più incompatibili. Gli è che il blocco è per definizione, l’antitesi della Proporzionale - assicurando, teoricamente, a ciascun partito o corrente di idee la sua equa rappresentanza, nella piena libertà e autonomia della propria posizione - dovrebbe avere per iscopo e per effetto di rendere impossibili ed inutili i blocchi. Invece la furia di ripresa antisocialista, che travolge gli spiriti, ha dato vita ai blocchi cosiddetti nazionali, protetti dal governo, e di qui una frenetica corsa di tutte le umane miserie a circa il ricovero sotto l’ombrello ministeriale, a prezzo di ogni dignità. […].  Il fascismo è, in fondo - e nonostante i suoi complessi elementi e le sue deviazioni e le sue etichette ideali e l'uso che ne fanno, qua e là, i veri “signori” - è la rivoluzione di quei ceti, non operai ma disagiati, che dalla crisi della guerra furono messi di sotto dei lavoratori manuali. È il generale Capello, che è andato in pensione con lo stipendio di un casellante ferroviario, è il professore liceale, che guadagna meno di un meccanico di terza classe, è lo studente giovinetto, che non può avere nessuno svago, e invidia e odia il suo coetaneo operaio. Nel Blocco, a cui il Fascismo diede l'anima e il lievito per la battaglia, sarà esso che darà anche il contenuto programmatico per l'azione dopo la vittoria? Con la sua anima piccolo-borghese, ci risospingerà all'artigianato, sbriciolerà la terra, farà risorgere l'egoismo individualista dissolvitore, convinto di darci la rivoluzione, perché copierebbe alla meglio la Rivoluzione francese di 130 anni fa?”[134].

 

Il 18 maggio Pasella, segretario dei Fasci, riprodusse un comunicato sul Popolo d’Italia che ordinava ai fascisti di procedere con rappresaglie contro aggressori individuali e, se impossibile individuarli, contro i loro capi; il Questore di Milano Gasti intendendo questo, non come un atto di frenare la violenza squadrista indiscriminata come dichiarato poi da Pasella, lo fece arrestare e con lui diversi fascisti; Mussolini andò subito a protestare da Lusignoli e già il 19 furono tutti rilasciati! Mentre Lusignoli e quindi Giolitti non volevano ancora dissolvere i Blocchi, tre giorni dopo le elezioni, Mussolini rilasciava al Giornale d’Italia un’intervista, dove affermava la vittoria fascista escludeva ogni tipo di collaborazione con Giolitti: pur non essendo né repubblicano né monarchico il fascismo era tendenzialmente repubblicano e sarebbe stato ovviamente antisocialista e anticomunista, e che le violenze sarebbero cessate quando i socialisti avessero cessato le loro. L’affermazione sulla tendenza repubblicana di Mussolini creò un po’ di frizione e vi furono diverse dimissioni da parte di fascisti nazionalisti filomonarchici. Venne sbeffeggiato, come era solito, dalla sinistra. Bordiga scrive che: “Mussolini […] con tutte le sue pose, è salito di un gradino […] colla investitura parlamentare. Quello che dice e scrive non merita molto di più della presa in giro”.  Nella sua acerrima battaglia contro i massimalisti e i riformisti, Bordiga, sentenzia: “Nei programmi del fascismo si dovrebbe scrivere che esso è un movimento «tendenzialmente socialdemocratico»”. Bordiga non fa mistero che per lui il nemico numero uno è il PSI, ovvero, la socialdemocrazia, e che il fascismo, soprattutto quello mussoliniano, altro non è che una sua espressione. Dato l’odio contro i socialdemocratici, spesso si crede che Bordiga, vedesse di buon occhio il fascismo, questo è falso. Bordiga continua: “Mussolini urla, si arrabbia, invoca la disciplina e l’autorità del «capo», ma è costretto a constatare che nel fascismo, pochissimi sono coloro che sanno che esistano dei programmi, meno ancora quelli che si sono data la pena di leggerli. I fascisti, evidentemente, non leggono nemmeno tutti il «Popolo d’Italia»; che il fascismo fosse un partito, o fosse in via di diventarlo, lo potevano credere solo i gonzi[135]. È chiaro che Bordiga comprende quello che era evidente a tutti, tranne che a Mussolini, ovvero che in quel momento il fascismo era in mano ai ras locali. Giolitti nel frattempo stava facendo, nonostante la precaria maggioranza, dei passetti in avanti nel creare una coalizione con la sinistra. Apre ai sindacati, cedendo al Consorzio operaio metallurgico, ovvero alla FIOM, la gestione di cinque grandi stabilimenti statali: gli arsenali di Napoli e di Venezia, le fabbriche d’armi di Terni, Genova e Gardone. Commenta ironicamente Tasca: “Il «bolscevismo» italiano è ormai ben poco pericoloso, se si possono affidare, alla fine del maggio 1921, arsenali e fabbriche d’armi a quella stessa Federazione metallurgica [la FIOM] che aveva, otto mesi prima, deciso l’occupazione delle fabbriche.” Giolitti fece approvare nuove tariffe doganali, per difendere l’industria e l’agricoltura italiana, con l’accordo dei dirigenti della CGdL. Giolitti aveva posto le basi della politica che aveva lasciato prima della guerra, con la speranza di collaborare con il Gruppo Parlamentare socialista e i dirigenti dei sindacati[136].

Cesco

[1] Cesco. La scissione di Livorno 1921-2021. Adattamento Socialista, gennaio 2021.    https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/01/la-scissione-di-livorno-1921-2021.html

[2] Cesco. Il terrore che il piccolo “patriotta” ha che gli si porti via la “roba”! Quintessenza del fascismo di ieri e di oggi. Adattamento Socialista, marzo 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/03/il-terrore-che-il-piccolo-patriotta-ha.html

[3] Il Fascio Operaio, circolo fondato a Bologna il 27 novembre 1871, sull’onda antimazziniana preparata da Bakunin in occasione del Congresso delle Società Operaie a Roma, Agli operai delegati al congresso di Roma, proprio i primi di novembre [Emilio Gianni. L’Internazionale italiana fra libertari ed evoluzionisti. Ed. Pantarei, 2008]. Come già visto nel post dedicato alla Comune di Parigi, https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/05/la-comune-di-parigi-un-ideale.html, l’opera di Bakunin, contesa con Marx e altri internazionalisti, contro Mazzini era già iniziata nel 1865 circa. Sempre in qui giorni si andava formalizzando la rottura degli anarchici delle Federazione della Giura contro le risoluzioni prese a settembre a Londra dal Consiglio Generale della Associazione Internazionale dei Lavoratori.     

[4] Emilio Gianni. La parabola romagnola del “partito intermedio”. Ed. Pantarei, 2010.

[5] Tra i fondatori del Partito Operaio Italiano si devono menzionare Costantino Lazzari e Angiolo Cabrini. Il primo diverrà uno dei fondatori e dirigente del Partito Socialista, nonché segretario dal 1912 al 1919. Il secondo è tra i fondatori della prima Camera del Lavoro italiana, a Piacenza, così come tra i fondatori della Federazione delle Camere del Lavoro, dalla quale originerà la CGdL. Cabrini verrà espulso dal PSI, nel 1912, con Bissolati, Bonomi e Podrecca, passerà quindi al Partito Socialista Riformista Italiano.  Passerà poi nel 1922 al Partito Socialista Unitario di Turati e Matteotti. Con il consolidamento del regime totalitario fascista rimarrà nel sindacalismo di regime [da: Emilio Gianni. Dal radicalismo borghese al socialismo operaista. pp 229-301, Ed. Pantarei, 2012].

[6] Nel maggio del 1889 prendendo come pretesto alcune rivolte contadine nella provincia di Milano, il gruppo dirigente de Il Fascio operaio fu arrestato e multato e in novembre dello stesso anno uscì l’ultimo numero de Il Fascio operaio [da: Emilio Gianni. Dal radicalismo borghese al socialismo operaista. p 86, Ed. Pantarei, 2012].

[7] Emilio Gianni. Dal radicalismo borghese al socialismo operaista. Ed. Pantarei, 2012, pp. 90 e 227.

[8] I Fasci Siciliani si battevano principalmente per il miglioramento dei patti agrari. A Catania Giuseppe de Felice Giuffrida e, a Palermo, Rosario Garibaldi Bosco formarono i primi Fasci dei Lavoratori che andranno man mano a crearsi sul resto dell’isola. Il 20 gennaio 1893 nel palermitano 500 contadini occuparono terre demaniali e furono dispersi dai carabinieri con la forza facendo 13 vittime.

[9] La Lega Socialista milanese, fondata da Filippo Turati nel 1889, probabilmente da considerarsi il vero e proprio padre fondatore del Partito Socialista Italiano. Nonostante ciò, la Lega Socialista conteneva già la dirigenza del Partito Operaio Italiano.  

[10] Benito Mussolini. Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante. Avanti!, ed. milanese, 18 ottobre 1914.

[11] Abbiamo accennato le vicende inerenti alla “settimana rossa” in una nota del post: Cesco. Il terrore che il piccolo “patriotta” ha che gli si porti via la “roba”! Quintessenza del fascismo di ieri e di oggi. Adattamento Socialista, marzo 2021.

[12] Lotti mostra chiaramente come alla CGdL fosse stata anche ingiustamente accusata del fallimento della “settimana rossa” [da: Luigi Lotti. La settimana rossa. Ed. Le Monnier. 1965]. 

[13] Il comizio è di Alceste De Ambris e si tenne il 18 agosto.

[14] Questo fu il termine usato dal presidente della Repubblica Raymond Poincaré il 4 agosto nel suo messaggio alle Camere letto dal Primo Ministro Viviani, dopo la dichiarazione dello stato d’assedio e a quattro giorni dall’assassinio di Jean Jaurès.

[15] Corridoni partì volontario e trovò la morte proprio al fronte durante un assalto sul Carso il 23 ottobre 1915, a soli 28 anni.

[16] Il taglio dato dai sindacalisti dell’USI di Milano è nettamente nella tradizione “comunarda”: “[…] giova domandarsi se gli interessi più vitali della classe lavoratrice dei diversi paesi, se la causa della rivoluzione sociale, siano meglio tutelati dall’atteggiamento di rigorosa neutralità voluto per l’Italia dal Partito socialista ufficiale, in pieno accordo cogli elementi clericali, e a tutto vantaggio delle armi tedesche, […] Noi, combattendo a lato dei rivoluzionari di Francia, di Russia, del Belgio e dell’Inghilterra per la causa della libertà e della civiltà contro quella dell’autoritarismo e del militarismo teutonico, […] La nostra causa è quella di Amilcare Cipriani, di Kropotkine, di James Guillaume, di Vaillant, quella della rivoluzione europea contro la barbarie, l’autoritarismo, il militarismo, il feudalismo germanico e la perfidia cattolica dell’Austria.” [da: Fascio rivoluzionario d’azione internazionalista, 5 ottobre 1914].

[17] […] tra i combattenti vi furono uomini d’ogni ceto e d’ogni partito. Generalmente, il ricco partì ricco e torna ricco; il proletario partì povero e ritorna tale. Notevoli spostamenti portò invece la guerra in altri ceti intermedi, commercianti e professionisti ai quali stroncò l’azienda e l’avviamento. E sono essi infatti - insieme con altri stati di giovani piccolo-borghesi che in guerra divennero ufficiali, e temono, con la smobilitazione, di dover tornare a un piano sociale moralmente e materialmente più basso - sono essi che formano il nucleo maggiore del movimento « pretoriano », vaneggiano novità, minacciano la Repubblica, spaventano e ricattano Governo e borghesia; assicurandoli che essi soltanto potranno salvarli dal bolscevismo, ma attuando però una speciale rivoluzione a proprio personale beneficio. […] Il recente Congresso di Bologna, dei lavoratori della terra ha dovuto occuparsi della cosiddetta «Opera dei Combattenti», con la quale il Governo si propositò di costituire una classe nuova, con particolari diritti e privilegi, e con una specie di socialismo denaturato, per uso dei reduci dalle trincee. […] Senza contare che «i combattenti» è designazione vaga. Chi ha diritto di dirsi tale? Per il morto, ossia per la famiglia di chi è morto, chi fu soltanto ferito è già quasi un imboscato. Per il ferito in un assalto, chi fu ferito in trincea è un combattente per ridere. Chi ha fatto 30 mesi di fronte giudica uno pseudo-combattente che ne ha fatto soltanto dieci. L’automobilista, che pure era esposto a seri pericoli, passava per imboscato presso i soldati di linea; per i fanti erano imboscati gli artiglieri, per i bersaglieri sono imboscati fanti, per gli Arditi sono imboscati tutti all’infuori di loro. […] Lo spirito del corpo, instillato ai reparti d’assalto degli Arditi a fini militari, fu iperalimentato ed esasperato fino a un concetto di monopolio, di privilegio, di impunità, a scopi politici. Si disse a queste schiere di elementi più suggestionabili, che l’Italia l’avevano salvata loro, e loro soli; che i socialisti bolscevichi volevano disfarla; e che occorre salvarla un’altra volta, non però a scopi di conservazione e per i lucri e le fortune dei vecchi o nuovi ricchi, ma per fare poi una specie di rivoluzione marca Ansaldo per «arditi», combattenti, mutilati ed affini.” [da: Giovanni Zibordi. Esercito nazionale pretoriani, legionari o proletari? Critica Sociale, n.13, 1-15 luglio 1919 (scritto il 18 giugno)].

[18] I reparti d’assalto nascono ufficialmente il 29 luglio 1917 presso il campo di addestramento di Sdricca di Manzano nei pressi di Udine. Alla fine della guerra, secondo una stima di Rochat, vi erano circa 24.000 arditi in attività, suddivisi in una quarantina di reparti. Su 6 milioni circa di italiani arruolati, di cui 1 milione attivi al fronte all’inizio della guerra, e oltre 2 milioni alla fine, gli arditi non forniscono in realtà che è un modesto contributo alle sorti del conflitto. La composizione sociale degli arditi, provenendo questi da altre unità, non era molto diversa dal resto delle truppe. Farina ricorda come una metà fossero contadini, un terzo operai e il resto esercitante «mestieri di vario genere». [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 53, pp. 56-57 e pp. 62-63].

[19] Mario Carli scrive già nel settembre del 1918, mentre è, a sua detta, in licenza (si è combattuto nel giugno sul Piave e siamo ancora a un paio di mesi dalla vittoria di Vittorio Veneto), su Roma futurista, un articolo intitolato A me, Fiamme nere!Li chiamo a raccolta agitando un tricolore nella mano di scrittore tuttora spezzata e l’informo di questa nuova battaglia. C’è da fare moltissimo quaggiù. C’è da sventrare, spazzare, ripulire in ogni senso […] L’Italia ha creato gli Arditi perché la salvino da tutti i suoi nemici. Bisogna sperare tutto e chiedere tutto agli Arditi. Il nostro pugnale è fatto per uccidere i mostri esterni ed interni che insidiano la nostra patria.” [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 335].

[20] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 85.

[21] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 87.

[22] Essere studenti nei primi anni del ‘900 era sicuramente una condizione elitaria. Gli iscritti all’università nel 1914 erano 28.000 su 35.841.563 residenti (0.08%); nel 2008 erano 1.777.000 su 59.433.744 (2.99%) [https://www.istat.it/it/files//2019/03/cap_7.pdf]. Ovvero nel 1914 vi erano circa trentasette volte meno studenti universitari che oggi. 

[23]  Leonida Bissolati, è sicuramente un personaggio che la sinistra socialista non può liquidare in due righe. Presumibilmente il primo a tradurre e diffondere in Italia il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, storico direttore dell’Avanti!, si allontana dalle posizioni marxiste più ortodosse già nei primi anni del ‘900, gli anni in cui si andava concretizzando la possibilità di entrare  a far parte del Governo Giolitti. Il Giolitti stesso si permette di ironizzare sulle tendenze revisioniste di Bissolati, il quale, avendo riposto Marx in soffitta, da sé ormai (e siamo già nel 1910) considerava il PSI un ramo secco.  E nel 1911 oramai si esprimeva a favore dell’intervento dell’Italia in Tripolitania, considerandolo il male minore. Come è noto Bissolati, assieme a Bonomi, Cabrini e Podrecca, verrà espulso dal PSI al Congresso di Reggio Emilia nel 1912, per mezzo dell’ordine del giorno degli intransigenti presentato proprio da Mussolini, e andrà a formare il Partito Socialista Riformista. Questi si esprimerà anche in favore dell’intervento nella Prima guerra mondiale. Giovanni Zibordi coglie molto bene la confluenza di atteggiamenti dei due “celebri” espulsi Bissolati e Mussolini: “Il fenomeno può riuscire strano […] a noi non deve fare meraviglia. In fondo, essi si sono sempre somigliati per vari aspetti, e noi, per questi medesimi aspetti, fummo egualmente, dagli uni e degli altri, diversi. […] Naturalmente, dopo essere usciti, sia i destri che i sanculotti si sentirono in dovere di dare insegnamenti preziosi al partito che avevano abbandonato. […] Giacché, uomini così diversi, hanno comune una tradizione politico-letteraria francese […] che è assai diffusa fra i militanti o i pubblicisti d’avanguardia di quest’Italia che dovette prendere a prestito tutto dall’Estero, anche il figurino sovversivo, […]. Dividerli per categorie, tutti costoro che stanno per formare il gran fascio dei socialisti nazionali, […] analizzare e distinguere le origini […]. I motivi psichici che li spinsero a questa voce; le intricate e contraddittorie cagioni per cui il professore latte miele, uscito dal partito nel 1912 per la ripugnanza e paura - vera paura fisica - di Mussolini e del Mussolinismo, si trova ora ad essere con un berretto frigio in capo è uno sciabolone a tracolla al seguito del Generale comunardo […] sarebbe dilettevole ed istruttivo, ma troppo lungo. […] E poi, un altro elemento comune li spinge ad unirsi: l’odio contro di noi. […] I destri prostituitisi alla demagogia; i sanculotti arresisi alla collaborazione con i governi borghesi, si illudono, stringendosi le mani, di soffocarci, per vendetta delle loro vergogne.” [da: Giovanni Zibordi. L’allacciamento dei “destri” e dei sanculotti. Critica Sociale, n.11, 1-15 giugno 1917]. Lo Zibordi si riferisce appunto ai Fasci d’Azione nazionale parlamentare. Ma nell’immediato dopoguerra Bissolati assume una posizione di negoziazione con la Jugoslavia e questo gli fa inimicare la destra nazionalista e fascista.  

[24] Vedi nota (4) del post di Cesco. Il terrore che il piccolo “patriotta” ha che gli si porti via la “roba”! Quintessenza del fascismo di ieri e di oggi. Adattamento Socialista. marzo, 2021 [https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/03/il-terrore-che-il-piccolo-patriotta-ha.html].

[25]Tale culto della violenza era una peculiarità propria del corpo degli arditi che, una volta smobilitati, erano ritornati alla vita civile, trasportando nel loro agire politico, al servizio di parole d’ordine nazionaliste e antisocialiste.” [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 68].

[26] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 70.

[27] Vedi anche note (18, 19, 20) in Cesco. Il terrore che il piccolo “patriotta” ha che gli si porti via la “roba”! Quintessenza del fascismo di ieri e di oggi. Adattamento Socialista, marzo, 2021 [https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/03/il-terrore-che-il-piccolo-patriotta-ha.html].  “Ugualmente nell’esercito, che, come visto, aveva vissuto diversi episodi di forte insubordinazione (uno tra tutti Fiume) vedeva di buon occhio l’emergere dei fasci, dove in certi casi “alcuni Fasci sorsero per iniziativa del corpo d’Armata di Bari”. [da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 604].

[28] Mussolini si rende protagonista di un vero e proprio voltafaccia con D’Annunzio sull’occupazione di Fiume. Mussolini già fomentatore dei miti del nemico interno e della vittoria mutilata, raccoglie, addirittura, fondi tramite il suo giornale che però non arriveranno mai a D’Annunzio, ma che in realtà Mussolini intascherà. Poi il 12 novembre del 1920 ben accetterà il Trattato di Rapallo e l’intervento dell’esercito italiano comandato da Giolitti a Fiume, il “Natale di sangue” sempre del 1920. Questo gli farà inimicare anche una parte della base fascista diciannovista, ma non decreterà la fine del fascismo come alcuni avevano “previsto”; invece determinerà un avvicinamento politico di Mussolini a Giolitti [da: Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 20].

[29] Nel luglio abbiamo la devastazione della tipografia dell’Avanti! a Roma, e l’incendio dell’Hotel Balkan (noto anche come Narodni dom) a Trieste. Mussolini li reclama con la più netta e violenta esaltazione, da quel momento, ovvero l’estate del 20, convergono nei Fasci vari gruppi antisocialisti, mentre molti sindacalisti rivoluzionari interventisti e molti legionari fiumani incominciano a prenderne le distanze. La sterzata a destra del fascismo era quindi già chiara dal luglio del ‘20.

[30] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 93.

[31] Mussolini e il Popolo d’Italia non furono ostili, a parole, alle agitazioni operaie dell’estate del ’20: erano a favore di “qualche miglioria”, ma con “la disciplina ferrea del lavoro” [da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 628]. Il 10 settembre, mentre il Consiglio nazionale della CGdL si riuniva con gli esponenti del PSI per decidere sulla natura dell’agitazione, Mussolini si incontrò con Buozzi della FIOM, a cui affermò che al fascismo non interessava se le fabbriche fossero degli operai o degli industriali ma che si sarebbe opposto agli esperimenti bolscevichi di governo.

[32] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 20. In aggiunta si noti che sempre in quei giorni i fascisti erano occupati nelle devastazioni xenofobe contro sloveni e croati, ovvero i fatti di Pola. Fabio Fabbri. Le origini della guerra civile. Ed. UTET. 2009.

[33] UIL o UIdL, un sindacato italiano attivo dal 1918 al 1925, di ispirazione nazional-sindacalista nato da una scissione dell’USI.

[34] Fabio Fabbri. Le origini della guerra civile. Ed. UTET. 2009.

[35] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 628.

[36] Rodolfo Mondolfo. Unità del Partito, violenza, dittatura: nella mozione di Reggio. Critica Sociale, n. 21, 1-15 novembre 1920.

[37] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 628.

[38] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), pp. 636-38.

[39] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 144.

[40] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 652.

[41] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 146.

[42] L’avvicinamento tra Giolitti e Mussolini avvenne prima del “Natale di sangue”. Quale fu lo scambio non è tutt’oggi noto: Lussu disse a De Ambris che Mussolini ricevette denaro, mentre per altri era la libertà di azione per i fasci, mentre secondo Valeri e De Felice vi fu l’appoggio di Giolitti ai fascisti più ragionevoli, in cambio del loro sganciamento dai dannunziani di Fiume. In quest’ottica di scambio devono essere visti i Blocchi Nazionali, con l’aggiunta di una possibile politica di reazione che Giolitti voleva provocare nei socialisti di Turati e nei popolari. In sintesi come scritto da De Felice: “I Blocchi Nazionali dunque non nacquero da un filofascismo di Giolitti, ma da una sua errata valutazione del fenomeno fascista e in genere dal fatto che egli non comprendeva la nuova situazione generale determinata dalla guerra, che aveva radicalizzato i conflitti politico-sociali e rafforzato (socialisti) o dato vita (popolari e fascisti) a partiti nuovi che non si lasciavano riassorbire dalla pratica liberal-democratica, urbana ed agricola, del « sistema » giolittiano”[da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 606].

[43] Dino Grandi. Demolire e costruire. La nostra rivoluzione. Assalto, 8 gennaio 1921. [da: Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 42].

[44] Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 611.

[45] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 158.

[46] Angelo Tasca op cit. pp. 147 e 150, in Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 613.

[47] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 614.

[48] On. Dugoni a Togliatti, articolo del 1° dicembre 1962. [riportato in Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 614.

[49]Scioperi agricoli, guidati da rossi e bianchi spuntano or in questa, ora in quella regione, con caratteri e concetti i più autonomi e vari. […] Rossi e bianchi gareggiano, nelle terre più vergini o più in fermento per tutte le irritazioni lasciate dalla guerra più direttamente e duramente provata, di atteggiamenti estremisti. […] A Trieste gli Arditi destinati all’Albania fraternizzano con il proletariato socialista, mentre a Bari e appena cessata un’agitazione grave e dolorosa. […] L’esercito è in mezzo sfacelo, qualche Generale congiura messicanamente per una rivoluzione di palazzo, qualche ammiraglio segue D’Annunzio invece che obbedire al ministro della Guerra o della Marina; la gerarchia è rotta. Ma anche nell’esercito rosso non v’è quella unità di disciplina e di comando che ne costituirebbe la forza.” [da: Giovanni Zibordi. Contagio di disgregazione. Critica Sociale, n.12, 16-30 giugno 1920. Scritto il 13 giugno 1920].

[50] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 154.

[51]Vedi – diceva un grande proprietario della provincial di Ravenna – non abbiamo mica paura di Bombacci; è Baldini che ci fa paura perché con la sua Federazione delle cooperative, ci fa sostituire dappertutto”. Ecco perché la violenza fascista si è esercitata soprattutto contro le istituzioni create dal socialismo riformista. [da: Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 157.]

[52] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 615.

[53] Secondo le parole di Luigi Fabbri l’episodio di Palazzo D’Accursio: “fece capire alle autorità politiche ed ai fascisti che tutta la vantata preparazione rivoluzionaria […] era un bluff, e che l’esercito socialista, già in ritirata sul terreno economico e politico, non solo aveva smessa l’offensiva, ma non sapeva neppure profittare della forza del numero, di cui disponeva indiscutibilmente, per difendersi con la propria azione diretta. Se si fosse subito resistito con l’energia e la violenza necessarie, e la necessaria concordia, ai primi assalti fascisti, il fascismo sarebbe morto sul nascere”. Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva (riflessioni sul fascismo). [da: Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 103].

[54] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p 618.

[55] In un Paese come il nostro, contrario alle gesta eroiche e agli atteggiamenti boulangisti, il Fascismo si andava liquidando, e la gente neutra e la borghesia stessa lo avevano in uggia, come quello che rappresentava e teneva vivo il ricordo, lo spirito, e il proposito di guerra. A ridargli fiato, a prestargli una ragione di vita, a valorizzarlo presso quella tal gente (ed è molta e ha, come tutte le zavorre, il suo peso, negativo ma, a cert’ore, decisivo) è valso il programma, la minaccia, l’atteggiamento rivoluzionario. Il Fascismo vuole la guerra, o un prolungarsi dello stato di guerra, vuole la Dittatura per scale di dominio, per fame di cuccagna, per bisogno di salvarsi, e - per merito dell’estremismo rosso - ha il destro di poter coprire tutto ciò col pretesto dell’ordine, con l’ufficio di salvare la continuità della vita nazionale, che […] non è, per la più gran parte dei cittadini, la bandiera, l’Italia monarchica, il Campidoglio, la gloria, e tutto il resto, ma è un minimo di esistenza, di pane, di relativa tranquillità, è la fine di questo stato di istero-epilessia cronica con attacchi periodici in grande stile. Riconosceva l’Avanti! del 17 ottobre, nell’articolo ‘Vane minacce’, che su questo terreno della guerra civile, del banditismo, dell’assassinio insomma, noi siamo inferiori, e le pigliamo.” [da: Giovanni Zibordi. Note e rilievi sul Convegno di Reggio Emilia. Critica Sociale, n.21, 1-15 novembre 1920. (Scritto il 21 ottobre).]

[56] I profughi nella Repubblica di S. Marino. I fascisti progettano una “spedizione punitiva”? Avanti! Martedì 28 dicembre 1920, ed. romana.

[57] Gruppo parlamentare socialista. Avanti! Martedì 28 dicembre 1920, ed. piemontese. Singolare è la reazione di Bordiga, leader della Frazione astensionista Comunista, che afferma come fatti quali quello di palazzo D’Accursio a Bologna, non debbano essere presi a pretesto per l’unità: “anche non prendendolo con la scheda [il Comune di Bologna] verrà il giorno che lo prenderemo coi mezzi con cui i fascisti ce lo hanno portato via, dandoci una lezione proficua.” [da: Amadeo Bordiga. Gli avvenimenti di Bologna e l’unità di partito. Il Comunista, 4 dicembre 1920].

[58] Fatti di Ferrara del 29 dicembre 1920 dove camion fascisti da Bologna. Il proletariato ferrarese contro il ricatto fascista. Avanti! Mercoledì 5 gennaio 1921, ed. romana.

[59] La Camera del Lavoro e la Federazione Socialista deliberano: “1. Che i compagni ai quali fu dato il mandato di Amministrare la pubblica cosa dalla stragrande maggioranza degli elettori del Comune e della provincia di Ferrara, debbano rimanere al loro posto di fiducia e di battaglia” da La situazione a Ferrara, Avanti! Giovedì 6 gennaio 1921, ed. romana.

[60] Dall’eccidio di Correggio il 31 dicembre, ai fatti di Taranto, a Bologna il 9 gennaio e ancora a Pisa l’11 gennaio.

[61] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 167.

[62] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 5.

[63] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 607.

[64] Anche Angelo Tasca riporta un dettaglio interessante. Tasca sostiene infatti che lo Stato intervenne direttamente, tramite il ministero della Guerra, a costituire nuclei di ufficiali e sottoufficiali volontari a ferma lunga, da affiancare ad una milizia di idealisti per fiaccare la tracotanza locale di alcuni centri sovversivi, ovvero socialisti. A questo proposito Tasca menziona anche la famosa circolare dell’allora, ottobre 1920, ministro della Guerra Bonomi. Circolare che ebbe l’effetto di far aderire 60 mila ufficiali smobilitati ai Fasci di Combattimento, facendogli corrispondere i 4/5 dello stipendio. [da Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), pp. 160-161].

[65] A Bologna, come Modena, come a Reggio, come a Ravenna, come in tutti i Comuni formati da un centro urbano e da circostanti frazioni rurali, o ville secondo l'antico nome vivo in Emilia, vi è anzitutto un dualismo fatto d'interessi e fatto di consuetudini e di psicologia, fra la città e la campagna: dualismo più accentuato là dove, come a Bologna, come a Modena, vi è un centro universitario e d'orgoglio culturale. Ora in tali città vi è il partito conservatore tradizionalista (ch'è quel medesimo delle campagne), v'è il clericale, v'è il democratico (professionisti, impiegati, esercenti), ma scarseggia il partito socialista finché non si sviluppi l'industria, la quale però, nei primi suoi tempi, trae il suo nuovo proletariato, grezzo, e non selezionato, anzi in parte selezionato a rovescio, dalle circostanti campagne. È dunque un duplice anello concentrico, proletariato urbano d'importazione campagnola, e ville «rosse» di quel rosso acceso ch'è proprio degli ambienti rurali prossimi alla città, che stringe il centro cittadino, aristocratico, colto o sedicente tale. Subire il giogo dei «villani»! Quale umiliazione! Vano è dire che queste «torme» spregiate, bene spesso, mandando con le loro valanghe di voti i socialisti al Comune, rinnovarono esse le città, non pur nelle materiali riforme, ma anche nei campi della scuola, della coltura, dell'arte, e fecero o fecero fare o lasciarono fare ai loro rappresentanti Amministratori opere sane, buone, belle, che le vecchie caste signorili non avevan mai tentato o sognato. Tant’è: per un odio tradizionale e per motivi più o men piccoli ma apprezzabili […] i centri urbani di cui io parlo rodono il freno del governo socialista, non solo perché è socialista, ma perché è l’espressione di forze elettorali rurali.

[…] Il Sindaco Zanardi, assai noto, assai benvoluto, sia nei ceti operai, sia in altre sfere […] socialista d’antico stampo […]. Egli, Zanardi, sopporta oggi il duplice peso del male che fecero gli altri e del bene che fece lui; espia gli eccessi e gli errori estremisti e i meriti e le vittorie del sano e operoso Socialismo! […]. Prevaleva frattanto il massimalismo in città, Bucco istituiva la sua dittatura, […]. Professionisti ed impiegati, che un tempo davano il contingente alla democrazia, e che tuttavia guardavano benevolmente o, almeno, subivano un socialismo temperato, umanistico, come quello impersonato da Zanardi, si ribellavano l’estremismo di Bucco, […]. Gli esponenti di questa reazione - l’Avvenire d’Italia soprattutto - gridano con tutta la forza dei loro polmoni alla lunga tirannide che è cessata, alla «schiavitù di Babilonia» da cui finalmente il Fascismo ha liberato la cittadinanza di Bologna […]. Osservava con amarezza, in un recente articolo, la Scintilla di Ferrara, che pochi mesi fa «tutti erano socialisti a Bologna»; ed ora…” [da: Giovanni Zibordi. Alcuni fattori e alcuni insegnamenti della situazione di Bologna. Critica Sociale, n.2, 16-31 gennaio 1921. (Scritto il Natale 1920)].

[66]  Bologna (senza volere anticipare giudizi) ne è senza dubbio un esempio. Il tragico, orrendo episodio del Consiglio Comunale fu l'occasione di una «ripresa» borghese formidabile. La vera borghesia rurale ed urbana, i signori dell'Agraria, i capitalisti di città, i bottegai e gli speculatori, attendevano il pretesto, ed esso venne, e la loro gioia è tanta, è così palese ed oscena, che, se l'omicida del povero Giordani non dovesse trovarsi, la gente serena finirà per dire che l'hanno fatto ammazzare loro per giocare coi numeri del morto la quaterna al lotto della propria fortuna politica. Ma è innegabile che questa resurrezione-insurrezione dei manipoli borghesi propriamente detti trova momentanei consensi in quella grande zona media e neutra di opinione pubblica, senza di cui nessun partito può dominare, perché alcune forme del movimento socialista e proletario bolognese avevano allontanato da sé questa zona, avevano sparso del malcontento nella cittadinanza. Il torto di molti è di concepire i partiti come due eserciti, che da soli, uno contro l'altro, tengono il campo. Non è così, specialmente in paesi ancora poco politici come l'Italia. I partiti sono falangi relativamente limitate, e in mezzo sta molta gente politicamente a colore sbiadito o nullo, che, spostandosi di qua o di là, dà un enorme peso, a certe ore, all'uno o all'altro partito. Gli agenti psicologici la muovono assai più dei ragionamenti politici. Molti anni fa, a Reggio, il compagno maestro Italo Salsi era in carcere, e i socialisti lo portarono candidato politico. La sua sposa e i suoi due bambini erano usciti in giro per la città, e i piccini portavano un cartello appeso sul petto: «Liberate il nostro babbo». L'asinità del Prefetto pensò di fare arrestare la madre. I voti per Salsi si moltiplicarono come in una vampata di sdegno e di protesta, e gli diedero una elezione trionfale.

A Bologna, questa volta, la bestiale fatalità volle che un Consigliere comunale di minoranza fosse ucciso, e precisamente quello che più si meritava simpatia e rispetto. La circostanza provocò un'accensione di sentimenti, che trovava però assai combustibile accumulato. Il movimento socialista e proletario di questi ultimi anni aveva, per alcuni suoi atteggiamenti, alienato notevoli zone dell'opinione pubblica, che aveva dimenticato la mirabile benefica opera del Comune socialista nei più duri anni della guerra, e stolidamente si mette al seguito, oggi, della riscossa agraria borghese bottegaia fascista - cioè dei suoi nemici - perché i socialisti han fatto fare troppi scioperi, han seccato la cittadinanza con troppo frequenti agitazioni, han fatto perdere ingenti raccolti agricoli, han voluto regolare la requisizione e la distribuzione dell'uva e non vi son riusciti irritando così i contadini da un lato e i consumatori dall’altro.” [da: Giovanni Zibordi. Il congresso della luce. Critica Sociale, n.24, 16-31 dicembre 1920].

[67] La revisione dei canoni d’affitto è concessa per contratti conclusi il 30 giugno 1918. [in: Ezio Riboldi. Una cattiva legge Agraria. Avanti! giovedì 20 gennaio 1921, ed. romana.

[68] Fino al 31 dicembre 1920, di fascismo a Reggio Emilia e in provincia non si era mai parlato. Imperversava già nel Modenese, specialmente a Carpi, dove erasi formata una vera organizzazione militare, con armi, disciplina, strategia, ad opera, di un tale, dicesi rimpatriato, durante la guerra, dall'America, dove aveva errato per molti anni, combattendo nel Messico con le fazioni che là si disputano permanentemente il potere. Terrorizzati e sottomessi i paesi del Modenese, era da prevedersi che l'armata fascista cercasse paesi da ridurre a colonie nei territori finitimi. Molto verosimilmente i fascisti modenesi e carpigiani ebbero consigli, indicazioni ed inviti dai borghesi (residenti a Modena o alleatisi coi fascisti di là) che il corpo elettorale aveva, nelle ultime elezioni amministrative, spazzati via dai Comuni del Reggiano. Ciò potrà essere accertato quando, mutati i tempi, un processo politico (ai processi giudiziari è per ora stupido pensare) potrà essere compiuto con piena libertà e con garanzia di immunità per coloro che saranno in grado di dare informazioni documentate. Fatto sta che il 31 dicembre si ha la prima apparizione di fascisti in territorio reggiano, e precisamente a Correggio. A far che cosa? A cercare un pretesto per iniziare la... penetrazione. Il pretesto è offerto da un veglione organizzato per quella sera dai socialisti nel Teatro Comunale. Chi pensa a danzare non può dirsi predisposto ad ordire congiure rivoluzionarie. E il socialismo correggese non era infatti dissimile da quello di tutta la restante provincia […] Appena arrivati, i fascisti distribuiscono un manifestino che spiega come essi siano venuti a liberare il paese dalla tirannide rossa, dalle taglie, dai boicottaggi, ecc. ecc. […]” [da: Un testimone. Come nacque e si svolge il terrore bianco nel reggiano. Critica Sociale, n.10, 16-31 maggio 1921].

[69] Il proletariato ferrarese è al suo posto. La cronaca di una settimana. Avanti! martedì 25 gennaio 1921, ed. romana; e mercoledì 26 gennaio 1921, ed. milanese. E ancora: I lavoratori di Bologna contro le violenze fasciste. L’arresto di uno dei responsabili dei fatti di Correggio. Avanti! martedì 25 gennaio 1921, ed. romana. Lo studio e la casa dell’onorevole Donati vengono assaliti e devastati, a Bologna e Modena le Camere del Lavoro completamente devastate dai fascisti e dai carabinieri, gli assessori Boccolari e Cavazzuti percossi e feriti. La Nuova offensiva contro le organizzazioni proletarie. La camera del lavoro di Bologna e di Modena incendiate. Avanti! mercoledì 26 gennaio 1921, ed. romana.

[70] Riunione della direzione del partito, seduta del 25 gennaio. L’ordine del giorno sulla situazione politica. Avanti! mercoledì 26 gennaio 1921, ed. romana.

[71] La guardia bianca all’opera. I fascisti incendiari anche a Firenze. La tipografia della “Difesa” distrutta, e Una spedizione punitiva a Cecina. Avanti! giovedì 27 gennaio 1921, ed. romana.

[72] La Camera di ieri. La prima protesta del Gruppo parlamentare. Avanti! giovedì 27 gennaio 1921, ed. romana. Quindi il giorno successivo appare un articolo che riporta la protesta: “La camera si fa attentissima quando si alza l’on. Lollini, incaricato dal gruppo socialista di sporgere la mozione contro la complicità del governo nelle gesta terroriste del fascismo. Ho avuto l’incarico dal gruppo socialista di chiedere la discussione immediata di questa mozione: la Camera, constatando che gli ultimi episodi di violenza, organizzati in varie regioni d’Italia conducono inevitabilmente il paese alla guerra civile, rilevando che il Governo e le autorità locali assistono impassibili alle minacce e alle violenze, agli incendi, da parte di bande armate e pubblicamente armate a tale scopo e le proteggono anche con l’impedire la difesa legittima delle persone, delle amministrazioni e delle organizzazioni colpite, condannano la politica del Governo […]. Se a qualcuno apparisse, che le mie parole siano eccessive, io direi che un giornale tipicamente borghese, come il Giornale d’Italia, ha intitolato la sua relazione sulla situazione nel ferrarese con le parole: la jacquerie borghese. […]. Queste violenze non sarebbero possibili se non vi fossero complicità più alte di ordine politico, da parte dell’autorità e del Governo centrale. […]. E poiché il governo ha voluto che non si avesse la sensazione che il Partito Socialista non potesse tenere la sua assise nazionale, il governo ha saputo organizzare le cose in modo che il congresso di Livorno non ha dato luogo ad incidenti. Anzi non si è limitato a provvedere a Livorno, ma ha provveduto anche a impedire che vi fossero delle spedizioni a Livorno dalle città vicine. Noi crediamo che di fronte a quello che avviene ora nel Paese la camera debba essere investita di questa gravissima questione e assumere apertamente anche le proprie responsabilità. Quello che è avvenuto e avviene a Bologna, Ferrara, Modena, Carpi e in tanti altri paesi indica chiaramente che si attenda in pieno alla sovranità popolare. […]. L’intervento dell’on. Sarrocchi della destra. Invita il governo a mettersi in grado di garantire comunque o a beneficio di tutti i cittadini rispetto delle libertà individuali e politiche.” [In: Alla Camera dei deputati. Un primo scontro sulla politica interna del governo. La mozione socialista. Avanti! venerdì 28 gennaio 1921, ed. romana].

[73] Alceste Della Seta. La situazione a Bologna nella relazione d’inchiesta parlamentare. Avanti! anticipata nell’edizione del martedì 1° febbraio 1921, ed. romana.

[74] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 45.

[75] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 47.

[76] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 22.

[77] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 25.

[78] Amadeo Bordiga. La marcia a destra. Il Comunista, 3 febbraio 1921. L’accordo sembra essere basato sul prezzo del pane, dove I socialisti avrebbero rinunciato all’ostruzionismo contro il rincaro del prezzo del pane, se il Governo avesse preso una posizione energica contro il fascismo. [da: Amadeo Bordiga. Scritti 1911-1926. Vol. 5, p. 103, nota 3].

[79]L’on. Bentini si difende dalle accuse dell’onorevole Sarrocchi in merito ai fatti di Bologna. Nella stessa seduta L’on. Galani, socialista: “Nota che con l’acquiescenza del governo le classi interessate hanno potuto formare un esercito bianco di fascisti che si oppone con la violenza all’elevazione civile proletaria” e aggiunge che a “Bologna i conflitti tra le due forze vive contendenti, socialismo e fascismo, sono avvenuti soprattutto quando il governo ha favorito questa nuova forma di resistenza al movimento proletario”. Prende la parola il deputato Garosi, comunista, e ripete che la corresponsabilità dei fatti di Bologna è da ascrivere alle autorità. Afferma: “che [i fascisti] sono assoldati dagli arricchiti di guerra, i quali non vogliono rinunciare alle male acquistate novizie né mantenere le promesse fatte ai lavoratori per spingerli alle trincee” Conclude: “Quanto al partito comunista di fronte a tali gravi provocazioni non invoca né indulgenza né tolleranza, ma si limita ad attendere serenamente il giorno dei trionfi dei suoi ideali”. Parla l’on. Tofani, destra, il quale dice che “Il governo si trova di fronte ad una situazione particolarmente grave nelle province emiliane e […] occorre quindi prendere d’urgenza provvedimenti speciali per ridonare la tranquillità a quella regione”. È l’on. Calò, eletto nelle liste dei combattenti, a prendere un’interpretazione interessante del fascismo in quanto secondo lui nessun gruppo della camera può essere chiamato ad assumersi la responsabilità del fascismo, perché questo riflette uno stato d’animo non derivante dalla guerra e che anzi non si debba attribuire a individui che alla guerra hanno partecipato. Sottolinea che il dovere supremo del governo e di ottenere il rispetto della legge e impedire che alla forza pubblica si sostituisca la forza privata. Sempre secondo lui, un errore gravissimo del partito socialista fu quello di creare uno stato d’animo rivoluzionario senza la rivoluzione. “Di qui quello stato d’animo di violenza anarcoide che paralizza la vita della nazione”. È contro il disarmo nell’Emilia perché secondo lui questo lascerà i probi e onesti cittadini inermi e indifesi contro i violenti. Si sollevano rumori e proteste dall’estrema sinistra. Continua Calò: “Più che ricorrere ad espedienti di polizia è necessario ripristinare l’autorità dello Stato nell’interesse di tutti senza distinzione di partito e di classi. In questo intento tutti i partiti possono trovare accordi per la pacificazione degli animi e per la prossima verità della patria italiana. (Vivi applausi a sinistra, rumori all’estrema sinistra, molte congratulazioni). [da: Camera dei deputati, Fascismo attaccato a fondo dai socialisti è difeso dagli arricchiti di guerra. Avanti! mercoledì 2 febbraio 1921, ed. milanese.]

[80] Giolitti e D’Aragona dissertano sulla politica interna e sul fascismo. Un forte discorso comunista dell’on. Roberto. L’Ordine Nuovo, giovedì 3 febbraio 1921.

[81] Giolitti e D’Aragona dissertano sulla politica interna e sul fascismo. Un forte discorso comunista dell’on. Roberto. L’Ordine Nuovo, giovedì 3 febbraio 1921.

[82] A pagina 2, dell’edizione romana dell’Avanti! del 4 di febbraio c’è un trafiletto comprendente un efficace commento degli interventi dell’on. Cappa e dell’on. Milani. “Basta con le ciarle maligne e vuote […]. Fuori piuttosto l’opera svolta dal capitalismo terriero in tanti anni di assoluto dominio. Che cosa avete fatto, voi agrari delle terre dell’Emilia? Quali sacrifici vi siete imposti e vi imponete per l’incremento della produzione? Le organizzazioni operaie non da oggi, ma da anni, si sobbarcano sofferenze e rinunce pur di aumentare la ricchezza del suolo e senza aspirare a fatto ad alcun titolo di benemerenza patriottica, anche in questo momento in cui si scatena contro di loro una torbida campagna di calunnie e di violenza faziosa. Affermano nella pratica il principio di subordinare ogni loro legittima azione al superiore interesse della comunità minacciata dalla carestia.”. E, continua, portando l’esempio di Molinella dove le organizzazioni operaie avevano deciso di onorare i patti del 1918. Nonostante l’evidente sproporzione fra la media dei salari e del costo della vita gli operai si erano impegnati a tenere fede ai contratti fino alla loro conclusione al fine di stimolare i proprietari nella produzione e ridurre le terre incolte per far fronte alla terribile carestia. Questi lavoratori della terra “Invitano inoltre gli attuali proprietari ed amministratori delle tenute Durazzo (Conte Francesco Cavazza) che gode della tariffa del 1918 e della tenuta eredi Malvezzi (Amministratore Carlo Malvezzi) a rinunciare al fine al loro assenteismo colpevole e provvedere alla coltivazione integrale di quelle vastissime tenute, che potrebbero costituire una fonte di ricchezza per l’intero paese, e si augurano che allo sforzo unanime della classe lavoratrice corrisponda una più civile e degna comprensione del proprio dovere da parte del capitalismo terriero [….] Ed ora la parola agli agrari e tra i vari Cappa e Milani, rimasti loro paladini unici e soli, dopo che perfino il fascismo si è proclamato contro di loro, e nessun partito politico osa dichiarare di aver connessi affinità e rapporti di parte. Signori dell’agraria, fuori il vostro certificato di servizio! Che cosa avete fatto per il paese? La pacificazione degli animi che invocate ed il così detto ripristino della legge che reclamate dal governo, devono servire ancora una volta a coprire la vostra politica di sfruttamento individualistico, che fa della terra il campo chiuso delle vostre speculazioni ed è la vostra brama di arricchimento improvviso ed illecito, malgrado e contro i bisogni del Paese.” [da: Fatti e non chiacchiere. Avanti! venerdì 4 febbraio 1921, ed. romana] e ancora, Milani seppur non becero come Cappa, è accusato di non aver preso le distanze dal direttore de L’Avvenire d’Italia.E così Milani, che pure non si è mai dissociato dall’infame campagna fascista dell’on. Cappa, ha parlato di pacificazione e disarmo degli animi” [da: Il risultato della votazione sulla politica interna. Avanti! sabato 5 febbraio 1921, ed. milanese].

[83] Alceste Della Seta. La controrelazione socialista alla relazione borghese sulla reazione fascista. Avanti! domenica 6 febbraio 1921, ed. milanese. In aggiunta il 18 febbraio l’on. Della Seta venne aggredito da una ventina di fascisti a Roma, riportando contusioni e senza nessun intervento delle forze dell’ordine [da: Il compagno Della Seta aggredito dai fascisti. L’Ordine Nuovo, sabato 19 febbraio].

[84] Rusticus. L’agitazione agraria nel Bolognese. Avanti! giovedì 10 febbraio 1921, ed. romana. Sempre Rusticus, ovvero Piazza, un mese dopo sottolinea il cattivo gusto nel parlare di pacificazione senza effettivamente prendere seriamente in considerazione la situazione: “Ed il governo - che sempre ed ognora ricanta la vecchia ninnananna della pacificazione - si presta, manco dirlo, al gioco e contribuisce con ogni sua forza e con ogni suo sforzo a far precipitare rapidamente la situazione verso la guerra a coltello” [da Rusticus. Ancora le questioni agrarie bolognesi. Dove si vuol andare a finire. Avanti! martedì 8 marzo 1921, ed. milanese].

[85] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 164.

[86] Giovanni Zibordi. Dopo la discussione parlamentare sul Fascismo. Critica Sociale, n.4, 16-28 febbraio 1921.

[87] “A Bologna abbiamo avuto il peggiore degli episodi della lotta senza quartiere che la borghesia - ponendo in azione quella specie di suo «braccio secolare» che si chiama fascismo - ha intrapreso contro i sindacati operai con la scusa assai meschina invero, di difendersi da quelle violenze individuali che, purtroppo, qualche sovversivo ha l’ingenuità di credere «atti rivoluzionari». È evidentemente falso che il fascismo reagisca a violenze socialiste, tanto è vero che anche la creduta, ed arbitrariamente ingrandita, violenza esercitata da anarchici, sindacalisti, popolari (perché vi sono anche state violenze popolari ben più gravi di quelle che a noi vengono imputate) o socialisti, l’ira fascista si riversa immancabilmente su qualche Camera del Lavoro confederale, anche se questa - in ragione diretta della distanza chilometrica dal luogo del fatto - avrebbe ragione di credersi al sicuro almeno dalla imputazione di correità. Questa è la dimostrazione evidente che il fascismo non è un’associazione politica; che il fascismo non ha direttive proprie; che non ha neppure quel tanto di senno politico che occorre per distinguere un partito dall’altro, un ideale da un altro.” [da: Gino Baldesi. Che Cos’è il fascismo? Avanti! giovedì 27 gennaio 1921. Ed. Milanese e anche sull’Avanti! domenica 30 gennaio 1921, ed. romana.].

[88] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 23.

[89] Un altro esempio, anche se è abbastanza isolato, di ritorsione armata da parte dei socialisti è a Modena, quando il 24 gennaio, due squadristi, uno dei quali provenienti da Bologna, sono uccisi duranti un corteo da dei colpi di arma da fuoco. Le Camere del Lavoro di Modena e Bologna sono incendiate e il Ministro degli Interni, allora on. Giolitti, ordina la revoca del porto d’armi nelle province di Bologna, Modena, Ferrara. Mussolini dal Popolo d’Italia, protesta contro questa misura, A Bologna e a Ferrara le associazioni liberali si rifiutano di consegnare le armi, a Modena le associazioni degli ex-combattenti, i Fasci e altre associazioni liberali dichiarano di non riconoscere il decreto ministeriale, né la legalità dell’ordine prefettizio e invitano i cittadini a non consegnare le armi [da: Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 1950, PGreco (2012), p. 170.

[90] La borghesia triestina chiede pace. L’Ordine Nuovo, domenica 6 marzo, 1860.

[91] La campagna fascista si iniziò a Poggio Rusco. Colà, dopo aver provocato per oltre un mese con canti, urla e parole minacciose i nostri compagni e i lavoratori organizzati, un certo giorno fecero una irruzione. Ai fascisti locali si unirono quelli di altri paesi fuori provincia. […]. Il Direttorio impose l’allontanamento del segretario dell’organizzazione, il compagno Umberto Ferraresi, si minacciò di morte il sindaco, il compagno Antonio Basaglia, al quale furono imposte le dimissioni e l’allontanamento dal paese. […]. L’ufficio di collocamento che funzionava, per concordato di lavoro, in forma paritetica fra datore di lavoro e datori di opera, fu, con minacce d’ogni natura, sottoposto al controllo del fascio, che spadroneggia e decide non solo delle sorti dei lavoratori ma anche dei conduttori di fondi, una parte dei quali già manifesta il proprio disagio per i metodi che il direttorio impiega per fare assumere tutta la manodopera disoccupata, senza criterio di una ragionevole economia agraria e aldilà e al di fuori delle condizioni stabilite dal patto agrario. […]. Poggio Rusco può dirsi l’epicentro del movimento fascista della provincia di Mantova. […]. Gli agrari aderenti al fascio hanno imposto ai nostri organizzati di abbandonare la Camera del Lavoro sotto pena di rappresaglie ed è la più squallida miseria per la premeditata disoccupazione.” [Dei Socialisti mantovani. La lotta elettorale in Provincia di Modena. Critica Sociale, n.10 16-31 maggio 1921.]

[92] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 156.

[93] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 174.

[94] Nel cuore della notte, mentre i galantuomini sono nelle loro case a dormire, arrivano i camion di fascisti nei paeselli, nelle campagne, nelle frazioni composte di poche centinaia di abitanti; arrivano accompagnati naturalmente dei capi dell’Agraria locale, sempre guidati da essi, poiché altrimenti non sarebbe possibile conoscere nell’oscurità, in mezzo alla campagna sperduta, la casetta del capo lega, ho il piccolo miserello ufficio di collocamento. […]. Notte per notte, giorno per giorno, sono così incendi ed assassinii che si commettono. Leggo sul Corriere del Polesine, l’organo degli agrari, che la Casa del Popolo di Gavello è stata bruciata; e non si dice nemmeno il perché; perché da parte nostra, perlomeno da parte dei nostri organismi responsabili, non vi è stata mai nessuna provocazione. L’ordine della Camera del Lavoro è di non fare nessuna provocazione. L’ordine è: restare nelle vostre case: non rispondete alle provocazioni. Anche il silenzio, anche la viltà sono talvolta eroici. […]. E allora perché tutto questo? Il perché ce lo ha confessato lo stesso onorevole Corradini: è la lotta agraria. Il 28 febbraio scadevano i vecchi patti. Le nostre organizzazioni proposero che si continuassero i vecchi patti fino alla ripresa delle trattative. Gli agrari non vollero accettare. Essi volevano rompere i patti perché volevano rompere le organizzazioni proletarie. E hanno affermato pubblicamente che, per rompere le organizzazioni, non disdegneranno, se occorrerà di abbandonare le terre, di lasciarle perfettamente incolte. Hanno detto che non faranno le semine per non compromettere le loro borse. […]. Chi conduce le bande a Lendinara? Gli agrari. A chi appartengono i camion per le spedizioni? Agli agrari. Nessun camion, onorevole Corradini, è stato dalla forza pubblica arrestato nel Polesine. Eppure, i camion che circolano armati si sa quali sono: appartengono agli agrari, alle bonifiche, agli industriali, quando non sono quelli stessi della commissione di requisizione cereali. Le organizzazioni degli agrari sono divenute organizzazioni di delinquenza.” [da: Giacomo Matteotti. La Lotta Agraria nel Polesine, Discorso di G. Matteotti alla Camera dei deputati, 10 marzo 1921. Critica Sociale, n.7, 1-15 aprile 1921].

[95] In: Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 13.

[96] Partito Comunista d’Italia (sezione dell’Internazionale Comunista). Appello ai Lavoratori italiani. L’Ordine Nuovo, mercoledì 2 marzo 1921.

[97] Turati e D’Aragona chiedono di “conoscere se credono conferisca all’invocata pacificazione degli animi ed a norma di una giustizia che non dovrebbe essere sospetta il fatto supremamente sarcastico, che oggidì nel bolognese, con l’intento evidente di deprimere le organizzazioni sindacali ed annullare il concordato provinciale stipulato, complici le Autorità governative, nell’ottobre 1920, fra i proprietari e conduttori di fondi e lavoratori della terra, si arresti in massa, dietro provocate e artificiose postume denunce, il comitato delle Leghe dei contadini con il pretesto di pretesi reati di estorsione o di violenza (boicottaggio) che non furono e non sono se non l’esercizio del diritto elementare di disporre dell’opera propria, e l’esplicazione della più comune disciplina sindacale o la conseguenza legittima in rapporto alle inadempienze dei liberi contratti stretti nell’interesse delle parti e della produzione agraria; della cui criminosità ad ogni modo, l’autorità non ebbe mai prima il più lontano sospetto, essendosi anzi essa stessa presentata alle relative stipulazioni; il terzo per sapere se tale provocazione di inevitabili rappresaglie difensive dei lavoratori in occasione delle intensive lavorazioni primaverili ed … faccia da parte di un programma di governo inteso a stimolare la produzione agricola nazionale.” [da: Un’interpellanza Turati-D’Aragona. Avanti! giovedì 17 marzo 1921, ed. milanese].

[98]“Frutto psicologico ed economico del dopoguerra, il fascismo non si comprenderebbe in un paese dove vi fossero partiti organizzati ed attivi, consapevoli e chiari […]. Esso è la controrivoluzione di una rivoluzione che non ci fu, è la reazione al massimalismo e al bolscevismo, ma è anche, si propone di essere o si immagina di essere a sua volta e a modo suo, una rivoluzione: rivoluzione piccolo borghese, rivoluzione militare in un certo senso (nel mezzo, e anche nei caratteri e in parte nel fine), ma rivoluzione. […]. Prende lineamenti e colori dal luogo, sarà agrario a Ferrara e Rovigo, massonico sindacalistoide a Parma, aristocratico patriottico letterario a Firenze, esercentesco, anticooperativo e antimunicipalizzante ora dove il Comune è nostro e il nostro movimento operaio è vivo ed attivo; monarchico e in molti luoghi, mezzo repubblicano in altri, D’Annunziano fiumano or sì or no; è un po’ di tutte queste cose - e abbraccia anche il Partito popolare e assorbe il clericalismo, mentre altrove si dà arie anticlericali - a Bologna, dove è più numeroso, più imponente e più vario. […]. Ne fanno parte dei «professionisti della violenza» spesso militari, smobilitati o no; dei «bravi», presi senza scrupoli dai bassifondi; ma vi partecipano anche in larga misura giovani mossi da fanatismo, da convincimento, da romanticismo, da sportismo; e gli stanno intorno e lo sostengono zone svariate dei cittadini, gli intellettuali poveri e gli intellettuali agiati […]. E questa gente, mediocre, grigia, tranquilla, di sua natura tutt’altro che fascista, violenta o simpatizzante per le violenze, l’ha visto nascere volentieri, lo comprende, lo tollera, lo lascia fare, e se non certo appunto perché lo approvi e lo ami, ma perché lo considera il castigamatti che mette giudizio ai «bolscevichi». […]. Ma, oltre a queste forze […] che gli costituiscono un’atmosfera favorevole, vi sono forze […] che o direttamente ne fanno parte […] o gli si stringono intorno […] spostati di guerra diretti e indiretti. Spostati di guerra diretti, i non pochi giovani che, partiti per la guerra prima dei vent’anni, ne tornano dopo il 23 o 24, e non possono più o non vogliono riprendere regolarmente e fruttuosamente gli studi o il lavoro; altri piccolo borghesi di condizioni modestissime e, se non proprio servili subordinate, che in guerra divennero ufficiali di complemento […]. Ed ora si acconciano a tornare agli umili uffici di prima. Alti ufficiali generali, messi a riposo con pensioni non sufficienti a vivere nell’antico aggio decoro. Gente varia d’origine e di mestieri, che durante la guerra scoperse o sviluppò in sé facoltà combattive [e] per un concetto che chi è stato al fronte e ha sofferto in trincea possa credere tutto lecito e di tutto fregarsene. […] Spostati indiretti di guerra, tanti altri ceti di lavoratori del pensiero, che, in questo grande guazzabuglio prodotto dal cataclisma bellico, in questo alteramento o rovesciamento di valori, sono rimasti indietro nella gerarchia economico-sociale, e si videro passare davanti i lavoratori del braccio. […]. Dentro il Fascismo, o intorno ad esso o aderente o simpatizzante, sono larghe zone di media e piccola cosiddetta «borghesia». […]. Questa media e piccola borghesia guarda il proletariato e il partito socialista con odio di classe o meglio di ceto, ma non dall’alto in basso, ma dal basso in alto, specialmente dove noi siamo forti, potenti, dominatori, dove comandiamo nei Municipi, dove la nostra organizzazione prevale e governa l’ambiente. […]. Prende le parti - con enorme buffa miopia - del «povero esercente» messo in condizione difficile da quei «prepotenti dei socialisti» che, con la cooperativa, con l’azienda municipale o con l’ente autonomo dei consumi vogliono mangiare tutto loro. […] La organizzazione, in tutti campi e in tutti sensi, il disciplinamento delle attività, delle funzioni, tutto ciò che, attraverso la nostra azione economica o amministrativa, torna di difesa alla collettività, questa gente l’odia come «tirannide» con un rancore sincero, perché non ne capisce niente, e perché questa gente è povera sì, e spostata, ma intimamente individualista. Tutto l’atteggiamento del Fascismo contro le autorità, contro il Governo, perché «protegge i socialisti» perché qua e là infrena certi eccessi, perché non è abbastanza reazionario, insomma, appaga però un istinto rivoluzionario, da un’estetica di ribellione, un pennacchio di sovversivismo, che piace ai giovani. Bisogna considerare questi paradossi, queste contraddizioni, per penetrare il fenomeno” [da: Giovanni Zibordi. Il fenomeno del giorno. Elementi e moventi del Fascismo. Critica Sociale, n.7, 1-15 aprile 1921].

[99]  […] il Governo ha mandato un ispettore generale a fare un sopralluogo, e questi ha riferito mettendo in luce la eccessiva simpatia di qualche funzionario per i fascisti, e un capitano dei carabinieri e un commissario di P.S. sono perciò traslocati; i fascisti appuntano le loro ire contro l’on. Zibordi, che accusano di aver brigato a Roma per ottenere quel trasloco. Inutili le smentite; vana la categorica dichiarazione di Prampolini che nessuno chiese traslochi di alcun genere; è vano che Prampolini e Zibordi si siano adoperati […] perché fosse revocato o almeno si fosse proceduto ad un supplemento di inchiesta con l’interrogatorio degli interessati. […]. E una sera - il 24 marzo - una colonna di fascisti si recò alla redazione della Giustizia. Mandò avanti una commissione ad intimare categoricamente allo Zibordi di recarsi in prefettura ad ottenere la revoca del trasloco dei due funzionari: se no, i fascisti gli avrebbero impedito il soggiorno a Reggio. Allontanatisi i fascisti, Zibordi e Prampolini uscirono insieme (erano le 23 circa), diretti alla casa di Prampolini, fortunatamente poco lontana dal giornale. Percorso un centinaio di metri, si videro inseguiti da oltre 60 fascisti, che urlavano ingiurie e minacce, particolarmente contro Zibordi. Fu grande ventura che Prampolini potesse aprire il portone di casa, perché Zibordi già era alle prese con i primi fascisti, i quali avevano alzato i bastoni sopra di lui. Entrati i due deputati è chiusa in fretta la porta, contro questa furono sparati due colpi di rivoltella. […] Queste violenze furono, con una pubblica dichiarazione firmata dagli on. Prampolini e Zibordi, denunciati al procuratore del Re, ma nessun provvedimento fu preso contro chi che sia.” [Il testimone. Come nacque e si svolge il terrore bianco nel Reggiano. Pretesti emotivi della caccia a Zibordi. Aggressione e rivoltellate. Critica Sociale, n. 10, 16-31 maggio, 1921].

[100] Il popolo delle scimmie. L’Ordine Nuovo, domenica 2 gennaio 1921.

[101] Il nemico. L’Ordine Nuovo, martedì 8 marzo 1921.

[102] La politica interna di Giolitti: nuovamente discussione alla Camera. L’Ordine Nuovo, mercoledì 9 marzo 1921. 

[103] Lo Spettro delle elezioni. L’Ordine Nuovo, martedì 15 marzo 1921.

[104] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 53.

[105] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, pp. 54-56.

[106] Luigi Balsamini. Gli Arditi del popolo. 2002, Ed. Galzerano, (2018), p. 94.

[107] La C.G. del L.. L’Ordine Nuovo, venerdì 25 febbraio 1921.

[108] L’inizio del Congresso Confederale a Livorno: La dittatura dei funzionari. L’Ordine Nuovo, sabato 26 febbraio 1921.

[109] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 65.

[110] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 71.

[111] Accordo politico tra Mussolini e D’Annunzio? L’Ordine Nuovo, giovedì 7 aprile 1921.

[112] Virgilio Verdaro. La tregua fascista. L’Ordine Nuovo, mercoledì 6 aprile 1921.

[113] Filippo Turati. Abbasso la violenza! Abbasso la morte! Critica Sociale, n. 8, 16-30 aprile 1921.

[114] Arturo Labriola, nel governo di Giolitti ricorda: “Nelle frequenti dispute che io avevo con Giolitti sulla materia del fascismo… rimasi sbigottito al sentirgli ripetere il ritornello: è roba che deve sfogarsi, e come i repubblicani sono stati riassorbiti dalla monarchia e i socialisti da rivoluzionari si son fatti buoni amministratori, anche ai fascisti accadrà di rientrare nella comune regola dello Stato liberale, che tollera tutto e sopravvive a tutti” [da: Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), p. 607].

[115] La Camera era formata in modo, da non potersi avere una ricca e sicura maggioranza, posto che il gruppo più numeroso, il socialista, era all’opposizione […]. Il partito socialista aveva attraversato dopo le elezioni una profonda crisi, fino a dar vita, dal suo grembo a due gruppi entro la Camera, [ovvero il socialista e il comunista], [poi vi era] il partito popolare eletto nel 1919 sotto un bandierone demagogico di concorrenza ai socialisti, si è poi intimamente sgretolato secondo una naturale fatalità che faceva incompatibili i vecchi clerico-moderati classici con i nuovi democristiani […]. Guidando il Fascismo, e le correnti di cui esso è momentaneamente espressione, entro la Camera, in sede politica, si smobiliterà e si sfogherà nelle forme normali la sua passione e la sua irruenza. […] Come organizzazione armata, potrà sopravvivere e potrà sterminare. Ma come entità politica dovrà pur definirsi. […] Dopo il fumo, la gente aspetterà l’arrosto. […]. La stessa reazione o  « dittatura militare », che noi siamo avvezzi a concepire come un Boulanger che cavalca all’Eliseo o un Giardino che va in automobile al Quirinale o al Viminale, in questo strano nostro paese così pieno di piccola borghesia, si manifesta in ordine sparso; non è un generale che si fa dittatore; son migliaia e migliaia di ufficiali, di sergenti, di carabinieri e di guardie regie, che, per irritazione sentimentale e per malcontento economico, si mettono contro il proletariato socialista e aiutano il fascismo, e si ribellano al Governo se e dove e quando esso comanda di tutelare imparzialmente l’ordine, la legge che è il diritto di tutti. Le elezioni e la Camera nuova saranno in parte una soluzione e uno sfogatoio a tutto ciò? O saranno un rimedio peggiore del male? O, pur essendo esse un pericolo e un male, il male e il pericolo sarebbero stati maggiori a non farle? Chi sarà vivo, vedrà.” [da: Giovanni Zibordi. Il pro il contro e le incognite delle elezioni politiche. Critica Sociale, n.8, 16-30 aprile 1921 (Scritto 11 aprile 1921)].

[116] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 194.

[117] Amadeo Bordiga. Nella torbida vigilia elettorale. Il Comunista, 24 aprile 1921.

[118] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 177.

[119] Filippo Turati. Camera ardente. Critica Sociale, n. 10, 16-31 maggio 1921.

[120] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 29.

[121] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario. 1965, Ed. Einaudi, (2019), pp. 602-603.

[122] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 5.

[123] “in un politico e in Mussolini in particolare la sincerità è poco o nulla” [da: Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 90].

[124] Da: Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 86.

[125] Ironicamente L’Ordine Nuovo intitolava: “Pacifico” inizio della lotta elettorale: Camere del Lavoro incendiate, Sezioni comuniste e socialiste devastate, Comuni invasi, Bandiere rosse arse, conflitti, morti e feriti, arresti e scioperi, martedì’ 12 aprile 1921.

[126] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 87.

[127] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 90.

[128] Renzo De Felice. Mussolini il fascista. Ed. Einaudi, 1966, p. 90.

[129] Amadeo Bordiga. Antica fissazione. Il Comunista, 1° maggio 1921.

[130]  La connivenza delle autorità

Tutto questo naturalmente non sarebbe possibile, senza la connivenza dell’autorità, le quali non trovano in questa attività dei fasci nessun motivo che reclami il loro intervento. […]. Intanto le autorità apprestano camion e armi per le spedizioni punitive, carabinieri agenti investigativi portano i distintivi dei fasci, partecipano alle dimostrazioni dei fascisti, cantano con essi in coro «giovinezza, giovinezza» e cantano anche:

 

Noi siam carabinieri

ma siamo anche fascisti,

vogliamo arrestare

soltanto i socialisti.

 

La preparazione alle elezioni

In questa situazione si può immaginare come si sia potuta preparare e svolgere la campagna elettorale.

[…].

La giornata elettorale.

Nonostante tutto ciò i fascisti e gli agrari sentivano non sicura la loro vittoria. Perciò nella notte del 14 al 15 centinaia di camion, automobili, motociclette condussero in ogni luogo della provincia i bravi che dovevano controllare e, occorrendo, impedire l’accesso di molti elettori alle urne. Pochi episodi, fra i moltissimi che si potrebbero citare. A Ferrara, davanti alla sez. 324, a una signorina che distribuiva le nostre schede queste furono una prima volta strappate dai fascisti che scorrazzavano in camion, una seconda volta tolte dalle guardie regie che le consegnarono poi ai fascisti. La stessa scena s’ebbero dai fascisti le distributrici davanti alle sez. 327 e 390. Nella sezione di piazza Trento e Trieste un mutilato di guerra, che aveva osato intervenire a difesa di una distributrice di schede socialiste, cui si voleva impedire di attendere al suo compito, fu minacciato e costretto a riparare in casa. A San Martino, a Porotto, a Ponte Gradella, ad Aguscello, a Masi Torello, a Ravallo, a Gualdo, a Voghiera e altrove numerosi elettori, prima di entrare nell’aula, erano perquisiti, fin sotto la camicia, e, se si trovava loro indosso la scheda socialista, bastonati. A Portomaggiore e a Bondeno molti dovettero votare palesemente, fuori della cabina, e mettere nella busta la scheda del blocco. A Ravallo rappresentanti del blocco accompagnavano gli elettori dentro la cabina. I presidenti lasciarono fare qui, come a Copparo, dove uno di essi rifiutò di mettere a verbale la protesta di un elettore contro queste violenze. A Porotto, si tentò di far arrestare l’elettore Angelo Ferraresi perché non voleva consegnare la scheda socialista che aveva, ed esigeva di votare: gli si fece cadere una rivoltella ai piedi, cercando di far credere che fosse caduta a lui. Si sottrasse all’arresto solo perché un soldato onestamente dichiarò che erano stati fascisti a tirar fuori quel revolver. A Mezzana l’elettore Gaetano Rizzieri, per due volte bastonato sotto gli occhi della forza pubblica, resiste e riesce ad entrare nell’aula. Un fascista lo afferra, lo porta fuori con l’aiuto di altri e lo costringe con la forza a tornare a casa e a non votare. Lasciando numerosi altri episodi, trascriviamo qui un documento di cui possediamo un facsimile.

 

FASCIO DI COMBATTIMENTO FERRARESE

NUCLEO DI DOGATO

Lì 14 maggio 1921.

Spett. Direttorio di Ferrara,

Il figuro qui presente è un bolscevico da noi sequestrato aggi alle ore 16, che in bicicletta era diretto ha (sic!) Comacchio; con un plico di manifesti e schede del Partito socialista con scritto i voti preferenziali di Zirardini, Bogianchino, Bussi e Grossi, dopo che fu esaminato minuziosamente e che lo abbiamo privato dei documenti nostri avversari, si stabilì di imporci la via del ritorno, obbligandolo ha (sic!) presentarsi al direttorio vostro, appena arriva, e per tutto domani 15 maggio 1921 ogni tre ore deve comparire in direttorio per darvi a noi (sic!) la sicurtà che non farà opera utile al partito omicida dei nostri 8 morti. »”

 

[da notare anche gli errori di ortografia riportati fedelmente, con un velo di ironia; tratto da: Mario Cavallari. Il terrore bianco in provincia di Ferrara. Critica Sociale, n. 12, 16-30 giugno 1921].

[131] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo. 1950, PGreco (2012), p. 195.

[132]  “Il risultato delle ultime elezioni politiche, assai superiore alle previsioni avversarie e alle nostre, ha rivelato o confermato quanto sia viva e tenace la forza politica e sentimentale che circonda la bandiera socialista in Italia, nonostante gli errori e le colpe degli Alfieri. […]. Come nel novembre 1919, noi dunque ci troviamo ora a dover risolvere questo quesito: - in che modo utilizzeremo la nostra forza? […].

Or quando udiamo certi socialisti decantare questa crisi economica del dopo guerra come un precipitare della società borghese verso i suoi sviluppi supremi e verso la sua dissoluzione preparatrice della nostra successione e della nostra eredità, proviamo la stessa impressione e la stessa voglia di amaro sorriso, che sentiamo leggendo le consolazioni della nostra stampa allorché la guardia regia o i carabinieri o gli ufficiali contravvenendo anche ai espressi ordini del governo […] favoriscono le violenze e le illegalità fasciste contro di noi. […]. Lo Stato borghese è in sfacelo, ma il nostro non è ancora nato. Il suo principio d’autorità è scosso e ferito a morte, ma le botte le prendiamo noi!

[…] Ma torniamo all’assunto.

Dopo le elezioni del 1919, con una forza formidabile di voti e di rappresentanti, il partito socialista non seppe metterla in opera e in valore, per una fondamentale ragione di una semplicità e di un candore lapalissiani: che cioè non la adoperò, né in un senso, né in un altro. Aveva pel capo la rivoluzione, e non si decideva farla. Avrebbe potuto agire sul terreno della evoluzione, della penetrazione, dell’opera pratica, e non osava, per paura di sporcarsi di transigenti s’è di corrompersi con contatti immondi; perché alle masse aveva promesso l’albero di Natale russo, con l’orso bianco che dondolava la testa, e la casetta del socialismo bell’e fatta con la sua facciata dipinta in rosso e le finestre verdi… […].

Oggi ci troviamo, in parte, ad una situazione analoga. La nostra forza, passata attraverso a prove gravissime, si è palesata sempre vegeta e insopprimibile. Di adoperarla per la rivoluzione, non ne parla più nessuno; nemmeno i comunisti, i quali evidentemente si sono staccati da noi anche per trovare un alibi alle loro rinunce programmatiche nella loro esiguità numerica, e dar colpa al partito socialista della mancata rivoluzione: come han fatto, del resto, in qualche momento, i massimalisti rispetto all’ala destra del partito. […].

E afferma intanto che, contrariamente a quel che può essere un argomento avverso da parte degli intransigenti, è un timore, un dubbio, una remora da parte dei partecipazionisti (uso questo termine più esatto e meno capzioso e tendenzioso che non sia collaborazionisti) affermo che le masse, le vere masse proletarie delle regioni più rosse, e appunto perciò più colpite dalla reazione, supererebbero prontamente i vecchi pudori e, con semplicità diritta e sensata direbbero: - fermi sotto la tempesta non si può restare. Se la via di sinistra è chiusa prendiamo quella di destra! […].

Rimanere fermi non si può… Non si può avere un movimento cooperativo che maneggia milioni, e ha bisogno ormai delle grandi forze nazionali, e rimane alla mercé di un governo che può chiudervi le finestre del credito e asfissiarmi… Non si può avere in mano 3000 comuni, rimanere in balia dello Stato che può versarvi con i suoi prefetti o farmi mancare il respiro con il suo diniego di mutui. […]. La contro-rivoluzione fascista sopravvenuta dà poi (con maggior carattere d’urgenza) una fisionomia in parte diversa alla tesi, ma esige soprattutto che se ne discuta con una mentalità nuova e sgombra da ogni superstizione o sopravvivenza dei vecchi tempi. […]. Occorre convincersi che, accanto a questa rivoluzione piccolo borghese (utilizzata dalla grossa borghesia), c’è una rivoluzione militare, spicciola, capillare, miliare, consistente nella guardia regia che simpatizza pel fascismo, nei carabinieri che lo aiutano, negli ufficiali che lo guidano.

A tempi e circostanze così eccezionali, urge applicare perlomeno, un animo nuovo, nella scelta dei rimedi gettar davanti a tutti i rispetti umani e i pregiudizi tradizionali; comprendere che, se il socialismo non si attua o si affretta con la rivoluzione violenta; se altri inizia ai nostri danni la controrivoluzione violenta rafforzata dei mezzi legali, e noi non sappiamo difenderci perché non abbiamo né l’animo né la preparazione a questa forma di guerra, e perché abbiamo di fronte, assommate, la reazione libera e la reazione statale; non dobbiamo aver paura di tentare la via della rivoluzione legale, accostandoci noi agli organi dello Stato, per rinnovarli con il nostro spirito e volgerli ai fini della civiltà” [da: Giovanni Zibordi. Come impiegare la nostra forza. Critica Sociale, n.12, 16-30 giugno 1921.].

[133] Amadeo Bordiga. Per chi hanno votato I proletari. Il Comunista, 26 maggio 1921.

[134] Giovanni Zibordi. Mentre si forma la nuova camera. Critica Sociale, n.10, 16 -31 maggio 1921.

[135] Amadeo Bordiga. La Fronda fascista. Il Comunista, 29 maggio 1921.

[136] Angelo Tasca. Nascita e avvento del fascismo, 1950, PGreco (2012) p. 229.

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