Mussolini e la sua lunga marcia da socialista col fazzoletto nero (1901-1914) - Parte II -
Introduzione alla seconda parte
Nella prima parte abbiamo visto come Benito Mussolini fosse cresciuto in un contesto risorgimentale-carducciano e avesse assorbito l’impronta politica anarco-socialista romagnola dal padre Alessandro. Una volta in Svizzera Mussolini aveva approfondito la propria cultura, soprattutto, seguendo alcune lezioni di Pareto e Millioud, leggendo Nietzsche ed Espinas. Abbiamo anche visto come il suo socialismo fosse, da subito, molto vicino al sindacalismo rivoluzionario di impronta hervéista. Sempre in Svizzera Mussolini aveva scelto di fare il pubblicista-agitatore, piuttosto che l’operaio. Ebbe la sua prima esperienza come direttore di giornale alla Lima di Oneglia, quindi una breve incarcerazione per via delle lotte bracciantili nel forlivese. Nel 1909 a Trento fece un vero e proprio salto di qualità, finendo spesso nei registri della magistratura e delle forze dell’ordine, e la sua espulsione gli diede una certa notorietà. A Trento allacciò anche rapporti con Cesare Battisti (divenendo quindi più sensibile alla causa irredentista) così come con Prezzolini e il suo anarco-patriottismo. Una volta tornato a Forlì divenne direttore de La Lotta di Classe e presenziò al suo primo Congresso nazionale del PSI a Milano, dove spinse per l’uscita della frazione intransigente-rivoluzionaria dal Partito. Uscita che riuscirà ad ottenere per la sola Sezione forlivese. Mentre gli intransigenti rivoluzionari lo premono per rientrare nel PSI, scoppia la crisi tripolina, e Mussolini, in buon stile hervéista, si rende protagonista, inneggiando ad insurrezioni e sabotaggi nel suo contesto locale. Viene quindi incarcerato per cinque mesi e, alla sua uscita dal carcere nel 1912, capitalizzerà la temporanea fuoriuscita della sua sezione dal Partito, i famosi “duemila voti”, negoziandone il rientro previa la concessione di una sua posizione di rilievo nel partito: un partito socialista che ormai si sta muovendo rapidamente verso il predominio ‘intransigente’. Infatti, già prima del Congresso di Reggio Emilia, Mussolini aveva espresso chiaramente la sua missione di espellere i riformisti di destra.
Mussolini alla riscossa, l’ascesa di Reggio Emilia, luglio 1912
Il 7 luglio si aprì il XIII Congresso nazionale del PSI al Politeama Ariosto di Reggio Emilia. I tesserati erano scesi, nonostante il ritorno dei forlivesi, a soli 28.689 dai 30.220 del 1911! Nella relazione il segretario Ciotti sottolineava che 3.000 soci e 200 sezioni mancavano a causa dell’anticipata convocazione del Congresso che non aveva dato il tempo alle sezioni rurali di raccogliere le tessere. La convocazione anticipata a luglio, sfavorevole per le masse contadine impegnate nei campi, era dovuta però alla scissione verificatasi nella Direzione. Quindi Ciotti annunciava che il partito reputava Enrico Ferri, il quale il 1° maggio aveva tentato di organizzare un nuovo partito, Democrazia Rurale e nel febbraio aveva votato a favore dell’annessione della costa libica al Regno, fuori dal partito[1]. I rivoluzionari intransigenti attaccarono l’operato della Direzione e presentarono un ordine del giorno firmato da Serrati, Capri, Francesco Ciccotti, Trematore, Bacci, Ratti ed altri.
Mussolini che fino ad allora era rimasto nella realtà locale forlivese, interviene nella seduta pomeridiana dell’8 luglio. Viene descritto da molti a quel Congresso per il suo ostentato aspetto trasandato di intellettuale bohemien[2]. Bozzetti è convincente nel dimostrare che non fu “il caso”[3] che determinò Mussolini come portavoce dell’ordine del giorno intransigente al Congresso di Reggio Emilia. Mussolini quel suo intervento lo aveva preparato da tempo. Altra cosa difficile da non notare è la prima persona che caratterizza pressoché la maggior parte dei suoi articoli e interventi. Il maestro di Predappio esordisce appunto con: “Permettetemi di cominciare con una dichiarazione personale […]. Io mi sono qualche volta domandato - così per curiosità intellettuale - le ragioni dello scarso successo della propaganda astensionistica in Italia. L’Italia è certo la nazione in cui il cretinismo parlamentare - quella tal malattia così acutamente diagnosticata da Marx - ha raggiunto le forme più gravi e mortificanti. Si vede che siamo un popolo politico da tanto tempo, che per quante disillusioni si provino, torniamo sempre ai vecchi peccati. Il parlamentarismo italiano è già esaurito. Ne volete la prova? Il suffragio quasi universale elargito da Giovanni Giolitti è un abile tentativo fatto allo scopo di dare ancora un qualsiasi contenuto, un altro periodo di funzionalità al parlamentarismo. Il parlamentarismo non è necessario assolutamente al socialismo antiparlamentare o a-parlamentare, ma è invece necessario alla borghesia per giustificare e perpetuare il suo dominio politico […]”[4]. “La decadenza innegabile del parlamentarismo italiano ci spiega perché tutte le frazioni parlamentari, dalle scarlatte alle nere, abbiano votato compatte per l’allargamento del voto. È il sacco d’ossigeno che prolunga la vita all’agonizzante. Per queste ragioni io ho un concetto assolutamente negativo del valore del suffragio universale, mentre per i riformisti il suffragio universale ha un valore positivo.”[5].
Dopo Mussolini parla Lazzari salutando i caduti in Libia ma è inconcludente, poi parla Vella che rimprovera ai sinistri di non essersi chiaramente dissociati dai destri, ma non affonda il tiro. Anche Modigliani è per l’espulsione dei destri, Turati è invece contro, la mozione Reina vorrebbe ridurre tutto in una sanzione di biasimo[6]. Quindi Mussolini va avanti dichiarando che il gruppo parlamentare deve essere un mero esecutore delle direttive del partito, la base socialista è stata disingannata perché vede i loro deputati ancora come ‘santi’. Quindi presenta l’ordine del giorno: “Il Congresso, presa visione della povera, scheletrica relazione del gruppo parlamentare, constata che deplora la inazione politica del gruppo stesso, inazione che ha contribuito a demoralizzare le masse e, riferendosi agli atti specifici dei deputati Bonomi, Bissolati e Cabrini dopo l’attentato del 14 marzo […] delibera di dichiarare espulsi dal Partito i deputati Cabrini, Bonomi e Bissolati”. (“Benissimo!”. Applausi. Una voce: “E Podrecca?” - Rumori)[7] Ebbene, la stessa misura colpisca anche Podrecca. (“Benissimo!”. Podrecca: “E perché? Specificate!” Vivi rumori). Per i suoi atteggiamenti nazionalisti e guerrafondai […]. Non ho alcun rancore personale col Podrecca e non conosco neppure i deputati Bonomi e Bissolati. Il 14 marzo un muratore romano spara una revolverata contro Vittorio Savoia […]. Uno solo era il dovere dei socialisti dopo l’attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del re. (“Bravo!”. Applausi) Perché commuoversi e piangere pel re, solo per il re? Perché questa sensibilità isterica, eccessiva, quando si tratta di teste coronate? Chi è il re? È il cittadino inutile, per definizione […]. Ora si dice: non bisogna colpire gli uomini. Ma, egregi amici, e le idee? […]. Noi non abbiamo feticismi personali. Io accuso Bissolati del 1912 colle parole del Bissolati del 1900. ‘Ex ore tuo te iudico’ […]. Il Partito Socialista pratica le espulsioni perché è un organismo. C’è la fagocitosi socialista come c’è la fagocitosi fisiologica […]. Se non corriamo sollecitamente alle difese, gli elementi impuri disgregherebbero il Partito […]. In fondo non vi troverete la voragine ardente, ma la scala fiorita del potere. Noi abbiamo un preciso dovere: quello di abbandonarvi sin d’ora al vostro destino. Bissolati, Cabrini, Bonomi, e gli altri aspettanti possono andare al Quirinale, anche al Vaticano, se vogliono, ma il Partito Socialista dichiara che non è disposto a seguirli né oggi, né domani, né mai.”[8],[9]. Il suo discorso questa volta suscita applausi e la stampa lo nota per la sua eloquenza, non vi è più l’ironia, se non l’indifferenza, di due anni prima[10].
Nella sua replica, Bonomi notava come la crisi interna dipendesse dalla pressione esterna che aveva spinto le due visioni, riformista e rivoluzionaria agli estremi, da un lato aveva generato i riformisti di destra di Bissolati e da l’altro i rivoluzionari erano passati “dalle affermazioni puramente verbali dell’antico ‘ferrismo’, attraverso il pessimismo sconsolato di Costantino Lazzari”, alla “forma acuta”, ossia, quella di Mussolini. Bonomi concludeva difendendo il fatto che “i bisogni del proletariato debbono essere sentiti d’accordo con i bisogni più ampi della nazione”[11].
Il Modigliani salì sul palco per i riformisti di sinistra e rivolto a Mussolini disse: “Io ho avuto il piacere di sentirti oggi per la prima volta e ti confesso che la fama di ottimo oratore non l’hai rubata. Ma in certi momenti mi son chiesto se tu, sotto la veste del rivoluzionario, a certi lampi, quasi anarcoide, non nascondessi qualche cosa che si accostava più al giacobinismo di vecchio stile, che non alla critica socialista di stile nuovo. Perché quell’affare della visita al re è, sì, un brutto affare, già elencato anche da noi fra i capi di accusa, ma all’infuori di quello il tuo atto di accusa è un po’ scarso.”[12],[13] [grassetto nostro]. Modigliani concorda che gli errori dei destri, e si riferisce più che altro alla loro adesione all’impresa libica, dovessero costare il loro allontanamento. Podrecca si difese mostrando che le sue tesi erano le stesse sostenute da Antonio Labriola nel 1896, ovvero che fosse lecito colonizzare paesi più arretrati dove si potesse esportare il socialismo e di non voler la guerra tra nazioni civili come un articolista dell’Avanti! che si era augurato di veder sventolare il tricolore sulle balze del Trentino[14], riferimento probabile a Mussolini. La Balabanoff confermava che l’espulsione era sul loro atteggiamento nei confronti della guerra. La difesa di Bissolati verteva sul fatto che la collaborazione dei socialisti con lo Stato era necessaria per conquistare il potere esecutivo e la sua salita al Quirinale per ben due volte rifletteva questa esigenza. Circa la guerra, egli la avversava, ma i socialisti non dovevano lasciare il patriottismo ai nazionalisti. Turati si dichiarò contrario alle espulsioni, perché convinto dell’inutilità del pericolo dell’ostracismo di persone, e disse che non ci sarebbe stato spazio per due partiti socialisti in Italia. Infine, Berenini dichiarò che la frazione riformista di destra non avrebbe votato e che un’eventuale espulsione di Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca avrebbe determinato l’uscita di tutta la frazione. La mozione firmata da Mussolini infine leggeva: “Il Congresso: presa visione della povera, scheletrica relazione del Gruppo Parlamentare constata e deplora l’inazione politica del Gruppo stesso che ha contribuito a demoralizzare le masse; e riferendosi agli atti specifici compiuti dai deputati Bissolati, Cabrini, Bonomi dopo l’attentato del 14 marzo; ritiene tali atti costituire gravissima offesa allo spirito della dottrina e alla tradizione socialista; e dichiara espulsi dal partito i deputati Bissolati, Bonomi, Cabrini; la stessa misura, colpisce il deputato Podrecca per i suoi atteggiamenti guerrafondai.”[15].
L’ordine del giorno Mussolini raccolse 12.556 voti, quello Reina, ovvero del richiamo invece dell’espulsione, 5.633 voti, Modigliani per il richiamo e l’espulsione 3.250 voti, astenuti, principalmente i riformisti di destra, 2.027 voti[16],[17]. I lavori ripresero il 10 luglio senza i riformisti di destra che riunitisi all’albergo Scudo di Francia (sempre a Reggio Emilia) costituirono il Partito Socialista Riformista Italiano, con organo Azione Socialista. Il Congresso socialista continuò con la relazione del direttore dell’Avanti!, Claudio Treves il quale era orgoglioso di averne fatto un giornale del Partito e non di una frazione. Modigliani a nome del Consiglio di Amministrazione della Società Editrice mostrava come la situazione finanziaria si fosse stabilizzata avendo: ridotto il deficit a 10.000 lire, triplicata la tiratura, raddoppiati gli abbonamenti. Quindi comunicò che il Consiglio di Amministrazione si sarebbe dimesso, ritenendo i propri membri, che la frazione vincente dovesse assumerne la gestione[18]. Stesso atteggiamento fu preso dai riformisti nei confronti dell’elezione della Direzione, tutta di rivoluzionari intransigenti: Gregorio Agnini, Elia Musatti, Costantino Lazzari, Benito Mussolini, Egisto Cagnoni, Filiberto Smorti, Domenico Fioritto, Euclide Trematore, Arturo Vella, Enrico Mastracchi, e Alceste Della Seta. Si unirono in seguito Celestino Ratti e Angelica Balabanoff[19]. Nino Mazzoni risollevò il problema della incompatibilità della Massoneria con il socialismo: il successivo ordine del giorno indusse Lerda a dare le dimissioni, ma la presidenza le rifiutò[20]. È da sottolineare come l’espulsione dei destri sia stata già nell’aria prima dell’inizio del Congresso. La vittoria degli intransigenti è data per scontata e per la direzione dell’Avanti!, sempre prima del Congresso, si fanno i nomi di Ettore Ciccotti, Francesco Ciccotti Scozzese, Eugenio Guarino e Giovanni Bacci[21]. De Felice ha decisamente ragione quando osserva: “Anche se mancano i documenti, non crediamo di sbagliare dicendo che Mussolini andò a Reggio Emilia con un piano ben preciso.”[22]. “La manovra avvolgente Mussolini la condusse […] dietro le quinte, in sede di riunioni della frazione e con due brevissimi interventi in assemblea […]”[23]. Mussolini era forte dell’appoggio di Ciccotti e dei delegati romagnoli, si schierò per l’intransigenza assoluta contro i blocchi, gettando le basi dell’incompatibilità con la massoneria[24]. Gli unici due posti nella Direzione lasciati alla minoranza riformista furono rifiutati e quindi la nuova direzione fu del tutto composta da rivoluzionari[25].
Vittoria degli intransigenti rivoluzionari a Reggio Emilia: chi dirige l’Avanti!?, settembre 1912.
Durante i due anni dal suo rientro in Italia e dal Congresso di Milano Mussolini era cresciuto molto nella frazione rivoluzionaria. Da un lato si era imposto nella realtà romagnola, che quanto a tradizione socialista non aveva nulla da invidiare a quella milanese, e dall’altro si era reso un indispensabile valore aggiunto per quanto riguarda la sezione forlivese e i suoi famosi voti congressuali. Mussolini, quindi, ora è un nome nuovo nel panorama politico italiano e lo nota anche la stampa liberale. Il Nuovo Giornale di Firenze commenta: “La teoria del prof. Mussolini ha un po’ del pazzesco. Ma è difesa da un uomo sottilmente dialettico, fecondo, sdegnoso […] [dalla] oratoria rude, che piace ai rudi romagnoli […] la teoria è alquanto pazzesca e rinnega i vantaggi che dalla legislazione sociale le classi operaie e tutte le moltitudini in generale hanno goduto. Ma pure non le mancheranno seguaci.”[26]. Amilcare Cipriani ne fa un elogio sull’Humanité di Parigi, riconoscendo in Mussolini, il suo (cioè di Cipriani stesso) rivoluzionarismo barricadiero, che, chiama “classico”. Già il 9 luglio esce su La Vita un commento di Alberto Giannini: “[Mussolini] A vederlo si capisce subito che è intransigentissimo […]. Si sa che aspira a succedere a Treves nella direzione dell’Avanti!”[27]. Ma sarebbe troppo semplicistico pensare che Mussolini avesse già capito di aver intrapreso la strada giusta per raggiungere la vetta del partito. Il 29 luglio fece domanda al sindaco di Crespellano per concorrere a un posto d’insegnante delle scuole elementari del comune. De Felice nota che il viaggio in Puglia va visto in quest’ottica: Mussolini si era sì affermato a Reggio Emilia, ma cercava ancora uno sbocco che lo facesse uscire dalla routine romagnola[28].
In merito all’Avanti! il nome della successione a Treves non è così scontato. Si pensa a Salvemini, ma, questi non ha la tessera, si sente più vicino a Bissolati e non ha grandi parole per i rivoluzionari. Ettore Ciccotti rifiuta l’offerta in quanto non si sente su posizioni rivoluzionarie. Lazzari, nuovo segretario, non può assumere la doppia carica e, per una vecchia accusa di malversazione, non sembra il candidato ideale[29]. Menotti Serrati sarebbe un candidato ideale, ma su di lui pesa ancora la faccenda risalente al 1903 nel Vermont, dove era stato accusato di omicidio di un anarchico, anche se fu subito scagionato da ogni accusa. Lerda sarebbe il più autorevole, ma durante il congresso di Reggio Emilia, a causa di un ordine del giorno di Nino Mazzoni contro la presenza di massoni nel partito, sale sul palco e si dimette. Francesco Ciccotti Scozzese e Arturo Vella sono considerati troppo radicali per quella nomina. Quindi viene chiesto a Giovanni Bacci. Al Congresso stesso Elia Musatti, dopo aver elogiato Treves, presenta l’ordine del giorno affidando la direzione a Bacci. Quell’ordine del giorno è firmato anche da Mussolini. Musatti già anticipa la riluttanza di Bacci[30] ad accettare la nomina nel suo preambolo[31]. È ben chiaro dal discorso al Congresso che Bacci non è d’accordo con la sua nomina, e nel suo confuso intervento cerca di puntualizzare che l’accettare sarebbe una sorta di tradimento verso il proletariato romagnolo, mentre il rifiutare sarebbe un atto di viltà verso la frazione[32]. Si vuole accertare che le sue riserve siano messe agli atti, ma vi è un chiaro sospetto che la sua reticenza abbia principalmente una motivazione economica, in quanto l’Avanti! versava in una situazione di ristrettezze e non poteva compensarlo quanto faceva invece la Camera del Lavoro di Ravenna. Bacci, quindi, dà le dimissioni da Direttore a neanche un mese dalla sua nomina: dimissioni accettate a patto che egli rimanga fino all’arrivo di un sostituto.
Bozzetti sottolinea che in questo vuoto che si era venuto a creare s’inserisce un personaggio, Paolo Valera, anche questi, come Mussolini, un socialista anarcoide-costiano. Valera aveva conosciuto Mussolini a Trento e lo stimava profondamente come politico e giornalista. A Milano Valera pubblicava La Folla. Anche De Felice concorda col fatto che Paolo Valera contribuì notevolmente al buon esito della scalata di Mussolini alla direzione dell’Avanti![33]. Nell’articolo: “Io proclamo l’intervista un capolavoro”, Valera tesse l’elogio di Mussolini: “Dai giorni di Trento ti porto nella testa come un ampliatore del giornalismo moderno. Vorrei che il documento di grandi avvenimenti nazionali venisse composto dagli autori. Immaginati se l’Avanti! fosse stato nelle nostre mani nelle giornate del Congresso!”[34]. L’11 agosto La Folla esce con l’articolo “Indennità socialiste” firmato “Homme qui cherche”. È lo pseudonimo adottato da Mussolini, il quale, esplicitamente scrive: “L’Avanti! è stato depauperato delle indennità. Ad ogni congresso, ad ogni cambiamento direzionale ha pagato somme favolose. […]. Bisogna che il prossimo congresso socialista decida di negare la indennità ai giornalisti socialisti. Il giornalismo socialista non è il giornalismo degli Albertini o dei Pontremoli […]. Chi entra nell’Avanti! sa bene che la sua carriera è precaria […]. Il suo non è l’esercizio di una professione con carriera e gerarchia, ma è una battaglia”. L’articolo provoca una serie di repliche, Bonomi chiama Homme qui cherche un pazzo e precisa di non aver mai chiesto l’indennità. Il 1° settembre pubblica, sempre su La Folla “La catastrofe del’70”, in cui paragona l’incoscienza dei militari italiani in Libia a quella dei ministri di Napoleone III. Sempre il 1° settembre Valera scriveva, provocatoriamente, su La Folla “Chi dirige l’Avanti!?”: “Non è una domanda indiscreta. Dopo due mesi, è legittima. Chi è il direttore dell’Avanti!? Bacci o Treves? Il rivoluzionario o il sinistro? Bacci è a Milano in via San Damiano 16 o a Ravenna nella vecchia camera del lavoro? Io sono come l’Urone di Voltaire. Non capisco certe situazioni complicate […]. Chi scrive l’articolo di fondo è il direttore. […]. L’articolo di fondo è una specie di “la” che dà l’intonazione alla massa. […] Ma nell’Avanti! di oggi chi scrive è Treves. Sempre lui. Non me ne dolgo. Treves mi piace perché è un ebreo. Gli ebrei sono spiriti sottili. Se non lo fossero, come dominerebbero nel mondo finanziario?”[35].
Oltre che su La Folla, Mussolini, ormai nella Direzione del Partito, inizia a scrivere sull’Avanti! da collaboratore il 18 luglio 1912, polemizzando con Sorel per aver espresso il suo giudizio negativo sul Congresso di Reggio Emilia, dove, secondo il vecchio normanno, si sono eliminati i valori intellettuali. Mussolini replica “È la fede che muove le montagne, perché dà illusione che le montagne si muovano. L’illusione è, forse, l’unica realtà della vita.” Quindi il 13 agosto sempre sull’Avanti! pubblica la recensione del libro di Daniel Halévy su Nietzsche[36]. L’8 settembre L’Homme qui cherche chiude, su La Folla, la polemica degli indennizzi. “Io odio la professione. L’odio perché amo il rischio. Odio la professione perché crea la casta. Odio la professione perché livella gli uomini e ne esalta gli egoismi. Odio la professione perché impedisce la selezione […]. Oggi io riempio cento cartelle perché mi trovo in uno stato di ebrezza dionisiaca che mi dà le ali alla penna, domani sono depresso. Non scrivo […]. Voi non mi convincerete mai che l’Avanti! e Perseveranza siano sullo stesso piano giornalistico […]. L’Avanti! non è di una società industriale, ma è del partito […]. Bissolati era tagliente e lucido [nel 1896-1900] e L’Avanti! era uno shrapnel! Scoppiava. Non si poteva ignorare l’Avanti! […] Il Partito era debole, ma l’Avanti! dei primi anni raccoglieva - soldo a soldo - una sottoscrizione dalle cifre sbalorditive […]. Non è la bohème che risorge. È la rivolta contro il mercenarismo” [37].
Quindi, a fine settembre, come già accennato, va in Puglia dove parla ad Andria e a Gioia del Colle pubblicando il 1° ottobre il resoconto “Puglie rossa” sull’Avanti![38]. Mussolini oramai ha intenzione di rimanere sulla scena nazionale e il 27 ottobre La Folla incomincia a pubblicare il discorso di Mussolini a Reggio a puntate[39].
Mussolini Direttore dell’Avanti!, novembre 1912.
Dopo le dimissioni di Bacci la Direzione fu costretta a trovare un sostituto e, come illustrato in precedenza, è vero che Mussolini non fu l’immediata seconda scelta e neppure la terza, ma è pur vero che Mussolini così disinteressato alla direzione dell’Avanti! non lo era mai stato. Ci si trova di fronte alla situazione imbarazzante per la Direzione ‘intransigente’ di aver guadagnato il diritto alla direzione dell’organo di partito ma di non avere una ovvia candidatura. Un giovane, motivato, battagliero, sicuramente in ascesa e con una certa dimestichezza con il lavoro di direzione di un giornale, non poteva dunque sembrare una opzione così insensata.
Secondo il resoconto della Balabanoff, Mussolini fu un po’ una scelta obbligata in quanto gli altri candidati o avevano rifiutato, o erano impossibilitati, o avevano, come Bacci, rinunciato. La Balabanoff però si sofferma sul fatto che Mussolini si fece pregare, mostrando una certa esitazione, nell’accettare la nomina alla Direzione[40]. Ora, se questo avvenne davvero, c’è da chiedersi se si fece pregare per insicurezza o piuttosto per partire da una posizione di vantaggio. Bozzetti sembra propendere per questa seconda ipotesi[41] dato il lavorio precedente, fatto su La Lotta di Classe e su La Folla. Bozzetti chiarisce anche l’aspetto economico, spesso mistificato. Se è vero che Mussolini guadagnava poco, si era fatto ridurre lo stipendio da 700 a 500 lire mensili, questo risultava essere ad ogni modo un salto di qualità dalla retribuzione di 120 lire al mese che recepiva a Forlì[42]. Mussolini aveva insistito che dirigere l’Avanti! non era una questione di professionismo, ma di coerenza, e quindi non aveva accettato per soldi. Mussolini è alla direzione dell’Avanti! dal 8-10 novembre del 1912 fino al 21 ottobre del 1914, e dopo precisamente due anni, il 10 novembre 1914, annuncerà l’uscita del primo numero del Popolo d’Italia! Per evitare di finire alla Bacci, ovvero sotto il controllo dei riformisti e della CGdL, Mussolini sin da subito cercò di sostituire i riformisti all’interno del giornale con dei rivoluzionari a lui fedeli. De Felice legge in questa chiave anche la richiesta di avere la Balabanoff come caporedattore[43].
Mussolini riordina a poco a poco il giornale lasciatogli da Bacci. Bozzetti afferma che la qualità degli articoli e gli articolisti rimangono pressoché gli stessi, ma che Mussolini migliora la ‘titolistica’ e fa un uso degli spazi più razionale[44]. La visita di Hervé sembra essere stata organizzata dall’Avanti! diretto da Mussolini e, se fosse così, questa sarebbe una delle prime iniziative prese da quello che noi consideriamo il suo grande emulatore italiano. A Hervé non fu permesso di intervenire alla manifestazione pacifista organizzata da l’Avanti!, e fu addirittura arrestato e portato al carcere di Regina Coeli e quindi espulso dal Regno, tra l’ironia della stampa francese: “M. Hervé ha scoperto in Italia che la Repubblica ha qualcosa di buono dopotutto”[45]. “A Londra Hervé ha potuto parlare indisturbato. A Roma invece gli hanno messo il bavaglio”, commenta Mussolini[46]. Il 17 novembre 1912 questi tenne il suo primo comizio a Milano contro un eventuale intervento nei paesi balcanici[47]. Il 30 novembre Mussolini replica a Massimo Fovel, in “M Fovel e la crisi dei partiti”, dove Fovel accusa il Partito di essere un “romantico incrocio superstite di religione e di sette destinato a scomparire dinnanzi i problemi della realtà”, chiedendo a Fovel che cosa farà in merito: fonderà un nuovo partito come Bissolati? Mussolini, quindi, già nel 1912 dichiara per iscritto: “È arbitraria quest’antitesi fra realtà e i partiti, per cui la realtà diventerebbe un quid impenetrabile che non potrebbe essere conquistata, violentata, fecondata dai partiti. I partiti […] si tratta[no] di associazioni di uomini, di vere e proprie milizie che lavorano […] pel raggiungimento di un determinato scopo.”[48]. In queste parole sembra quasi di vedere già il “partito-milizia” del dopoguerra e dei partiti bolscevichi in Europa.
Mussolini chiude con La Lotta di Classe con l’articolo “La Fattucchiera”, dove spara a zero sulla Camera dei Deputati e sul suffragio universale come truffa[49]. Vi è un interessante commento di Turati ad un articolo attribuito a Mussolini, articolo dove si manda la democrazia sul marciapiede, Turati commenta: “È veramente troppo ‘vieux stile’; rammenta il ‘fascio operaio’ e le polemiche dell’86 su la democrazia vile”[50]. Un articolo su Kropotkin, dell’anarchico Luigi Fabbri, dà il ‘la’, ironicamente, ad una discussione sul culto della personalità[51]. Arrivato a Milano, Mussolini inizia a frequentare i salotti milanesi, conosce Margherita Sarfatti, critico d’arte. Il 30 novembre 1912 Salvemini, dall’Unità, accusa Treves di essere massone. L’accusa di Salvemini si basava sul fatto che l’ingresso nella massoneria era condizione necessaria per diventare direttore del Tempo, e che Treves quindi era diventato massone dalla primavera del 1912. Mussolini s’inserisce in questa polemica in quanto decide di abbassare lo stipendio di Treves a L. 250[52], in virtù dei tagli applicati anche agli altri collaboratori e se stesso. La Kuliscioff, disperata, fa notare a Turati che Treves avrebbe dovuto accettare, ma che invece ne fece una questione di principio, ovvero il contratto lo aveva fatto con Bacci e non era pronto a scinderlo. Commenta la Kuliscioff: “Fra poco telefonerò al Treves […] dovrebbe capire che per una miseria di un migliaio di lire gioca anche la sua posizione politica.” Per Treves, oltre al danno economico, interessava il fatto che questa fosse una manovra per estrometterlo completamente dal giornale[53]. Cosa che si rivelò fondata quando La Folla l’8 dicembre mise in giro la voce che Treves se ne fosse andato dall’Avanti! aggiungendo un commento provocatorio: “È così la quarta volta ch’egli depone la penna di direttore di quotidiani. […]. L’ultima volta è costato al partito e agli azionisti un fottio di biglietti da mille”, tutto questo mentre Mussolini continua a rigettare gli articoli di Treves[54].
I riformisti sono e saranno anche in futuro gli unici a vederci lungo. Turati già il 19 dicembre prevede una breve durata della direzione di Mussolini in quanto “il brontolio contro di loro si fa sempre più intenso e più diffuso […]. Credo […] che non dureranno a lungo in queste complicità silenziose e negative col rivoluzionarismo volgare e vecchio di mezzo secolo.” Anche la Kuliscioff è molto negativa sull’Avanti! nonostante sia la Balabanoff sia Mussolini chiedano la sua approvazione[55].
L’eccidio di Roccagorga, Mussolini barricadiero, il monito dei riformisti, gennaio 1913
Il 7 gennaio 1913 in quinta pagina vengono riportate le ultime notizie sugli eccidi di Roccagorga, Baganzola e Comisio. A Roccagorga, in Ciociaria, l’esercito aveva aperto il fuoco sui contadini e i pastori che si stavano dirigendo verso il municipio per chiedere servizi sanitari, uccidendo sette persone, tra le quali un bambino di cinque anni. A Baganzola, in provincia di Parma, le forze dell’ordine sparano sui dimostranti che protestavano per un arresto arbitrario, uccidendo una persona. A Comisio, vicino Palermo, durante un comizio non autorizzato la Polizia fa diversi feriti. Con l’eccidio di Roccagorga Mussolini “montò una campagna d’incredibile violenza [che secondo alcuni, ivi compreso, Gramsci] costituì «l’origine reale» delle agitazioni successive, «settimana rossa» compresa.”[56]. Mussolini scrive: “Assassinio di Stato”, dove ammonisce: “Verrà giorno in cui la folla imporrà essa stessa […] freni inibitori reagendo con la violenza contro la violenza omicida […]. Gli eccidi di oggi sono sintomi, prodromi. Dopo l’anno di guerra all’estero, avremo dunque un anno di guerra all’interno”[57]. L’8 pubblica “La Politica della Strage!”. Il 9 incalza con titoli macabri: “Al grido di Savoia! La truppa scarica 300 colpi di fucile contro inermi donne ed innocenti bambini. L’inchiesta dell’Avanti!: Inseguiti fin nella Chiesa. Fuoco di combattimento. I cani leccano il sangue delle vittime.” Oltre i vari corsivi sull’Avanti! Mussolini tenne due discorsi, uno a Milano e uno a Torino. Questa campagna portò alla proposta della Direzione di indire lo sciopero generale ad oltranza in caso di nuovi eccidi. Il 10 pronunciò un discorso alla Casa del Popolo di Milano dove inneggiava alla Rivoluzione. Inizia una polemica con i riformisti di destra che ironizzano sul fatto che i rivoluzionarissimi contro gli eccidi avevano solo parole, parole, parole. Per Bissolati solo la partecipazione del proletariato al Governo può prevenire questi eventi, ma Mussolini replica: “Bissolati risparmi le sue facili ironie […]. Noi invece di illudere il proletariato sulla possibilità di eliminare tutte le cause degli eccidi, vogliamo […] prepararlo e agguerrirlo per il giorno del più grande eccidio.”[58]. Insomma, Mussolini tira fuori il suo vecchio cavallo di battaglia della Comune di Parigi, quel moto insurrezionale che mancava all’Italia.
Il 16 gennaio esce il commento di Turati su Critica Sociale: “Il concetto economico e realistico che contraddistingue il socialismo […] rinnega […] i miraggi onde si trastulla il fantastico anarchismo individualista - forma rovesciata ancor esso di un pensiero tutto borghese. Ma questi sono i litanucci del socialismo. Vogliamo rimetterli in questione? Rifare “Sala Sivori” di Genova, dopo ventun anni? Ristampare, per tornarlo a diffondere, ‘Forza e violenza’ di Plechanov?” [59] [grassetto nostro]. Treves prosegue: “Leonida Bissolati […] commette uguale e contrario l’errore che egli censura. Per non venire alla conclusione “rivoluzionaria” che ogni malanno del capitalismo non scomparirà se non col socialismo, egli quasi nega in sostanza che il capitalismo abbia in sé dei malanni […]. E questo è ottimo gioco per i “rivoluzionari”, e proprio per quei rivoluzionari che tornano a sognare improvvise, miracolose conquiste del potere politico, mediante l’imprigionamento di quattro rappresentanti dell’autorità in ciascuno degli 8.000 Comuni d’Italia. […]. Funestissima e non socialista ci sembra la concezione della lotta di classe a mo’ di una “guerra” guerreggiata, che abbia bisogno - come scrive l’Avanti! - di ‘guerrieri i quali sappiano i grandi amori e siano pronti ai grandi sacrifici’. Ben riconosciamo in queste espressioni il brillante e vano linguaggio della dottrina nietzschiana del “superuomo” - dottrina individualistica, aristocratica di violenza la quale […] da una parte lusinga la elegante poltroneria degli insofferenti dei piccoli sacrifizi, ma quotidiani […], dall’altra vota la classe lavoratrice al sistematico impoverimento dei suoi migliori, istigati a farsi massacrare.”[60]. Sempre Treves continua: “il neo-idealismo, anche quando si applica alla rivoluzionaria, è reazionario. [il marxismo] oppone la classe ai gruppi […] perché esso è una dottrina di rivoluzione e non di rivolta.”[61] [grassetto nostro]. Secondo noi non vi è sintesi migliore per descrivere la demagogia rivoluzionaria del Mussolini socialista: è anarchismo-individualista che declama carduccianamente il vano linguaggio della dottrina nietzschiana.
La replica di Mussolini arriva il 9 febbraio, ma su La Folla (come l’Homme qui cherche) dove ha più libertà di espressione. Qui si difende contrattaccando i riformisti ‘sinistri’ Turati e Treves, che accusa di essere contro lo sciopero per interesse elettorale. Mussolini esalta lo sciopero di Napoli e rincara sulla violenza: “Non sempre la violenza è manifestazione di forza, ma spesso la forza si esprime con la violenza. Ecco perché Marx ha definito la violenza “la levatrice della storia”. Bisognerebbe proporre l’espulsione di Marx dal partito. […]. L’on. Treves sogna un partito di eunuchi. […]. Per l’on. Treves che oggi ha nella società borghese quello che forse non potrebbe avere nella società socialista, la lotta di classe concepita tragicamente come voleva Carlo Marx, costituisce un assurdo anti-socialista. Ma il proletariato […] ha ormai ben chiara la nozione di trovarsi in stato di guerra guerreggiata contro la classe borghese. […]. E ci sono i guerrieri che soffrono e combattono, come ci sono i Trevisti che sghignazzano. Volete dunque in odio alla “eroicità” […] in odio a Nietzsche, farci tornare a Bastiat e Lamennais?”. Anna Kuliscioff si rende conto che questo di Mussolini è massimalismo anarchico e pensa addirittura che la Direzione debba intervenire per precisare la sua posizione[62]. Così come Turati, d’accordo con Anna che Mussolini sia “matto”, che pensa che presto anche i rivoluzionari dovranno abbandonarlo. Infatti, già Serrati si mostra molto critico nei suoi confronti e con l’articolo “Valorizzare o concretare?” fa scoppiare la polemica interna. Serrati sostiene che il partito debba darsi una direzione e non continuare ad andare a zigzag. Accusa i compagni che dirigono l’Avanti!, Mussolini e la Balabanoff, che pur di non concretare, parola allora associata con i riformisti, finiscono per concretare a modo loro. “È giusta la linea di preparazione della rivoluzione di Mussolini? Non lo credo. […] è paradossale, iperbolica, ridicola non per se stessa, ma per il contrasto che essa pone in evidenza fra la predicazione rivoluzionaria e la pratica possibilista del partito […]. Mussolini gonfia la manifestazione follaiola napoletana fino a farla credere un moto rivoluzionario che possa insegnare l’esempio alla restante Italia. L’ ‘Avanti!’ è il modello delle contraddizioni, basta leggere le notizie di partito. Quindi bisogna concretare un programma di azione comune. Non avvenga più che i compagni di altri paesi guardino l’ ‘Avanti!’ che ora porta la croce di Savoia, ora agita la scure anarchica.” [grassetto nostro]. Serrati, in “Della nostra intransigenza”, avvisa inoltre i rivoluzionari di non cadere nel “personalismo”, in quanto per i rivoluzionari “il trionfo personale non è nulla, anzi è male”. Mussolini, l’uomo dalla “coda di paglia” risponde sulla difensiva[63]. È costretto a replicare che la mania del concretismo ricomincia a fare vittime purtroppo ora nel campo rivoluzionario[64]. Siamo a soli tre mesi dopo la sua nomina a direttore dell’Avanti! e già “Mussolini è in evidente imbarazzo, il terreno gli scotta sotto i piedi”[65].
Tra i riformisti si parla già di successione a Mussolini: la Kuliscioff, sempre lungimirante, scrive a Turati (il 6 febbraio) che il Gruppo Parlamentare deve fare un’interpellanza alla Direzione “avendo affidato l’organo del Partito ad un anarchico perfetto”[66] e il 18 di febbraio, sempre lei scriveva a Turati “Oggi venne qui Luigi Montemartini, anch’egli molto impensierito sull’andamento dell’Avanti! Mi disse Treves che il Musatti n’è addirittura furibondo, e battezzò il Mussolinismo per un nazionalismo socialista sul genere dei nazionalisti patriottardi. […]. Certo che se le critiche al Mussolini fossero logiche e risolute in seno alla Direzione, egli darebbe le dimissioni; ma chi verrebbe a sostituirlo? Mi dicono vi aspiri Serrati, e ciò spiegherebbe forse i suoi ardimenti di fronda contro Mussolini.” [grassetto nostro]. Mussolini dal canto suo cerca di non rompere con Serrati[67]. La Kuliscioff sa che vi sono anche rotture nella Direzione e non solo Serrati, ma anche Bacci e Ratti non vedono di buon occhio la conduzione personale di Mussolini; tuttavia ci legge di più di quanto si materializzerà[68], e noi aggiungiamo, a causa della pochezza della corrente intransigente rivoluzionaria davvero scarsa di uomini di rilievo.
Mussolini, un anarco-sindacalista alla direzione dell’Avanti!, marzo 1913
Al Congresso della CGdL del 2 marzo 1913, si discute come comportarsi in caso di eccidi. Vi si indice un referendum dove viene deciso con 110.000 voti che in caso di eccidio il sindacato debba dichiarare uno sciopero generale di 48 ore. Questa è una decisione che può essere vista come una vittoria della linea tenuta da Mussolini[69]. Bozzetti descrive fedelmente l’impostazione del neo-direttore dell’Avanti!: “Il neodirettore ha trovato il terreno su cui alimentare il frasario rivoluzionario con una carica corrispondente. Ora si tratta di tradurre l’empirismo in una dottrina politica: il suo punto debole. Il suo pensiero (il ricorrere alla psicologia è più che legittimo) è soggetto all’incalzare degli avvenimenti, e, secondo molteplici testimonianze, suggestionato dall’ultima lettura. Come abbiamo osservato, anche il suo marxismo è acritico e non fondato su una conoscenza profonda della materia. La innata presunzione gli infonde una fiducia illimitata nell’improvvisazione. La guerra di classe che egli va predicando in questi giorni è frutto di un culto viscerale della violenza, alimentato dai testi soreliani. Sulle orme di Sorel ravvisa nello sciopero l’arma più efficace per tale guerra”[70]. Assieme alla linea radicale impostata da Mussolini sull’Avanti!, sullo sciopero generale politico egli si accosta all’Unione Sindacale Italiana, nata da poco, nel novembre del 1912, staccandosi dalla CGdL. I suoi leader sono i fratelli de Ambris e Filippo Corridoni. Alla sua nascita conta già 100.000 iscritti contro i 350.000 della CGdL. Molti degli agitatori di questo sindacato anarchico nel dopoguerra costituiranno uno degli elementi fondanti del fascismo[71].
Nei primi di marzo 1913 i turatiani pubblicano il programma elettorale su Critica Sociale. Mussolini, che si è concentrato principalmente su agitazioni locali e non ha dato spazio alle elezioni, non può che ammettere la validità del programma dei riformisti. Il 18 marzo 1913 Mussolini tiene un discorso commemorativo sulla Comune, un suo vecchio cavallo di battaglia, alla Camera del Lavoro di Milano, ed è acclamato da anarchici e sindacalisti. Giovanni Zibordi nota che ora pochi criticano Mussolini, di Prampolini ce n’è uno afferma, ma si domanda dove porterà questa continua istigazione all’eccidio rivoluzionario. Mussolini replica che la lotta rivoluzionaria è stata sempre delle minoranze, che la natura fa salti e che la violenza è l’ostetrica della società[72]. Zibordi si riferiva alla deplorazione all’indirizzo della Direzione dell’Avanti! di Prampolini con L. 2 per la sottoscrizione, cosa non da poco considerando il prestigio del primo direttore dell’organo di Partito. Mussolini pubblica qualche giorno dopo l’approvazione alla linea della Direzione da parte del solito Paolo Valera con L. 3 di sottoscrizione. Prima di ciò, avendo Mussolini deciso inizialmente di non pubblicare la deplorazione di Prampolini, Bertini e Ratti si dimisero dalla Società editrice dell’Avanti!. Mussolini, come visto, era già da subito sotto attacco anche da parte della Direzione, dove Serrati, Musatti e Agnini erano stati molto critici nei suoi confronti. Ma, nonostante ciò, anche la Kuliscioff era conscia che le fratture all’interno della Direzione del Partito non fossero sufficienti per determinare il sollevamento del direttore[73]. Mussolini, infatti, poteva ancora contare sull’appoggio di Lazzari, Vella, la Balabanoff, e Della Seta.
Mussolini ha anche una polemica con Alceste De Ambris[74] che è stato candidato a Parma, e che vede come vero rivale da sinistra. De Ambris, al contrario dei riformisti, usa il suo stesso linguaggio e scrive sull’Internazionale, organo dell’USI, il 1° maggio 1913: “Padre Benito: Lecca il culo a Turati per far dispetto ai destri, ma tace ogni volta che la penna o la parola di Turati sferzano o irridono le infantili puerilità del rivoluzionario demagogico. Combatte “i gaudenti” del movimento operaio; ma non ha scritto un rigo contro un organizzatore marinaio a 1.600 [lire] al mese”. De Ambris si riferisce a Giuseppe Giulietti capo della Federazione del mare[75]. La Balabanoff riporta anche un episodio in cui sembra che Mussolini si sia accordato con Giulietti previo pagamento[76]. A parte questo screzio fra i due galli nello stesso pollaio, Mussolini mostra il suo fiuto populista e decide di schierarsi a fianco dell’USI. Il 19 maggio viene proclamato, proprio dall’USI, contro il parere della CGdL, lo sciopero degli automobilisti a Milano, al quale Mussolini con l’Avanti! aderisce. La sezione socialista di Milano è contraria a Mussolini che pubblica l’esito solo sull’edizione milanese. La Kuliscioff lo nota subito: “ma sai che quel Mussolini è proprio meraviglioso! Neppure vi era una sola parola dell’assemblea socialista nell’ ‘Avanti!’ […]. Vuol dire che Mussolini, quando il voto non gli garba, sopprime addirittura la sezione in stampa! Possibile che tutti gliela lascino passare liscia!”[77] [grassetto nostro].
Quindi, una volta fallito lo sciopero scarica, puntualmente, la responsabilità sull’USI che lo ha indetto a detta sua “per sport”[78]. A causa dello sciopero degli automobilisti viene arrestato Filippo Corridoni con una pesante sentenza che fa insorgere l’USI e Mussolini gli va subito dietro: “Vendetta nazionale del capitalismo. Il proletariato milanese risponde con lo sciopero generale alle inique sentenze della magistratura. A raccolta! … Dimenticate le ire fratricide. Unitevi in un sol fascio … Viva lo sciopero generale!”. Quando gli scioperanti arrestati ricevono la condanna o il rinvio a giudizio, come nel caso di Corridoni, il 13 giugno, l’USI e la Camera del Lavoro di Milano, quindi, proclamano un altro sciopero. Mussolini si getta nella mischia e Azione socialista scrive con ironia: “Il neo Marat dell’Avanti! […] proclamò la guerra santa del proletariato”. [grassetto nostro]. L’adesione della Camera del Lavoro di Milano, senza consultare la CGdL, determinò anche le dimissioni di Rigola. Mussolini dipinse lo sciopero come una grande vittoria morale, mentre per i riformisti era un altro preoccupante atto d’anarchismo[79]. Si domandava Turati sulla Critica Sociale del giugno 1913: “Che è […] questa voce […]. Certo non è socialismo - perché è la negazione del socialismo.”[80].Il 16 giugno, Mussolini parla alla Casa del Popolo dove incita la folla a formare un corteo che si avvia in piazza del Duomo, ma lì il corteo si scioglie. Menotti Serrati chiama il corteo di Milano “gita al monumento a Vittorio Emanuele”[81]. Serrati critica ancora l’Avanti! che a furia di parlare dello sciopero milanese ha trascurato quello dei contadini di Massafiscaglia e di Ferrara, ma il Segretario, vecchio operaista, Lazzari difende l’operato di Mussolini sull’Avanti! e il 25 giugno vi scrive: “di fronte allo sciopero generale […] noi dobbiamo tenere un contegno di simpatia e di interessamento” [82].
Il 13 e 14 luglio si riunisce la Direzione del Partito. Mussolini fa la sua dichiarazione e Vella lo attacca per non sostenere la CGdL, ma, altresì, per sostenere la teorizzazione della violenza dello sciopero generale. Fortunatamente per Mussolini, Serrati non è presente alla riunione, altrimenti con Vella lo avrebbero potuto mettere alle strette e porre in discussione la sua direzione del giornale. Anche Ratti, già insofferente da febbraio nei confronti di Mussolini, è critico. A salvare Mussolini sono Musatti che non vota né l’ordine del giorno di Vella, né la linea di Mussolini, e soprattutto Cagnoni, Mastracchi, Bacci, Zerbini, Agnini, Fioritto, e il segretario Lazzari, i quali votano a favore della linea di Mussolini[83]; mentre la Balabanoff e Mussolini si astengono. Il 14 luglio Mussolini, che sa di avere la maggioranza, ma è insoddisfatto delle ostilità nei suoi confronti, si dimette. Allora su proposta di Bacci la direzione deve ribadire la sua fiducia a Mussolini respingendone le dimissioni[84]. A meno di un anno dalla sua nomina Mussolini viene riconfermato alla direzione dell’Avanti! in un clima di divisione interna dove egli è il principale elemento divisivo. De Felice nota come da questa riunione della direzione (quindi dal luglio del 1913 al Congresso di Ancona nell’aprile del 1914) la posizione di Mussolini s’impone al vertice del Partito Socialista per via della supremazia della direzione ‘intransigente’.
Il 3 agosto l’USI indice un altro sciopero tra i metallurgici di Milano e Mussolini esprime sull’Avanti! la sua solidarietà, ma, questa volta, esprime anche le sue riserve. L’8 agosto, al quarto giorno di sciopero, vedendo un inasprirsi dei toni e per evitare di essere accusati di crumiraggio, Mussolini e Lazzari decisero di premere sulla Camera del Lavoro per farla aderire allo sciopero sempre in opposizione al parere di Rigola[85]. Il 10 agosto l’USI vuole estendere lo sciopero alla nazione. La segreteria del partito sconfessa l’estensione dello sciopero. Nonostante ci scappi il morto a La Spezia, Mussolini, che vuole all’inizio indire lo sciopero generale, è persuaso da Vella a Roma di non dire nulla in merito e quindi, una volta cessato lo sciopero il 13 di agosto, Mussolini dà contro all’USI, scaricandole tutte le responsabilità. Mussolini scrive sull’Avanti! diretto agli operai milanesi: “Noi abbiamo compiuto il nostro dovere. Vi abbiamo sostenuto durante la lotta. Oggi vi segnaliamo il pericolo, vi indichiamo l’errore”, ovvero, quello di aver ascoltato l’USI. Ma partecipando a settembre a una assemblea della sezione milanese sull’incompatibilità della appartenenza all’USI di alcuni membri socialisti, Mussolini la giustificò perché in totale buona fede[86]. Turati fa notare il consenso-dissenso dell’Avanti! sulla questione dello sciopero. Anche Enrico Leone osserva questa tenuta ambigua dell’Avanti!. Uno dei leader dell’USI, Pulvio Zocchi, attacca personalmente Mussolini accusandolo di fare il doppio gioco[87]. Sempre in quel periodo la Balabanoff rompe con Mussolini come raccontato nel suo libro anni dopo[88].
Il 26 ottobre 1913 ebbero luogo le elezioni generali a suffragio quasi universale. Il PSI aumentò i suoi deputati da 33 a 53 e 26 andarono ai socialisti dell’PSRI. Di questi 53 solo Agnini, Musatti, Cagnoni erano rivoluzionari intransigenti[89]. I socialisti diventano il terzo partito, dopo l’Unione Liberale, 270 seggi, e i radicali, 62 seggi. Mussolini non aveva potuto presentarsi a Milano dove c’erano già troppi candidati eccellenti e si era candidato a Forlì dove poteva contare sui suoi fedelissimi, ma Forlì era tradizionalmente repubblicana, e, nonostante i 3.300 voti, perse contro i 5.700 del candidato repubblicano. Turati parla alla Camera il 3 dicembre 1913 dove denuncia brogli elettorali, voti comprati, minacce, persecuzioni fisiche, sequestri di persona: le bastonature giolittiane al sud sono celebri. Treves, vincitore al primo collegio di Bologna, lascia vacante il sesto collegio di Milano e non è un segreto che Mussolini vi aspiri. Ma pare che quel seggio sia stato offerto a Cipriani, che viene eletto nel gennaio del 1914, ma la sua nomina è invalida, impedendo così anche a Mussolini di usufruirne[90]. Intanto l’Avanti! stenta a vivere nonostante le tirature, circa 25.000. Mussolini direttore, invitando a scrivere sull’Avanti! “nuovi collaboratori dalle esperienze culturali più diverse”, scolorì il già elementare marxismo divulgato dall’Avanti! sostituendolo con l’azionismo rivoluzionario attraverso la mediazione dei meridionalisti e dei sindacalisti rivoluzionari[91]. È anche da sottolineare come giovani del calibro di Amadeo Bordiga de La Propaganda di Napoli, Antonio Gramsci, Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti de Il grido del Popolo di Torino, fossero vicini al Mussolini direttore dell’Avanti!. Nel novembre 1913 nasce l’Utopia con il fedelissimo Giuseppe De Falco come capo redattore. Mussolini scrive sull’Utopia quello che sarebbe troppo azzardato per l’Avanti![92].
L’apogeo del Mussolini socialista, il Congresso di Ancona, aprile 1914
“Dal novembre 1913 all’aprile 1914 tutta l’azione di Mussolini fu in funzione del congresso nazionale socialista di Ancona […]”[93]. La frazione rivoluzionaria era ormai scissa in due gruppi: uno che faceva capo a Lazzari e Mussolini, l’altro a Vella e Serrati. Agli inizi del 1914 Mussolini è in polemica con i dirigenti della USI che accusa di essere improvvisatori che mandano allo sbaraglio i lavoratori[94]. De Felice nota che la crescente sfiducia nel sindacalismo rivoluzionario, che non era stato in grado di stimolare lo sciopero rivoluzionario, è alla base della sua conversione interventista dato che la guerra sarebbe diventata la scintilla della rivoluzione[95]. Nel gennaio del 1914 il deputato socialista del IV collegio di Torino, Pilade Gay, era morto e così dei giovani socialisti torinesi, Gramsci, Tasca e Terracini, si erano messi in cerca di un sostituto. Si rivolsero a Mussolini che suggerì Salvemini, il quale rifiutò perché sarebbe dovuto rientrare nel partito socialista e inoltre non voleva abbandonare i molfettesi. Salvemini, quindi, propose il nome di Mussolini al quale però fu preferito per 254 voti contro 151 il candidato “operaista” Mario Bonetto, ma infine venne eletto il candidato nazionalista[96].
Dal 10 al 16 marzo si tenne il Congresso della Sezione milanese dove Mussolini, sorprendentemente, si dichiarò municipalista. Quindi in un’intervista al Resto del Carlino Mussolini auspicò il rientro dei sindacalisti rivoluzionari nella CGdL[97]. Il nodo centrale per Mussolini prima di Ancona, come espresso alla Conferenza di Firenze, più che il sindacato-partito politico, diventa la minoranza organizzata[98] che sia in grado di sostituirsi anche con la violenza alla minoranza borghese che governa[99]. Nel marzo del 1914 si riunì a Milano l’Assemblea Generale della Società editrice dell’Avanti!. A suo vantaggio Mussolini aveva il numero di lettori incrementato rispetto alla direzione di Treves, così come il numero degli abbonati e la riduzione del deficit. Mussolini quindi ne usciva rafforzato[100].
Nell’aprile del 1914 si ripete la storia: uno sciopero indetto dalla USI a Milano, alle officine Miani e Silvestri, viene sostenuto dall’Avanti! di Mussolini, ma quando lo sciopero fallisce, Mussolini accusa ancora l’USI. Filippo Corridoni scrive quindi all’Avanti! in vena polemica, per l’ennesimo voltafaccia di Mussolini[101]. In vista del Congresso di Ancona, Mussolini riprende un altro motto inaugurato ormai da più di un anno da Hervé, ovvero quello della “concordia”. Intanto il sistema delle clientele liberali è in crisi e Giolitti l’8 marzo annuncia le sue dimissioni. L’Avanti! non ha le idee chiare e ostenta disinteresse: uno vale l’altro[102]. Sale al governo Salandra che per l’Avanti! è un altro governo giolittiano, ma ciò non rispecchia i fatti. Sempre in preparazione del Congresso Mussolini si concentra sulla campagna antimassonica.
Il XIV Congresso di Ancona ebbe luogo dal 26 al 29 aprile 1914. I tesserati erano saliti a 47.724 divisi in 1.542 sezioni, pressoché raddoppiati rispetto al Congresso del 1912[103]. Mussolini nella sua relazione sull’Avanti! giustifica la sua campagna di risposta alla violenza repressiva con la violenza e, in merito agli scioperi, sostiene che questi devono essere sempre appoggiati dal Partito a prescindere, quindi, giustifica anche lo scarso interesse per la campagna elettorale[104]. Infine, comunicava che il numero di tirature dell’Avanti! era triplicato rispetto al 1912. La passività si era ridotta a 6.500 lire contro le 17.000 del 1912[105]. Zibordi faceva notare che l’aumento di tesserati non era da attribuire alla politica intransigente ma a circostanze contingenti. Zibordi annunciò l’astensione al voto dell’ordine del giorno presentato dai ‘rivoluzionari’ per l’approvazione delle relazioni di Lazzari e Mussolini, prendendo le distanze dalle posizioni dell’Avanti! sul bisogno dell’eccidio per scatenare la rivoluzione. Queste critiche però Zibordi le alterna con un plauso per la “fede, la dirittura, il carattere, l’amore di verità […]” di Mussolini. In pratica i riformisti non avevano i numeri per contrastare i rivoluzionari e potevano solo astenersi dall’appoggiarli ribadendo le loro differenze teoriche. La vera opposizione si profilò all’interno dei ‘rivoluzionari’. Il Congresso approvò gli accordi tra partito e organizzazioni economiche vicine per le elezioni amministrative, si oppose al protezionismo, e fu contro il militarismo e per il voto alle donne.
Nel marzo si era dimesso il Consigliere Delegato della Società Editrice dell’Avanti! Ratti perché in disaccordo con la linea di Mussolini. Treves, che sostituisce Turati assente per motivi di salute, sottolinea: “Oggi prevalgono nel partito dei concetti che si riallacciano a quella corrente filosofica del neo idealismo, secondo la quale non già le circostanze esterne dominano il nostro pensiero e centrano le nostre idee, ma sono le nostre idee che dominano i fatti e le circostanze esterne, e può bastare la volontà dell’idea formatasi nella mente di alcuni uomini rappresentativi per aver ragione delle circostanze esterne della vita, talché è capovolta tutta la filosofia del nostro partito. Il nostro partito era nato e si era sviluppato nel materialismo storico ed ora va sostituendo il principio di un fatuo idealismo che tutti i marxisti della grande e gloriosa tradizione non di riconoscerebbero più. […]. Voi, compagni della direzione del partito, vi potete illudere di aver seguito la tattica intransigente per una cosciente e volontaria applicazione del metodo: ed io vi dico che voi come noi, avete applicato il metodo necessario sotto la fatale incoercibile necessità storica della evoluzione compiuta nel nostro paese in questi ultimi anni”[106],[107] chiaro riferimento all’idealismo di Mussolini che col marxismo aveva poco a che fare.
Bordiga riapre la polemica sui blocchi e sulla massoneria. Il Congresso si concentrò sulla questione della presenza di massoni nel partito socialista. Zibordi presentò il suo ordine del giorno che chiedeva l’incompatibilità. Poggi a favore della convivenza, Ponderelli contro questa e il congresso limitò quindi il dibattito ad altri quattro interventi: Mussolini e Mazzoni per l’incompatibilità, Lerda e Raimondo per la convivenza. Mussolini ammise una vecchia affinità tra il socialismo e la massoneria, ma nell’epoca presente secondo lui i due non avevano più alcuna relazione[108]. Mussolini, quindi, riteneva inaccettabile la permanenza dei massoni nel partito. Il giovane Giacomo Matteotti, quindi, intervenne dichiarandosi favorevole all’ ordine del giorno Zibordi ma senza l’aggiunta dell’emendamento Mussolini che voleva scacciare i massoni. Si passò ai voti degli ordini del giorno Poggi, Matteotti, Montanari e Zibordi-Mussolini. Quest’ultimo vinse con 27.378 voti, contro i 2.296 per quello di Matteotti, i 2.485 per quello di Montanari, che era a favore dell’irrilevanza, e i 1.819 per quello di Poggi per la compatibilità[109]. Sconfitto l’ordine del giorno Matteotti, questi gridò contro Mussolini la celebre frase: “Dovunque tu andrai, porterai rovina!”. Dieci anni dopo Mussolini si assumerà la responsabilità morale dell’omicidio di Matteotti.
Quindi si passò al dibattito sui blocchi elettorali, che vide anche l’intervento del giovane Bordiga, ovviamente contrario. Modigliani non volendo fare di ogni erba un fascio ammetteva che in speciali condizioni locali e non venendo a mancare le condizioni di fedeltà ai principi del partito, si poteva accettare di accordarsi con organizzazioni economiche. Vinse l’ordine del giorno intransigente presentato da Ratti per 22.591 voti, contro un altro l’ordine del giorno intransigente, quello di Mazzoni, favorevole alle deroghe a discrezione della Direzione (8.584 voti) e rimasero i 3.214 voti per quello di Modigliani. Dopo il Congresso, Zibordi, probabilmente il più fine osservatore del fascismo delle origini, si concede una nota di apprezzamento per Mussolini relativamente al suo dinamismo sincero[110]. Zibordi non è il solo a mostrare apprezzamento per Mussolini dopo Ancona, così fa anche l’Unità di Salvemini.
Il congresso di Ancona riconferma Lazzari segretario, Mussolini direttore dell’Avanti!, Bacci, Balabanoff, Della Seta, Ratti, Smorti, Vella e Zerbini alla Direzione, con Morgari segretario del Gruppo Parlamentare; quindi elegge Barberis, Marabini, Giuseppe Prampolini[111], Sangiorgi e Serrati alla Direzione[112]. Gli osservatori più critici avevano però giudicato il congresso di Ancona come il sintomo della profonda crisi del Partito, crisi che era stata interrotta, o posticipata, dalla guerra in Libia, ma che ora era di nuovo evidente. Il trionfo dei rivoluzionari era pressoché dettato dal silenzio dei riformisti. Come ebbe a dire Treves, quello di Ancona era stato un Congresso rivoluzionario nella forma e riformista nella sostanza. Ad ogni modo quello di Ancona fu il congresso che consacrò Mussolini. La rivista teorica Utopia cominciò ad uscire il 22 novembre 1913, De Felice asserisce che fu un fallimento, ma che servì a Mussolini per mettere in circolazione alcune idee. L’unico articolo di livello teorico pubblicato sull’Utopia fu quello di Sergio Panunzio su “Il lato tecnico e il lato pratico del socialismo” del maggio del 1914[113]. L’articolo di Panunzio pubblicato su Utopia è molto chiaro nel ricollocare il sindacalismo al centro del dibattito: in sintesi, il socialismo aveva bisogno del sindacalismo per rimaner coi piedi per terra[114]. Anche Panunzio constatava che l’unità di partito non era una cosa concreta. Sergio Panunzio riallacciandosi alla critica di Treves controbatteva: “Il socialismo è idea, è utopia […]. Il socialismo è idealismo, non materialismo; il socialismo in tanto è vero in quanto è Utopia, e ben lo sa il Mussolini, ed in quanto è scienza è falso.”[115]. Sempre Panunzio continua il suo articolo esaltando la guerra come “soluzione catastrofica rivoluzionaria”: “Altro che gridare: Abbasso la guerra! Chi grida così è il più feroce conservatore”[116].
La settimana rossa, giugno 1914
Tra il maggio e il giugno del 1914 si tenne la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Milano, dove Mussolini appoggiò il candidato socialista riformista, sottolineando, però, di essere a favore di eventuali sovvenzioni comunali alle organizzazioni di classe, come l’USI, in caso di necessità. In più, tenne una posizione accesamente antimonarchica che mirava alla conquista di voti repubblicani[117]. Il candidato socialista Emilio Caldara fu eletto sindaco.
Il 7 giugno 1914, in occasione delle celebrazioni per lo Statuto Albertino, fu organizzata ad Ancona, dove dall’agosto del 1913 si era stabilito il vecchio anarchico Errico Malatesta, una contro-manifestazione in solidarietà di Masetti, il soldato anarchico che nell’ottobre del 1911 aveva sparato al suo colonnello al grido di “viva l’anarchia!”. Il Malatesta tenne un comizio in località Villa Rosa, ma a causa del pressante e minaccioso dispiegamento di forze dell’ordine la situazione degenerò. I manifestanti, sentendosi circondati, lanciarono sassi contro i gendarmi, i quali aprirono il fuoco lasciando sul terreno due morti, un anarchico e un socialista, e un ferito grave. Ad Ancona l’8 di giugno la Camera del Lavoro indisse lo sciopero generale e anche in Romagna così come in altre località fu indetto lo sciopero. Vella, vicesegretario del partito, la sera del 7 chiamò alle ore 22:15 la redazione dell’Avanti! ma Mussolini non c’era (era infatti a Forlì per una conferenza su Marat, l’amico del popolo) e quindi Vella lasciò detto al redattore Sandro Giuliani che la CGdL avrebbe dovuto indire lo sciopero generale come deciso nel referendum del 1913, ma raccomandò di non compromettere l’Avanti![118]. La Direzione si riunì in tutta fretta la mattina dell’8 giugno, proclamando lo sciopero generale nazionale per il 9, d’accordo con la CGdL, che però si riservava il compito di indirne la durata[119].
Intanto l’8 giugno Mussolini torna a Milano dove riceve una telefonata di Vella, a noi disponibile grazie alle intercettazioni della polizia, dove discutono di scrivere dello sciopero generale ma di lasciare il comunicato ufficiale alla CGdL. Da Roma arriva l’ordine di gonfiare gli incidenti, Mussolini risponde: “Sì, sì, bisogna gonfiarli.” Il 9 giugno l’Avanti! intitola “Lavoratori d’Italia, scioperare!”[120]. Mussolini scriveva sull’Avanti! anche che questo era stato un assassinio premeditato e che sperava che i lavoratori avrebbero saputo mettere la parola fine a tutto ciò. Nota Bozzetti che i suoi pezzi sono intrisi di retorica e non diretti come al solito. Il giorno seguente Mussolini dichiara all’Arena di Milano di essere stato aggredito dalle forze dell’ordine, mentre Cesare Rossi dell’USI racconta che Mussolini cadde a terra a causa di una bastonata e che Amilcare De Ambris gli fece scudo proteggendolo. Mentre Alceste De Ambris 15 anni più tardi raccontò invece che Mussolini si sarebbe aggrappato a un lampione per non essere trascinato via[121].
Intanto l’Avanti! è riempito di telegrammi in quanto viene percepito come il centro direzionale dei moti, ma il giornale non è organizzato per tale compito. Mentre nella Romagna i moti continuano, nel resto d’Italia si vuol capire cosa fare e Genova chiede alla CGdL disposizioni sulla continuazione o cessazione dello sciopero[122]: “Poco dopo la mezzanotte telegrafa Serrati da Venezia: Dopo giornata civile dignitosa astensione dal lavoro cessiamo lo sciopero diamo comunicazione per lettera”, da Modena arriva un messaggio simile, anche Firenze chiede disposizioni sulla cessazione. Secondo Rigola altre 140 comunicazioni del genere erano arrivate[123]. Quindi la CGdL comunica all’agenzia Stefani la cessazione dello sciopero alle ore 24 del 10 giugno[124]. Intanto ad Ancona i ferrovieri avevano deciso di aderire, in quanto volevano essere certi che fosse uno sciopero ad oltranza, ma i segni di cedimento si facevano già vedere in varie parti d’Italia, e quindi ricevono il contrordine. La CGdL alla fine emanò l’ordine di cessare lo sciopero per la mezzanotte dell’11. Ma a Roma, Firenze e Parma erano sorte le barricate, dimostrazioni erano ancora in atto in Umbria, Puglia, Sardegna, mentre a Napoli e a Palermo, nelle Marche e in Romagna vi furono vere e proprie sollevazioni popolari. Addirittura, in diversi di questi luoghi, dove non arrivavano più né treni né giornali, si era proclamata la repubblica. Malatesta ad Ancona rispose alla notizia della cessazione dello sciopero dichiarando: “abbasso gli addormentatori! abbasso i traditori! Evviva la rivoluzione!”. A Roma Lazzari aveva chiamato Rigola per fargli revocare l’ordine di cessazione[125]. L’11 giugno Mussolini parla una seconda volta all’Arena di Milano: “Vi dico con sincerità che se lo sciopero è precipitato, ciò si deve al deliberato - che non esito a definire una vera fellonia - della Confederazione del Lavoro.” [126]. Scrive in stile giacobino: “Io, cittadino Mussolini, vi dico che discuterò anche il deliberato della Direzione del Partito.”[127]. In realtà ad Ancona lo sciopero continuò fino al 13 e in Romagna fino al 14[128].
Se Mussolini, che nei giorni successivi alla fine dello sciopero scrive articoli di fuoco, non è attaccato da sinistra lo è invece da destra dove si nota che il direttore dell’Avanti! è intriso di romanticismo barricadiero, ma a parole. Antonio Graziadei promuove un ordine del giorno nel Gruppo Parlamentare che vuole la collaborazione tra Gruppo, Direzione e CGdL escludendo Mussolini quale direttore dell’Avanti!. Così facendo il Gruppo Parlamentare esprime il suo dissenso per l’Avanti!. Valera cerca di difendere pateticamente Mussolini su La Folla: “I turatiani hanno sconfessato il mussolinismo”[129]. Commenta De Felice: “Durante le giornate dello sciopero generale il ruolo di Mussolini era stato, complessivamente, piuttosto subalterno. […]. In definitiva però egli era rimasto tagliato fuori dalle grandi decisioni del momento, aveva commentato, animato, più che diretto l’agitazione che, nella sua disorganicità e mancanza di un centro motore, rimase affidata alla spontaneità locale e, se mai, fu determinata più dalle decisioni della CGdL che di Mussolini e dello stesso Partito socialista.”[130].
Se gli anarchici e i ‘rivoluzionari’ incolparono principalmente la CGdL per il fallimento, i commentatori borghesi ma anche della sinistra moderata notarono che il partito non era stato in grado che di auspicare la rivoluzione a parole senza organizzarla seriamente[131]. I riformisti di destra, in un articolo di Ivanoe Bonomi, vedevano nella politica del Mussolini quel “romanticismo barricadiero” che ora aveva iniziato la sua fase calante. Ma la conseguenza vera furono le dimissioni di Rigola dalla segreteria della CGdL[132]. Treves su Critica Sociale continua la sua critica al volontarismo, “degli illusi intransigenti, dei vanitosi individualisti e barricadieri.”[133]. Bozzetti riporta “Stupefacente” la firma di Giovanni Papini in terza pagina dell’Avanti! il 25 giugno. Il suo articolo è vero e proprio patriottismo ma rivela il disagio del paese verso le istituzioni a causa della crisi economica e della sfiducia nei confronti dei legislatori e governanti. “Papini non condanna la rivoluzione, ma il fatto di non averla preparata […]”. Bozzetti vede in ciò già del proto-fascismo[134].
Il 20 giugno arrivò il biasimo del gruppo parlamentare nei riguardi di Mussolini con l’ordine del giorno di Graziadei[135]. Sembra che Turati cercasse le adesioni per un ordine del giorno che richiedesse l’allontanamento di Mussolini dall’Avanti!, dato che la Critica Sociale lo attaccava per il suo linguaggio anarcoide. Mussolini rispose a questi attacchi con una lunga intervista a Il Giornale d’Italia il 23 giugno, dove si appigliava alle formalità visto che non era compito del Gruppo Parlamentare deplorarlo, ma spettava al Congresso nazionale e farà la stessa cosa poi ad ottobre. Dal 28 al 30 giugno si tenne una riunione della Direzione a Roma. Una parte di questa voleva rimuovere Mussolini, ma si nota che a lui non c’è alternativa. La Direzione giunge ad un compromesso, ossia non rompere né con la CGdL, né con il Gruppo Parlamentare ed assolvere Mussolini per la sua buona volontà. Graziadei però rilascia un’intervista al Giornale d’Italia dove attacca ancora l’operato di Mussolini, il quale replica sullo stesso giornale. Mussolini si dichiara non anarchico e nemmeno sindacalista e si rifà al documento di Brescia del 1904 che condanna il parlamentarismo, la collaborazione di classe, e la monarchia. Si difende con delle posizioni che gli saranno familiari una volta divenuto il “truce duce”. Scrive Mussolini: “[non c’è] nessuna vita senza effusione di sangue. […]. Che importano 10 o 100 morti? […]. Noi giovani […] respiriamo in una diversa atmosfera. […]. Non per nulla mi si è quasi rimproverato sulla ‘Neue Zeit’ di essere un bergsoniano. Veramente non ho trovato ancora una diretta incompatibilità fra Bergson e il socialismo. […]. Le tavole della legge del 1892 devono essere rivedute.”[136].
Nella seconda metà di luglio esce Utopia dove Mussolini confessa di aver avuto la colpa “di aver taciuto, per carità di partito.” Mentre Treves continua con lucidità a collocare il gioco politico del direttore: “si spaccia troppa materia, la quale non ha col socialismo che un rapporto affatto secondario e puramente sentimentale, l’idea di ribellione. […]. Guardate il gioco delle simpatie: i “rivoluzionari” con i “sindacalisti”, i “sindacalisti” coi “nazionalisti”. Donde l’affinità elettiva, che si spiega tra loro in tutte le circostanze in cui si arroventa la violenza: o sia la guerra, o sia lo sciopero generale e la rivolta barricadiera? Evidentemente dal comune pensare che l’”Idea” governa il mondo e la “Volontà” governa l’”Idea”. L’idealismo è individualistico; esso esalta la persona, vede nella folla la “carne del destino”. […]. L’intuizionismo bergsoniano […] bene sta a base di quella concezione veramente “rivoluzionaria” dello sciopero generale.”[137]. Come nota Bozzetti che riporta questa citazione, “Treves ha trovato fin da allora la chiave di una strana collusione”[138]. Zibordi rincara la dose: Mussolini non rappresenta il partito e nemmeno la sua parte. Quindi già nell’agosto del 1914, in tempi quasi non sospetti si vorrebbe dire, Zibordi viene fuori con questa analisi “strabiliante”: “In verità, il Mussolini, anche inconsciamente, ha istituito una dittatura che ha basi […] non razionali. Col prestigio irresistibile della sua combattività aspra, ma elevata, che trascina la folla senza essere […] volgarmente demagogica […] egli fa ingoiare alle masse tutto quello che vuole. Ciò avviene non solo per la sua volontà di dominio, ma perché l’atmosfera di tumulto e di guerra ha penetrato col suo contagio gli animi. Quanta psicologia del nazionalismo v’è nel mussolinismo!” [139] [grassetto nostro]. Conclude Zibordi: “Non vogliamo burattinai”[140]. Nel suo commento alla settimana rossa pubblicato su Utopia in luglio Mussolini ormai ammette che la CGdL aveva agito sotto la pressione di diverse Camere del Lavoro che avevano cessato lo sciopero e che anche l’USI aveva diramato la cessazione dello sciopero per la mezzanotte, praticamente moderando di gran lunga la sua critica alla CGdL. Mussolini promuove l’unità tra forze proletarie ovvero partito e sindacati e anche tra socialisti, repubblicani e anarchici[141].
Abbasso la guerra, ma, sapremo fare il nostro dovere, agosto 1914
Circa venti giorni dopo lo scoppio della “settimana rossa”, il 28 giugno 1914, Gavrilo Princip fredda l’Arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo e la moglie con due colpi di rivoltella. La notizia non desta grande interesse nel direttore dell’Avanti!, il quale solo 15 giorni dopo, quando ormai le cancellerie di Germania ed Austria-Ungheria sono sul piede di guerra, sembra temere un conflitto balcanico[142]. Quindi, il 25 luglio (la guerra scoppierà il 3 agosto) Mussolini si rende conto della drammaticità della situazione, e scrive: “Nubi minacciose all’orizzonte balcanico”, poi, il 26 luglio, alla scadenza dell’ultimatum austriaco al Governo serbo i titoli dell’Avanti! si riempiono di realistica drammaticità: “Verso un nuovo macello dei popoli. […] Probabile conflagrazione europea. Il dovere dell’Italia. Neutralità ad ogni costo. […]. Abbasso la guerra!”[143]. Sempre in quei giorni, i deputati repubblicani a Rimini deliberarono contro la guerra, nonostante la loro tradizione risorgimentale e irredentista[144]. Secondo Bozzetti lo slogan “neutralità assoluta” fu lanciato proprio da Mussolini sull’Avanti! il 26 luglio.
Una volta cosciente della gravità della situazione, Mussolini vuole convocare la Direzione del Partito, ma senza successo, mentre il 27 si riunisce il Gruppo Parlamentare formato in maggioranza da riformisti. Il 28 luglio Mussolini pubblica il resoconto dei lavori del Gruppo Parlamentare: “I socialisti italiani contro la guerra”, dove per la Direzione avevano presenziato solo Mussolini e Ratti[145]. Il documento contro l’intervento chiedeva la convocazione della Camera e dell’Internazionale[146]. Mussolini biasima Lazzari per la mancata convocazione della Direzione del Partito perché così lasciava il primato e l’iniziativa al Gruppo Parlamentare, e chiede a Vella a Roma di convocare la Direzione. Vella si giustifica il 28 sera dicendo di aspettare il ritorno della Balabanoff da Bruxelles e lo rassicura che la riunione avverrà presto, ma nel frattempo gli chiede di pubblicare quello che fanno all’estero i socialisti contro la guerra[147]. Il 30 finalmente la Direzione pubblica un Manifesto contro la guerra, firmato anche da Mussolini. Sempre il 30 luglio parlano Mussolini, l’on. Guidi Marangoni, Eugenio Chiesa, Amilcare De Ambris, Libero Merlino, Adelina Marchetti contro la Triplice Alleanza e contro la guerra[148], ma la guerra non è ancora scoppiata!
Il 1° agosto l’Avanti! riporta l’uccisione di Jean Jaurès: “Mussolini lo commemora nel salone di Arte Moderna la sera del 4 agosto. Il discorso, riportato dall’Avanti!, è improvvisato e generico”[149]. “L’Internazionale socialista ha fatto molto di più di quanto si sarebbe da essa aspettato” dice Mussolini e, in qualche modo, paradossalmente giustifica l’assassino di Jaurès, “quel disgraziato” vittima dell’atmosfera di odio[150]. Nell’articolo “De profundis”, uscito il 3 agosto, Mussolini, in polemica con il Popolo Romano ancora filo-triplicista, replica: “Se […] l’Austria - ubriacata dalle sue eventuali vittorie – abbia interesse di perpetrare una “spedizione punitiva” attraverso il Veneto, allora […] è probabile che molti di quelli che oggi sono accusati di […] antipatriottismo saprebbero compiere il loro dovere” [151] [grassetto nostro]. Si vuol qui sottolineare che questo lo scrive il 3 agosto, ovvero alla vera vigilia della guerra, e non a fine ottobre! Sempre il 3 si riunisce la Direzione del Partito e si esprime per la neutralità. Ai lavori della Direzione socialista parteciparono anche la CGdL, la Federterra, la Federazione dei lavoratori del mare, e il sindacato dei ferrovieri, estendendo l’invito all’USI. Già dai primi di agosto e per tutto il mese la stampa dei riformisti di destra, quella dei repubblicani e dei socialdemocratici salveminiani si erano espresse contro la Triplice Alleanza e a favore di un intervento a fianco della Francia. Salvemini in particolare pensava che la guerra avesse dato la possibilità all’Italia di risolvere il problema degli italiani in Austria[152]. Nota Bozzetti, l’Avanti! è ben lungi dalla neutralità assoluta, ma è palesemente antitedesco e antiaustriaco. In terza pagina, il 5 agosto, Mussolini pubblica un suo articolo su “Hervé. La guerra è immonda.” Hervé aveva chiesto, in una lettera al Ministro della Guerra, di essere arruolato per difendere la Patria, e Mussolini ne difende il gesto, paragonandolo a Blanqui che nel 1870 chiedeva al popolo di difendere la Francia dai prussiani. Hervé, quindi, non è un colpevole se si vuol difendere dall’invasore[153]. E questo lo scrive il 5 di agosto. Se sull’Avanti! tiene una facciata internazionalista, come gli era stato ordinato da Vella, sull’Utopia già il 4 agosto si può sfogare: “L’Internazionale socialista è morta. […]. Ma è mai vissuta? Era un’aspirazione, non una realtà. Aveva ufficio a Bruxelles e pubblicava un soporifero bollettino in tre lingue una o due volte all’anno. Nient’altro.” Anche su Hervé è caustico: “Io avrei fatto le cose con meno teatralità. Non mi sarei rivolto al Ministero della Guerra, ma mi sarei recato - tout bonnement - al primo ufficio di arruolamento nella strada vicina. Ma intanto Hervé è stato “scartato” [154],[155].
I primi ad annunciare la loro uscita dalla neutralità furono i repubblicani l’11 di agosto e a questi seguirono i radicali spinti dalla massoneria che i primi di settembre si era pronunciata per l’intervento a fianco della Francia. Il 6 settembre fu la volta dei socialisti riformisti di destra. Vi furono quindi defezioni anche in campo anarchico anche sotto l’influenza dell’adesione di Kropotkin alla guerra antitedesca. Sui sindacalisti probabilmente la “defezione” di Hervé ebbe il suo peso. La propaganda di Cesare Battisti, che il 12 agosto si era trasferito a Milano per sensibilizzare l’opinione pubblica socialista alla causa trentina, ebbe non poco peso, anche sul suo vecchio amico Benito[156]. Il 13 agosto Mussolini nel rispondere a Salvemini “in tema di «neutralità» italiana”, affermava che “la neutralità non può che essere assoluta. Può essere inerme o armata, ma la neutralità parziale o relativa non è più neutralità e può diventare veramente una grande mistificazione e un grande pericolo”[157]. Vi era poi una certa insofferenza tra i giovani socialisti che nel caso di un attacco austriaco all’Italia avrebbero voluto schierarsi per la difesa dei confini nazionali, quindi per una neutralità relativa. All’articolo di Mussolini replica perentorio Amadeo Bordiga, il 16 agosto, “In tema di neutralità. Al nostro posto!”, il quale vuole essere chiaro che i socialisti non devono simpatizzare per gli uni o per gli altri ma rimanere al proprio posto e Mussolini, che ha capito la critica, si giustifica affermando che a volte il sentimento travolge la ragione[158].
Il 18 agosto Alceste De Ambris tenne un discorso che per la prima volta metteva in dubbio la neutralità assoluta accettata dallo stesso il 3 agosto. “Oggi la guerra è una tremenda realtà […]. Il pacifismo borghese e l’internazionalismo socialista hanno fatto contemporaneamente bancarotta […]. È ora di finirla col comodo sistema di addossare tutte le responsabilità dei fatti storici ai gruppi dirigenti. Il popolo ha pure la sua parte di responsabilità […]. Anche il tacere - di fronte a certi delitti - significa complicità […]. Se dovessero prevalere il kaiserismo ed il pangermanesimo degli imperi centrali, non vi sarebbe alcuna forza atta a controbilanciarli […]. La vittoria antitedesca, al contrario, ci lascia sperare una serie di benefizi di carattere economico, politico e morale che permetterebbero un rigoglioso sviluppo di tutte le forze di progresso dell’umanità […] forse la rivoluzione dei popoli tedeschi liberati […] il sindacalismo autonomista e libertario a posto del centralismo autoritario […]”. De Ambris e Deffenu si recarono in carcere da Corridoni ansiosi di sapere la sua opinione sulla guerra ed egli si espresse in linea con De Ambris a favore dell’intervento a fianco della Francia: “La neutralità è dei castrati. […]. La neutralità è voluta dal Governo italiano per aiutare l’Austria” sosteneva Corridoni[159]. Come già notato sin dall’inizio della guerra, i titoli sull’Avanti! erano apertamente filointesisti e non rispecchiavano il veritiero andamento del conflitto[160]. Tutte queste defezioni avvenute nelle prime tre settimane di guerra turbano Mussolini che lo esprime chiaramente a Lazzari il 21 agosto: “Mi pare di avere in decine fra articoli e note e ulteriormente in risposta al Salvemini precisato il nostro punto di vista anche nei riguardi della eventuale guerra all’Austria. […]. D’altra parte, gli articoli e gli atteggiamenti di moltissimi socialisti, sindacalisti e persino anarchici mi lasciano un po’ turbato. […]. Data questa situazione complessa io credo che in caso di mobilitazione o di guerra dichiarata all’Austria, la Direzione del Partito debba con un manifesto al Paese scindere la propria responsabilità mentre i deputati socialisti negheranno il voto ai crediti militari richiesti per la guerra. Non c’è altro da fare. Lo sciopero generale rivoluzionario eravamo decisi a tentarlo nell’altra contingenza che ormai non si verificherà più” [161].
A causa della sconfitta dell’esercito francese a Metz, il 25 agosto, Mussolini non esclude, sull’Avanti!, un intervento italiano. Intanto il 26 agosto c’è la visita di Albert Südekun, socialdemocratico, in missione in Italia, per raccogliere consensi attorno alla causa tedesca. Il PSI aveva ricevuto molti aiuti finanziari dalla SPD, non ultimo quello legato alla dipartita di Bebel. Mussolini però se ne lava le mani. Südekun si reca quindi a Roma per incontrare il 2 settembre la Direzione, rappresentata da Lazzari, Zerbini, e Della Seta. Südekun cerca di spiegare che il loro intervento, quello tedesco, era stato determinato dallo “zarismo russo, armato per trent’anni dalla borghesia francese.”. Mussolini nel pubblicare il dialogo rimane con il piede in due staffe[162]. Alceste Della Seta ritiene che il ritorno temporaneo ad un intransigente neutralismo da parte di Mussolini a metà settembre fu dettato dalla Balabanoff che vedeva la risposta (dello stesso Della Seta) a Südekum come troppo forte[163].
Si è già visto come Alceste De Ambris e Filippo Corridoni si erano schierati dal lato degli interventisti e fu così anche per il sindacalista del mare Giuseppe Giulietti, l’anarcosindacalista Massimo Rocca, il follaiolo Paolo Valera, i sindacalisti rivoluzionari Arturo Labriola, Angelo Olivetti, Paolo Orano, e ancora per Agostino Lanzillo, Ernesto Cesare Longobardi, Tomaso Monicelli, e altri, tra i quali gli agitatori dell’USI Michele Bianchi, Cesare Rossi e Umberto Pasella[164], senza trascurare ovviamente Prezzolini. Insomma, si sta muovendo l’Union Sacrée italiana, ma Mussolini dov’è? Mussolini, il quale, aveva mal celato le sue simpatie per l’Intesa ora è sconvolto. Forse sta già organizzando delle contromisure: il 26 agosto in una lettera a Mario Missiroli, Mussolini menziona di salutargli il direttore del Resto del Carlino Filippo Naldi[165] che come vedremo sarà il primo finanziatore del Popolo d’Italia, tre mesi più tardi. Conoscendo il personaggio Mussolini, si potrebbe pensare che volesse passare all’intervento solo se sicuro di “atterrare in piedi”. Sempre in quei giorni sull’Utopia di Mussolini, Panunzio denuncia la fine del neutralismo. Panunzio considerava la neutralità una posizione antisocialista, mentre la guerra, e tanto di più se fosse stata lunga e acuta, avrebbe scatenato la rivoluzione socialista in Europa[166].
Anche dai riformisti arrivano critiche alla formula della neutralità assoluta: Treves afferma che questo è un imperativo ma non un dogma e deve essere mutevole per l’influsso degli avvenimenti. Graziadei, il 1° settembre, scrive apertamente nell’articolo “In tema di neutralità italiana”, pubblicato sull’Avanti!, che una vittoria degli imperi centrali avrebbe significato un passo indietro per il processo di democratizzazione e una nuova corsa agli armamenti in Europa. Mussolini commentava negativamente la neutralità relativa di Graziadei, in quanto di contro sostiene che questa posizione giustificherebbe il Governo in caso d’intervento. Però già il 9 settembre alla Sezione socialista milanese Mussolini dice che in caso di una guerra dell’Italia contro l’Austria “noi [socialisti] valuteremo il nostro atteggiamento a seconda delle circostanze”[167]. Il 12 settembre Panunzio trova, grazie a Mussolini, anche spazio sull’Avanti! con “Guerra e Socialismo”, dove insinua l’idea che tra guerra e socialismo non c’è incompatibilità e che la guerra sarà la scintilla per la rivoluzione socialista, mentre pacifismo vuol dire conservazione[168]. Bozzetti commenta che l’articolo di Panunzio “È il capolavoro della letteratura interventista rivoluzionaria. Mussolini avrebbe voluto scriverlo lui, ma non è all’altezza. Deve per opportunismo confutarlo, e lo fa male, perché non è convinto […]”[169]. Sempre agli inizi di settembre in una lettera di Corridoni al fratello il primo confidava: “Le mie idee sono condivise dai più intelligenti socialisti e sindacalisti di Europa. Lo stesso Mussolini direttore dell’‘Avanti!’ è del mio parere, ma egli non osa dichiararsi pubblicamente per paura delle scomuniche dei suoi compagni. Ma io non sono né ipocrita né vile! Ho detto sempre la verità, a costo di qualunque sacrificio […]” [170].
A metà settembre, intorno ai giorni 13 e 14, i dirigenti milanesi dell’USI convocarono una assemblea generale a Parma, storica roccaforte dell’USI. La maggioranza, guidata dall’ anarchico Armando Borghi rimase neutralista, De Ambris che era un vero e proprio idolo a Parma dai tempi dello sciopero del 1908, riuscì a portare con sé le Unioni Sindacali di Parma e Milano, dando vita alla Unione Italiana del Lavoro (UIL)[171]. Borghi si rifiutava di “funzionare come fantocci[o] dell’Unione Sacra”, De Ambris si portò dietro altri agitatori di razza come Corridoni, Ciardi, Pasella, Masotti, Rossi e Di Vittorio. Il 14 Cesare Battisti, che non capisce le ragioni della neutralità assoluta, sull’Avanti! ripete il suo irredentismo[172]. Mussolini tiene botta, scrivendo qualche corsivo contro l’intervento. Il 18 di settembre la segreteria di Partito si esprime per la neutralità assoluta e lì si fa cenno anche all’invito del Partito Socialista Svizzero per una conferenza dei paesi neutrali. Il 19 settembre esce su L’Azione Socialista un articolo diretto esplicitamente al direttore dell’Avanti!, intitolato “I due Mussolini”. Questo articolo mette in rilievo il “foruncolo francese” ovvero il suo filo-francesismo e il suo neutralismo di facciata, e prefigura, correttamente, che quando la situazione si scalderà Mussolini lascerà l’Avanti![173]. Il 21 settembre Mussolini si reca a Roma, mentre nella capitale stanno avendo luogo manifestazioni interventiste, per la riunione della Direzione del Partito, ma vi trova solo Vella e Zerbini. Qui Mussolini propose la redazione di un manifesto per la neutralità assoluta e i due incaricarono il Mussolini stesso di redigerlo insieme a Turati e Prampolini. Il manifesto già preparato il 21 di settembre da Mussolini viene quindi discusso e approvato dai riformisti il 22.[174]. Turati nota che lo stile è prettamente mussoliniano ma nella sostanza lo condivide[175]. È un manifesto che non menziona la neutralità assoluta e attribuisce la responsabilità del conflitto agli imperi centrali. Alceste Della Seta si rende conto del passo indietro fatto da Mussolini rispetto all’intransigenza mostrata in occasione della visita di Südekun. Il 25 Mussolini bandisce dalle pagine dell’Avanti! un referendum interno dove invita tutte le organizzazioni a riunirsi sabato e domenica 26 e 27 settembre per pronunciarsi con un sì o un no alla neutralità assoluta. “Il giornale è sommerso da una valanga di sì”[176]. Il 4 ottobre Valera pubblica il Manifesto ai Lavoratori d’Italia del Fascio rivoluzionario d’Azione internazionalista, firmatari Bachi, Bianchi, Clerici, Corridoni, Amilcare De Ambris, Deffenu, Galassi, Olivetti, Papa, Cesare Rossi, Silvio Rossi, Rugarli e Tancredi. Nello stesso numero Valera pubblica l’appello di Kropotkin per la guerra al militarismo prussiano e all’imperialismo tedesco. Quindi una lettera di Cesare Battisti a Oddino Morgari, dove continua il suo discorso irredentista, mentre Mussolini si tiene in contatto con loro tramite Massimo Rocca[177].
Il 5 ottobre, Mussolini in una lettera in risposta a Ottavio Dinale, che scrive sul Resto del Carlino, afferma così: “Caro mio, beato te che non sei legato alla disciplina e alla responsabilità del partito e quindi hai ben diritto, e lo riconosco, di essere nello stesso tempo rivoluzionario e patriota. Io non posso concedermi tale lusso. A me forse sarà concesso a più tardi. Questo posto di responsabilità mi obbliga di segnare il passo; ci sono dei doveri politici che passano al di sopra dei doveri morali. Il dilemma al quale mi vorresti forzare tu, neutralismo o interventismo, per un giornalista come te ha un significato, per il direttore dell’‘Avanti’ ne ha un altro, tanto che io posso risponderti tranquillamente che farò del neutralismo per giungere all’interventismo. […] Tu sai meglio di me che l’internazionalismo socialista comanda l’avversione alla guerra. […]. Sei di fronte a questo dogma, io, Mussolini, dichiararsi oggi di essere favorevole all’intervento, mi metterei contro le tavole della legge e sarei, probabilmente, linciato. […] Di mano in mano che la discussione si allargherà a tutti gli strati dell’opinione pubblica, io mi propongo di arrivare, passo passo, a questa conclusione: che cioè il dovere di intervenire non è soltanto legato alle condizioni e alle aspirazioni della patria italiana, ma anche agli interessi del proletariato. […]. Nel tuo articolo tu hai già affermato che questa è una guerra rivoluzionaria. […]. Ne sono convinto anch’io.”[178]. Sempre il 5 ottobre rispondendo a Orazio Spigli che gli chiede un impiego all’Avanti! Mussolini scrive: “In questo momento la redazione è al completo e il lavoro con la riduzione delle pagine diminuito. Io credo che tu però potresti cominciare come redattore in qualche settimanale socialista o organizzatore di qualche camera del lavoro. È un tirocinio che bisogna fare. Poi, se io resto all’ ‘Avanti!’ - la mia posizione è precaria - ci sarà modo di occuparti, mi ricorderò di te. Adesso è tutto incerto. Non si può costruire nulla sull’avvenire. Domani, una eventuale guerra scompaginerà tutti i nostri piani”[179].
Epilogo di “un socialista col fazzoletto nero”, ottobre 1914
A fine settembre, il filosofo Giuseppe Lombardo Radice mandò una lettera al direttore dell’Avanti! per spiegare le ragioni per le quali si dimetteva dal partito, ovvero a causa della politica neutralista. Ne scaturì un epistolario tra i due dove Mussolini si diceva molto più possibilista nei confronti della guerra, addirittura affermandosi simpatizzante. Lombardo Radice il 4 ottobre dichiarava su Il Giornale d’Italia, senza fare nomi, che “uno dei capi più autorevoli e combattivi del Partito Socialista Italiano” simpatizzava per l’intervento contro l’Austria. Mussolini quindi il 6 ottobre rispose su Il Giornale d’Italia (e sull’Avanti! il 7), che il capo a cui si riferiva Lombardo Radice era lui, e che la neutralità fosse simpatetica nei riguardi della Francia ed ostile nei riguardi dell’Austria. E ancora, che la neutralità assoluta aveva un valore solo di opposizione ideale alla guerra. Il 7 ottobre sul Resto del Carlino Massimo Rocca (con lo pseudonimo di Libero Tancredi) pubblicò l’ormai celebre “Il direttore dell’Avanti! smascherato. Un uomo di paglia. Lettera aperta a Benito Mussolini”[180]. Tancredi accusava Mussolini di fare il doppio gioco, ormai troppi sanno che lui è per l’intervento a fianco dei francesi e lo invita ad esprimere apertamente le sue idee o andarsene dall’Avanti!. Filippo Naldi, direttore del Resto del Carlino, è il vero mandante di questo articolo. Mussolini replica di non vergognarsi di confessare che il suo pensiero ha avuto oscillazioni. Ormai per Mussolini la questione dell’intervento è “da esaminare dal punto di vista nazionale”[181]. L’8 ottobre Mussolini replica sempre sul Resto del Carlino e sull‘Avanti!, “Benito Mussolini risponde a Libero Tancredi. Fra uomini di paglia”. Ne seguirono una serie di articoli; il 9 Ercole Monti, il 10 Tullio Masotti sull’Internazionale, sempre il 10 sul Resto del Carlino Aurelio Galassi, che spiegava le sue dimissioni, il 13 le dimissioni di Bachi e Bergamasco. Ancora Cesare Battisti pubblicava delle dichiarazioni che esponevano le idee filo-interventiste di Mussolini.
L’11 ottobre l’Avanti! pubblica “Per la neutralità senza aggettivi” di Aroldo Norlenghi che giustifica l’intervento dell’Italia se aggredita. Intanto continua la polemica sul Resto del Carlino che si chiude solo il 13 ottobre con un’altra replica di Mussolini, “favete linguis”: “[…] posto a scegliere fra i borghesi democratici e massoni, che vogliono la guerra poiché li prende la loro francofilia, e i borghesi che vogliono la guerra per la tutela degli interessi italiani, io preferisco questi ultimi. […]. Ecco perché […] io sono venuto a valutare l’eventualità di un intervento italiano nella conflagrazione europea da un punto di vista puramente e semplicemente nazionale. […] Il che non esclude che sia proletario.” Bozzetti commenta, “Tranne l’ultima frase (un riempitivo?) tutto è chiaro. Il Mussolini fascista esiste già: l’interventismo mussoliniano sarà nazionalista e imperialista.”[182]. Il 13 ottobre La Voce invitava Mussolini ad aver coraggio, il 14 sull’Avanti! anche Rigola si mostrava possibilista. Il 17 ottobre il repubblicano L’Iniziativa chiedeva sincerità e L’Azione socialista pubblicava “Amleto Mussolini”[183]. Il 17 ottobre addirittura Prampolini dà ragione, sempre sull’Avanti!, a Mussolini perché un intervento a fianco della Triplice Alleanza è ormai da escludersi, ma ci si trova nella assoluta impossibilità di impedirne uno contro l’Austria[184].
“La mattina del 18 ottobre, mentre i membri della direzione socialista cominciavano ad arrivare a Bologna per la riunione, l’ ‘Avanti!’ uscì con un lunghissimo articolo di Mussolini […]”[185]: “Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante”. L’articolo non dice nulla di nuovo, ma pone il quesito se dopo il referendum interno si voglia continuare l’opposizione alla guerra o si debba fare la rivoluzione. Questa è una formula già espressa, in chiave più dimessa, dall’ anarchico Borghi, il 15 ottobre, ovvero “Il proletariato fa la guerra perché non ha saputo fare la rivoluzione”[186]. Bozzetti nota, correttamente, come sia strano che gli storici abbiano visto in questo articolo il tradimento di Mussolini, “infatti non c’è quasi nulla che non abbia già detto”[187]. Il giorno dopo a Bologna si riunì la Direzione al completo: Lazzari, Vella, Bacci, Balabanoff, Barberis, Della Seta, Marabini, Morgari, Mussolini, Ratti, Sangiorgi, Serrati, Smorti, Zerbini e alcuni dirigenti locali, Demos Altobelli, Genunzio Bentini, Nino Mazzoni, Luca Tosi Bellucci e Francesco Zanardi. Mussolini propose che il partito facesse sua la neutralità attiva e operante, ma si opposero tutti tranne Zerbini. Mussolini annunciò quindi che se il suo ordine del giorno non fosse stato approvato si sarebbe dimesso. Dalla riunione della Direzione a Bologna non emerge una chiara presa di distanza da Mussolini e la sua linea politica filo-interventista, ma, piuttosto, una grande volontà di moderarla. Mussolini però era andato a Bologna con la chiara intenzione di dettare le sue condizioni, e provocatoriamente affermava: volete la neutralità? allora facciamo la rivoluzione. Mussolini propone la neutralità condizionata, ma la Direzione non accetta. La Direzione propone quattro ordini del giorno per cercare di persuaderlo a ritirare le dimissioni. Quindi in un ulteriore tentativo di “salvarlo”, Vella propone che egli si prenda tre mesi di congedo, ma Mussolini rifiuta.
La seduta si chiude con Bacci che propone una commissione per redigere un manifesto. Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari furono quindi incaricati di redigere il manifesto che conciliasse le varie posizioni. La mattina seguente, il 20, Della Seta dà lettura al manifesto, ma alle prime righe Mussolini interrompe esclamando “Non accetto!”. Il manifesto fu approvato con un solo voto contrario, quello di Mussolini, ed un astenuto, Zerbini. Ovviamente l’ordine del giorno di Mussolini fu bocciato[188]. Mussolini non crede più alla minaccia dello sciopero generale e intanto è sopraggiunto Serrati, assente il primo giorno. Mussolini presenta un ordine del giorno che viene rigettato, invece viene approvato il manifesto[189]. Della Seta ricorda che a quella riunione tutti cercarono di evitare una crisi nel partito. Mussolini, secondo l’opinione di diversi presenti, era andato a Bologna con l’intenzione di mettersi in disaccordo con la Direzione e Della Seta si chiede: perché accettare l’idea di redigere un manifesto se si sapeva già che Mussolini non lo avrebbe mai approvato?[190].
Mussolini, quindi, una volta a Milano e già dimissionario, dichiara: “Io sconto in questo momento qualche vecchio peccato. Non si ricordi soltanto l’articolo di domenica; si ricordi anche quello della settimana rossa “Tregua d’armi!”[191]. Alla sua nota di dimissioni il 21 ottobre Mussolini allega una lettera di felicitazioni di Salvemini per il suo articolo sulla neutralità attiva e operante. Il 23 si insedia la nuova direzione dell’Avanti!, composta da Lazzari, Serrati[192] e Bacci. La Direzione replica a Salvemini che la decisione più coraggiosa è quella di difendere l’internazionalismo. Rispondono anche al Professor Lombardo Radice, visto come uno degli accusatori-chiave di Mussolini che lo indussero al cambio di rotta, replicando che il “socialismo nazionale” non è lotta di classe o vero socialismo[193]. Nonostante tra i socialisti, diversi si fossero espressi per una neutralità condizionata, vigile, relativamente all’uscita del direttore, la realtà dei fatti si mostrò (anzi si confermò) in linea con il referendum interno, ovvero che i lavoratori socialisti erano contro la guerra. In qualche modo i riformisti della Critica Sociale erano ora per una neutralità vigile ovvero vicina alla Union Sacrée. Mentre tra i giovani rivoluzionari se Bordiga stava al suo posto, ovvero per la neutralità assoluta, il giovane Gramsci (e con lui anche Togliatti, futuro volontario) furono per il passaggio alla neutralità attiva e operante. Dei torinesi Angelo Tasca e Umberto Terracini rimasero però fedeli alla neutralità assoluta[194].
Il 10 novembre Mussolini annuncia la nascita del Il Popolo d’Italia che arriverà in edicola il 15 dello stesso mese[195]. Emerge la domanda “Chi paga?”. Sembra che la risposta possa essere, in un primo momento, l’impresario e faccendiere Filippo Naldi, amministratore del Resto del Carlino, il quale è in contatto con Mussolini almeno da aprile del 1914, anche prima della “settimana rossa”. Bozzetti riporta la ricostruzione che Giorgio Bontempi fece in base alle dichiarazioni del Naldi, nel 1960, ormai settantaquattrenne. Il Naldi dichiara di essere stato in contatto con il ministro degli Esteri Antonino Paternò Castello, marchese di San Giuliano, e di essersi impegnato a parlare con Mussolini, già due mesi prima dell’articolo di Tancredi, ovvero appena dopo lo scoppio della guerra. Gli incontri tra Mussolini e Naldi erano avvenuti all’Avanti! il 10 e il 21 ottobre. Secondo la testimonianza di Eugenio Guarino, redattore capo dell’Avanti!, alle visite di Naldi corrispondevano a cambi di look di Mussolini. Ossia questi ricevette denari per mettersi a posto personalmente[196]. Bozzetti ne deduce che anche se l’idea di un giornale uscirà in un secondo momento, l’idea di influenzare Mussolini originava proprio dal colloquio con il ministro San Giuliano. Mussolini seppe in un secondo momento che il Naldi era al servizio del Ministero degli Esteri, per rendere il neutralismo più malleabile[197]. L’idea del giornale risale probabilmente al secondo incontro il 21 ottobre, ve ne è testimonianza da parte di Mario Girardon, corrispondente a Parigi del Resto del Carlino e della Stampa, dove il Naldi gli comunica l’intenzione di fondare un giornale. Anche la testimonianza dell’avvocato di Mussolini, Francesco Bonavita, fa intendere che le dimissioni e l’idea del nuovo giornale gli vengono date da Mussolini allo stesso momento. Come prova ultima, Valera il 18 ottobre esce con un articolo “L’areopago socialista a Bologna, Benito Mussolini vuol uscire dal romanticismo” dove annuncia già le dimissioni di Mussolini prima di Bologna. Valera, quindi, sapeva già delle intenzioni di Mussolini. E l’8 novembre anche prima di Mussolini, Valera, annuncia l’uscita del nuovo giornale[198].
Naldi quindi si impegna a trovare fondi. E i fondi arrivano dall’Agenzia Italiana Pubblicità (AIP) con un milione, mentre i soldi stranieri arriveranno più tardi[199]. Mussolini però non è in linea con Naldi e la loro collaborazione cessa presto. Il sindaco Caldara, socialista, indìce una commissione d’inchiesta sui fondi a Il Popolo d’Italia per appurare se questi fossero arrivati prima delle dimissioni di Bologna, ovvero il 20 ottobre. La commissione conclude per il no, ma in realtà ne accentua il dubbio. Ora un altro dettaglio è che il dottor Jona, ovvero il fondatore della AIP (quella del milione) a Mussolini aveva chiesto delle garanzie e queste gli vengono date da Giulio Bonfiglio del Consiglio di Amministrazione della Federazione dei Lavoratori del Mare[200] (come visto in precedenza Mussolini era già in rapporti con Giulietti della Federazione dei lavoratori del Mare). In più la Balabanoff, ma ovviamente lo fa anni dopo, racconta che “una sera [quando Mussolini era ancora direttore dell’Avanti!] a bruciapelo [le disse]: «Che cosa diresti tu se ci si offrisse un milione per un gran giornale quotidiano, senza partito, un grande giornale d’informazione?»”[201]. Conclude Bozzetti: “Dal partito esce quasi solo. […]. Il De Begnac elenca ben 42 settimanali socialisti contrari all’interventismo mussoliniano. […]. Nel socialismo Mussolini non lascia traccia; è il destino di quest’uomo, di non rappresentare che se stesso. […]. Il mussolinismo come fenomeno ideologico è una invenzione dei politologi. […]. I fasci ritornano, annuncia Mussolini dalle colonne del suo giornale il 1° dicembre 1914. La sera dell’11 dicembre è di nuovo alla tribuna per salutare la costituzione del Fascio d’azione repubblicana. […]. La marcia incominciata nel novembre del 1914 si concluderà a Palazzo Venezia.”[202], cento anni fa, nell’ottobre del 1922. Il 24 novembre, del 1914 quindi, una rappresentanza della Direzione (Lazzari, Serrati, Bacci e Ratti) approvò la proposta di espellere Mussolini[203]. Il 29 novembre si riunì la Direzione del Partito a Milano, Della Seta, Marabini e Zerbini, pur essendo favorevoli alla sua espulsione, non volevano giustificarla per la sua indignità’ morale, invece Serrati, Balabanoff e Vella ne furono i più decisi promotori[204]. Prezzolini, Lombardo Radice e altri ‘vociani’ mandarono un telegramma a Mussolini “[Il] Partito socialista ti espelle. [L’] Italia ti accoglie”[205].
Cesco
[1] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 403.
[2] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 44.
[3] L’ipotesi della richiesta dettata dal caso a Mussolini di presentare l’ordine del giorno intransigente è avanzata dalla Balabanoff, ma è improbabile, dati i vari articoli scritti da Mussolini prima del Congresso. Cfr. Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 63.
[4] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 47.
[5] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 406.
[6] Come successo al De Marinis, nel 1900, quando veniva biasimato, al VI Congresso, per aver partecipato ai funerali di Umberto I.
[7] “E Podrecca?”, pare che la voce sia stata quella di Amadeo Bordiga.
[8] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 49.
[9] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 407.
[10] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 50.
[11] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 409.
[12] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 410.
[13] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 50.
[14] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 411.
[15] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 415.
[16] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 416.
[17] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 51.
[18] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 417.
[19] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 51.
[20] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 422.
[21] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 45.
[22] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 124.
[23] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 125.
[24] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 126.
[25] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 127.
[26] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 130.
[27] L’articolo citato da Bozzetti è intitolato: “Mussolini, non Musolino”, La Vita, 9-10 luglio 1912, [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 55].
[28] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 132.
[29] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 55
[30] Bacci, classe 1857, aveva iniziato la sua carriera politica come radical-democratico, entrando nel PSI solo nel 1903, ovvero a 36 anni, ed era diventato segretario della Camera del Lavoro di Ravenna, carica che deteneva già al tempo del Congresso di Reggio Emilia.
[31] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 56.
[32] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 57.
[33] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 132.
[34] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 58.
[35] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 62.
[36] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 60.
[37] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 61.
[38] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 62.
[39] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 63.
[40] Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 74.
[41] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 64.
[42] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 73. Nel dettaglio, 120 lire nel 1912 sono 475,5 euro odierni; come 500 lire nel 1912 equivalgono a 1.979,36 euro di oggi; da https://inflationhistory.com, uno stipendio medio-basso, ma un salto di qualità considerevole.
[43] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 138.
[44] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 75.
[45] Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista, gennaio 2022, https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/01/gustave-herve-estratto-da-from.html
[46] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 76.
[47] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 136.
[48] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 137.
[49] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 78.
[50] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 80.
[51] Idem.
[52] 990 euro circa [da: https://inflationhistory.com].
[53] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 82.
[54] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 83.
[55] Idem.
[56] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 145.
[57] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 87.
[58] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 89.
[59] Idem.
[60] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 90.
[61] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 147.
[62] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 92.
[63] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 144.
[64] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 93.
[65] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 94.
[66] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 149.
[67] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 95.
[68] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 96.
[69] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 99.
[70] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 100.
[71] Solo per citare i più noti: Michele Bianchi, Umberto Pasella, Massimo Rocca, Cesare Rossi, Sergio Panunzio [da: Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 116.]
[72] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 103.
[73] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 155.
[74] De Ambris, al contrario di Mussolini, è un agitatore di razza e si è reso protagonista di scioperi importanti tra i quali quello del 1908: quando dopo mesi di sciopero la Camera del Lavoro di Parma (e Parma stessa) sono messe sotto assedio, De Ambris è costretto a fuggire e va in esilio a Lugano. Per farlo rientrare i parmigiani lo candidano e eleggono deputato e il suo ritorno a Parma dopo circa cinque anni è proverbiale: una vera folla oceanica lo porta in braccio dalla stazione alla Camera del Lavoro.
[75] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 104.
[76] La Balabanoff spiega che Giulietti era padre e padrone del sindacato dei Lavoratori del Mare e nonostante questo fosse autonomo, ovvero non legato formalmente con il PSI e con l’Avanti!, ma tempestasse la redazioni con resoconti ed articoli da pubblicare. La Balabanoff riporta di essersi imbattuta in un telegramma che il Giulietti aveva mandato «Pregovi di pubblicare qui tutto quello che noi mandiamo. Sarò riconoscente al giornale. Mando denaro» e, pochi mesi più tardi, ricorda la russo-ucraina che Mussolini la informò agitato di un imminente visita del Giulietti. La Balabanoff quindi si offrì di accoglierlo e comunicargli dell’annullamento di alcune sue deliberazioni. Sempre secondo la Balabanoff però il Giulietti ottenne quello che voleva grazie ad un incontro con Mussolini ed essa insinua che il primo lo abbia corrotto finanziariamente [da: Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 124].
[77] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 105.
[78] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 106.
[79] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 169.
[80] Idem.
[81] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 107.
[82] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 170.
[83] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 171.
[84] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 110.
[85] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 174.
[86] Idem.
[87] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 115.
[88] Il contenzioso con Mussolini nacque a causa della vicenda che coinvolgeva un’altra compagna, Maria Giudice, maestra, giornalista e attivista del PSI. Con ben sette figli a carico, la Giudice, aveva perso l’impiego per via delle sue idee politiche e, durante la causa giudiziaria, il Comune (che l’aveva licenziata) aveva mandato un articolo contro di lei proprio all’Avanti!, nonostante che il tribunale dovesse ancora esprimere il suo verdetto. Mussolini fece comunque pubblicare l’articolo e questo fatto determinò la rottura tra la Balabanoff e Mussolini stesso [da: Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 142].
[89] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 427.
[90] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 127.
[91] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 142.
[92] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 135
[93] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 177.
[94] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 179.
[95] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 182.
[96] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 199.
[97] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 185.
[98] Qui l'analogia con la concezione avanguardista di Lenin e Trockij qui sia notevolissima.
[99] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 186.
[100] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 189.
[101] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 139.
[102] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 140.
[103] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 432. I numeri di Bozzetti però sono un po’ diversi: 1.200 delegati per 1.077 sezioni.
[104] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 147.
[105] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 432.
[106] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 147.
[107] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol. I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 432.
[108] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 440.
[109] Franco Pedone. Novant’anni di pensiero e azione socialista: attraverso i congressi del PSI. Vol I 1892-1914. Marsilio Editori. 1983, p 442.
[110] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 152.
[111] Da non confondere con Camillo.
[112] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 192.
[113] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 188.
[114] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 196.
[115] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 153.
[116] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 154.
[117] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 198.
[118] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 159.
[119] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 206.
[120] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 162.
[121] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 163.
[122] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 164.
[123] Idem.
[124] Idem.
[125] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 206.
[126] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 165.
[127] Idem.
[128] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 206.
[129] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 168.
[130] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 206.
[131] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 208.
[132]Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 210.
[133] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 168.
[134] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 169.
[135] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 211.
[136] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 171.
[137] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 174.
[138] Idem.
[139] Idem.
[140] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 217.
[141] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 214.
[142] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 181.
[143] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 182.
[144] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 226.
[145] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 183.
[146] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 184.
[147] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 226.
[148] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 186.
[149] Idem.
[150] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 187.
[151] Idem.
[152] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 232.
[153] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 188.
[154] Si ricordi che Hervé era della classe 1871 e nel 1914 aveva 43 anni; in più soffriva già da giovanissimo di una grave miopia che lo rendeva ipovedente anche con l’ausilio degli occhiali. Al contrario della leggenda, che vuole il Mussolini partito volontario, egli era della classe 1883 quindi riservista e arruolabile nella Milizia Mobile.
[155] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 189.
[156] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 238.
[157] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 240.
[158] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 195.
[159] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 236.
[160] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 192.
[161] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 243.
[162] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 198.
[163] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 248.
[164] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 199.
[165] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 200.
[166] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 245.
[167] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 247.
[168] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 205.
[169] Idem.
[170] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 248.
[171] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 237.
[172] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 206.
[173] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 213.
[174] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 250.
[175] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 208.
[176] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 209.
[177] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 253.
[178] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 215.
[179] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 216.
[180] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 255.
[181] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 217.
[182] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 218.
[183] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 257.
[184] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 220.
[185] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 258.
[186] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 219.
[187] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 222.
[188] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 264.
[189] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 223.
[190] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 224.
[191] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 225.
[192] Il 1° dicembre Serrati ne assumerà la direzione effettiva.
[193] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 227.
[194] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 230.
[195] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 231.
[196] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 242.
[197] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 286.
[198] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 243.
[199] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 238.
[200] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 242.
[201] Angelica Balabanoff. Il traditore: Mussolini e la conquista del potere. Universale Napoleone, 1973, p 147.
[202] Gherardo Bozzetti. Mussolini direttore dell’”Avanti!”. Feltrinelli Editore. 1979, p 246.
[203] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 278.
[204] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 282.
[205] Renzo De Felice. Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920. Einaudi. 1965, edizione del 2019, p 283.
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