Il “Gruppo Socialista Internazionalista” sullo scopo e la modalità del suo attivismo politico
Il Gruppo Socialista Internazionalista s’impegna nella costituzione di un Partito della Classe Lavoratrice allo scopo di abbandonare il sistema economico capitalista, sopprimendolo, per instaurare un sistema economico che possa ricevere da “ognuno secondo le sue capacità” e provvedere “ad ognuno secondo i suoi bisogni”. Per il Gruppo Socialista, quindi, il superamento del sistema capitalista può essere concepito genuinamente solo se la classe lavoratrice globale si riesce ad organizzare “autonomamente” in un Partito politico globale. Per fare sì che il nuovo modello di organizzazione sociale possa ricevere-provvedere secondo le capacità e i bisogni di ciascuno, il nuovo sistema sociale dovrà mettere i mezzi di produzione e di distribuzione dei beni e dei servizi in comune, quindi, il loro controllo dovrà essere effettuato dalla comunità stessa.
Ora, sin dall’origine del concetto di “sinistra”[1], lo scopo e la modalità del conseguimento della “modernità” hanno racchiuso un largo spettro di idee, accomunate da un generico concetto di difesa del principio-diritto di libertà umana. “Sinistra” è un termine, proveniente dal gergo politico francese, che è andato via via ad indicare quella tendenza politica modernista-evoluzionista aperta alle politiche sociali. È un concetto totalmente inadeguato per definire lo scopo e la modalità con le quali il capitalismo deve essere superato tramite la socializzazione del sistema di produzione. Il problema della terminologia e della dicotomia è fondamentale. Ci vogliono anni di studio per comprendere le varie sfumature che oggigiorno si raggruppano grossolanamente sotto l'etichetta di “sinistra”. Se per motivi di sintesi si prendesse la proprietà privata dei mezzi di produzione come oggetto, allora si potrebbe tentare schematicamente la seguente sintesi. Vi sono scuole di pensiero e movimenti di “sinistra” che si propongono l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, mentre altri no! Quelli che non prevedono la necessità di abolire la proprietà privata per avere una società migliore, ovvero più equa, giusta e libera, vanno dall’esaltazione di una élite illuminata e/o dello Stato, o delle varie Corporazioni. In questo contesto si spazia dall'imposta progressiva alla piena occupazione, dal protezionismo al fair trade. La collaborazione di classe è in tutti questi casi un prerequisito. Qui il concetto paradossale di capitalismo “equo” e socialdemocrazia (almeno dopo la metà degli anni '60) si confondono. Dall’altro lato le scuole di pensiero e movimenti che si propongono l’abolizione della proprietà privata vanno dal collettivismo “primitivo”, ovvero una legge agraria che dia a tutti la stessa quota di proprietà (in effetti ripartendo, senza abolire, la proprietà privata stessa) alla dottrina, che più ci interessa, di abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche in questo caso le varie idee applicative che vogliono che tale proprietà dei mezzi di produzione diventi della società stessa creano una vasta costellazione di varianti che può essere genericamente raggruppata sotto il termine socialismo rivoluzionario. Qui consciamente ignoriamo tutta la sfera che si fonda sull’ individualismo, o anarchia, anche se questo torna spesso in gioco plasmando qui e lì varie frazioni socialiste rivoluzionarie. Nella sua accezione originaria, il termine “socialismo”[2] però non stava ad indicare la socializzazione dei mezzi di produzione, ma piuttosto indicava l’opposto dell'individualismo. In questo senso il termine socialismo resta tanto inadeguato quanto quello di sinistra, perché l’essere l’antitesi dell’individualismo non è una qualità sufficiente per definire un nuovo ordine mondiale superiore a quello capitalista. Il grande debito nei confronti di Marx ed Engels è che sono stati in grado di definire concretamente cosa si debba intendere con un nuovo sistema sociale, socialismo, e come impostare il suo raggiungimento, mediante il Partito di Classe[3]. Vi sono senza dubbio altri debiti nei confronti del pensiero di Marx ed Engels, come l’analisi critica del sistema capitalista raccolta nella teoria del valore-lavoro, o, come la dottrina del materialismo storico, che consegnano alle generazioni future gli strumenti per comprendere e superare le intersezioni e le interazioni tra uomo, società ed economia, ovvero un nuovo modo di adattarsi alla Natura[4]. Infine, quando parliamo di socialismo o di comunismo, dobbiamo considerare che il pensiero di Marx è diventato dagli anni ‘80 e ‘90 dell’Ottocento quello dominante in questo ambito, a meno che non si parli di radicalismo non socialista o di anarchismo. Ma il socialismo marxista, per via delle sue varie interpretazioni e dei diversi periodi storici, ha dato origine ad una moltitudine di sfumature e di applicazioni politiche. Alcune delle quali paradossalmente sono sfociate nel capitalismo “etico” o nell’individualismo. Con questa premessa abbiamo puntualizzato la necessità di essere rigorosi nel distinguere il socialismo e/o il comunismo marxisti, detti anche scientifici, da tutta una serie di movimenti, partiti, correnti politiche che genericamente possiamo buttare nel gran calderone dove c'è il concetto di sinistra. Non è superfluo aggiungere che oggigiorno il socialismo marxista non è per nulla la dottrina dominante nella sinistra che è, perlopiù, egemonizzata da movimenti che non si prefiggono l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Marx ed Engels non hanno sviluppato una dottrina in totale isolamento, hanno analizzato al meglio delle loro conoscenze, che poi incidentalmente era il meglio che la scienza poteva offrire nella prima metà del XIX secolo, la società in cui vivevano. Si sono poggiati su idee già circolanti, si vedano l’influenza del pensiero di Georg Hegel, ma anche di Jean-Jacques Rousseau e dei vari illuministi e pensatori radicali francesi, lo studio della Grande Rivoluzione, ma in realtà proprio lo studio della Storia con un approccio filosofico-metodologico che i due rivoluzionari definiranno materialismo storico. Ovvero l’uomo visto come specie in grado di adattarsi all’ambiente adattandolo a sé proprio tramite il lavoro e quindi influenzato grazie o a causa dell’ambiente artificiale lasciatogli in eredità dalle generazioni passate [5]. Quindi diventa centrale capire i rapporti sociali in un contesto economico. Il debito va anche agli economisti classici come Adam Smith e David Ricardo.
Una volta fatta questa premessa è necessario spiegare perché solo la dottrina politica marxista procura gli strumenti necessari per definire la modalità, ovvero la rivoluzione sociale, con la quale raggiungere lo scopo, ovvero il socialismo, in modo adeguato all’attuale struttura socioeconomica. Siccome tale dottrina non può essere vista come un monolito invariante che conterrebbe, se seguito pedissequamente, l’unica via al socialismo (la quale allo stesso tempo, e quasi paradossalmente, ha generato vere e proprie sub-dottrine che, qui e lì, tendono ad anchilosare o denaturare l’essenza della dottrina stessa), è bene chiarire come noi capiamo e intendiamo applicare il socialismo scientifico. Marx ha delineato il principio di funzionamento della società capitalista e ha gettato le basi delle modalità del suo superamento. Se dello scopo, il socialismo, anche se molto superficialmente abbiamo appena scritto, della modalità, ovvero la rivoluzione sociale, dobbiamo ancora trattare.
Immaginiamo che domani andassimo tutti a lavorare come oggi, ma per convenzione, di comune accordo, decidessimo che il prodotto di qualsiasi attività commerciale, sia questo un bene di consumo o un servizio, fosse gratis, avremmo instaurato il socialismo? No, o almeno non secondo il principio: “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni. Ad ogni modo è plausibile per alcuni concepire che questo accordo comune possa avvenire senza violenza. Per altri è da escludersi, in quanto il “sistema” non permetterebbe mai un “referendum” nazionale (figurarsi poi se internazionale) che possa decidere sul “sacro” diritto di proprietà privata. Di chi? Dei proprietari delle varie attività economiche, ovviamente. Nonostante il prodotto non sarebbe più limitato al consumo, i privilegi derivanti dall’aver anticipato il capitale, non sarebbero più concepibili. Di conseguenza, molti pensano, che questi proprietari farebbero di tutto per non permettere che la gente possa esprimersi in un referendum del genere. In modo un po’ più sofisticato alcuni aggiungerebbero che la gente stessa indottrinata da anni di capitalismo, dove le cose vanno come ben sappiamo, si opporrebbe alla sola idea di tale referendum, con gran meraviglia dei collettivisti. In modo estremamente sofisticato altri ancora aggiungerebbero che la realtà tecnologica stessa che ci circonda sarebbe lì proprio per ostacolare ogni tipo di attacco al capitalismo.
Ma più seriamente, se non domani, ma, in cinque o dieci anni, alcuni Partiti politici, coordinati internazionalmente, promuovessero un cambio drastico che come conseguenza portasse alla socializzazione della produzione, tenendo conto dei cambi altrettanto drastici alle modalità di produzione e distribuzione dei prodotti, e se questi Partiti riuscissero, con programmi concreti e praticabili, a raccogliere la maggioranza dei voti nella maggioranza delle Nazioni, vi è chi crede che questo potrebbe portare al socialismo e chi è convinto che non verrebbe mai permesso dai vari proprietari che con questi nuovi programmi perderebbero la loro proprietà e i loro privilegi? Presumendo che queste due correnti, ottimisti-legalitari e pessimisti-illegalitari, abbiano la stessa idea di socialismo, come quella definita in precedenza, la prima è per una rivoluzione democratica maggioritaria mentre l’altra è per una rivoluzione violenta elitaria.
Per quanto riguarda la presa del potere, al fine di istituire un sistema economico socialista, abbiamo sia diversi esempi violenti che diversi esempi non-violenti. L’evento sicuramente determinante fu il colpo di Stato bolscevico in Russia, nel novembre del 1917, che in sé non fu violento, ma di sicuro lo fu la guerra civile che porto alla vittoria finale dei bolscevichi nel 1923. Abbiamo poi diversi esempi di guerre civili molto cruente, come in Finlandia, Ucraina e Cina. In Finlandia la Guardia Rossa fu sconfitta. Mentre in Ucraina l’Armata Rossa riuscì ad istituire il Soviet Ucraino nel 1919. In Cina dopo anni di conflitti contro i nazionalisti, anche grazie all’invasione giapponese, i comunisti di Mao istituirono la Repubblica Popolare nel 1949. Repubblica Popolare ancora esistente, ma non più annoverabile come socialista nel suo fine. Poi abbiamo una serie di tentativi rivoluzionari in Germania a cavallo tra il 1918 e il 1919, l’Azione di marzo del 1921, poi ancora nel 1923: tutte azioni violente sconfitte. La repubblica sovietica ungherese, formata politicamente, quindi pacificamente, però repressa, con l’intervento delle forze dell’Intesa in sei mesi, sempre nel 1919. Abbiamo la vittoria del Fronte Popolare spagnolo nel 1936, che però subì il colpo di Stato che portò la Spagna a una violenta guerra civile, la quale infine vide il Fronte Popolare sconfitto. L’instaurazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia nel 1945, come forza partigiana di liberazione. Poi abbiamo i casi puramente democratici come la vittoria elettorale della SPD in Germania 1919 della quale si può mettere in forte dubbio la finalità socialista. La vittoria elettorale parziale della Socialdemocrazia austriaca, sempre nel 1919, che però la condusse a un governo di coalizione arginandone le potenzialità. La vittoria elettorale del Fronte Popolare in Francia nel 1936 con il Governo caduto però dopo un solo anno, e la vittoria elettorale del Partito Laburista di Clement Attlee nel 1945, del quale tuttavia si può mettere in dubbio la matrice puramente socialista, come qui definita. La vittoria elettorale della Unidad Popular di Salvador Allende in Cile nel 1970, che culminò nel 1973 in una crisi costituzionale e il colpo di Stato.
Quindi, come diceva Mao, prendere il potere non è un problema, il problema è mantenerlo. Abbiamo visto come questo può essere preso sia con metodi violenti che con metodi non-violenti. Probabilmente la chiave di lettura della sequela di sconfitte, o degenerazioni, o collaborazionismi delle leadership della classe dei lavoratori, sta nel fatto che, al contrario di quanto predicato da molti marxisti dalla Comune di Parigi in poi, i tempi non erano per nulla maturi e, in secondo luogo, l’esistenza stessa di una leadership "illuminata" ne era la prova! In merito alla Comune di Parigi il grande socialista francese, padre fondatore della SFIO, Jaurès affermava: “La classe operaia […]. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione […] dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini […], anche se la Comune di Parigi avesse vinto non sarebbe stata in grado di trasformare fondamentalmente la società […] avrebbe potuto forse far avanzare lo sviluppo della Terza Repubblica di dieci anni, ma non avrebbe fatto sbocciare il socialismo dalla terra”. Fin quando la classe lavoratrice non si organizzerà in un Partito internazionale (e quindi internazionalista) senza leader, allora qualsiasi presa del potere, sia questa violenta oppure ottenuta per tramite delle istituzioni della democrazia borghese, non si potrà seriamente parlare di transizione verso una società socialista. Saranno tutti “esperimenti” destinati a frustrare per anni la società umana. Ma andando oltre a quanto appena sostenuto, la necessità di dover ricorrere alla violenza è la prova ultima dell’immaturità di quella che vuole definirsi classe lavoratrice, e altro non è che una espressione settaria dei socialisti di varie sfaccettature. È solo tramite “l’assimilazione di una mentalità veramente democratica [che si può pensare alla] costituzione di una società autenticamente socialista”[6]. Non a torto il SPGB si esprimeva nel 1936 in questi termini: “La verità è […] che il Socialismo è ora assolutamente fuori questione, e che la loro [dei lavoratori] sola speranza è nell’aver diritto di organizzare e portare avanti la propaganda Socialista sotto la democrazia capitalista. Provare ad andare oltre questo […] per mezzo delle rivolte armate, e così via, non porterà a null’altro che disillusione, e non aiuterà né la classe lavoratrice né il movimento Socialista”[7]. Dove non concordiamo con il SPGB è che l’unica cosa che rimanga da fare ai socialisti sia la propaganda.
Levato di mezzo il mito della spallata violenta, ma anche di anni di regime di Terrore per mantenere il potere, ci si deve porre il problema del Partito. Il Partito è la Classe auto-organizzata dei lavoratori di tutte le Nazioni[8] . Le Nazioni esistono oggi come esistevano le corti nell’antico regime. Non si può far finta che non esistano, ma non possono esistere all’interno del Partito, se non come fittizie separazioni locali nelle quali si è costretti a convivere nella realtà odierna. Ma l’idea di internazionalismo non ci ripara dalle varie strutture verticistiche o anarcoidi di sette, correnti, movimenti, partiti e partitini socialisti odierni. Il motivo principale che ci vede avversi alla concezione leninista di come il Partito dei lavoratori debba essere organizzato è il centralismo democratico. Il concetto di avere un Comitato Centrale che viene posto al di sopra degli altri membri è un concetto radicato nella struttura settaria tipica delle società segrete della prima metà dell’Ottocento. Non a caso Elisabeth Eisenstein intitola la sua biografia sul Buonarroti “The first professional revolutionist”[9] . È un’idea che, studiando il caso Buonarroti, si può vedere insita nel modo di pensare tipico del neo-giacobinismo. La differenza, che riconosciamo, non trascurabile sta nel fatto che in linea di principio il Comitato Centrale deve essere comunque eletto dai membri con diritto di voto, del Partito, mentre al contrario il Gran Firmamento è autoproclamato, ad ogni modo questi due impianti si basano sulla ferrea gerarchia e la direzione da parte di una stretta minoranza. La bolscevizzazione dei vari partiti comunisti, e almeno nel caso italiano anche di quello socialista, è una prova di come il centralismo democratico del modello russo non fosse presente, almeno per l’Italia, prima dell'affermazione e del consolidamento al potere dei bolscevichi in Russia.
Il Partito socialista, dalla sua fondazione, si organizzava in federazioni associate e sezioni locali. L’organo direttivo era appunto dapprima il Comitato Centrale, e dal terzo Congresso in poi una Direzione, che aveva perlopiù funzioni amministrative, mentre i parlamentari eletti formavano il Gruppo Parlamentare[10]. Quindi, vi era l’Organo di Partito[11] con il suo Direttore e la sua Redazione che facevano parte della frazione maggioritaria del momento, e decidevano la linea propagandistica da intraprendere. Le decisioni venivano pressoché prese durante i Congressi Annuali. Il PSI aveva una stretta relazione con la Confederazione Generale del Lavoro, dalla sua creazione nel 1906. Ma, come su modello francese, queste due organizzazioni rimanevano indipendenti. Quello della integrazione del sindacato nel partito e viceversa fu un punto molto importante in Francia, Germania, così come in altri paesi dove i sindacati erano una parte integrante dei vari partiti socialisti. Per molti versi la grande influenza della burocrazia sindacale nel Partito politico ha determinato spesso facili deviazioni dal Programma Massimo. Ma di fatto già dalla sua formazione, il PCd’I fu più verticistico del vecchio PSI.
Questa digressione storica serve solo a mostrare la distanza di queste realtà politiche dalla concezione dell’organizzazione della classe dei lavoratori in Partito. A nostro parere è già qui che la classe lavoratrice deve associarsi al di fuori delle logiche e delle strutture tipiche della classe dominante. Non deve ammettere o permettere la creazione al suo interno di un ceto politico o di un gruppo dirigente ma, al contrario, dovrebbe annullare il concetto di gerarchia e di cariche. Facendo sparire così una volta per tutte quelle sovrastrutture burocratico-verticistiche costituite da capi, dirigenti, quadri ecc. Il Partito della Classe dei lavoratori, quindi, non può avere leader ma deve eleggere in modo temporaneo rappresentanti revocabili che espongano le posizioni votate democraticamente dalle varie Sezioni. Il Consiglio Generale non può che avere una funzione amministrativa. Il modello da seguire non può che essere quello della Prima Internazionale.
Quale deve essere quindi il Programma di tale Partito Internazionale della Classe dei lavoratori di tutto il mondo che ha come scopo quello di eliminare il sistema di produzione capitalistico, socializzando i mezzi di produzione e i loro prodotti mediante la sua organizzazione democratica senza leader e facendo uso degli organismi elettivi già presenti nelle varie Nazioni in quello che possiamo chiamare ironicamente l’Antico Regime?
Lo scopo espresso in svariati punti di questo testo è quello che storicamente si chiamerebbe Programma Massimo, il quale è scritto così chiaramente nei Considerando[12] (che Marx aveva fatto precedere alla serie di rivendicazioni politiche ed economiche del Partito Operaio Francese nel 1880) che ogni semplificazione, elaborazione, modernizzazione non può che sciupare.
“Considerando,
Che l'emancipazione della classe produttiva è anche quella di tutti gli esseri umani senza distinzioni di sesso o razza;
Che i produttori non possono essere liberi salvo che quando questi siano in possesso dei mezzi di produzione;
Che esistono solo due forme in cui i mezzi di produzione possano appartener loro:
1) la forma individuale, che non è mai esistita come stato di cose generale e che è eliminata sempre più dal progresso industriale;
2) la forma collettiva, i cui elementi materiali e intellettuali sono costituiti dallo stesso sviluppo della società capitalista;
Considerando,
Che tale appropriazione collettiva può divenire solo dall'azione rivoluzionaria della classe produttiva - o proletariato - organizzata in un partito politico distinto;
Che tale organizzazione deve essere perseguita con tutti i mezzi a disposizione del proletariato, compreso il suffragio universale, così trasformato da strumento di inganno, qual è stato finora, a strumento di emancipazione;
Gli operai socialisti francesi, adottando come obiettivo dei loro sforzi di ordine economico il ritorno alla collettività di tutti mezzi di produzione, hanno deciso, come mezzo di organizzazione e di lotta, di prender parte alle elezioni con il programma minimo seguente: […]”[13]
Il Programma Massimo può cambiare solo quando la socializzazione dei mezzi di produzione e distribuzione dei vari prodotti sia avvenuta. Ora, pensare che questo però sia condizione necessaria e sufficiente per portare il Partito della Classe dei lavoratori al potere, è una idea che nel suo fascino, non va oltre l’ascetismo rivoluzionario settario, ovvero, il rinchiudersi nell’ortodossia di quella che si reputa "la fede marxista", aspettando il momento della resa dei conti, senza sporcarsi le mani con alcun tipo di attività politica che vada oltre il proselitismo, o sporadiche iniziative individuali tollerate perché di “legittima difesa”. In qualche modo questo è un retaggio che si deve alla posizione di Jules Guesde, già criticata a suo tempo da Marx. Per Guesde il Programma Minimo non era nulla di più che uno specchietto per le allodole che sarebbe servito ad attirare i lavoratori alla causa Massima. Guesde, impegnato nella sua lotta politica contro i possibilisti, aveva arroccato il socialismo del suo Partito in quello che può essere definito impossibilismo. I possibilisti francesi, “rifiutavano di attuare il socialismo tutto in una volta, «che non ci ha portato da nessuna parte» diceva Brousse”, e volevano che questo ideale si attuasse per gradi, ovvero promuovendo alcune delle richieste per renderle finalmente possibili[14] . L’impossibilismo di Guesde si protrasse fino all’affaire Millerand, ovvero quando agli inizi del 1899 al presidente della repubblica Faure succedette il progressista Loubet, il quale chiese al vecchio “gambettista” Pierre Waldeck-Rousseau di formare un nuovo Governo. Questi chiamò al governo un esponente socialista, Alexander Millerand, che se avesse accettato avrebbe collaborato con il generale Marchese de Gallifet, quello che aveva guidato le truppe versagliesi durante la settimana di sangue della Comune di Parigi, detto anche il “macellaio della Comune”. Ciò non poté che determinare una rottura nell’Unione Socialista francese tra gli anti-ministerialisti blanquisti e di Guesde, e i socialisti vicini a Jaurès. Al Congresso socialista di Parigi, Jaurès difese la partecipazione di Millerand in questi termini: “«Cittadini, in passato abbiamo dovuto superare i falsi insegnamenti della ferrea legge dei salari, che avrebbe scoraggiato i lavoratori nella lotta per il miglioramento delle loro condizioni; ora dobbiamo superare l’altrettanto falsa nozione della ferrea legge dello Stato […] dobbiamo combattere non da una futile distanza, ma dal cuore della cittadella […] se non possiamo predire esattamente quando e come il capitalismo collasserà, dobbiamo essere sempre pronti, ma dobbiamo altresì lavorare per tali riforme le quali […] prepareranno la strada »”[15] [grassetto nostro] .
Il Congresso di Parigi della Seconda Internazionale diede, con la "risoluzione Kautsky", parzialmente ragione a Jaurès. La risoluzione “sosteneva che l’ingresso di un solo socialista in un ministero borghese non può essere considerato come l’inizio della conquista del potere. Può solo essere un temporaneo ed eccezionale ripiego in una situazione di emergenza. Una questione di tecnica e non di principio. Il Congresso non si doveva pronunciare su ciò, ma ad ogni modo la partecipazione di tale socialista doveva essere approvata dal partito”[16]. Proprio in opposizione a questo tipo di transigenza, se in Italia si andò a definire l’intransigentismo, in Gran Bretagna, grazie anche al supporto di Daniel De Leon, si definì la corrente intransigente (quindi impossibilista), che dalla SDF nel 1904 andò a costituire il SPGB, il quale a tutt’oggi porta avanti la tradizione impossibilista, (ovvero intransigent)e nei confronti di ogni tipo di collaborazione con Governi borghesi e contro l’adozione del Programma Minimo, ovvero antiriformista, ma kautskianamente anche contro la presa violenta del potere, e quindi coerentemente prevedendo la partecipazione parlamentare. Sempre sulla stessa falsariga c'è il bordighismo che non accetta il Programma Minimo di riforme, ma al massimo solo la battaglia sindacale, benché anche su questa i bordighisti si spacchino. In effetti essi non ammettono qualsiasi tipo di collaborazione con il Governo anche perché non accettano più di partecipare all’evento elettorale, professando l’astensionismo. L’extra-parlamentarismo è un elemento comune ai vari gruppi operaisti, anarco-sindacalisti, ed è anche presente in alcuni gruppi neo-leninisti.
Quindi se tutti concordiamo che lo scopo del Partito della Classe dei lavoratori deve essere il Programma Massimo, quale atteggiamento si deve avere nei confronti del Programma Minimo? E lottare per un Programma Minimo significa per forza degenerare nel riformismo? O, riformulando la domanda in modo un po’ meno schematico, può il Programma Minimo essere visto come lo strumento per raggiungere quello Massimo? In ultimo, se una sorta di Programma Minimo è per cause di forza maggiore presente nella lotta economica, anche se non concettualmente approvato, deve questo essere limitato alla sola lotta sindacale?
Queste domande furono e sono al centro di molte discussioni, scissioni e polemiche tra i socialisti rivoluzionari. Lev Trotskij si pose il problema del Programma di Transizione, necessario per sopperire, a sua detta, all’inadeguatezza della leadership socialista e comunista che ovunque, in Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Stati Uniti, e anche in Russia, aveva tradito la volontà della classe lavoratrice già pronta a passare al socialismo. Per Trotskij la soluzione era costituire una IV Internazionale che portasse avanti un Programma di Transizione, ovvero un programma di riforme concrete ma di fatto incompatibili con il sistema, solo apparentemente quindi minimo, dettato in ultima analisi dalla classe lavoratrice stessa, ma con lo scopo ultimo di prendere il controllo del sistema economico. Trotskij lo spiega come ponte tra il Programma minimo e il Programma Massimo, ovvero il socialismo. Spiega Trotskij: “La socialdemocrazia non ne aveva bisogno [del ponte] in quanto di socialismo parlava solo nei giorni di festa” [17]. Sembra che Trotskij, con il Programma di Transizione, voglia quasi trovare un connubio tra la democrazia pre-socialista kautskiana ovvero la “ ‘dittatura democratica del proletariato’ mediante una stabile maggioranza socialdemocratica in parlamento”[18] e il concetto leninista di “spezzare” lo Stato come sistema democratico-borghese. Trotskij, colui che aveva costituito e guidato l’Armata Rossa alla vittoria, in qualche modo doveva riconoscere che anche la rivoluzione violenta non protegge dal tradimento della leadership, come mostrato dai “bonapartisti” stalinisti.
Quando i lavoratori si organizzano in Partito allo scopo di sopprimere il sistema del lavoro salariato, hanno il loro Programma Massimo. Ora se a questo punto si nega il Programma di riforme minime per migliorare le condizioni lavorative, si crea il paradosso di non aver nessun tipo di potere politico se non quello di aspettare pazientemente che la stragrande maggioranza dei lavoratori siano pronti a passare al socialismo di punto in bianco. È una concezione binaria del tutto o nulla, molto accattivante, perché permette di ripudiare fieramente e intimamente il capitalismo, ma è in ultima analisi una posizione individualista, in quanto di fatto il sistema capitalista è ovunque e ovunque opera, anche su ognuno di questi individui, tranne che nella loro personale bolla cognitiva. L’esistenza di un Programma Minimo invece dà l’occasione alla classe lavoratrice di esercitare il suo potere contrattuale. Questo è uno dei motivi per i quali da subito il Partito si deve organizzare internazionalmente. Certo, ogni qual volta il Partito si concentrasse solo sul Programma Minimo tale partito diverrebbe puramente riformista nella accezione controrivoluzionaria del termine. Ma se è vero come è vero che è la classe lavoratrice che si organizza in Partito e non il Partito che organizza la classe lavoratrice[19], in primis tale partito dovrebbe degenerare in riformismo omogeneamente, e anche se questo dovesse avvenire, un riformismo strutturale a livello globale sarebbe a lungo termine insostenibile per il capitalismo quasi tanto quanto una rivoluzione. Mentre il riformismo nazionale è solo un altro termine per protezionismo: la classe lavoratrice di una certa Nazione ne può essere ammaliata solo fin quando rimane avulsa dalla realtà d’organizzazione internazionale.
Può il Programma Minimo essere una testa di ponte verso il Programma Massimo? Sì, tanto quanto l’esistenza di un Partito della Classe lavoratrice globale. Se tale Partito esistesse, non farebbe molta differenza chiamare il Programma Minimo, Programma di Transizione, o via democratica verso il socialismo o primo stadio verso la socializzazione. In ultimo, va da sé che il Programma Minimo non può essere delegato alle lotte sindacali ma deve essere parte integrante del Programma del Partito.
La modalità che noi del Gruppo Socialista Internazionalista intendiamo per la rivoluzione sociale si rifà alla natura non violenta, ovvero alla via democratica di presa del potere da parte di un Partito, rappresentato internazionalmente. Un Partito che si organizza internamente senza la necessità di leadership e che abbia uno scopo unico, che è il suo Programma Massimo, il socialismo, e una serie di misure pratiche per salvaguardare i lavoratori e il Pianeta, che è il suo Programma Minimo, perché Programma Minimo vuol dire anche ecologia e sostenibilità, deve esistere, emergere, anche nella struttura organizzativa dell’Antico Regime. Il Partito Socialista Internazionalista, ovvero la classe dei Lavoratori organizzati in Partito, deve sedere in tutti gli organi assembleari, ovvero nel “cuore della cittadella”, di ogni singolo Stato-Nazione, e se questo diritto gli è precluso, deve lottare per ottenerlo!
Cesco
[1] È un’invenzione francese che si fa tradizionalmente risalire al posizionamento dei liberali del Terzo Stato negli Stati Generali riunitisi nel 1789, ma effettivamente è un concetto che emerge dal gergo parlamentare francese durante la Restaurazione del 1815 [si veda il saggio di Marcel Gauchet. Destra Sinistra. Soia di una dicotomia. Tradotto da Marco Tarchi. Diana Edizioni, 2020]. Nella tradizione quindi, quelli seduti sul lato sinistro erano per il principio della libertà mentre quelli seduti sul lato destro per il principio del potere [MARC CRAPEZ. DE QUAND DATE LE CLIVAGE GAUCHE/DROITE EN FRANCE? Revue française de science politique , FÉVRIER 1998, Vol. 48, No. 1, pp. 42-75].
[2] Il termine socialismo, già circolante tra gli oweniti inglesi, è introdotto in Francia dai sansimoniani, da un articolo di H. X. Joncières su Le Globe, nel 1832, in una recensione di Les Feuilles d’automne di Victor Hugo, dove Joncières lo usa in opposizione alla parola personnalité (personalità) intesa come individualismo [da: Grünberg, C. L'origine des mots ‘socialisme’ et ‘socialiste’, Revue d'histoire des doctrines économiques et sociales, Vol. 2, pp. 289-308 (1909)].
[3] Marx ed Engels per il loro Manifesto scelgono, per motivi puramente politici, il termine comunista; per via del fatto che nel 1847 quello di socialista era ancora troppo legato alle correnti di pensiero utopistico-filantropiche rifacentesi ai vari Saint-Simon, Fourier, ed Owen. Di fatto la società dove la proprietà dei mezzi di produzione passa dai singoli privati alla comunità potrebbe essere chiamata intercambiabilmente comunista o socialista.
[4] Natura intesa come Sistema globale di tutto ciò che è percepibile, ovvero esseri viventi e non viventi, che compongono materia.
[5] “Nella nostra dottrina non si tratta già di ritradurre in categorie economiche tutte le complicate manifestazioni della storia, ma si tratta solo di spiegare in ultima istanza (Engels) ogni fatto storico per via della sottostante struttura economica (Marx)” [da: Antonio Labriola. Del Materialismo Storico. 1902, contenuto in: Antonio Labriola: tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educazione. A cura di Luca Basile e Lorenza Steardo, postfazione di Biagio De Giovanni. Bompiani Editore, 2014].
[6] Dan Kolog. Karl Kautsky e il riformismo: riflessioni su un rapporto molto complesso. Adattamento Socialista. Dicembre, 2021.
[7] “The truth is – and the Spanish workers have got to learn it before they can hope to make progress in organising for the conquest of power for Socialism – that Socialism is at present absolutely out of the question, and that their only present hope is for the right to organise and carry-on Socialist propaganda under capitalist democracy. Trying to go beyond this (or in the case of the Anarcho-Syndicalists, trying to go backwards) by means of armed revolts, and so on, will gain nothing except disillusionment, and will not help the working class or the Socialist movement” [tratto dall’articolo The Civil War in Spain, Socialist Standard. n. 385. 1936].
[8] I lavoratori però, come ben sappiamo da quello che vediamo nella vita quotidiana, non vanno a organizzare automaticamente un Partito. I lavoratori devono arrivare ad un alto grado di consapevolezza, dettata anche (ma non solo) dalla loro condizione, e allo stesso tempo devono superare una soglia di tensione sociale che li porti ad associarsi attivamente, ovvero, all’attivismo politico. Il Partito della Classe lavoratrice non preclude, per il resto, l’accesso ai “fuoriusciti” della classe borghese, quando questi si associano con i lavoratori per il socialismo.
[9] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.
[10] “[…] la trasformazione del Comitato centrale, termine proveniente dal POI, in Direzione del Partito, l’ufficializzazione del neonato Gruppo Parlamentare. La Direzione, quindi, sarà composta dal Consiglio nazionale, dal Gruppo Parlamentare e dall’Ufficio esecutivo centrale e per la prima volta si stabilisce che i membri della Direzione potranno essere retribuiti.” [da Cesco e Dan Kolog. Per il Centotrentesimo anniversario della fondazione del Partito Socialista Italiano: riflessioni sul “Programma di Genova”. Adattamento Socialista. Agosto, 2022. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2022/08/per-il-1300-anniversario-della.html
[11] Dal 1892 La Lotta di Classe e poi dal 1896 L’Avanti!.
[12] Karl Marx, Preambolo al Programma del Partito Operaio Francese. Maggio 1880,
[13] idem.
[14] Cesco. La Comune di Parigi: un ideale socialista tra le barricate: a 150 anni dalla sollevazione parigina. Adattamento Socialista. Maggio, 2021.
[15] Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio, 2021.
[16] Idem.
[17] Leon Trorsky. L’agonia del capitalismo e I compiti della IV Internazionale. Programma di Transizione. 1938.
[18] Dan Kolog. Karl Kautsky e il riformismo: riflessioni su un rapporto molto complesso. Adattamento Socialista. Dicembre 2021.
[19] Con questo non si vuol presumere che la classe lavoratrice ha la capacità in un sol colpo di organizzarsi globalmente e uniformemente in Partito. Al contrario che il Partito, quando Partito della classe lavoratrice organizzata, anche se inizialmente di una porzione di essa, deve per forza di cose, mirare ad associare man, mano il resto della classe ancora non attivata o se attivata, ancora soggetta a forze reazionarie.
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