Filippo Michele Buonarroti: uno, nessuno e centomila - Parte I -

 

 



 

La genealogia del Buonarroti

 

Quando si tratta di Filippo Michele Buonarroti non si può non soffermarsi almeno un istante su quel cognome così pesante. Così oggi, tanto quanto ai suoi tempi, non vi è infatti resoconto, lettera, raccomandazione che omettano questo dettaglio di appartenenza genealogica. Non ci si può esimere da questo dovere referenziale. Il Buonarroti proveniva da una famiglia nobile fiorentina in diretta discendenza del fratello più giovane, Buonarroto (1477-1528), del celeberrimo genio, scultore e pittore rinascimentale, Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Il quinquisavolo stesso, il Buonarroto appunto, era stato nominato Conte Palatino da papa Leone X, al secolo Giovanni di Lorenzo de’ Medici[1], nel 1515. Filippo era un nome ricorrente nella famiglia Buonarroti: il nonno di Filippo Michele, anch’egli Filippo (1661-1733) appunto, era stato un celebre giurista, presso Cosimo III[2]. Archeologo e critico d’arte, nato sempre a Firenze, come i suoi avi, il nonno di Filippo Michele, poteva vantare di aver ricevuto un’educazione enciclopedica sotto il tutoraggio dello zio materno, Jacopo Martinelli, allievo a sua volta del celeberrimo Galileo Galilei (1564-1642)[3]. Ancora tale nonno, infine, divenne senatore del Granducato di Toscana nel 1716[4]. Da parte materna, Filippo era figlio di Giuliana Bizzarini, nobildonna senese[5]. Insomma, Filippo Michele Buonarroti, proveniva dalla crème de la crème dell’aristocrazia toscana.

Per i più che abbiano qualche dimestichezza con il pensiero della sinistra europea, Filippo o Philippe Buonarroti è sinonimo di Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, quindi di babuvismo, ovvero proto-comunismo, al quale spesso si fa risalire il collettivismo marxista. Questa è però, come vedremo nel presente lavoro (per nulla esaustivo), una collocazione superficiale e tendenzialmente errata della vita e dell’opera del Buonarroti. Il Buonarroti assume diversi caratteri perlopiù in funzione del periodo della sua vita che si esamina. C’è il giovane Buonarroti libraio e pubblicista irriverente, c’è il Buonarroti amministratore illuminato di un distretto rurale della Corsica, c’è il Buonarroti giacobino rivoluzionario, c’è il Buonarroti amministratore, il Buonarroti proto-risorgimentale, Buonarroti cospiratore, il Buonarroti maestro di musica e di italiano, il Buonarroti delle società segrete e il Buonarroti consumato patriota che trama nell’ombra. A un primo sguardo sembra che il Buonarroti abbia seguito molte correnti e tendenze, ma dopo un’analisi più attenta si può notare che il Buonarroti rimane pressoché coerentemente un rousseauiano-robespierrista. Fu probabilmente tutto ciò che gli stava attorno ad essersi mosso vorticosamente per poi quasi tornare da dove si era partiti. Fu quindi la longevità di Buonarroti a renderlo obsoleto, poi attuale, poi ancora superato nei suoi metodi cospirativi e quindi ancora, sul finire della sua vita, un punto di riferimento?   

 

La longevità del Buonarroti  

 

Filippo Michele Buonarroti nacque a Pisa l’11 novembre 1761[6] e aveva un anno in meno di François-Noël Babeuf (1760 [7]-1797). Se si vuol contestualizzare la figura del Buonarroti e la sua longevità, è bene sottolineare alcune date. Il Buonarroti visse poco meno di 76 anni, di sicuro sopra la media per longevità, ma non divenne eccezionalmente vecchio. Possiamo dire che di quei tempi l’aver superato la Grande Rivoluzione con la testa ancora sul collo, lo aveva messo nelle condizioni di divenire un veterano appena passati i quaranta anni.  La Grande Rivoluzione nelle sue varie fasi aveva mietuto vittime illustri nel fior degli anni. Si vedano i quattro simboli della rivoluzione: Jean-Paul Marat (1743-1793), effettivamente di 18 anni più vecchio del Buonarroti, assassinato a 50 anni tondi, che molto probabilmente non avrebbe visto, anche se fosse morto di morte naturale, le tre gloriose giornate di luglio (1830) in quanto avrebbe avuto 87 anni; Maximilien de Robespierre (1758-1794), di soli tre anni più vecchio del Buonarroti, giustiziato a 36 anni: nel 1830 avrebbe avuto 72 anni. Similmente Georges Danton (1759-1794), di due anni più grande del Buonarroti, giustiziato a 34 anni, nel luglio del 1830 ne avrebbe avuti 70. Infine, Jacques-René Hébert (1757-1794), leader del movimento sanculotto degli exagérés, ovvero gli esagerati, giustiziato a 36 anni: nel 1830 avrebbe compiuto 73 anni. Poi passando ai congiurati, Babeuf, pressoché suo coetaneo, morì però a soli 36 anni, giustiziato proprio per la congiura degli Eguali. Augustin Darthé, (1769-1797), giustiziato per la stessa congiura a 27 anni: durante i tre gloriosi avrebbero avuto rispettivamente 69 e 60 anni. Infine, vediamo altri protagonisti della Grande Rivoluzione come l’Abbé Emmanuel-Joseph Sieyès (1748-1836), Napoleone Buonaparte (1769-1821), Marc-Guillaume Vadier (1736-1828), e il marchese de La Fayette (1757-1834): tutti questi sopravvissero la Grande Rivoluzione, durante la quale, prendendo il 1793 come riferimento, avevano rispettivamente: 45, 24, 57 e 36 anni. Durante la rivoluzione del luglio 1830 solo Sieyès e La Fayette erano ancora in vita e avevano, il primo la veneranda età di 82 anni e il secondo, che durante anche questa rivoluzione giocò un ruolo primario, 72 anni. Quindi il solo fatto di essere sopravvissuto alla Grande Rivoluzione dava al Buonarroti uno status non sottovalutabile di veterano, status che non ebbe poco conto anche tra i sopravvissuti appartenenti ad altre correnti, come per esempio Luigi Filippo d’Orleans (1773-1850), ma anche lo stesso deposto Carlo X (1757-1836), noto come Conte d’Artois, del quale abbiamo accennato in un precedente scritto[8].  Ora passando brevemente ai seguaci del Buonarroti e alla generazione di cospiratori influenzata dal Buonarroti, si vedano quanti di questi fossero più giovani del maestro. Se prendiamo come esempio gli altri due elementi del triunvirato a guida delle società segrete del Buonarroti, Charles Teste (1783-1848) e Marc-René de Voyer de Paulmy d'Argenson (1771–1842), il primo era troppo giovane per prendere parte alla grande rivoluzione, 10 anni, ma non così il secondo, 22 anni. Infine, Giuseppe Mazzini (1805-1872), e Auguste Blanqui (1805-1881) non ancora nati durante la Grande Rivoluzione: questi furono tutti attivi durante la rivoluzione del luglio 1830, 46 anni il Teste, 59 il marchese d’Argenson, mentre Mazzini e Blanqui erano venticinquenni.

È vero quindi che la maggioranza dei protagonisti della Grande Rivoluzione erano o scomparsi o sessantenni e più, durante l’instaurazione della monarchia costituzionale di Luigi Filippo, duca d'Orléans. È altresì vero che alcuni di loro, si prenda uno tra tutti La Fayette, erano decisamente ancora al centro della scena politica nel 1830. Lo spirito della rivoluzione, sia dell‘89 per indicare quello monarchico costituzionale, sia quello della Costituzione del 1793 per indicare quello giacobino neo-robespierriano, era ancora ben vivo nel 1830, anche nel vero senso della parola. La nuova generazione di radicali repubblicani [non si dimentichi lo stesso Luigi Napoleone (1808-1873) il quale aveva aderito alla Carboneria nel 1831] era sotto la diretta influenza del lascito rivoluzionario. Questo radicalismo repubblicano, in modo molto semplificato, da sinistra poteva essere ricondotto anche al buonarrotismo, seppur con influenze sansimoniane che proprio in quegli anni conoscevano il loro apice, insieme, in qualche misura, con l’owenismo proveniente dall’Inghilterra.

 

La formazione del Buonarroti

 

Il Buonarroti frequentò la scuola della Badia Fiorentina dei Benedettini Cassinesi [9] nel 1774, un anno prima il padre lo fece nominare paggio d’onore[10], ovvero inserviente di corte, dell’Arciduca Pietro Leopoldo[11],[12]. A diciassette anni, nel 1778[13], Filippo Michele iniziò gli studi di Legge all’Università di Pisa dove fu allievo di Giovanni Maria Lampredi (1731-1793) e di Cristoforo Sarti. Il Sarti era stato discepolo di Locke e Condillac, mentre il Lampredi, professore di diritto canonico e diritto pubblico, era vicino al pensiero degli illuministi Helvetius, Rousseau, Mably e Morelly[14]. Il Buonarroti stesso ricorderà l’influenza del Sarti nello studio dei principi fondamentali dell’ordine sociale[15]. Secondo Delio Cantimori già durante gli anni della sua educazione pisana il Buonarroti fu influenzato, soprattutto dal Lampredi, con i germi del pensiero progressista. Cantimori cita Defendente Sacchi a riguardo: “svelava i più secreti arcani dei governi d’Europa, ne accennava i difetti, proponeva le mende, né li taceva ove gliene capitava ritrovare nella costituzione sotto cui viveva, poiché Egli non tacque giammai il vero ove era mestieri il dirlo[16]. Anche se secondo Armando Saitta l’influenza del Lampredi va ridimensionata, in quanto il Buonarroti ne frequentò solo il primo anno di corso, mentre per il Sarti, professore di istituzioni dialettiche e metafisica, l’influenza è certa. Angelo Fabbroni, parlando del Buonarroti scrive: “Si è addottorato in legge con la speranza di abilitarsi per qualche impiego, che sollevi la sua povertà. Sotto la direzione del professore di metafisica Sarti ha fatto una dissertazione sull’esistenza di Dio, che voleva stampare, e che con miglior consiglio ha poi tenuta occulta, perché avrebbe fatto poco onore al maestro e allo scolaro.” [17]. Il Buonarroti ricorderà anche che il suo vero “maestro” era stato Rousseau[18]. Nel 1782 ricevette il dottorato in Legge e si trasferì a Firenze dove sposò Elisabetta de’ Conti[19], fu anche nominato Cavaliere di Santo Stefano dall’Arciduca. Dopo la laurea si iscrisse come praticante presso l’avvocato Bruni a Pisa, ma dopo poco si trasferì a Firenze[20].

È probabile, ma non sicuro, che nel 1786 a Firenze il Buonarroti fosse iniziato alla loggia Massonica di rito scozzese, gli Illuminati, fondata da Johann Adam Weishaupt nel 1776[21]. Ad ogni modo, diversi libri anticlericali gli furono confiscati dalle autorità fiorentine sempre nel 1786 e non ricevette ulteriori pene solo grazie all’intercessione del padre. Dopodiché si diede al giornalismo fondando il Journal Politique, supplicando il Granduca per l’autorizzazione, che fu concessa il 26 dicembre 1786. Il Journal Politique cessò le sue pubblicazioni nel maggio del 1788, quando il Buonarroti iniziò a collaborare per la Gazzetta Ufficiale [22]. Dal 1788 al 1789 il Buonarroti fu quindi un editore per la Gazzetta Ufficiale di Firenze, stampata in francese[23], nella quale pubblicò anche “L’Ami de la Liberté Italienne[24]. Sempre in questo periodo espresse le sue idee in favore dei patriotten olandesi, aiutati dalla Francia, contro lo stadhouder delle Province Unite dei Paesi Bassi di Guglielmo V, cosa che portò ad una protesta formale del Consiglio olandese nei confronti del Granducato di Toscana. Quindi espresse la sua simpatia nei confronti della Rivoluzione francese, nel luglio del 1789, e, secondo Saitta, di sua piena volontà nell’ottobre del 1789 lasciò la Toscana per andare in Corsica a Bastia [25].

 

Il Buonarroti in Corsica

 

Nell’ottobre del 1789 il Buonarroti lasciò la Toscana per la Corsica[26] e nel novembre 1790, grazie alle autorità francesi, ottenne un posto a Bastia nell’amministrazione dell’isola presso l’ufficio dei domini nazionali e del clero, dove si occupò di compravendita di terreni e dove è possibile che noti[27] una pressoché equa distribuzione. In merito alla Corsica, Buonarroti scrisse poi nel 1793 ne La Conjuration de Corse: “La comunanza dei beni sembra garantire dappertutto ai poveri il sentimento della loro indipendenza: dappertutto i comuni delle campagne reclamano i beni che la tirannia genovese e francese ruba al popolo per premiare i crimini dei loro favoriti. I grandi proprietari terrieri sono pochissimi: l'uomo senza terra è raro, come quello senza coraggio”[28].

Armando Saitta fa notare che anche in Corsica, probabilmente come già a Pisa durante i suoi studi, il Buonarroti ha modo di orientarsi verso una ideologia egalitaria. Infatti, riferendosi allo studio di Alessandro Galante Garrone, il Saitta accetta che l’ambiente corso, con la “sua particolare struttura economica e sociale […], il tendenziale assetto egalitario di quella società […], sulla equa ripartizione dei beni […], avrebbero […] influito sui convincimenti del Buonarroti […]”. D’altro canto, Saitta precisa che leggendo gli scritti del Buonarroti durante il periodo corso, come durante l’amministrazione di Oneglia, non sembra che questi vada oltre al generico egalitarismo tanto diffuso nel XVIII secolo, sottolineando altresì che in Babeuf il pensiero egalitario era già chiaro prima dell’inizio della rivoluzione, e rimase abbastanza invariato ancora durante tutto il suo svolgimento, ma la stessa cosa non si possa dire per quello del Buonarroti. Questa lettura è condivisa da Arthur Lehning che aggiunge non ci sia nulla nei lavori di Buonarroti fino al 1796 che faccia pensare a idee che vadano oltre l’ideale egalitario rousseauiano [29]. Stessa cosa è confermata da Elizabeth Eisenstein, la quale vede la teoria dell’influenza della distribuzione terriera corsa nello sviluppo del Buonarroti come una lettura marxista a posteriori [30].

In Corsica il Buonarroti rincontrò il corso Antonio Cristofano Saliceti (1757-1809), con il quale aveva studiato a Pisa e dall’aprile del 1790 iniziò a pubblicare il settimanale Giornale patriottico della Corsica, fino al novembre 1790. Questo giornale era favorevole a Paoli, che il Buonarroti accolse a Bastia durante il suo ritorno da eroe il 17 luglio 1790 con un discorso ampiamente diffuso [31].  A causa delle sue idee anticlericali venne travolto da una rivolta ecclesiastica e nel 1791 fu preso di peso dalla folla e messo su un bastimento per Livorno, dove al suo arrivo venne imprigionato dalla polizia toscana. Grazie ad una supplica del Buonarroti, pronto a ritrattare le sue idee e i suoi trascorsi, questi fu scarcerato il 12 giugno 1791. Il Buonarroti si trasferì a Firenze, dove lo seguì la famiglia, ma richiamato dal Direttorio dipartimentale corso, ripartì a luglio per la Corsica, dove fu reintegrato nella sua posizione di amministratore. Quindi nell’aprile del 1792 dovette per motivi politici tornare in Toscana, dove iniziò una propaganda rivoluzionaria per reclutare giovani da arruolare in Corsica. Riuscì a sfuggire all’arresto fuggendo a Sarzana e quindi a Genova dalla quale venne espulso. Dovette così tornare in Corsica e da questo momento non rivide più la famiglia [32]. 

Al suo ritorno in Corsica, dopo l’espulsione da Genova, seguì la rottura con Pasquale Paoli, che non voleva una Corsica francese, ma indipendente, sicché il Buonarroti strinse amicizia con la famiglia Bonaparte e alla elezione dei deputati della Corsica alla Convenzione fu nominato commissario presso il tribunale del distretto di Corte [33].

 

Filippo Michele diventa Philippe Buonarroti

 

Tra il gennaio e il febbraio del 1793 si unì, come apôtre de la liberté (apostolo della libertà) alla spedizione all’isola di San Pietro e in Sardegna della quale fece parte anche il ventiquattrenne Napoleone Bonaparte. La spedizione fallì e riuscì solo la conquista dall’isola di San Pietro, ribattezzata l’”Isola della Libertà” dallo stesso Buonarroti, la cui costituzione, “Code de la nature”, scritta da Buonarroti, era ispirata a quella di Rousseau. 

A questa avventura fece seguito il suo primo viaggio a Parigi per l’unione di San Pietro alla Francia, al fine di denunciare le attività di Pasquale Paoli [34]. Quindi fece richiesta di cittadinanza francese nell’aprile del 1793, cittadinanza che gli venne concessa dalla Convenzione il 27 maggio 1793, diventando così Philippe Buonarroti. Diede alle stampe il suo attacco al Paoli, “Les grandes trahisons de Pascal Paoli”, fu quindi, nel giugno, nominato dal Consiglio esecutivo provvisorio Commissario civile in Corsica[35]. È probabile che già dal primo viaggio a Parigi iniziò a frequentare il club dei Giacobini.  Tramite il Saliceti, in Corsica, era stato introdotto a suo tempo nel circolo dei leader giacobini, come Ricord, Vadier, Laignelot. Probabilmente incontrò Robespierre, anche se vi è un po’ di leggenda circa il fatto se Buonarroti fosse, o meno, un habitué in casa Duplay. Questa storia deriva essenzialmente dai ricordi di Elisabeth Duplay-Lebas riportati da Paul Coutant [36]. Nel viaggio di ritorno in Corsica come Commissario civile, viene imprigionato per breve tempo a Lione da alcuni oppositori. Rimesso in libertà dopo diciassette giorni, continuò il viaggio con fatica fino a Nizza quando venne informato che il Comitato di Salute Pubblica annullava la missione ordinatagli dal Comitato Esecutivo provvisorio. Una volta tornato a Parigi gli fu ridato l’incarico, questa volta dal Comitato di Salute Pubblica nell’ottobre del 1793, ma a causa del blocco navale inglese, fu dirottato a Oneglia. Nonostante non rivedrà più l’isola, questa rimarrà nei suoi pensieri scrivendo il “Tableau du Département de la Corse e il più celebre “La Conjuration de Corse”, dove denuncia l’operato di Paoli, e con cui il Buonarroti si vota ormai apertamente al robespierrismo  [37].

Grazie ai decreti emanati da Augustin Robespierre, fratello di Maximilian, e da Saliceti, nell’aprile del 1794 il Buonarroti riceve l’incarico di Commissario Nazionale delle aree conquistate ad est di Mentone[38]. Il principato italiano di Oneglia, parte dell’odierna Imperia, era stato occupato dalle truppe francesi alla fine del 1792 [39] e contava all’epoca circa 35.000 abitanti. Philippe Buonarroti governò Oneglia con fervore giacobino, ma presto notò che la politica economica attuata nel nome del Governo Rivoluzionario, del maximum, il divieto di esportazioni, le requisizioni forzate dei materiali, gli assignat, ovvero le banconote, gravava principalmente sulla popolazione impoverita e non sui proprietari terrieri che avevano già abbandonato le aree occupate. Accolse anche un importante numero di profughi politici italiani. Il Buonarroti notava che la popolazione non condivideva lo spirito rivoluzionario che egli cercava di infondere e cercò quindi di formare anche nuovi insegnanti che potessero educare i giovani ai valori rivoluzionari. Organizzò altresì delle società popolari, istituì un Comitato di Sorveglianza e un Tribunale Rivoluzionario. Il 20 pratile II (l’8 giugno 1794) pronunciò un discorso in onore dell’Essere Supremo, tipicamente robespierriano; Saitta commenta che questo spirito continuerà ad essere vivo in Buonarroti fino alla sua morte[40]. Sposò grazie alla nuova legislazione francese Teresa Poggi. Il Saitta riporta che il Buonarroti non si limitò alle parole, ma il suo fervente robespierrismo lo portò a partecipare all’espugnazione del Colle Ardente, alla repressione delle insurrezioni contadine nelle provincie di Acqui, Alba e Mondovì nei primi di luglio del 1794. 

Anche dopo il 9 termidoro II (27 luglio 1794) il Buonarroti continuò nella sua funzione, benché ridotta, di amministratore di Oneglia, evidenziando la secondarietà della sua posizione. Solo sette mesi dopo, infatti, quando confischerà il feudo Balestrino ad un ricco possidente aristocratico genovese, il Marchese del Carretto, e delle terre di Lingueglia (odierna Lingueglietta) ad altri notabili, egli verrà rimosso dal suo incarico. Quindi il 5 marzo 1795 sarà imprigionato a Plessis a Parigi. Secondo Saitta mentre era deportato a Nizza e a Bordighera, gli fu data la possibilità di fuggire ma il Buonarroti rifiutò giungendo a Parigi il 23 aprile 1795 [41].

 

Il Buonarroti incontra Babeuf, nasce la Cospirazione

 

Nella prigione parigina di Plessis, dove rimase sei mesi, il Buonarroti raccontò di aver incontrato Babeuf e altri robespierristi e hébertisti[42]. La Eisenstein sostiene che è più plausibile che la prigione di Plessis, più che la campagna della Corsica, abbia giocato un ruolo importante nella formazione delle idee egalitarie-comunistiche del Buonarroti, ma, nonostante ciò, continua sempre la Eisenstein, il Buonarroti era entrato in prigione come un ardente rousseauiano e robespierriano. Lo stesso Buonarroti esplicita nel dettaglio i “focolai” cospirativi creatisi in carcere: “Le prigioni di Parigi e specialmente quelle del Plessis e delle Quatre-Nations, furono allora i focolai di un grande fermento rivoluzionario. Là si incontrarono i principali protagonisti della cospirazione di cui mi son proposto di narrare gli avvenimenti: De Bon, Jullien de la Drôme, Bertrand, già sindaco di Lione, Fontenelle, Fillion, Chanan, Simon Duplay, Bodson, Claude Fiquet, Massart, Bouin, Moroy, Trinchard, Goulard, Maillet, Révol, Solignac, Gravier, Julien des Armes, Dalaire-Tenaille, Babeuf, Germain, Buonarroti, i membri della commissione popolare di Orange, quelli dei tribunali rivoluzionari di Arras, Cambrai, Angres, Rennes e Brest, quelli dei comitati rivoluzionari di Parigi, Nantes, Nerves e Moulins, e molti altri democratici di tutti i dipartimenti, erano detenuti nella prigione del Plessis, nel mese del floreale dell’anno III [ovvero, maggio del 1795].”[43].

Manacorda analizza la questione della presa del potere secondo Babeuf, il quale al contrario di Germain non credette nella possibilità di coinvolgere le masse nel breve periodo e che anzi la loro ignoranza avrebbe giocato contro, perché per Babeuf era vitale distruggere i centri nevralgici del vecchio potere. Sottolinea Manacorda: “Babeuf a questo punto aveva posto il problema del potere, ma non l’aveva risolto. Lo risolverà solo con l’organizzazione della cospirazione. Nelle sue componenti fondamentali la cospirazione del 1796 è, infatti, il punto d’incontro tra la dottrina comunista di Babeuf e la concezione politico-realistica della rivoluzione dei robespierriani come Buonarroti e Darthé” [44]. Nonostante il discorso sulle idee illuministiche e idealistiche di Buonarroti, della sua formazione pisana e del periodo corso e, nonostante, il suo convinto robespierrismo, che si può retrodatare da quando entrò nel club dei giacobini, quindi a cavallo tra il 1792 e il 1793, le sue idee “comuniste” sull’abolizione della proprietà privata e la comunione dei beni vanno fatte risalire proprio a questo periodo babuvista: aprile-maggio 1796.

Probabilmente fu in isolamento durante gli eventi del 13 vendemmiaio dell’anno IV (5 ottobre 1795)[45]. “Barras ebbe dal governo l’incarico di organizzare la difesa della Repubblica e il 13 vendemmiaio dell’anno IV stroncò l’insurrezione con la forza dell’esercito: fra i generali ai suoi ordini c’era Napoleone Bonaparte” [46].  Questo evento determinò la scarcerazione di molti vecchi giacobini; il Bonarroti fu rilasciato con vari altri prigionieri politici il 9 ottobre del 1795, ma “[…] un gruppo numeroso di patrioti amnistiati, già durante il periodo della reclusione, aveva deliberato di lottare fermamente contro la costituzione dell’anno terzo e i suoi attori che si apprestavano ora a combatterla con tutti i mezzi offerti loro della libertà. Tra essi, dimessi dalla prigione parigina di Plessis, c’erano Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti [...]” [47]. Spiega il Buonarroti stesso: “Nell’intervallo di tempo che trascorse dal 13 vendemmiaio all’amnistia del 4 brumaio seguente [26 ottobre 1795], tutti i patrioti che erano ancora detenuti furono rilasciati. Essi dovettero la libertà non al trionfo della causa popolare, ma alla vita politica dei suoi nemici: uscendo dalle oscure carceri dove avevano meditato a fondo sui mali pubblici, e si minacciavano i traditori che avevano spezzato le loro catene.” [48]. La situazione che il Buonarroti e gli altri dissidenti trovarono alla loro scarcerazione fu a dir poco difficile, scrive Manacorda: “Quando Babeuf, Buonarroti e i loro compagni uscirono delle prigioni nell’autunno del 1795, la crisi monetaria giungeva alla sua fase estrema: il crollo totale degli assegnati, cui seguì il fallimento del tentativo di sostituirli con una nuova moneta cartacea, e infine il difficile ritorno alla moneta metallica, la scarsità dei viveri dovuta alla guerra, la soppressione del calmiere (in pratica già non applicato), fecero dell’inverno e della primavera dell’anno IV [1796] il periodo di gran lunga più terribile di carestia e di fame che le masse popolari avessero conosciuto dal principio della rivoluzione.”[49]. Il Buonarroti ormai poteva fare affidamento solo sulle proprie risorse e si guadagnava da vivere dando lezioni di musica e di italiano, ma allo stesso tempo continuava il suo impegno politico come cospiratore. Il Buonarroti pubblicò anche un opuscolo sul come porre fine alla guerra in Vandea, “La paix perpétuelle avec les Rois”, dove suggeriva la nascita di repubbliche sorelle attorno ai confini francesi [50].

Ricorda il Buonarroti nella Conspiration: “Al principio di brumaio dell’anno IV, Babeuf, Darthé, Buonarroti, Jullien de la Drôme e Fontenelle cercarono di creare un centro direttivo, a cui potessero far capo i patrioti divisi, per agire in seguito uniformemente a vantaggio della causa comune. […]. Poco tempo dopo dunque si tenne una riunione con lo scopo di fondare una nuova società popolare. Alla prima seduta, che si tenne presso Bouin, intervennero fra gli altri, Darthé, Germain, Buonarroti, Massart, Fontenelle, Philip, Jullien de la Drôme, Bertrand, Mittois, Trinchard, Chapelle, Roussillon, Lacombe, Féru, Coulange, Bouin e Bodson. […] L’attenzione dell’assemblea fu portata sulla questione se la costituzione di parecchie società nelle diverse circoscrizioni di Parigi non sarebbe stata preferibile a quella di una seduta più numerosa, che si convenne di tenere in un luogo meno esposto agli sguardi della polizia: essa ebbe luogo in un piccolo studio situato in mezzo al giardino dell’antica abbazia di Sainte-Geneviève. […]. I cittadini riuniti nel giardino di Sainte-Geneviève sentirono a quali pericoli la doppiezza del governo avrebbe esposto coloro i quali, con troppo sollecito zelo, avrebbero osato attaccare di fronte l’autorità usurpatrice dei diritti della nazione. […]. La società fu di subito fondata nell’antico refettorio dei genoveffini, di cui il patriota Cardinaux, locatario di una parte del convento, cedette l’uso gratuitamente […]. La vicinanza del luogo al Panthéon fece dare alla società il nome di quel tempio. […]. In breve tempo, la società del Panthéon contò più di duemila membri. […]. Gli Eguali si facevano notare per il loro zelo nell’illuminare il popolo e nel rimettere in onore i dogmi dell’eguaglianza, mentre i patrioti del 1789 si riconoscevano dalla loro preoccupazione di esercitare sul governo un’influenza favorevole alla loro quiete e ai loro interessi. […]. Una commissione fu incaricata di proporre un ordine di lavoro e un modo pronto e facile di comunicare con il popolo: manifesti, intitolati “La vérité au peuple par des patriotes de 89”, catturano al più presto l’attenzione pubblica, senza attaccare direttamente i governanti, dei quali sarebbe stato imprudente provocare la vendetta. […]. Mentre al Panthéon si rimettevano in onore con circospezione i principi democratici […]. Babeuf nel suo «Tribune du Peuple» svelava arditamente i delitti di coloro che governavano la Repubblica, dimostrava la bontà e la legittimità della costituzione del 1793 e non esitava ad indicare nella «proprietà individuale» la fonte principale di tutti mali che gravano sulla società. […]. Nello stesso tempo, si formava in casa di Amar, in rue Cléry, un comitato segreto per preparare l’insurrezione […]. Amar, Darthé, Buonarroti, Massart e Germain vi convennero per primi, e a loro si aggiunsero successivamente De Bon, Genois, Félix Lepelletier, Clément e Marchand. […]. De Bon aveva redatto un’opera nella quale dimostrava l’ingiustizia del diritto di proprietà, e descriveva la lunga serie di mali che ne sono le necessarie conseguenze. […]. Al nome di Robespierre, Amar, che il 9 termidoro ne era stato uno dei più violenti persecutori, confessò i propri torti, attestò il proprio pentimento e non cercò di scusare la propria colpa se non allegando all’ignoranza, in cui diceva di essersi trovato, circa le benevoli intenzioni di colui che egli aveva calunniato e immolato. […]. L’autorità provvisoria, nominata dagli insorti, fu preferita al richiamo della convenzione proposto da Amar, e alla dittatura proposta da De Bon. […]. Amar divenne oggetto delle inquietudini comuni: era odioso a molti amici dell’eguaglianza non meno che ai partigiani della aristocrazia. […]. Héron, che era stato uno dei principali agenti del comitato di sicurezza generale della convenzione, aveva concepito un odio implacabile contro Amar. [e] riesce a far allontanare gli uomini del Comitato da Amar. […]. Dopo che il desiderio di Héron fu esaudito, il comitato, che per motivi di prudenza aveva già trasferito le sue sedute in rue Neuve Égalité, fu immediatamente disciolto [51].

 

Il Buonarroti e altri neo-giacobini si ritroveranno quindi alla Société de la Réunion des Amis de la République, anche chiamata Société du Panthéon. Il primo incontro alla Société fu il 16 novembre 1795, e l’ultimo sarà il 28 febbraio 1796, quando questa sarà sciolta per mano di Napoleone. Il Buonarroti accenna alla crisi della fine del 1795, scrivendo: “per ricordare la petizione che la società del Panthéon inviò al Consiglio dei Cinquecento; spiega poi con l’aggravarsi della crisi annonaria il fermento popolare determinatosi in germinale, del quale, tuttavia, i cospiratori non poterono profittare per lanciare l’insurrezione”[52]. Ma quello dei cospiratori era un gruppo pressoché eterogeneo di oppositori del regime, spiega Manacorda: “Neppure il gruppo degli Eguali, tuttavia, era omogeneo quanto alla provenienza. Buonarroti era un giacobino, robespierrista puro, e porta intatta nella cospirazione l’apologia del Terrore; Babeuf era stato, invece, il 9 termidoro, dalla parte dei sanculotti contro il «tiranno»”  [53]. Quando il Comitato fu disciolto le riunioni continuarono a tenersi in diversi punti di Parigi.

Il Buonarroti ricorda la radicalità delle idee di Babeuf, e la sua crescente centralità nella cospirazione: “L’ardimento con cui Babeuf attaccava nel suo «Tribune du Peuple» la costituzione in vigore e i membri del governo fu causa del rigoroso silenzio mantenuto a lungo dalla società del Panthéon nei suoi riguardi: quelli che approvavano le opinioni del tribuno temevano di rovinare tutto con la precipitazione; i timidi avevano paura di compromettersi; i nemici della dottrina di Babeuf paventavano di dargli importanza. Al principio di ventoso dell’anno IV [febbraio 1796] la proscrizione che pesava su Babeuf raggiunse sua moglie: ella fu arrestata sotto l’accusa di avere distribuito gli scritti del marito, di cui, in realtà, si voleva conoscere da lei la dimora segreta. Alla notizia di questo eccesso di crudeltà il Panthéon risuonò di mille grida di sdegno: gli amici dell’eguaglianza alzarono la voce a favore del coraggioso Babeuf. […]. Il pretesto, che il governo cercava, gli fu offerto da Darthé, che per sondare lo spirito della società, vi tenne lettura di un fascicolo del «Tribune du Peuple», nel quale le persone dei membri del direttorio e alcuni deputati non erano trattate meglio della loro oppressiva costituzione e delle loro leggi tiranniche. Questa lettura fu coperta d’applausi, ma pochi giorni dopo, la chiusura del Panthéon fu ordinata dal direttorio ed eseguita dal generale Buonaparte in persona.” [54]. In nota il Buonarroti esprime il suo giudizio su Buonaparte. In primis riconosce in lui il vero mandante oltre che esecutore della chiusura del Panthéon, poi indica che Buonaparte “[…] avrebbe potuto essere il restauratore della libertà francese; volgare, ambizioso, preferì darle il colpo di grazia: ebbe nelle mani la felicità dell’Europa, e ne fu il flagello []” [55].

 

Continua quindi, il Buonarroti, con la ricostruzione della cospirazione: “Le abitazioni di Félix Lepelletier, di Reys e di Clérex, furono successivamente gli asili nei quali Babeuf incoraggiato ed aiutato da Antonelle, Buonarroti, Simon Duplay, Darthé, Didier, Germain, Silvain Maréchal, e Bodson, adempiva ai doveri che si era imposto e maturava la sua impresa. […]. Ai primi giorni di germinale [marzo 1796], Babeuf, Antonelle, Silvain Maréchal e Félix Lepelletier si costituirono in direttorio segreto di salute pubblica, e presero la generosa risoluzione di ricondurre ad un punto unico le fila sparse della democrazia, per dirigerle uniformemente verso il ristabilimento della sovranità del popolo. […] ad aggiungersi Darthé e Buonarroti, che a loro volta ottennero l’ammissione di De Bon. […]. Così, il 19 germinale dell’anno IV [8 aprile 1796] esisteva a Parigi un direttorio segreto di salute pubblica […]” [56]. Nasce quindi la “Cospirazione degli Eguali”, il cui scopo era: “L’eguaglianza senza eccezioni, […] riprendere l’opera spezzata il 9 termidoro e […] aggiungere alla rivoluzione dei poteri e dei privilegi […] che avrebbe avuto come risultato finale l’imparziale distribuzione dei beni e dei lumi. […]. Il direttorio segreto si accinse a compiere ciò che la società del Panthéon aveva potuto soltanto abbozzare […]. A somiglianza del comitato tenuto presso Amar, i nostri congiurati vedevano il vizio positivo di questa costituzione negli articoli della dichiarazione dei diritti riguardanti la proprietà” [57].

Aggiunge Saitta che tra le altre cose, i cospiratori avevano legami con elementi dell’opposizione democratica della Repubblica batava (attuali Paesi Bassi) e dei cosiddetti “giacobini” italiani (come vedremo in seguito), proprio in virtù del fatto di creare delle repubbliche cuscinetto attorno alla Repubblica francese [58].  

 

 

I Cinquecento, Grisel e la fine della cospirazione

 

Il direttorio a questo punto scelse 12 agenti rivoluzionari, uno per arrondissement, di Parigi, a questi aggiunse agenti militari, tra i quali Georges Grisel per il campo di Grenelle (l’accampamento del 21° reggimento dei dragoni). Questi era stato introdotto in totale buonafede da Darthé, ma si rivelò un informatore del governo.  Nel frattempo, gli organi di diffusione delle idee degli Eguali erano il Tribune du Peuple di Babeuf, L'éclaireur du peuple di Simon Duplay e il Journal des hommes libres dei repubblicani. “De Bon e Darthé, che proponevano la dittatura, attribuivano a questa parola l’idea di un’autorità straordinaria, affidata a un solo uomo incaricato della duplice funzione di proporre al popolo una legislazione semplice e atta ad assicurargli l’eguaglianza e l’esercizio reale della sovranità, e di dettare provvisoriamente le misure preparatorie capaci di disporre la nazione a riceverla. […]. Tuttavia il direttorio segreto giudicò altrimenti: non che non riconoscesse la bontà delle ragioni addotte in favore della dittatura; ma la difficoltà della scelta, il timore dell’abuso, l’apparente somiglianza di questa magistratura con la monarchia, e, soprattutto, il pregiudizio generale che pareva impossibile a vincersi, fecero preferire un organo collegiale poco numeroso, a cui si sarebbero affidati gli stessi poteri, senza correre gli stessi pericoli e senza dover superare tanti ostacoli” [59].

 

La Cospirazione, secondo il Buonarroti, voleva tornare alla Costituzione giacobina del 1793, la quale teneva conto del consenso esplicito del popolo, mentre quella termidoriana istituita nel dicembre del 1795 legiferava a prescindere dal consenso del popolo. Infatti, le leggi secondo la Costituzione del 1793 non potevano entrare in vigore se non approvate dall’Assemblea Primaria. Così come la rivolta del pane del 1 pratile III (20 maggio 1795) aveva come slogan, al contempo, Pane! e applicazione della Costituzione del 1793!, il programma politico degli “Eguali”, pubblicato il 20 germinale IV (9 aprile 1796) come applicazione della dottrina di Babeuf, ripeteva che la Costituzione del 1793 era la vera legge di Francia, perché accettata dal popolo, che la Convenzione non aveva nessun diritto di cambiarla, e che la Costituzione del 1793 dava il diritto inalienabile ad ogni singolo cittadino di acconsentire o meno alle leggi.  Queste idee furono diffuse in due pamphlet “Opinions sur nos deux constitutions” “del 23 geminale IV (12 aprile 1796) e “Doit-on obéissance à la Constitution de 1793?”, quest’ultimo pubblicato il 25 geminale IV (14 aprile 1796) e scritto dal Buonarroti stesso. Il programma dei cospiratori è anche stilato dal Buonarroti nella “Réponse à une lettre signée M.V.[60].

Vicini agli “Egalitari” vi erano i “Cinquecento” ovvero giacobini, tra i quali Robert Lindet, Amar, Vadier, ex-deputati della Montagna ormai banditi dall’Assemblea Nazionale dal governo termidoriano. Questi ex-deputati avevano l’intenzione di ristabilire la Convenzione pre-termidoriana, ad insurrezione avvenuta, e avevano trovato una prima opposizione del Comitato di Babeuf, anche perché alcuni di questi “Cinquecento” erano stati a loro volta termidoriani. Nonostante ciò, i generali del Comitato Militare erano a favore della loro autorità presso il popolo e il loro alto profilo come vittime del Termidoro convinse il Comitato a sostenere di questa soluzione. L’Assemblea Nazionale sarebbe stata ricostituita da questi “Cinquecento” sulla lista del Buonarroti. La coalizione tra Comitato di Babeuf ed ex-Montagnardi era probabilmente più opportunistica che fondata sugli stessi principi. Da un lato i babuvisti volevano ristabilire il Governo giacobino, ma dall’altro lo volevano utilizzare per condurre il loro programma rivoluzionario. Il 24 geminale IV (13 aprile 1796), Babeuf scriveva sul Tribun du Peuple: "Il popolo si solleverà soltanto in massa e alla voce dei suoi veri liberatori [...]. I governanti fanno solo rivoluzioni per governare sempre. Vogliamo finalmente farne una per assicurare per sempre la felicità del popolo attraverso la vera democrazia". Babuef era conscio quindi che i “Cinquecento” avrebbero partecipato all’insurrezione solo con l’intenzione di rimanere al Governo, ma convinto che il popolo e il Comitato, finalmente, non avrebbero permesso un mero avvicendamento al potere[61].  Scrive il Buonarroti in merito alla posizione dei Cinquecento: “[…] ad eccezione di dodici, tutti i membri del consiglio dei Cinquecento si affrettarono ad accettare le funesti leggi del 27 e 28 germinale dell’anno IV [16-17 aprile 1796]. Da allora gli agenti subalterni della tirannide raddoppiarono d’audacia contro gli oratori, gli scrittori e i propagandisti del partito democratico […]” [62].

Il Buonarroti passa quindi all’analisi del tradimento di Grisel, del quale individuerà l’errore, ovvero la mancanza di gradi di segretezza, che cercherà di evitare nelle sue future società segrete. Alla “Seduta politico-militare dell’11 floreale dell’anno IV [30 aprile 1796]. […] assistettero Babeuf, Buonarroti, De Bon, Darthé, Maréchal, Didier e i cinque militari suddetti [Germain, Massart, Grisel, Fion e Rossignol]. In nota il Buonarroti sottolinea che “senza [tale adunanza] Grisel non avrebbe conosciuto i capi della congiura. […]. Per intendersi meglio, per instaurare una perfetta fiducia fra tutti i principali protagonisti, e per coordinare tutte le misure da prendere, in conformità con l’unione appena conclusa, fu convocata un’adunanza generale del direttorio e dei due comitati per il 19 sera, in casa di Drouet, vicino alla place des Piques. [Grisel] essendo riuscito finalmente a conoscere i principali congiurati e una parte dei loro piani, il 15 floreale [4 maggio 1796] li denunciò al governo con la promessa di consegnarglieli insieme con i documenti della cospirazione. […]. Secondo le informazioni fornite da Grisel, furono spediti ordini per sorprendere, il 18, i congiurati in una riunione che si suppose dovesse aver luogo in casa di Ricord; [ma] non si trova nessuno, nuove misure furono prese per il rompere l’indomani sera nell’abitazione di Drouet, dove il traditore sapeva che i congiurati si dovevano adunare. […]. In realtà questa ebbe luogo dalle 8:30 alle 10:45; vi presero parte Babeuf, Buonarroti, Darthé, Didier, Fion, Massart, Rossignol, Robert Linder, Drouet, Ricord, Laignelot e Javogues. Anche Grisel, l’infame, vi si recò: aveva appena venduto i suoi associati alla tirannide, e mentre attendeva i loro carnefici, li abbracciava, li applaudiva e prodigava loro, senza rossore, le dimostrazioni della più sincera amicizia. […]. Il nuovo atto di insurrezione fu nuovamente approvato dai convenzionali, che promisero di trovarsi insieme con i loro colleghi, il giorno dell’insurrezione […]. Massart, a nome del comitato militare, riferì sulle linee del piano d’attacco, preparato in conformità alle direttive del direttorio segreto. […]. L’adunanza si era appena sciolta, quando il ministro di polizia, seguito da un distaccamento di fanteria e cavalleria, penetrò di viva forza in un disprezzo della legge nell’appartamento di Drouet, dove sperava di catturare i congiurati; vi trovò solo Drouet e Darthé che non credette prudente arrestare, un ordine mal concepito e mal espresso fece così abortire, per il momento, il sinistro disegno della tirannide regnante. […]. Il 20 si tenne una nuova assemblea [e] il mattino del 21 floreale dell’anno quarto [9 maggio 1796], fecero arrestare la maggior parte dei capi della cospirazione. Babeuf e Buonarroti furono presi in mezzo alle loro carte, nella camera dove avevano passato la notte a meditare e a preparare l’insurrezione e la riforma; Darthé, Germain, Dider, Drouet e parecchi altri furono arrestati contemporaneamente in casa di Dufour dove erano adunati per fissare il giorno del moto popolare” [63].

 

 

Un piccolo passo indietro all’insurrezione di Alba

 

Prima dell’arresto, il Buonarroti era tornato ad occuparsi della questione olandese e della questione italiana. Egli era in contatto con i giacobini olandesi che si opponevano ad una costituzione federalista, aiutando l’ambasciatore olandese Jaques Blauw, leader dell’’insurrezione di Amsterdam del 8 maggio 1796. L’altra sua preoccupazione, oltre a quella cospirativa, era l’Unità d’Italia. Giocò infatti un ruolo nella, seppur breve e poco rilevante, insurrezione di Alba dell’aprile del 1796. Tornando al periodo che va dal 9 ottobre 1795 al 10 maggio 1796, Armando Saitta mostra come il Buonarroti fosse il referente dei patrioti italiani a Parigi. Ricordiamo che il suo primo giornale corso, fu proprio un giornale patriota. Il Buonarroti fu un vero e proprio antesignano del risorgimento italiano. La sua posizione di rilievo ad Oneglia lo aveva fatto conoscere ai principali dissidenti della penisola e molti si erano rifugiati lì dal Regno di Napoli e dal Regno di Sardegna. In più il suo amico Saliceti venne nominato Commissario dell’esercito rivoluzionario francese in Italia, e aprì la strada al progetto del Buonarroti di preparare l’insurrezione a Torino prima dell’arrivo delle truppe francesi. Sempre Saitta mostra che il Buonarroti era entrato in contatto con il ministro degli esteri Delacroix dal quale con le “Notes sur l’Italie” viene rassicurato che all’Italia spetterà la stessa sorte che era toccata ai Paesi Bassi. Inoltre, gli viene promesso un incarico presso l’armée d’Italie [64]. Intanto i priori a Nizza preparano il progetto di governo provvisorio, che è consegnato a Bonaparte al suo arrivo. Delacroix raccomanda Buonarroti a Cacault, l’agente della Repubblica Francese in Italia, il 7 geminale IV (27 marzo 1796). A tale raccomandazione il 9 aprile risponde seccato Cacault dicendo che il Buonarroti è un talentuoso letterato “nella sua lingua”, ma che per il resto non ha idea di come vada il mondo, non ha un piano di come penetrare in Italia ed è troppo conosciuto per non essere arrestato appena vi metterà piede [65]. Dati i progressi di Bonaparte in Italia, Delacroix, in una lettera del 6 maggio 1796, quindi tre giorni prima dell’arresto dei congiurati, si esprime in accordo con la valutazione di Cacault. Ovviamente con l’implicazione e l’arresto di maggio, Bonaparte vede bene di modificare gli accordi tra Buonarroti e il Direttorio. Bonaparte pubblica il “Proclama al popolo italiano” in sostituzione di tre proclami, uno “dei capi rivoluzionari Piemontesi al popolo piemontese e lombardo”, poi quello “all’armata piemontese e napoletana in Lombardia” e infine “ai parroci del Piemonte e Lombardia”, attribuiti a Giovanni Antonio Ranza che più tardi pubblicherà “Vera idea del federalismo italiano” [66].

 

 

L’Arresto del Buonarroti e il processo davanti l’Alta Corte di Vendôme

 

Il Buonarroti accenna, nel suo “Conspiration”, alla possibilità concreta di evasione dei congiurati, evasione riuscita a Drouet, ma non ad altri “per mancanza di accordo”. Continua: “Nella notte dal 9 al 10 fruttidoro dell’anno IV [26-27 agosto 1796], tutti gli accusati detenuti a Parigi furono trasferiti a Vendôme; […] gli accusati ebbero tanto a soffrire della brutalità dell’ufficiale che comandava la loro scorta, quanto ebbero poi a compiacersi dell’accoglienza piena di riguardi che ricevettero dalle amministrazioni municipali di Chartes e di Châteaudun. […]. Gli accusati erano appena arrivati a Vendôme, quando appresero il fatale avvenimento di Grenelle, ove, in un infame agguato, persero la vita tanti puri democratici che vi erano stati condotti dal desiderio di spezzare le catene dei prigionieri e di restaurare i diritti del popolo. […]. Finalmente, il 2 ventoso dell’anno V [20 febbraio 1797], si apersero i dibattimenti […]. I veri difensori della causa furono Babeuf, Germain, Antonelle e Buonarroti […] il solo Darthé, più coerente di tutti gli altri, persistette nella sua protesta, non riconobbe mai all’alta corte il potere di giudicarlo […]. Grisel! Figurava sulla lista dei testimoni, fra i quali c’erano altre spie della polizia, che, inorridite dalla sua mancanza di ogni senso morale, rifiutarono costantemente di sedere al suo fianco. […]. Grisel aveva parlato dell’insurrezione del I pratile anno III [20 maggio 1795], attribuendola agli anarchici, denominazione sotto la quale, sull’esempio degli accusatori, egli si affrettava di comprendere tutti i veri amici dell’uguaglianza”. Il Buonarroti ricorda il commovente discorso di Babeuf: “«Pratile! - esclamò Babeuf - Epoca terribile, giornate funeste, ma sacre e venerate, che non ricorrono mai al pensiero dei francesi virtuosi, senza provocare la commozione e il rimpianto, il ricordo dei più grandi delitti e quello degli sforzi generosi della virtù, e delle più grandi sventure del popolo… Pratile! Giornate disastrose ma onorevoli, quando il popolo e i suoi fedeli delegati fecero il loro dovere, quando i suoi mandatari traditori, gli affamatori, gli assassini, gli usurpatori della sovranità e di tutti i suoi diritti misero il colmo ad atrocità di cui la storia non offre esempio. Non ci foste anche voi, o Gracchi! O immortali francesi! Voi soli foste generosi, voi solo osaste dichiararvi i sostegni e i difensori del popolo, solo la vostra assoluta devozione appoggiò le sue troppo giuste domande: pane e leggi! […] ».  […]. Babeuf che di questo sistema aveva trattato spesso nel suo «Tribune du Peuple», non trascurò di parlarne, espose le sue opinioni democratiche sull’argomento e le giustificò con il ragionamento e con il quadro dei mali inevitabili che affliggono la società, nonché con autorità indiscutibili. La proprietà - affermò - è la causa di tutti i mali sulla terra” [67].

 

Il Buonarroti, scrive Alessandro Galante Garrone, rimeditava continuamente sugli eventi della rivoluzione, e, addirittura, al momento dell’arresto gli fu trovato un foglietto con su scritto Coup-d’œil sur la révolution et sur les causes qui l'ont fait manquer, ovvero, “Colpo d’occhio sulla rivoluzione e sulle cause che l’han fatta mancare” [68]. Il processo ai congiurati si protrasse fino alla sentenza dell’Alta Corte del maggio 1797. Infine, i soli Babeuf e Darthé furono condannati a morte, mentre il Buonarroti, insieme ad altri cinque congiurati, Vadier, Germain, Blondeau, Cazin e Moroy, furono deportati in un viaggio umiliante sull’isola-fortezza vicino a Cherbourg sullo stretto della Manica. Al Buonarroti come agli altri due di origine nobile, Vadier e Germain, furono concessi diversi privilegi durante la prigionia alla Fortezza. Al Buonarroti fu concesso di convivere nelle sue stanze con Teresa Poggi. È probabile che il Buonarroti scampò alla condanna a morte per la sua conoscenza personale di Napoleone Bonaparte[69] e di altri personaggi chiave, come Réal, il suo avvocato difensore. Quest’ultimo dissuase il Buonarroti dal fare ricorso, inquanto il suo nome era ormai mischiato con quello dei monarchici e avrebbe peggiorato le cose. Allo stesso tempo il Buonarroti, che grazie ai privilegi carcerari, riusciva ancora ad essere in contatto con un club di giacobini, il Manège Club, che includeva vecchie conoscenze come Drouet, Felix Lepelletier, Bodson, Didier, chiedeva di presentare la sua petizione non a suo interesse personale ma per il contributo che lui avrebbe potuto dare alla causa della democrazia. Una volta salito al potere Napoleone, come Primo Console nel 1799, le petizioni furono indirizzate al vecchio amico di famiglia, ma senza grande successo, nonostante che Napoleone fece sì che il Buonarroti potesse finalmente essere trasferito nel marzo del 1800 dalla Fortezza all’isola di Oléron con un sussidio di tre franchi al giorno[70]. Quindi nel dicembre[71] del 1802[72] fu trasferito a Sospello (attuale Sospel, vicino Nizza)[73] dove riuscì a condurre nonostante ancora agli arresti la sua attività di cospiratore pressoché indisturbato. Infine, il 23 giugno del 1806 il suo appello fu accolto e riuscì a trasferirsi, in residenza sorvegliata[74], a Ginevra, la terra dell’amato “Jean-Jacques[75].

Cesco 



[1] Secondogenito di Lorenzo de’ Medici (1449-1492), detto il Magnifico, e pronipote di Cosimo di Giovanni de’ Medici (1389-1464), detto il Vecchio.

[2] Cosimo III (1642-1723) proveniente dalla linea granducale della famiglia Medici, questa a sua volta originata dal ramo popolano, ovvero dal fratello di Cosimo il Vecchio, Lorenzo di Giovanni de’ Medici (1394-1440), detto anch’egli il Vecchio. Dal ramo popolano della famiglia Medici nasce nel 1519 Cosimo, che diventerà Cosimo I, Granduca di Toscana, trisavolo del Cosimo III in questione.  

[3] Daniela Gallo, FILIPPO BUONARROTI CRITICO DELLE ARTI. Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia. Serie III, Vol. 19, No. 3, pp. 937-978. (1989).

[4] Idem.

[5] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[6] Era primogenito di Leonardo Buonarroti, tenente del reggimento dei dragoni di stanza a Pisa. Leonardo aveva appezzamenti fondiari ma non consistenti e possedeva varie case nel quartiere fiorentino di Santa Croce [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[7][7] Anche se nella Conspiration il Buonarroti stesso riporta come anno di nascita di Babeuf il 1762, cosa che renderebbe il Babeuf di un anno più giovane.

[8] Cesco. La Rivoluzione Francese e il socialismo. Adattamento Socialista. 17 febbraio 2021. https://adattamentosocialista.blogspot.com/2021/02/la-rivoluzione-francese-e-il-socialismo.html .

[9] Armando Saitta nota che non vi sia prova che il Buonarroti abbia frequentato la scuola dei Gesuiti, prima che fosse soppressa in Toscana nel 1773, come affermato da Trélat e prima di trasferirsi a Firenze per frequentare la scuola dei Benedettini, ma non lo esclude. [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[10] Sempre grazie al padre ottenne l’abito di cavaliere di Santo Stefano nel 1778 e sarà dichiarato anziano nel 1782. [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[11] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[12] A differenza da Cosimo III, arciduca al tempo del nonno di Filippo Michele Buonarroti, Pietro Leopoldo I di Toscana, (quindi dal 1790 Leopoldo II d’Asburgo-Lorena) era proveniente dalla famiglia di Lorena, figlio dell’Imperatore del Sacro Romano Impero, Francesco I. Francesco Stefano (quindi Francesco I) aveva a sua volta ricevuto, per primo, il Granducato di Toscana dall’ultimo della famiglia dei Medici, Gian Gastone (1671-1737), figlio dello stesso Cosimo III. Ora, Pietro Leopoldo, figlio di Francesco I e quindi erede del Granducato, era figlio dell’arciduchessa d’Austria Maria Teresa d’Asburgo, quindi fratello di Maria Antonietta di Francia. Sarà proprio lui, il Leopoldo, ormai imperatore del Sacro Romano Impero, a ricevere le suppliche della sorella per intervenire in difesa della casa reale francese e ad aiutare con la fuga della famiglia reale di Borbone nell’Olanda austriaca, sotto il suo dominio. Fuga, non riuscita, nota come “di Varennes” tentata nel giugno del 1791.  

[13] Il Buonarroti ebbe un intermezzo avventuroso quando nel 1780 scappò a Marsiglia e si arruolò nel reggimento Royal-Italien. Ottenne il congedo dal reggimento solo grazie alla somma pagata per supplica del padre dal Granduca stesso, e tornò a Pisa, dove conobbe e si fidanzò con la contessina Elisabetta Conti [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[14] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[15] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[16] Armando Saitta. Il Robespierrismo di Filippo Buonarroti e le premesse dell’unità italiana. Belfagor Vol. 10, No. 3 (31 MAGGIO 1955), pp. 258-270 (13 pagine).

[17] Armando Saitta. Momenti e figure della civiltà europea. Vol. 2. Edizioni di Storia e Letteratura. 1991.

[18] “Rousseau proclamò i diritti inseparabili dalla natura umana; […] La ricchezza pubblica è, per lui, nel lavoro e nella temperanza dei cittadini, e la libertà risiede nella potenza del sovrano, che l’intero popolo […]” [da Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971].

[19] Da questo matrimonio ebbe quattro figlie ed un figlio che diventerà ministro di Leopoldo II. [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[20] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[21] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[22] Armando Saitta. Momenti e figure della civiltà’ europea. Vol. 2. Edizioni di Storia e Letteratura. 1991.

[23] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[24] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed Harvard University Press, 1959.

[25] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[26] La Corsica era da tempo diventata il simbolo della libertà illuminista. La Guerra d’Indipendenza contro Genova e la Costituzione corsa, abbozzata da Pasquale Paoli, del 1755 sui principi illuministi di Montesquieu e di altri, anticipavano persino la Guerra di indipendenza americana e la sua costituzione. La Costituzione di Paoli ispirò Jean-Jacques Rousseau a scriverne una nel 1765, che però rimase inedita per quasi un secolo, fino al 1861, e non fu mai applicata. Anche Voltaire aveva esternato in una lettera la sua simpatia per la causa corsa.

[27] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[28] Idem.

[29] Idem.

[30] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[31] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[32] Idem.

[33] Idem.

[34] Pasquale Paoli (1725-1807), figlio di Giacinto Paoli (1681-1763) già condottiero corso che guidò la rivolta contro Genova nel 1735. Allo stesso modo Pasquale continuò la lotta per l’indipendenza corsa contro Genova, quindi dal 1764 contro la Francia, che la acquistò proprio da Genova nel 1768. Paoli dovette scappare in esilio nel 1769, ma tornò nel 1790 grazie alla Rivoluzione francese da governatore dell’Isola. Nel 1793, dopo il fallimento dell’invasione della Sardegna, accusato di tradimento alla Convenzione da parte della famiglia Bonaparte, tornò a combattere i francesi sotto il protettorato britannico. L’Impero britannico prese controllo della Corsica dal 1794 al 1796 quando, infine, la Francia riprese l’isola e Paoli tornò definitivamente in esilio in Inghilterra.

[35] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972.

[36] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[37] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972.

[38] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[39] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[40] Armando Saitta. Il Robespierrismo di Filippo Buonarroti e le premesse dell’unità italiana. Belfagor Vol. 10, No. 3 (31 MAGGIO 1955), pp. 258-270 (13 pagine).

[41] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[42] Armando Saitta. Il Robespierrismo di Filippo Buonarroti e le premesse dell’unità italiana. Belfagor Vol. 10, No. 3 (31 MAGGIO 1955), pp. 258-270 (13 pagine).

[43] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[44] Gastone Manacorda. Introduzione della Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf di Filippo Buonarroti. Editore Einaudi, 1971.

[45] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[46] Gastone Manacorda. Introduzione della Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf di Filippo Buonarroti. Editore Einaudi, 1971.

[47] Idem.

[48] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[49] Gastone Manacorda. Introduzione della Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf di Filippo Buonarroti. Editore Einaudi, 1971.

[50] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[51] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[52] Gastone Manacorda. Introduzione della Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf di Filippo Buonarroti. Editore Einaudi, 1971.

[53] Idem.

[54] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[55] Idem.

[56] Idem.

[57] Idem.

[58] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol 15. Treccani. 1972.

[59] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[60] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972.

[61] Arthur Lehning. Buonarroti’s ideas on communism and dictatorship. International Review of Social History. Vol. 2, No. 2 (1957), pp. 266-287 (22 pagine).

[62] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[63] Idem.. 

[64] Il nuovo generale in capo dellarmée d’Italie era la sua vecchia conoscenza corsa, Napoleone Bonaparte.

[65] Armando Saitta, Filippo Buonarroti Vol. 2. Edizioni di Storia e Letteratura. 1951; Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[66] Armando Saitta. Filippo Buonarroti e la Municipalità’ provvisoria di Alba. Belfagor, Vol. 3, No. 5. pp. 587-595. (1948).

[67] Filippo Buonarroti. Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf (1828). Introduzione e traduzione di Gastone Manacorda. Editore Einaudi, 1971.

[68] Alessandro Galante Garrone., Filippo Buonarroti e l’apologia del terrore. Belfagor, Vol. 2, No. 5, pp. 531-551. (1947).

[69] Dal periodo corso.

[70] Probabilmente secondo una conversione ufficiosa di franchi dell’epoca in euro odierni il sussidio era di circa 15 euro al giorno, ovvero circa 450 euro al mese, non molto, ma sufficiente per il sostentamento delle prime necessità. 

[71] Secondo Saitta fu trasferito a Sospello il 16 febbraio 1803 [Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972].

[72] Secondo il Lehning il suo trasferimento avvenne nel 1806. [Arthur Lehning. Buonarroti and his international secret societies. International Review of Social History, Vol. 1, No. 1 (1956), pp. 112-140 (29 pagine).

[73] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.

[74] Armando Saitta. Filippo Buonarroti. Dizionario Biografico degli Italiani. Vol. 15. Treccani. 1972.

[75] Elizabeth L. Eisenstein. The first professional revolutionist: Filippo Michele Buonarroti (1761-1837). Ed. Harvard University Press, 1959.


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