Valori, sfruttamento e prezzi nella scuola economica neoricardiana, da Ricardo a Sraffa, passando per Marx

 


Prefazione Divulgativa

Questo testo mostra come l’analisi ricardiana sia sopravvissuta all’egemonia del pensiero economico marginalista e, nonostante sia consueto indicare Produzione di merci a mezzo di merci come l’inizio della corrente neoricardiana, diversi economisti abbiano preceduto Sraffa. Sraffa stesso nella Prefazione alla prima edizione di Produzione di merci ammette che durante la lunga gestazione della suddetta opera “Com’era naturale avvenisse in tanto indugio, altri indipendentemente si sono talvolta posti da punti di vista simili all’uno o all’altro di quelli adottati in questo lavoro e ne hanno portato gli sviluppi più oltre o in direzione diverse da quelle qui perseguite”. Vladimir Karpovič Dmitriev fu uno di questi precursori; questi pubblicò una serie di lavori, Economic Essays on Value, Competition and Utility, il primo dei quali, dedicato alla teoria del valore di David Ricardo, era posseduto da Sraffa che ne aveva l’unica copia originale dell’edizione del 1904. Il lavoro di Dmitriev, come si leggerà in seguito, dimostra quindi che la somma di tutti i valori, in un sistema economico chiuso e stazionario, è superiore a tutta la quantità di lavoro erogata. Ma il concetto chiave è che, in assenza di sfruttamento, qualsiasi merce, e non necessariamente ed esclusivamente la forza-lavoro, potrà essere usata per esprimere l’unità di misura del valore. Mentre in presenza di sfruttamento, non tutte le merci potranno essere una buona unità di misura del valore, e quindi come dimostrato chiaramente nel testo: il lavoro astratto è l’unica merce di riferimento del valore che […] rende i valori di tutte le altre merci indipendenti dai livelli di consumo (e dunque di sfruttamento) dei lavoratori.

Una volta generalizzata la teoria del valore-lavoro come fatto da Dmitriev, con Sraffa si passa alla determinazione dei prezzi di produzione. Ora è bene fare un breve excursus sulla biografia di Piero Sraffa. Egli si considerava un «comunista indisciplinato», mentre a detta del suo compagno di liceo e amico, Antonio Gramsci, Sraffa era più che altro di formazione «democratico-liberale». Sraffa contribuì con una serie di articoli anche all’Ordine Nuovo nel 1921, e sarà strumentale nella raccolta e pubblicazione dei famosi Quaderni del Carcere di Gramsci. Figlio del Rettore dell’Università Bocconi di Milano, fu un brillante studente di economia alla London School of Economics, quindi dal 1927 divenne accademico, per invito diretto di Lord Keynes, presso l’Università di Cambridge. Qui si distinse per la sua critica al marginalismo di Marshall e Pigou. Sraffa dedicò molti anni allo studio e la cura dell’opera completa di David Ricardo, Works and Corrispondence, ben undici volumi. Ricardo, gli altri classici e lo stesso Marx, ebbero una grande influenza sulla critica economica di Sraffa. È comprensibile come a Sraffa interessasse descrivere i sistemi economici senza fare ricorso a metodi marginalisti, ma anche senza incorrere nel famoso Problema della Trasformazione, quindi dimostrando, a detta di molti, anche la fallacia della teoria del valore-lavoro di Marx. I prezzi di produzione, dunque, sarebbero determinabili, per un dato tasso di profitto, dal livello tecnologico dei mezzi di produzione impegnati nella produzione e dalla quantità di lavoro impegnata (conoscendo ovviamente il prezzo della forza-lavoro). Mentre, qualche tempo dopo, Steedman introduce il concetto di salario reale orario, frutto dell’eterna lotta tra lavoratore e capitalista, mettendolo al centro di tutto, ovvero determinando il tasso di profitto e i prezzi dei prodotti in base ad esso. Però anche in questo caso si abbandonerebbe la teoria del valore-lavoro di Marx nella sua forma rigorosa. Cosa che con la loro “Nuova Interpretazione”, Gérard Duménil e Duncan Foley cercheranno qualche anno dopo di evitare.

Cesco e Dan Kolog

 

 


 

 


1. Introduzione

 

Nel precedente articolo divulgativo intitolato “Teoria del valore-lavoro e marginalismo economico: davvero due concezioni inconciliabili?” abbiamo accennato alle vicende della Scuola Classica dell’economia politica, soffermandoci soprattutto sugli importanti contributi di David Ricardo (1772-1823) alla teoria del valore, per poi concentrarci su Karl Marx (1818-1883) e sul suo duplice ruolo di critico dell’impianto generale dell’economia politica ma, al contempo, anche di strenuo difensore della teoria del valore-lavoro.

Abbiamo poi citato l’avvento della cosiddetta “rivoluzione marginalista” che, a partire dal 1871, scuoterà le fondamenta della scienza economica dando vita alla Scuola Neoclassica, la quale dominerà il panorama mondiale di questa disciplina per decenni. Se infatti il predominio del marginalismo subirà un duro colpo nel 1936 in ambito macroeconomico con la celebre critica keynesiana; in quello microeconomico continuerà quasi incontrastato fino ai giorni d’oggi. Ed è proprio di questo “quasi” che vogliamo parlare in modo divulgativo nella presente rassegna, o almeno di una parte di esso. Ovvero, della radicale alternativa al metodo marginalista proposta dalla cosiddetta Scuola Neoricardiana.

Sopravvissero infatti alla marea montante del marginalismo nell’ultimo quarto del XIX secolo tre ambiti economici principali: la Scuola Storica, la Scuola Marxista e la Scuola Post-Ricardiana, in parte distinte e in parte intrecciate tra loro e, in qualche caso, blandamente influenzate anche dai nuovi metodi marginalisti. Ad esempio, Werner Sombart appartiene alla Scuola Storica tedesca, ma non è immune da influenze marxiste, mentre Ladislaus von Bortkiewicz è un ammiratore quasi equidistante di Ricardo e del marginalista Léon Walras. E Natalie Moszkowska poi, nota economista marxista, assimila profondamente e rielabora le critiche ricardiane di Bortkiewicz al III libro de “Il capitale” di Marx. Tuttavia, nonostante l’indubbio fascino della storia del pensiero economico, non possiamo addentrarci ulteriormente nel groviglio degli autori attivi tra il 1871 e un’altra data importante, il 1960, anno in cui l’economista anglo-italiano di Cambridge, Piero Sraffa  (1898-1983), pubblica il suo celebre saggioProduzione di merci a mezzo di merci” [1] dando origine alla vera e propria Scuola Neoricardiana come la conosciamo oggi. Ci limiteremo solo a dire che una serie di figure a cavallo tra Russia e Germania, ingiustamente poco conosciute, avevano precorso vari aspetti del lavoro sraffiano proprio nel tentativo di rendere più rigorose le formulazioni marxiane, lette però essenzialmente come sviluppi del progetto di Ricardo: Vladimir Karpovič Dmitriev (1868-1913), Mikhail Ivanovič Tugan-Baranovskij (1865-1919), Ladislaus von Bortkiewicz (1868-1931), Georg von Charasoff (1877-1931) e Natalie Moszkowska (1886-1968).

Naturalmente dal 1960 in poi la Scuola Neoricardiana si è notevolmente sviluppata anche ad opera di economisti del calibro di Maurice Dobb (1900-1976), Joan Robinson (1903-1983), Pierangelo Garegnani (1930-2011), Luigi Pasinetti (1930-vivente) e Ian Steedman (1940-vivente), per limitarci solo ad alcuni nomi della generazione a diretto contatto con Piero Sraffa, trascurando quindi tutta la seconda leva neoricardiana, particolarmente attiva in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e India. Il lettore che fosse interessato agli sviluppi scientifici di questa scuola, che ormai vanno ben oltre i semplici modelli input-output stazionari contenuti in “Produzione di merci a mezzo di merci”, dovrebbe necessariamente rivolgersi all’ottimo trattato di Heinz D. Kurz e Neri Salvadori [2], ma, ovviamente, questo esulerebbe completamente dallo scopo e dalla portata del nostro scritto divulgativo. Per concludere questa breve sezione introduttiva sulla Scuola Neoricardiana, ci piace però ricordare come lo spirito violentemente ostile all’impianto metodologico marginalista, già così forte in Sraffa, non si sia affatto sopito nei suoi successori. A riprova di ciò vanno ricordate le due famose controversie sulla teoria del capitale [3] che per decenni hanno opposto economisti neoclassici ad economisti neoricardiani in dibattiti teorici di altissimo livello relativi ai problemi dell’aggregazione del capitale e dell’esistenza di un equilibrio economico generale intertemporale.

 

2. Il valore economico

 

          In questa breve sezione vogliamo mostrare in modo semplice come il citato economista russo Dmitriev cerchi nel suo lavoro del 1898, intitolato proprio “La teoria del valore di David Ricardo: un tentativo di analisi rigorosa” [4], di rendere matematicamente esatte le idee della Scuola Classica e di Marx relative al valore-lavoro. Il punto di partenza della trattazione è quello ormai noto ai lettori dei nostri articoli precedenti: un singolo sistema economico chiuso e in stato stazionario che affonda chiaramente le sue radici negli schemi di riproduzione semplice del II libro de “Il Capitale”: in ogni ciclo economico, supposto per esempio annuale, vengono prodotte da N imprese N merci che sono poi completamente utilizzate durante il ciclo successivo, vuoi come beni di consumo, vuoi come mezzi di produzione. Questo significa che non vi è capitale fisso (ovvero, quello che si consuma lentamente), ma solo capitale circolante (che scompare una volta per tutte durante i processi produttivi). Inoltre, la popolazione rimane costante da ciclo a ciclo e non vi sono possibilità d’innovazione tecnologica o di cambio dei metodi di produzione. In questo modo ogni ciclo si dipana esattamente uguale al precedente proprio in virtù della stazionarietà del sistema economico in esame. Sarebbe semplice introdurre la possibilità delle cosiddette produzioni congiunte in cui ognuna delle N imprese è in grado di fabbricare anche più di una singola merce, ma questo complicherebbe soltanto l’aspetto matematico del problema, per cui decidiamo di limitarci, senza eccessiva perdita di generalità, al caso semplice in cui l’impresa jma fabbrica solo la merce jma. Per far ciò essa avrà bisogno di certe quantità di merci in ingresso e di una data quantità di lavoro, considerato à la Marx come ore di lavoro astratto socialmente necessario. Graficamente la produzione dell’impresa jma potrà quindi esser indicata con il grafico:

aj1 q1 + ajN q2 + … + ajN qN + lj Þ qj ;                                         (1)

 

che si legge nel modo seguente: q1, q2, …, qN sono le quantità totali, prodotte nel nostro sistema, delle N merci citate; mentre aj1, ajN, ajN sono i cosiddetti “coefficienti tecnici” ovvero le percentuali delle merci 1, 2, …, N che vanno all’impresa jma per produrre la merce qj utilizzando anche una quantità di ore di lavoro pari a lj.

Non vi è forse bisogno di precisare che molti dei coefficienti tecnici saranno in realtà nulli: tutti quelli relativi ai beni di consumo, che non entrano quindi in nessun processo produttivo, nonché quelli riguardanti merci che non occorrono alla produzione di qj. Il grafico (1) non è ancora un’equazione, in quanto si tratta dell’unione di quantità fisiche totalmente eterogenee tra loro; per esempio: litri di benzina, tonnellate di minerale ferroso, numero di lingotti di acciaio, ore di lavoro degli operai ecc. Per arrivare a una vera uguaglianza nel senso matematico del termine abbiamo bisogno di trasformare tutte le quantità q1, q2, …, qN, nonché lj, in qualcosa di omogeneo, ossia in valori economici. Oppure possiamo mettere da parte lj e trasformare q1, q2, …, qN in valori-lavoro w1, w2, …, wN, cioè in ore di lavoro astratto equivalenti:

 

aj1 w1 + aj2 w2 + … + ajN wN + lj = wj .                                        (2)

 

Adesso la formula (2) è una vera equazione e potrà esser replicata per tutte le N industrie del nostro sistema economico modello, dando luogo a un sistema di N equazioni in N incognite (i valori-lavoro w1, w2, …, wN):

 

 a11 w1 + a12 w2 + … + a1N wN + l1 = w1;                                     (3)

                 a21 w1 + a22 w2 + … + a2N wN + l2 = w2;

…………………………..

              aN1 w1 + aN2 w2 + … + aNN wN + lN = wN,

 

poiché i coefficienti tecnici e le quantità di lavoro sono dati iniziali e oggettivi, dipendenti solo dai metodi di produzione usati. Anche le quantità di merci q1, q2, …, qN sono dati iniziali obiettivi e misurabili, per cui dividendo i valori-lavoro per le quantità fisiche otterremo immediatamente i valori-lavoro unitari, wuj. Per esempio, se la merce jma rappresenta l’acciaio prodotto, il suo valore-lavoro unitario (ossia per lingotto) sarà wuj = wj / qj, ovvero il valore lavoro dell’intera produzione acciaiosa diviso per il numero di lingotti prodotto.

Prima di passare alla soluzione formale del sistema di equazioni (3), è assai utile studiare anche il senso economico delle colonne (e non solo quello delle righe) formate dai coefficienti tecnici, ossia da tutti quelli che mostrano lo stesso secondo indice. Scegliamo una colonna qualsiasi come esempio, diciamo la kma. Essa appare come:

  

                                                                          a1k wk                                                                  (4)

  a2k wk

 …………….

 ... aNk wk

 

Ovvero ci dice come il valore della merce kma viene distribuito tra le varie industrie: dalla 1ma fino alla Nma. Dato che i coefficienti tecnici sono delle percentuali, si potrebbe pensare che la loro somma per colonne (simboleggiata da Zk) faccia semplicemente l’unità per ogni valore di k considerato: a1k + a2k + … + aNk = Zk = 1 = 100%. Questo in effetti in generale non è vero: se la merce kma è un mezzo di produzione (cioè un bene capitale) allora sì, Zk = 100%, se invece è un bene di consumo Zk=0. Nel caso poi che sia un bene ibrido (per esempio la benzina), allora si avrà 0 < Zk < 100%, in quanto esso è suddiviso tra le imprese e i consumatori. In altre parole, la quantità (100% - Zk) rappresenta proprio la percentuale della merce kma destinata al consumo umano.

Passiamo ora alla soluzione del sistema di equazioni (3), noto anche come equazioni di Dmitriev. In primo luogo, è opportuno riscriverlo con un po’ di algebra elementare in forma lievemente modificata, detta canonica, ma del tutto equivalente alla (3):

 

                                          (1-a11) w1       - a12 w2 - …       - a1N wN = l1;                                         (5)

-a21 w1 + (1-a22) w2 -…       - a2N wN = l2;

…………………………………………

                                        -aN1 w1       - aN2 w2 -… + (1-aNN) wN = lN,

 

dove i cosiddetti coefficienti pivot (ossia quelli con i due indici uguali, ajj) sono ora sostituiti da ( ajj – 1 ). Risolvere il sistema di equazioni (5) significa determinare i valori-lavoro w1, w2, …, wN come combinazione delle ore di lavoro astratto l1, l2, …, lN. In algebra si dimostra che tale soluzione, se esiste, è sempre esprimibile con una seconda serie di N2 coefficienti tecnici, diversi dagli aij, ma ad essi strettamente legati. Li chiameremo bij e scriveremo dunque che:

 

                                                        w1 = b11 l1 + b12 l2 + … + b1N lN;                                               (6)

 w2 = b21 l1 + b22 l2 + … + b2N lN;

……………………………

  wN = bN1 l1 + bN2 l2 + … + bNN lN.

 

Questo è un risultato molto notevole che dimostra la robustezza della teoria del valore-lavoro: anche se qualche settore economico tra gli N presenti venisse completamente automatizzato annullando il proprio numero di ore lavorate, questo non comporterebbe l’immediato annullamento del valore-lavoro della merce prodotta in tale settore. Al contrario, per avere la totale svalorizzazione di una merce, diciamo la ima, sarebbe necessaria la completa automazione di ogni settore j tale che bij > 0.

Restano però al tappeto tre importanti problemi da risolvere: i) capire quando esiste la soluzione (6); ii) imparare a calcolare i nuovi coefficienti bij; iii) verificare che tale soluzione abbia un senso economico, ossia che tutti i valori-lavoro siano numeri reali positivi.

Il primo problema è risolto formalmente in algebra mediante il concetto di determinante (abbreviato in det) che non definiremo dettagliatamente in questa sede dato il carattere introduttivo dello scritto (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Determinante_(algebra) ). Si tratta comunque di un singolo numero che è associato all’insieme degli N2 coefficienti che compaiono nel sistema (5). Tale insieme può esser scritto in notazione compatta come ( dij - aij ), dove il simbolo dij sta a indicare valori numerici sempre nulli tranne quando si tratta di un cosiddetto pivot, ossia per i = j, dove invece dij rappresenta l’unità. La risposta al primo problema è quindi la seguente: la soluzione (6) esiste sempre se det ( dij - aij ) 0. Vale la pena notare che in un sistema economico modello come il nostro, tale condizione non sia affatto restrittiva in quanto sono possibili sempre piccole alterazioni dei coefficienti tecnici aij in modo tale da rimuovere eventuali annullamenti accidentali del determinante in questione.

Il secondo punto riguarda il calcolo dei nuovi coefficienti bij. In algebra ciò viene chiamato formalmente ricerca dell’inversa di ( dij - aij ). In notazione compatta significa trovare i bij tali che:  

 

  . Anche qui non possiamo descrivere in dettaglio i metodi d’inversione (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Matrice_invertibile ), ma possiamo assicurare il lettore che si tratta di procedure matematiche solide e ben documentate, attualmente implementabili su un qualsiasi piccolo computer casalingo, almeno per N non troppo grandi.

L’ultimo problema, relativo al senso economico dei valori-lavoro definiti nelle formule (6), è senz’altro il più difficile e la sua soluzione richiede conoscenze matematiche molto avanzate come la cosiddetta teoria delle matrici-M (cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/M-matrix#cite_note-5 ). I risultati importanti sono però i seguenti [5]: se ( dij - aij ) ammette un’inversa bij, allora, dato che abbiamo visto che tutti gli aij sono non negativi ma sempre minori di 1 ( 0 £ aij < 1 ) e che le loro somme per colonne Zj sono minori o uguali ad 1 ( Zj £ 1 ), si può dimostrare che tutti i nuovi coefficienti bij sono pure non negativi: bij ³ 0. Questo, tornando alla soluzione (6), implica che anche i valori-lavoro w1, w2, …, wN sono sempre non negativi per qualsiasi scelta delle ore di lavoro astratto l1, l2, …, lN. Si tratta di un risultato molto importante che testimonia la plausibilità della teoria del valore-lavoro in un sistema economico chiuso e stazionario di dimensione N qualsiasi con una qualsivoglia scelta dei coefficienti tecnici e delle ore di lavoro astratte, sotto la sola blanda condizione che det ( dij - aij ) 0.

Purtroppo per gli economisti di scuola marxista, gli unici attuali difensori della teoria del valore-lavoro, il teorema che abbiamo appena citato non si applica al caso, menzionato solo en passant, di produzioni congiunte, dove dij va sostituito dai cosiddetti coefficienti di congiunzione cij {A}. Orbene, in tali casi, dove un’industria può produrre più di una merce e una merce può esser prodotta da più industrie, non si possono escludere a priori sistemi economici in cui taluni beni abbiano valori-lavoro negativi, privi ovviamente di qualsiasi senso economico. Un problema analogo sarà incontrato nella sez. 4 relativa ai prezzi di produzione.

 

Concludiamo il paragrafo con un esempio pratico di calcolo dei valori-lavoro nel caso di un semplice sistema economico con N=3, in cui il settore I rappresenta i mezzi di produzione, il settore II i beni di consumo frugali e il settore III i beni di consumo di lusso. Questo significa che il sistema (3) sarà ora riscritto come:

  

                                                                  a11 w1 + 0 w2 + 0 w3 + l1 = w1;                                        (7)

                 a21 w1 + 0 w2 + 0 w3 + l2 = w2;

   (1 - a11- a21) w1 + 0 w2 + 0 w3 + l3 = w3,

 

in quanto sappiamo che i beni di consumo non contribuiscono ai coefficienti tecnici (cioè a12 = a13 = a22 = a23 = a32 = a33 = 0) e che la somma della prima colonna, relativa ai mezzi di produzione, deve esser pari all’unità: S1 = a11 + a21 + a31 = 1. Anche se le equazioni (7) si possono risolvere direttamente, cerchiamo invece di seguire la procedura appena esposta, costruendo ( dij - aij ) come nel sistema (5):

 

                                                                        (1-a11) w1 - 0 w2 - 0 w3 = l1;                                        (8)

                            - a21 w1 + 1 w2 - 0 w3 = l2;  

            (a11 + a21 - 1) w1 - 0 w2 + 1 w3 = l3, 

 

A questo punto dobbiamo verificare che il determinante non si annulli, ossia applicando la regola di Sarrus (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Regola_di_Sarrus ), che det( dij - aij ) = 1 - a11 0. Ma questo è ovvio in quanto anche le industrie dei settori II e III abbisognano di mezzi di produzione nelle percentuali a21 > 0 e a31 > 0. Quindi possiamo proseguire senza difficoltà di sorta andando a calcolare i nuovi coefficienti tecnici dell’inversa bij. Sorvolando sul metodo per l’inversione (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Matrice_invertibile ) di ( dij - aij ), scriveremo direttamente l’equivalente della soluzione (6) che risolve in modo completo la nostra ricerca dei valori-lavoro:

  

                                                                        w1 = b11 l1 + 0 l2 + 0 l3;                                               (9)

               w2 = b21 l1 + 1 l2 + 0 l3;

               w3 = b31 l1 + 0 l2 + 1 l3,

 

dove b11 = 1 / (1 - a11 ), b21 = a21 / (1 - a11 ) e infine b31 = ( 1 - a21 - a11 ) / (1 - a11 ). Ossia, w1 = l1 / (1 - a11 ), w2 = ( l1 a21 + l2 - a11 l2 ) / (1 - a11 ) e  w3 = ( l1 - a21 l1 - a11 l1 + l3 - l3 a11) / (1 - a11 ).  Si noti che la teoria del valore-lavoro non implica affatto che la somma di tutti i valori, W = w1 + w2 + w3, eguagli quella di tutte le ore di lavoro L = l1 + l2 + l3, infatti nel nostro caso W = L + l1 / (1 - a11 ), ovvero L = w2 + w3. Ciò economicamente si spiega considerando che il nostro sistema economico chiuso e stazionario preserva ciclo dopo ciclo il valore-lavoro totale, ma ne contiene già da principio una quantità W > L. Inoltre, dato che gli scambi dei valori economici sono sempre scambi di quantità equivalenti, avremo, anche intuitivamente, che il lavoro umano aggregato L si scambia solo con la totalità dei beni di consumo, w2 + w3.

 

3. Consumo e sfruttamento

 

Fino a questo momento non abbiamo introdotto ancora le categorie marxiane di plusvalore e saggio di sfruttamento, in quanto questi due concetti non sono direttamente collegati alla stima dei valori-lavoro, ossia, dato il numero di ore di lavoro socialmente necessario in un certo settore k, lk, il modo in cui esso viene diviso tra lavoro necessario per la riproduzione della forza lavoro, vk, e plusvalore, sk, non varia la stima dei vari valori-lavoro w1, w2, …, wN fornita dall’Eq. (6). Questo fatto non deve stupire in quanto la suddivisione tra vk e sk si riflette solo nelle quote di beni di consumo che spettano, rispettivamente, ai lavoratori e ai capitalisti. Più rigorosamente, dato che lk = vk + sk, avremo che il saggio di sfruttamento della forza lavoro nel settore k, mk = sk / vk, è dato anche da: mk = lk / vk – 1. Ma, assumendo con Marx, l’equiparazione di m in tutti i settori, possiamo semplicemente porre m = L / V - 1, dove V = v1 + v2 + … + vN, ovvero il capitale variabile aggregato dell’intero sistema economico in esame. Analogamente LV = S = s1 + s2 + … + sN e rappresenta il plusvalore aggregato. Nel caso svolto della sezione precedente, per esempio, abbiamo semplicemente che V = w2 (beni di consumo frugali) e S = w3 (merci di lusso), con L = w2 + w3, e quindi m = w3 / w2 = ( l1 - a21 l1 - a11 l1 + l3 - l3 a11) / ( l1 a21 + l2 - a11 l2 ).

Per capire come compaia lo sfruttamento nel nostro sistema economico, chiuso e stazionario, è utile partire da una situazione ideale di assenza di sfruttamento (ossia, m=0) in cui i lavoratori godono interamente del “frutto del loro lavoro”: V = L. Se non ricordassimo bene il monito di Marx ai lassalliani circa l’impossibilità di questa ipotesi anche nella fase inferiore del comunismo {B}, la potremmo chiamare una soluzione “socialista”. In questo caso è possibile considerare i lavoratori e le loro famiglie in modo collettivo come la N+1ma “industria” che introita la totalità dei beni di consumo prodotti dal sistema e riproduce ciclo dopo ciclo la N+1ma “merce”, la forza-lavoro, pagata ora proprio per quello che vale: L = wN+1, ossia l’equivalente in beni di consumo delle ore di lavoro erogate:

 

aN+11 w1 + aN+12 w2 + … + aN+1N wN = L = wN+1.                                (10)

 

In questo modo il sistema (3) di N equazioni in N incognite viene naturalmente accresciuto in un sistema di N+1 equazioni in N+1 incognite tale da contenere l’Eq. (10) che descrive i consumi dei lavoratori:


a11 w1     + a12 w2    + … + a1N wN    + a1N+1 wN+1 = w1;                                           (11)

a21 w1     + a22 w2    + … + a2N wN    + a2N+1 wN+1 = w2;

               ………………………………………..

aN1 w1    + aN2 w2    + … + aNN wN    + aNN+1 wN+1 = wN;

aN+11 w1 + aN+12 w2  + … + aN+1N wN + 0 wN+1       = wN+1,      

                        

dove i vari lavori lk sono ora rimpiazzati dai prodotti akN+1 wN+1 = akN+1 L, per cui akN+1 = lk / L; mentre i coefficienti tecnici dei consumi, aN+1k, si ottengono semplicemente imponendo che le nuove somme per colonne, Zk, siano ora rigorosamente uguali ad uno per ogni valore di k: a1k + a2k + … + aNk + aN+1k = Zk = 1 = 100%, dato che adesso i consumi sono compresi.

Il sistema di equazioni (11) si scrive in forma compatta come:  ed è noto in algebra come problema agli autovalori con autovalore unitario. Si può però facilmente trasformare in un cosiddetto sistema omogeneo di N+1 equazioni in N+1 incognite:


                        (a11 -1 ) w1     +       a12 w2    + … + a1N wN        + a1N+1 wN+1 = 0;                          (12)

a21 w1     + (a22 -1) w2    + … + a2N wN        + a2N+1 wN+1 = 0;

               ………………………………………….

aN1 w1     +       aN2 w2    + … + (aNN -1) wN + aNN+1 wN+1 = 0;

aN +11 w1  +       aN+12 w2  + … + aN+1N wN     - wN+1           = 0,      


 dove il termine “omogeneo” sta a significare che dopo il segno di “=” compaiono solo zeri, ossia, in notazione compatta:

 

In generale in algebra i sistemi omogenei hanno una soluzione banale completamente nulla (w1 = w2 = … = wN = wN+1 = 0) e, se det(aij -  dij) = 0, anche una non banale in cui almeno uno degli N+1 valori non è nullo. Si noti come la condizione sul determinante sia ora opposta rispetto a quella riscontrata per il sistema (5), che non era omogeneo. In effetti det(aij - dij) = 0 è un elegante modo matematico per dire che il passaggio da N´N a (N+1)´(N+1) coefficienti tecnici non ha aggiunto nessuna nuova informazione al sistema, ovvero, dato che siamo in assenza di sfruttamento, che l’utilizzo da parte dei lavoratori della totalità dei beni di consumo prodotti è del tutto insito nella logica delle cose.

Nel nostro caso la nullità del determinante è immediatamente soddisfatta, dato che nel sistema (12) la somma delle colonne vale Zk - 1 = 0 per ogni k. È infatti una nota proprietà dei determinanti quella di esser nulli se la somma di tutte le loro righe o di tutte le loro colonne fa zero [5]. Resta però il problema della non-negatività dei wk che formano la soluzione non-banale. In questo caso, sempre evitando le difficoltà della produzione congiunta, è possibile far uso della cosiddetta condizione di Hawkins-Simon [5], che a sua volta utilizza i risultati generali del noto teorema matematico detto di Perron e Frobenius ( https://en.wikipedia.org/wiki/Perron%E2%80%93Frobenius_theorem ).

Ovviamente non possiamo addentrarci in questi argomenti di algebra avanzata, ma possiamo garantire al lettore che nel sistema (12) non vi saranno problemi relativi a possibili negatività dei valori wk. Va però precisata un’importante proprietà delle soluzioni di qualsiasi sistema omogeneo: se w1, w2, …, wN, wN+1 sono una soluzione del sistema, allora anche cw1, cw2, …, cwN, cwN+1 (con c costante arbitraria) lo sarà. Ciò è d’importanza capitale perché ci permette di riottenere i risultati di Dmitriev della sezione precedente relativi alla teoria del valore-lavoro. Basterà infatti scegliere c in modo tale che cwN+1 = L, ossia che il valore orario della forza-lavoro sia unitario, e riavremo per cw1, cw2, …, cwN le stesse grandezze della soluzione dell’equazione (6) di Dmitriev.

Però non siamo obbligati ad usare la forza-lavoro come unità di misura del valore: ogni altra merce 1, 2, …, N potrebbe prendere il posto del lavoro e divenire una valida misura del valore economico. Immaginiamo che la merce ‘3’ sia, per esempio, l’energia elettrica. Se ora scegliamo una nuova costante c’, tale che c’w3 = q3 (con q3 il numero di totale di kWh prodotti in un ciclo del nostro sistema economico), allora tutti i valori merceologici (compreso quello della forza-lavoro) saranno espressi, per quanto strano possa sembrare, in kWh. Persino i beni di consumo possono divenire una buona misura del valore in un sistema omogeneo in quanto partecipano alla riproduzione della merce “forza-lavoro”.

Quello che però resta invariato quale che sia la scelta di c (e quindi della merce misura del valore) è l’insieme di tutti i possibili valori relativi tra due merci qualsiasi, diciamo i e j, ossia il quoziente wi/wj, purché il dividendo e il divisore siano sempre valutati mediante la stessa merce-misura: ore di lavoro con ore di lavoro, kWh con kWh ecc.

Naturalmente anche sistemi di equazioni N´N, simili a quelli di Dmitriev, potranno esser scritti con le quantità utilizzate di una merce qualsiasi al posto delle quantità orarie di lavoro, però in questo caso il consumo dei lavoratori dovrà apparire esplicitamente come N ma equazione.

 

Abbandoniamo ora il nostro modello “socialista” in cui chi lavora gode della totalità dei beni di consumo prodotti nel sistema economico in esame, ammettendo che una quota di tali beni venga tolta ai lavoratori e si trasformi in consumo di chi non svolge alcun lavoro. A questo livello non è importante un’analisi sociale, ossia non ci importa che si tratti di capitalisti, di rentier, di ceti burocratici parassitari, di fanciulli, di minorati, di invalidi, di disoccupati o di altro. Quello che conta è che ci sia uno strato di popolazione che consumi senza contribuire al lavoro aggregato L, ovvero che sfrutti in qualche modo i lavoratori. In questo caso ci saranno alcune colonne nel sistema (11) per le quali la somma verticale dei coefficienti tecnici non varrà 1, ma qualcosa di compreso tra 0 e 1. Ovvero, nel sistema (12) non otterremo Zk – 1 = 0 per ogni k e quindi non avremo la sicurezza che det(aij - dij) = 0. Ciò a sua volta ci priverà della garanzia dell’esistenza di una soluzione non banale per w1, w2, …, wN, wN+1. Questo è un risultato importante perché ci mostra in modo asettico e scientifico la realtà e l’effetto dello sfruttamento dei lavoratori: la perfetta simmetria tra la forza-lavoro e le altre merci si rompe e il nostro sistema coerente di N+1 valori, in generale, non ammetterà soluzioni. Ciò, come si è visto, è il modo matematico per esprimere l’idea che lo sfruttamento implica una quantità d’informazione maggiore di quella contenuta nel sistema N´N di equazioni (5) e tale surplus d’informazione rende, per esempio, impossibile la scelta di alcune merci come possibili basi del valore: si tratta di quelle di lusso, riservate al consumo dei ceti parassitari, le quali non concorrono alla formazione di nessuna delle altre merci (inclusa la forza-lavoro). In presenza di sfruttamento sarà quindi importante eliminare l’ultima riga del sistema (12), quella relativa al mantenimento della forza-lavoro e al suo sfruttamento, per tornare all’equazione di Dmitriev (5) che garantisce la determinazione dei valori delle prime N merci rispetto alle rispettive quantità di forza-lavoro date.

 

In realtà, per i lettori più esigenti, è necessario rammentare che nel caso della riduzione di un sistema con sfruttamento da (N+1)´(N+1) a N´N è pur sempre possibile utilizzare una merce (ma non di lusso) diversa dal lavoro come base del valore, eliminando la riga che ne descrive la produzione. In questa evenienza sopravviverebbe l’ultima riga, quella relativa ai consumi della classe lavoratrice comportando una situazione alquanto anomala in quanto i valori (anche relativi) di tutte le altre merci dipenderebbero dal livello dei consumi dei lavoratori e, dunque, in ultima analisi, dall’intensità di sfruttamento. Ovviamente questo è assai sgradevole e per questa ragione, in presenza di sfruttamento, si preferisce ricorrere al lavoro come merce-base del valore, unico caso in cui lo sfruttamento non influenzi i valori. All’opposto, in assenza di sfruttamento, abbiamo visto che la scelta della merce di riferimento del valore non cambia i valori relativi delle varie merci. Abbiamo quindi una giustificazione ex-post della teoria del valore-lavoro: il lavoro astratto è l’unica merce di riferimento del valore che, in presenza di sfruttamento, rende i valori di tutte le altre merci indipendenti dai livelli di consumo (e dunque di sfruttamento) dei lavoratori.

Per capire meglio questa questione abbastanza sottile torniamo al nostro esempio della sezione precedente, dove analizzavamo un semplice sistema economico con N=3, in cui il settore I rappresentava i mezzi di produzione, il settore II i beni di consumo frugali e il settore III i beni di consumo di lusso. I beni frugali spetteranno ai lavoratori, mentre quelli di lusso andranno ai ceti parassitari nel caso di un’economia capitalista, mentre sempre ai lavoratori nel caso di un’economia “socialista”. Iniziamo dal secondo caso, in cui l’Eq. (12) diverrà:

                                                                  (a11 -1 ) w1  +   0 w2   +  0 w3   + a14 w4 = 0;                   (13)

                     a21 w1   -   1 w2   +  0 w3   + a24 w4 = 0;

    (1 - a11 - a21) w1  +   0 w2   -   1 w3   + a34 w4 = 0;

                         0 w1   +  1 w2   +  1 w3       - 1 w4 = 0,

 

dove a14 = l1 / L, a24 = l2 / L e a34 = l3 / L, con L = l1 + l2 + l3. È immediato verificare la nullità del determinante del sistema (13) dato che la somma di tutte le colonne è sempre zero. Risolvendo il sistema omogeneo in questione, ponendo w4 = L, abbiamo che: w1 = a14 L / (1 - a11), w2 = L (a24 + a21 a14 - a11a24) / (1 - a11), w3 = L (1 - a11 - a21 a14 + a11 a24 - a24) / (1 - a11), in perfetto accordo con quanto trovato nella sezione precedente. Se poi immaginiamo che i beni di lusso “3” siano rappresentati da metalli preziosi come l’oro, sarà semplice esprimere i valori economici rispetto a un grammo questa merce. Basterà usare una costante arbitraria c’ in modo tale che w3 = q3 (ossia i grammi di oro prodotti in un ciclo del nostro sistema economico) e così avremo che c’ = q3 (1 - a11) / (1 - a11 - a21 a14 + a11 a24 - a24) / L. Le nuove misure dei valori, w’k, ora espressi in grammi di oro, saranno dunque: w’1=c’ w1, w’2=c’ w2, w’3=q3 e w’4 = c’ L.

Se adesso priviamo i lavoratori dei consumi di lusso trasferendoli in toto ai ceti parassitari, l’Eq. (13) diverrà:

   

                                                               (a11 -1 ) w1  +   0 w2   +  0 w3   + a14 w4 = 0;                   (14)

                     a21 w1   -   1 w2   +  0 w3   + a24 w4 = 0;

     (1 - a11 - a21) w1  +   0 w2   -   1 w3   + a34 w4 = 0;

                          0 w1   +  1 w2   +  0 w3       - 1 w4 = 0,

 

in cui in generale, eccettuato casi fortuiti o scelte ad hoc dei parametri, det(aij - dij) 0. Esisterà quindi soltanto la soluzione banale di questo sistema omogeneo e la determinazione dei valori non potrà avvenire in modo semplice. Dovremo, per esempio, eliminare l’ultima riga, sostituire a14 w4 con l1, a24 w4 con l2, a34 w4 con l3, e portare le tre quantità orarie di lavoro a destra del segno di uguale, riottenendo il sistema (8) della sezione precedente. Oppure potremo usare la merce “1” o la “2” come basi del valore, ma sempre riducendo il sistema da quattro a tre equazioni, eliminando proprio la riga relativa alla creazione della merce scelta come base. Invece questa volta la “3” (ossia l’oro) non potrà esser usato come base in quanto, in presenza di sfruttamento, tale merce non è utilizzata da nessun settore produttivo essendo riservata al consumo dei ceti parassitari. La scelta del lavoro (merce “4”) come base sarà però l’unica a fornire valori relativi tra quelli delle tre merci rimanenti, uguali ai corrispondenti valori relativi ottenuti nel sistema (13).

 

È lecito domandarsi se almeno in teoria sia possibile riottenere un sistema omogeneo risolubile anche in caso di sfruttamento della forza-lavoro, mediante l’introduzione di un ulteriore bene di consumo di lusso, ma fittizio (detto anche “merce inutile”) che rappresenti collettivamente la presenza di elementi sociali parassitari. Tale “merce”, la N+2ma, si riprodurrebbe proprio con i consumi sottratti ai lavoratori e non contribuirebbe alla fabbricazione di nessuna delle altre N+1 merci, se non di se stessa. Garantirebbe però che la somma di tutte le colonne sia pari ad uno. Il sistema (11), accresciuto ancora di un’altra riga, diverrebbe quindi:

 

a11 w1     + a12 w2    + … + a1N wN    + a1N+1 wN+1 + 0 wN+2 = w1;                          (15)

a21 w1     + a22 w2    + … + a2N wN    + a2N+1 wN+1 + 0 wN+2 = w2;

               ……………………………………………..

aN1 w1    + aN2 w2    + … + aNN wN    + aNN+1 wN+1 + 0 wN+2 = wN;

aN+11 w1 + aN+12 w2  + … + aN+1N wN + 0 wN+1       + 0 wN+2 = wN+1,      

aN+21 w1 + aN+22 w2  + … + aN+2N wN + 0 wN+1       + 1 wN+2 = wN+2.     

 

Tale sistema, se visto come problema agli autovalori, avrebbe ora le stesse buone proprietà dell’(11) permettendo ipoteticamente la determinazione degli N+2 valori incogniti, incluso quello della merce “inutile”, wN+2. Sarebbe però un modello matematicamente plausibile ma estremamente artificioso, in quanto il coefficiente tecnico aN+2N+2 dovrebbe esser posto uguale ad uno per garantire che la somma della colonna (N+2)ma sia pari all’unità. Tuttavia, in questo modo l’ultima riga porterebbe alla cancellazione di wN+2, essendo esso presente sia a destra che a sinistra del segno di uguale. Si avrebbe quindi aN+21 w1 + aN+22 w2 + … + aN+2N wN = 0 e, di conseguenza, almeno uno dei beni di consumo di lusso avrebbe valore negativo, dato che tutti i coefficienti tecnici sono maggiori o uguali a zero per ipotesi. Ciò, come già sappiamo, è inaccettabile dal punto di vista economico e permette di scartare completamente l’ipotesi della merce “inutile”.

 

4. Il prezzo di produzione

 

Una volta resa rigorosa la teoria del valore-lavoro generalizzandola a una merce qualsiasi (purché non di esclusiva pertinenza dei ceti parassitari), è possibile proseguire il nostro excursus divulgativo concentrandoci sui prezzi di produzione pk, la cui trattazione generale si deve principalmente a Sraffa [1,6] e al suo allievo Ian Steedman [7], benché già Bortkievicz avesse intuito i punti principali dei metodi neoricardiani. L’approccio di Sraffa si basa sull’applicazione allo stesso sistema economico, chiuso e stazionario, visto nelle sezz. 2 e 3, di un’idea basilare dell’economia politica: la tendenza del tasso di profitto netto r a equipararsi in tutti gli N ambiti produttivi. Per il resto, come già precisato da Marx nel III libro de “Il Capitale”, una volta definiti prezzi di produzioni pk distinti dai valori-lavoro wk, i primi soppianteranno i secondi nella pratica economica e tutte le merci si scambieranno esclusivamente secondo i loro prezzi di produzione. Tuttavia, a differenza dei valori-lavoro, i prezzi di produzione non godranno della proprietà additiva: il prezzo di una merce non sarà pari al costo del lavoro utilizzato per produrla più il prezzo delle sue componenti. Vi sarà un quid in più determinato proprio dal tasso di profitto. La differenza metodologica tra Ricardo e Marx da un lato e Sraffa e Steedman dall’altro sarà dunque soltanto la seguente: non è necessario passare per i valori-lavoro per giungere ai prezzi di produzione. I due insiemi, wk e pk, possono esser valutati in modo del tutto indipendente tra loro mediante due equazioni simili ma distinte, l’equazione di Dmitriev per il valore (3) e quella di Steedman per il prezzo:

 

     (1 + r) (a11 p1 + a12 p2 + … + a1N pN + λ/1) = p1;                              (16)

                                                  (1 + r) (a21 p1 + a22 p2 + … + a2N pN + λ/2) = p2;

……………………………..

                (1 + r) (aN1 p1 + aN2 p2 + … + aNN pN + λ/N) = pN,

 

dove, rispetto al caso di Dmitriev, due importanti differenze vanno notate: la presenza del tasso di profitto lordo (1 + r) e quella del costo orario del lavoro astratto e socialmente necessario, l. Va anche ricordato che, visto che la presenza di r implica un esplicito investimento produttivo, non sarà più possibile equiparare il consumo dei lavoratori alla produzione di un’ulteriore merce, la N+1ma, ovvero la forza-lavoro. Anche il sistema (16), similmente al (3), è scritto senza considerare la possibilità di produzioni congiunte {A}.

Definendo per comodità ρ = 1 / (1 + r), sempre maggiore di zero (r = ) e minore o uguale ad uno (r = 0), potremo riscrivere l’equazione di Steedman, in analogia con la (5), come un sistema di N equazioni con N incognite:

 

                                         (ρ-a11) p1       - a12 p2 - …       - a1N pN = λ/1;                                      (17)

-a21 p1 + (ρ-a22) p2 -…       - a2N pN = λ/2;

…………………………………………

                                               -aN1 p1       - aN2 p2 -… + (ρ-aNN) pN λ/N,

 

dove ρ, l e le ore di lavoro lk sono per ora dati iniziali del problema. Se poi come unità di misura dei prezzi di produzione, invece della moneta, scegliamo proprio il salario medio orario l, allora l’Eq. (17) si semplificherà ulteriormente:

 

 

                                        (ρ-a11) p’1       - a12 p’2 - …       - a1N p’N = l1;                                     (18)

 -a21 p’1  + (ρ-a22) p’2 -…       - a2N p’N = l2;

…………………………………………

                                               -aN1 p’1       - aN2 p’2 -… + (ρ-aNN) p’N = lN.

 

Eccettuato per ρ che sostituisce 1, il sistema (18) è formalmente identico al sistema (5), ma questo non deve indurci in errore: i p’k sono sempre prezzi di produzione (benché detti “ridotti”) e non valori-lavoro come i wk, nonostante che ora condividano la stessa unità di misura: l’ora di lavoro astratto. Una rigorosa identificazione tra i due insiemi si ha solo nel caso di ρ = 1, ossia di profitto r = 0, che coinciderebbe con la mancanza di sfruttamento della forza-lavoro. Naturalmente i prezzi di produzione relativi tra due merci qualsiasi i e j, pi/pj, saranno gli stessi anche se calcolati mediante i rispettivi prezzi ridotti: pi’/pj’ = (pi / λ) / (pj / λ) = pi/pj.

Scritto in forma compatta il sistema (18) ci appare come:  

 

 che sappiamo esser risolubile mediante la ricerca dell’inversa se  

 

Tale condizione sarà in generale naturalmente rispettata, come si è visto nel caso dell’equazione di Dmitriev per il valore, salvo casi fortuiti nella scelta di ρ (con 0 < ρ 1), privi di alcuna rilevanza pratica.

Resta tuttavia il problema molto più serio della non negatività dei prezzi p’k, i quali, altrimenti, sarebbero destituiti di qualsiasi senso economico. Anche in questo caso possiamo ricorrere all’algebra [5] per trovare le condizioni cercate, già sapendo che per ρ = 1 si riotterrebbe l’equazione di Dmitriev, dove la non negatività dei prezzi è garantita (in assenza di produzioni congiunte). Pur non potendoci dilungare sulla teoria delle matrici M, dobbiamo però citare un risultato molto importante legato al numero λPF, il cosiddetto autovalore di Perron-Frobenius, ossia quell’unico numero reale e positivo per cui:  

 

, dove xi è detto autovettore di Perron-Frobenius. Se ρ è maggiore di λPF allora tutti i prezzi p’k saranno non negativi. Ciò chiaramente pone un limite al tasso di profitto netto r, che potrà variare soltanto tra 0 e 1/λPF-1.

 

Per chiarire meglio questo aspetto possiamo tornare al nostro semplice sistema con N=3 di (8), che nel caso dei prezzi di produzione apparirà come:

 

                                                                        (ρ-a11) p’1 - 0 p’2 - 0 p’3 = l1;                                 (19)                                                                                  -a21 p’1 + ρ p’2 - 0 p’3 = l2;  

              (a11 + a21 - 1) p’1 - 0 p’2 + ρ p’3 = l3, 

 

dove l’autovalore di Perron-Frobenius vale λPF = a11, che, come sappiamo, è positivo e minore di uno. Quindi il sistema (19) avrà soluzioni economicamente plausibili solo per 0 r < 1/a11-1, ovvero quando l’inversa bij avrà tutti gli elementi non negativi:

 

b11 = 1 / (ρ - a11); b12 = 0; b13 = 0;

b21= a21 / (ρ2 - a11ρ); b22 = 1/ρ; b23 = 0;

b31 = (1 - a11 - a21) / ( ρ2 - a11ρ ); b32 = 0; b33 = 1/ρ.

 

Dall’inversa è poi immediato ottenere i prezzi ridotti pk:

 

p’1 = l1 / (ρ - a11);

p’2 = l1 a21 / (ρ2 - a11ρ) + l2 /ρ;

p’3 = l1 (1 - a11 - a21) / ( ρ2 - a11ρ ) + l3 / ρ.

 

Ricapitolando i risultati ottenuti fino ad ora mediante l’approccio neoricardiano alla teoria dei prezzi di produzione in un sistema economico chiuso e stazionario (senza produzioni congiunte), possiamo citare tre punti principali:

A) date le caratteristiche tecnologiche (ossia i coefficienti tecnici, aij) e le quantità orarie di lavoro nei vari settori li, è possibile determinare i prezzi relativi delle merci (non quelli assoluti), cioè i rapporti pi/pj, solo se è noto anche il tasso di profitto netto r. Per ottenere i prezzi assoluti è necessaria, inoltre, la conoscenza del prezzo di una merce, tipicamente della forza-lavoro oraria, λ.

B) Il tasso di profitto netto r agisce quindi come variabile indipendente, essendo la risultante dei rapporti di forza tra capitalisti e lavoratori (si vedano le conclusioni del presente articolo per un accenno alle implicazioni politiche di tale questione), mentre i prezzi di produzione sono una precisa funzione di r. Tuttavia, mentre non esistono limiti inferiori al tasso di profitto netto, che può anche annullarsi in mancanza di sfruttamento della forza-lavoro, ve ne sono di superiori, pena l’impossibilità di ricavare prezzi sensati da un punto di vista economico. C) Tali limiti sono però indipendenti dalle intensità di lavoro li, ma derivano, tramite l’autovalore di Perron-Frobenius, dai soli coefficienti tecnici aij.

 

Fino a questo momento abbiamo seguito, con minime variazioni, l’iter concettuale sraffiano contenuto nelle Reff. [1] e [6], differenziandoci da esso solo per l’inclusione nel sistema (16) del costo del lavoro tra i capitali anticipati, come è prassi nella tradizione marxista. Adesso cercheremo di studiare il contributo più originale di Steedman al problema, ovvero quello relativo al concetto di “salario reale” [7]. Anche se questa ricostruzione è fortemente contestata dai teorici marxisti della cosiddetta Nuova Interpretazione (cfr. l’articolo divulgativo https://adattamentosocialista.blogspot.com/2020/12/la-trasformazione-marxiana-dei-valori.html e l’appendice alla fine di questo lavoro), Steedman si sforza d’introdurre un’idea prettamente marxiana nel modello neoricardiano dei prezzi appena descritto, quello secondo cui, nell’ambito dell’economia capitalista, i salari dei lavoratori oscillano intorno a una media, posta leggermente al di sopra di un valore minimo, fissato non una volta per tutte, ma dipendente dal tipo di società e dai rapporti di forza tra le classi all’interno di essa, che permette ai lavoratori di sopravvivere insieme alle loro famiglie consentendo la riproduzione della forza-lavoro.  A tale scopo viene introdotto il vettore salario reale orario, ovvero un insieme di N percentuali, ui, che esprimono il consumo di una certa merce ima spettante all’operaio che esegua un’ora di lavoro. Va da sé che nel caso di mezzi di produzione o di merci di lusso per capitalisti, le corrispondenti componenti del salario reale orario saranno rigorosamente nulle. Più precisamente, indicando sempre con L la somma di tutte le ore di lavoro dei vari N settori produttivi, dovremo avere che per ogni i : 0 ui L 1=100%, dove il valore massimo si avrà solo per merci riservate al consumo frugale dei lavoratori.

In questo modo il costo del lavoro λ diviene una funzione dei prezzi pi, mediante la semplice relazione:

 

 

Sostituendo la precedente all’interno del sistema (16), possiamo ora riscriverlo come:

 

    (1 + r) (c11 p1 + c12 p2 + … + c1N pN) = p1;                               (20)

                                                           (1 + r) (c21 p1 + c22 p2 + … + c2N pN) = p2;

          ……………………………..

                  (1 + r) (cN1 p1 + cN2 p2 + … + cNN pN) = pN,

 

dove i nuovi coefficienti cij sono dati semplicemente da: cij = aij + li uj e quindi, sommati verticalmente per colonne, garantiscono che per ogni j: 0 c1j + c2j + … + cNj 1 = 100%, dove ora il valore massimo si avrà sia per le merci riservate al consumo frugale dei lavoratori, sia per i mezzi di produzione, sia per le merci miste, ma non per quelle destinate (in tutto o in parte) al consumo di lusso dei capitalisti. Eseguendo le stesse manipolazioni delle Eqq. (17), arriviamo a scrivere:

 

                                            (ρ-c11) p1       - c12 p2 - …       - c1N pN = 0;                                          (21)

-c21 p1 + (ρ-c22) p2 -…       - c2N pN = 0;

…………………………………………

                                                 -cN1 p1       - cN2 p2 -… + (ρ-cNN) pN = 0,

 

che è un sistema omogeneo, il quale in forma compatta apparirà come:  

 

Come già sappiamo dalla sezione precedente, tale sistema omogeneo ammetterà una soluzione non banale (ossia non identicamente nulla) solo se: 

 

e questo costituirà una condizione per ρ (e quindi per r). Il tasso netto di profitto ora non sarà più libero all’interno dell’intervallo 0 r < 1/λPF-1, ma dovrà avere un valore tale affinché il detto determinante sia nullo. Naturalmente anche in questo caso si presenteranno gli abituali problemi matematici ai quali, seppure in modo molto veloce, dovremo almeno accennare. La condizione di nullità del determinante implica un’equazione di N mo grado che ammette, in generale, N soluzioni per ρ, le quali però potrebbero non avere senso economico qualora non fossero reali e comprese tra 0 e 1. Tuttavia, sempre ricorrendo alla citata teoria di Perron-Frobenius [5], possiamo tranquillamente affermare che tra le N soluzioni per ρ ve ne sarà certamente una reale e compresa tra 0 e 1. Inoltre, sostituendola nel sistema (21), darà luogo a una soluzione per i prezzi totalmente compatibile con il loro senso economico, ma, come già sappiamo, nota a meno di una costante arbitraria. Questo significa che anche in questo caso solo i prezzi relativi tra due merci qualsiasi, pi/pj, saranno noti, ma non quelli assoluti.

Come al solito possiamo cercare di fissare questi concetti mediante in nostro esempio concreto a tre settori (con sfruttamento), già usato per l’analisi dei valori-lavoro. Il salario reale in questa situazione è particolarmente semplice in quanto il solo settore II è riservato al consumo frugale dei lavoratori: u1 = 0; u2 = 1 / L; u3 = 0. Così l’Eq. (20) apparirà come:

 

  (1 + r) (a11 p1 + l1 /L p2) = p1;                                          (22)

                                                                     (1 + r) (a21 p1 + l2 /L p2) = p2;

                    (1 + r) (a31 p1 + l3 /L p2) = p3,

 

o meglio, come il sistema omogeneo equivalente:

 

                                                    [(a11 - ρ)p1 +  l1/L p2] = 0;                                                             (23)

                                                    [a21 p1 + (l2 /L - ρ) p2] = 0;

       [(1-a11-a21) p1 + (1 - l2 - l1)/L p2 - ρp3] =0,

 

dove la condizione di nullità del determinante permette di scrivere un’equazione per ρ. Prendendo l’unica soluzione per ρ dotata di senso economico abbiamo finalmente trovato r:

1 / (1+r) =ρ = 0.5 { [ ( a11 - l2/L )2 + 4 a21 l1/L ]1/2  + a11 + l2/L }. Proseguendo si ottengono (a meno di una costante moltiplicativa arbitraria) anche i prezzi p1, p2 e p3, che però riportiamo solo in nota {D} per brevità.

 

Ricapitolando il risultato steedmaniano, possiamo dire che la scelta della costanza del salario reale dei lavoratori ui, differentemente dal caso sraffiano puro, determina non solo i prezzi relativi delle N merci prodotte, ma anche il valore del saggio netto di profitto r, una volta note ore di lavoro li e tecniche aij. Scegliendo una merce di lusso, per esempio l’oro, come riferimento dei prezzi (noto in genere con il nome francese di numeraire) e fissandone ad uno il costo unitario, sarà poi possibile trovare l’espressione monetaria dei prezzi di produzione, completando così l’analisi del sistema economico in esame.

In effetti i due approcci neoricardiani appena presentati non sono necessariamente in contraddizione tra loro, ma mettono in luce soltanto diverse dipendenze causali tra consumi, profitti e salari: nel caso sraffiano puro la possibilità di variare r entro certi limiti, in presenza di un salario nominale λ bloccato, implica che il livello dei prezzi relativi (dipendenti da r) farà variare il salario reale ui. Nel caso steedmaniano invece, essendo il salario reale dato, tassi di profitto e prezzi relativi verranno ad esser determinati in modo rigido e univoco.

 

 

5. Conclusioni.

 

Al termine di questa rapidissima ricognizione nel campo dell’approccio neoricardiano all’economia, prima di formulare qualche breve conclusione, vogliamo ricordare ai lettori che gli esempi elementari di sistemi economici chiusi e stazionari, incapaci di evolvere sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, rappresentano solo un’introduzione alle idee economiche formulate da Sraffa e dalla sua scuola, la quale nel corso del tempo si è cimentata anche con modelli econometrici ben più sofisticati e realistici [2]. È appena il caso di menzionare a questo proposito i rilevanti contributi di Luigi Pasinetti al problema dei sottosistemi e della loro crescita economica. Tuttavia, già dal poco che abbiamo visto siamo in grado di capire le motivazioni profonde alla base dei metodi neoricardiani: la possibilità di ricavare un sistema di prezzi coerenti tra loro, partendo solo da dati tecnici e occupazionali senza l’utilizzo dei metodi marginalisti per i quali Sraffa provò sfiducia e avversione profonde per tutta la vita. Scriveva infatti in un taccuino privato [10] nel 1957, commentando in modo tutt’altro che compiaciuto e trionfalista gli abbozzi ancora incompleti della sua opera più celebre [1]:

This is not proposed as a complete system of general equilibrium. The data assumed are not sufficient to determine either distribution or values. Only the effects of hypothetical, arbitrarily assumed extra data (such as wages, or the rate of profits) are discussed. (…). It is offered as a preliminary and there is no a priori reason why, on the basis of it, an equilibrium system should be built: there is some room left for it, as this confessedly indeterminate, but the question is whether there is room enough for the marginal system”.

Sraffa dimostrava così una precisa volontà non tanto di arrivare a una descrizione completa dei sistemi economici, quanto di giungere a quella descrizione di essi che fosse la più completa possibile senza il ricorso a metodi marginalisti. In questo senso veniva riannodato e riportato alla luce il filo ideale che legava tra loro tutti quegli economisti semi-sconosciuti che avevano portato avanti il programma di ricerca della scuola classica nei novant’anni intercorsi tra il 1871 e il 1961, fossero stati dei marxisti “eterodossi” o meno.

Certo Sraffa stesso non era completamente sicuro che si potesse fare davvero una seria microeconomia senza curarsi del ruolo attivo del mercato e, soprattutto, della domanda dei consumatori, come mostra una sua lettera del 1964, irritualmente stizzita e nervosa, a un corrispondente indiano che stava recensendo il suo “Produzione di merci a mezzo di merci” e che gli chiedeva con garbo se “the consumers’ demand plays a purely ‘passive role’ in the Sraffa system”. Il nostro economista anglo-italiano, abitualmente calmo e flemmatico, scrive infatti nella sua breve e lapidaria risposta:

Never have I said this. (…). Nothing, in my view, could be more suicidal than to make such a statement. You are asking me to put my head on the block so that the first fool who comes along can cut it off neatly – Whatever you do please do not represent me as saying such a thing. (…).” [11]

 

Naturalmente, come apparve subito evidente a molti, dietro una disputa accademica di economia teorica si annidavano questioni di politica economica pesanti come macigni. Se Sraffa aveva ragione e i neoclassici torto, allora i concetti di “profitto di equilibrio” (la produttività marginale del capitale) e di “salario di equilibrio” (la produttività marginale del lavoro) non avevano alcun senso: il sistema economico avrebbe adattato spontaneamente i suoi prezzi interni a tassi di profitto piccoli a piacere (persino nulli!). Se mai, sarebbero stati i tassi di profitto troppo grandi a creare possibili intoppi e ingorghi di mercato. Allo stesso modo emergeva chiaramente che il costo monetario del lavoro non aveva in sé nessun effetto sui prezzi relativi delle merci prodotte, ma che la quantità-chiave era il salario reale, che i lavoratori dovevano faticosamente negoziare con i capitalisti ad ogni rinnovo contrattuale scontrandosi anche con gli effetti inflattivi e con i prelievi fiscali. Tale salario reale, almeno secondo il modello di Steedman, avrebbe poi fissato tutto il resto: sia il tasso di profitto che i prezzi dei prodotti. E non viceversa.

In questo senso per i neoricardiani le politiche dei prezzi e l’alterazione del tasso di profitto mediante la modifica del tasso d’interesse bancario erano misure a lungo termine inutili, in quanto scambiavano le cause con gli effetti. Così i neoricardiani stavano offrendo armi microeconomiche, sottili ma estremamente affilate, a chi, come Abba Lerner e i keynesiani radicali di Cambridge (Robinson, Kaldor, Kahn ecc.), rivendicava da tempo sul lato macroeconomico l’esclusiva importanza di politiche di sostegno della domanda e dell’occupazione mediante massicci investimenti pubblici. Si può quindi dire che mentre il progetto di John Hicks e dei keynesiani moderati statunitensi (Samuelson, Modigliani, Solow ecc.) era stato quello di fondare la macroeconomia “main stream” su basi microeconomiche essenzialmente marginaliste, quello sraffiano puntava a scavalcare del tutto questo tentativo cercando basi diverse per le politiche economiche di tipo fortemente interventista così care alla sinistra socialdemocratica riformista degli anni ’60 e ’70 del XX secolo. In conclusione, schematizzando moltissimo, possiamo affermare che se il marxismo economico ha rappresentato la dottrina del superamento del capitalismo in un’ottica socialista e il marginalismo, all’opposto, è stata la forte reazione liberista e mercatista nell’epoca della Prima Globalizzazione (1870-1914), la scuola neoricardiana si è costituita, forse senza che gli autori ne fossero completamente coscienti, come un utile strumento della socialdemocrazia e del laburismo nella fase del loro massimo splendore, sostenendo sul piano teorico la compatibilità tra le conquiste operaie più avanzate e un’economia mista comprendente elementi di capitalismo sia pubblico che privato. Non è quindi un caso che molti economisti italiani di punta (Napoleoni, Garegnani, Pivetti, Lunghini ecc.), idealmente vicini al Partito Comunista Italiano, all’epoca in una delicata transizione tra il comunismo sovietico e la socialdemocrazia europea, abbracciassero la scuola neoricardiana in maniera entusiasta come un utile rimpiazzo del tradizionale marxismo economico “eclettico” proposto più di un decennio prima da Antonio Pesenti e dai suoi collaboratori.

 

                                                                 di DAN KOLOG

 

Appendice: la soluzione di Duncan Foley and Gérard Duménil

 

Come abbiamo detto nella sez. 4, la soluzione di Steedman per la determinazione del tasso di profitto basata sull’invarianza del salario reale ui venne fortemente contestata dai teorici della cosiddetta Nuova Interpretazione [8,9], inizialmente i due economisti marxisti Gérard Duménil e Duncan Foley, seguiti poi da un gruppo più vasto di studiosi. Il motivo di tale contestazione che, si badi bene, avvenne sempre all’interno del perimetro neoricardiano in quanto accettava l’Eq. (16) per la formazione dei prezzi di produzione, era legato all’annosa polemica sulla trasformazione dei valori-lavoro wi nei prezzi di produzione pi e sul modo in cui questa era affrontata nel III libro de “Il Capitale” di Marx. Qui noi non vogliamo ripercorrere né tutte le tappe dello scontro, né le ragioni alla base di esso, in quanto queste tematiche sono già state trattate, almeno a un livello iniziale e divulgativo, nell’articolo https://adattamentosocialista.blogspot.com/2020/12/la-trasformazione-marxiana-dei-valori.html apparso qualche mese fa. Menzioniamo en passant solo la forma finale della contestazione: nel modello di Steedman basato sull’invarianza del salario reale il tasso di profitto netto r è determinato in modo univoco così come i prezzi relativi delle merci. Resta libera solo l’unità di misura di tali prezzi, il numeraire, che potrà esser scelto in modo tale da rispettare una sola, a piacere, delle due equazioni fondamentali marxiane, le quali, seguendo la notazione della sez. 3, si formulano così: la somma di tutti i valori-lavoro W espressa in termini monetari eguaglia la somma di tutti i prezzi di produzione P (con P = p1 + p2 +…+ pN); la somma di tutti i plusvalori S espressa in termini monetari eguaglia la somma di tutti i profitti Π [con Π = p1 + p2 +…+ pN, dove il singolo profitto pi è dato da pi = r / (1 + r) pi] {C}.

In effetti, nel modello di Steedman non solo non possono esser verificate entrambe le equazioni fondamentali marxiane, ma scompare del tutto la necessità di ricorrere ai valori-lavoro e alle grandezze economiche ad essi legate, in primo luogo il plusvalore e il saggio di sfruttamento m. Questo era inaccettabile per i teorici della “Nuova Interpretazione” i quali credevano nella centralità del concetto di plusvalore e pensavano che entrambe le equazioni fondamentali marxiane potessero esser soddisfatte assumendo la prima delle due in forma “debole”: la somma di tutti i valori-lavoro relativi alle merci finali (ossia ai beni di consumo), espressa in termini monetari, eguaglia quella dei rispettivi prezzi di produzione.

Tralasciando a questo punto la questione della trasformazione dei valori in prezzi, concentriamoci sulla proposta alternativa a quella di Steedman, che pone il plusvalore al centro della determinazione del tasso di profitto. Come si è già detto, il punto di partenza sono le Eqq. (16)-(18) che di per se stesse non determinano in modo univoco il tasso di profitto netto r, ma solo un intervallo di ammissibilità, fissando però tutti i prezzi pi che saranno quindi, anche se sommati tra loro, ancora una funzione di r (nonché di l): P = P(r). Di conseguenza pure la somma dei profitti: Π = r / (1 + r) P sarà una funzione di r: Π = Π(r). L’idea di Foley e Duménil è proprio quella di determinare r mediante la seconda equazione fondamentale marxiana: Π(r) = μS, ovvero il tasso netto di profitto del sistema economico in esame sarà proprio quello per cui il profitto aggregato equivarrà al plusvalore aggregato, S, espresso in termini monetari tramite μ, l’equivalente monetario del valore-lavoro di un’ora. Si noti come, a causa dell’esistenza del plusvalore, μ è assai maggiore l, il costo medio orario di un’ora di lavoro. La relazione tra queste due importanti quantità è infatti data da l = μ / (1 + m), dove m è in tasso di sfruttamento.

Tornando con la mente alla sez. 3, sappiamo che S è dato proprio dalle ore di lavoro aggregate L e da m: S = m / (1 + m) L, tutte quantità note dall’analisi del sistema ottenuta mediante l’equazione di Dmitriev per i valori-lavoro. In altri termini, la proposta alternativa a quella di Steedman consiste nello stimare r in modo tale che, insieme all’Eq. (16) sraffiana, valga anche la seguente relazione tra profitti e plusvalori aggregati: r / (1 + r) P(r) = m / (1 + m) μL= m l L.

Cerchiamo di applicare questi concetti al nostro semplice esempio a tre settori già visto nelle sezz. II, III e IV. Per prima cosa dobbiamo determinare i prezzi aggregati P in funzione di ρ, utilizzando le espressioni viste nella sez. IV: P = p1 + p2 + p3 = [ ρ ll1 + ll1 a21 + ll1 (1 - a11 - a21)] / ( ρ2 - a11ρ) + ll2 / ρ + ll3 / ρ, e dunque i profitti aggregati: Π = r / (1 + r) P = (1 - ρ) P. Ricordiamo che l(l1 + l2 + l3) = lL è il costo del lavoro aggregato, ossia l’ammontare dei salari ricevuti dai lavoratori. Quindi dobbiamo eguagliare questa espressione al plusvalore aggregato espresso in unità monetarie mediante μ = l (1 + m). Nel nostro modello a tre settori questo è particolarmente agevole in quanto sappiamo dalla sez. III che S coincide con il valore-lavoro delle merci di lusso, w3, stimato come ( l1 - a21 l1 - a11 l1 + l3 - a11 l3) / (1 - a11 ). Inoltre il saggio di sfruttamento è dato da m = w3 / w2 = ( l1 - a21 l1 - a11 l1 + l3 - a11 l3) / ( l1 a21 + l2 - a11 l2 ). Avremo quindi la seguente equazione per ρ:

 

(1 - ρ) { [ ρ λ/1 + λ/1 a21 + λ/1 (1 - a11 - a21)] / (ρ2 - a11ρ) + λl2 / ρ + λl3 / ρ}                 (A1)

= λ L ( l1 - a21 l1 - a11 l1 + l3 - l3 a11) / ( l1 a21 + l2 - a11 l2 ).

 

Una volta determinati ρ (e r), il calcolo dei prezzi di produzione avverrà semplicemente mediante le stesse formule fornite nella sez. IV. Si noti solo che né il tasso di profitto né i prezzi di produzione in generale coincideranno con quelli ricavati da Steedman e riportati sempre nella sez. IV. Si tratta quindi di due metodi radicalmente alternativi per risolvere il medesimo problema economico.

 

 

 

Note

 

{A} Anche se abbiamo deciso di non discutere del complesso problema delle produzioni congiunte vogliamo informare il lettore in modo succinto del senso dei coefficienti di congiunzione cij. Essi rappresentano per le merci in uscita ciò che gli aij sono per quelle in entrata, ossia percentuali del valore complessivo di un certo prodotto. Più rigorosamente, cij esprime la frazione della merce jma prodotta dall’industria ima. L’unica grande differenza rispetto ai coefficienti tecnici emerge nella somma per colonne: per una qualsiasi colonna k, la somma c1k + c2k + … + cNk = 1 = 100%, in quanto il consumo non incide sui coefficienti di congiunzione.

 

{B} “Se prendiamo la parola "frutto del lavoro" nel senso del prodotto del lavoro, il frutto del lavoro sociale è il prodotto sociale complessivo. Ma da questo si deve detrarre:

Primo: quel che occorre per reintegrare i mezzi di produzione consumati.

Secondo: una parte supplementare per l'estensione della produzione.

Terzo: un fondo di riserva o di assicurazioni contro infortuni, danni causati da avvenimenti naturali, ecc. Queste detrazioni dal "frutto integrale del lavoro" sono una necessità economica, e la loro entità deve essere determinata in parte con un calcolo di probabilità in base ai mezzi e alle forze presenti, ma non si possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia. Rimane l'altra parte del prodotto complessivo, destinata a servire come mezzo di consumo. Prima di venire alla ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre:

Primo: le spese d'amministrazione generale che non rientrano nella produzione.

Questa parte è ridotta sin dall'inizio nel modo più notevole rispetto alla società attuale, e si ridurrà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando.

Secondo: ciò che è destinato alla soddisfazione di bisogni sociali, come scuole, istituzioni sanitarie, ecc. Questa parte aumenta sin dall'inizio notevolmente rispetto alla società attuale e aumenterà nella misura in cui la nuova società si verrà sviluppando.

Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro, ecc., in breve, ciò che oggi appartiene alla cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri. Soltanto ora arriviamo a quella "ripartizione", che è la sola che, sotto l'influenza di Lassalle, grettamente viene presa in considerazione dal programma, cioè la ripartizione di quella parte dei mezzi di consumo che viene ripartita tra i produttori individuali della comunità. Il "frutto integrale del lavoro" si è già nel frattempo cambiato nel frutto del lavoro "ridotto", benché ciò che viene sottratto al producente nella sua qualità di privato torni a suo vantaggio nella sua qualità di membro della società. Come è scomparsa la frase del "frutto integrale del lavoro," scompare ora la frase del "frutto del lavoro" in generale.” (K. Marx, Critica al programma di Gotha, 1875).

 

{C} La relazione tra il prezzo totale di una merce p e il profitto p ad essa collegato è molto semplice da ottenere. Se k è il capitale investito nella produzione di tale merce, la relazione tra p e k sarà semplicemente data da: p = (1 + r) k, dove (1 + r) è il tasso di profitto lordo e r è quello netto. Dato che il profitto p è definito proprio come differenza: p = pk, è immediato verificare che p = r / (1 + r) p.

 

{D} Per il lettore più curioso riportiamo i prezzi di produzione del sistema espressi scegliendo come numeraire proprio p3, il prezzo di produzione dei beni di lusso:

·       p1 = -{[a - m + sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2)] [a + m + sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2)]}/{2 [-a + a2 - 2 b + a b + 2 b l + m - a m + b m - sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2) + a sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2) + b sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2)]};

·       p2 = -[a b + b m + b sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2)]/[-a + a2 - 2 b + a b + 2 b l + m - a m + b m - sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2) + a sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2) + b sqrt(a2 + 4 b l - 2 a m + m2)];

·       p3 = 1,

dove a = a11, b = a21, l = l1/L, m = l2/L e sqrt(…) = (…).

 

 

 

Bibliografia minima

 

[1] Piero Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci (Einaudi, Torino, 1960).

[2] Heinz D. Kurz e Neri Salvadori, Theory of Production: A Long-Period Analysis (Cambridge University Press, Cambridge, 1995).

[3] Saverio M. Fratini, La teoria del capitale a cinquant’anni dal dibattito tra le due Cambridge, Critica Marxista, volume 4-5, pagine 64-71, anno 2016.

[4] V. K. Dmitriev, Economics Essays on Value, Competition and Utility (Cambridge University Press, Cambridge, 1974).

[5] Per un’esposizione rigorosa di ciò che può interessare un economista in questo ambito si veda F. Aleskerov, H. Ersel, D. Piontkovski, Linear Algebra for Economists (Springer Verlag, Berlin & New York, 2011).

[6] Massimo Finoia, Guida a "Produzione di merci a mezzo merci" di Piero Sraffa (Universale Cappelli, Bologna, 1979).

[7] Ian Steedman, Marx Dopo Sraffa (Editori Riuniti, Roma, 1980).

[8] Gérard Duménil, De la Valeur aux Prix de Production: Une réinterprétation de la transformation (Economica, Parigi, 1980).

[9] Duncan K. Foley, The Value of Money, The Value of Labour Power and the Marxian Transformation Problem, Review of Radical Political Economics 14, 37 (1982).

[10] A. Sinha, Listen to Sraffa's silences: a new interpretation of Sraffa's production of commodities, Cambridge Journal of Economics 36, 1323 (2012).

[11] G. Chiodi e L. Ditta (editori), Sraffa or an alternative economics (Palgrave Macmillan, Basingstoke & New York, 2008).

 

 

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