La trasformazione marxiana dei valori in prezzi e la sua “Nuova Interpretazione” (esposizione divulgativa con un’appendice sulla SSSI e la TSSI)
Perché è importante “fare le pulci” alla teoria del valore-lavoro?
Prefazione “volgarizzata”
Perché noi, che ci consideriamo socialisti scientifici, siamo convinti, come sostenuto dalla teoria del valore-lavoro, che il lavoro umano aggiunga valore a ciò che è prodotto e scambiato (ovvero le merci) e che di una parte di questo valore si approprino un gruppo limitato di persone nel nome del denaro che usano per innescare il processo produttivo stesso, in altri termini nel nome del capitale. Tale parte è generalmente nota come “plusvalore”. Con questa appropriazione quindi il lavoro umano è trattato come qualsiasi altra merce divenendo così “forza-lavoro” reificata (ossia trattata come una cosa materiale). Ma la forza-lavoro ha due peculiarità, ovvero: (1) che deve essere pagata in anticipo e non dopo la vendita dei prodotti; (2) che è equivalente al valore delle merci necessarie a sostenerla e riprodurla.
Detto questo, nel caso in cui si constati che una o più assunzioni della teoria del valore-lavoro non siano valide, la teoria deve essere rigettata, in parte o completamente. Una delle sue assunzioni è che il totale dei valori generati e cristallizzati durante la produzione sia uguale al totale dei prezzi di produzione stessi. L’altra dice che il totale dei plusvalori estorti durante la produzione sia uguale al totale dei profitti goduti dai capitalisti. A questo punto è evidente che il problema della trasformazione dei valori in prezzi ha senso in quanto, se non risolto, minerebbe la veridicità della teoria del valore-lavoro. Il problema della trasformazione è apparso evidente dopo la pubblicazione postuma del III volume de “Il Capitale” di Marx. Due neoricardiani ante litteram, Tugan-Baranovskij e Bortkiewicz, sono quelli che per primi capirono l’incompatibilità tra le due equazioni di Marx e la stazionarietà del sistema economico. Queste critiche sono state sufficienti per molti a rigettare buona parte dell’analisi marxiana dell’economia e le sue implicazioni.
Infatti, se la teoria del valore-lavoro fallisce in un suo aspetto cade il concetto stesso di appropriazione “indebita” che il capitalista fa ogni qual volta investe in un’attività economica. Viene meno il principio secondo il quale il lavoro genera valore e tale valore è uguale alla somma del valore di scambio delle materie prime utilizzate (costi fissi) e del valore di scambio della forza-lavoro impiegata (costi variabili), più un sovrappiù (il plusvalore), una sorta di interesse che riscuote chi ha anticipato il capitale. Venendo meno questo fatto, allora si può dire ai lavoratori i quali si lamentano di essere sfruttati, che tutto sommato dovrebbero solo ringraziare chi permette loro di raggranellare un salario e che, se sono abbastanza fortunati o capaci, possono sempre cercare di lavorare in settori più remunerativi. La stessa lotta di classe diviene una questione di più o meno fortuna e intraprendenza. Secondo noi questa analisi non corrisponde alla realtà.
Quindi il fatto che i prezzi complessivi di più settori industriali (chiamiamoli “aggregati”) siano uguali ai valori aggregati di più settori industriali, e che il profitto aggregato sia uguale al plusvalore aggregato ha una serie di implicazioni fondamentali. Ovvero che la nostra lotta di classe è giustificata sia sul piano delle pari opportunità, sia su quello che vede l’attuale sistema di produzione capitalista come un furto legalizzato, e infine sul quello della lotta per un sistema socioeconomico nuovo, associativo e comune.
Se la prima di queste due equazioni, come originariamente esposte da Marx, è attaccabile, proprio perché i valori aggregati non risultano rigorosamente identici ai prezzi aggregati, con la Nuova Interpretazione il problema viene risolto trascurando il valore aggregato e il prezzo aggregato dei costi fissi (la cui somma non è più coincidente), concentrandosi su quelli variabili e sul plusvalore. Ciò permette ancora di parlare coerentemente in termini di lavoro, valore, plusvalore e profitto. Tale soluzione è ottenuta imponendo che il prezzo e il valore della forza-lavoro coincidano sempre e comunque, non solo dopo l’aggregazione, ma anche in ogni singolo settore produttivo. Naturalmente non tutti gli economisti marxisti accettano questa Nuova Interpretazione in quanto essa implica che la trasformazione dei valori in prezzi non sia "neutra" rispetto al salario reale dei lavoratori (i beni e i servizi da essi effettivamente fruiti), ma, all'opposto, induca un certo piccolo trasferimento dai lavoratori ai capitalisti, o viceversa, a seconda dei casi.
Vi sono stati anche altri tentativi di mostrare la validità della teoria del valore-lavoro. Due importanti esempi sono l’Interpretazione Simultanea di Singolo Sistema e l’Interpretazione Temporale di Singolo Sistema. Quest’ultima considera il problema della trasformazione dei valori in prezzi come un non-problema in quanto i prezzi di costo di quando inizia il processo produttivo non devono essere necessariamente gli stessi di quando il processo produttivo si è concluso con la vendita del prodotto. Diventando così l’equazione “valori di oggi = prezzi di domani”, una contraddizione in termini. Il problema di quest'ultima teoria temporale è che in questo modo non definisce dei i veri e propri prezzi di produzione delle merci dando così il fianco ai detrattori della teoria del valore-lavoro.
Cesco e D.C.
Buona lettura:
La trasformazione marxiana dei valori in prezzi e
la sua “Nuova Interpretazione”
(esposizione divulgativa con un’appendice sulla SSSI e la TSSI)
I. Introduzione
La questione della trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione nell’ambito del sistema economico marxiano è ormai lunga quasi centocinquant’anni e ha accompagnato le fortune e le sfortune del marxismo teorico in tutte le vicissitudini della storia del movimento operaio e socialista. Per tale motivo non possiamo neppure tentare di esporla cronologicamente in queste brevissime note, rimandando le persone interessate a una descrizione, seria ma divulgativa, del problema alla pagina italiana di Wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_della_trasformazione_dei_valori_in_prezzi_di_produzione .
In quel che segue proveremo invece a fornire le idee basilari del problema come formulato per la prima volta da Karl Marx nel III volume de “Il Capitale” [1] (sez. II e sez. III), come rivisto criticamente dalla scuola economica neoricardiana (sez. IV) e, in fine, come sistematizzato dai principali teorici della scuola marxista nota come “Nuova Interpretazione” (sez. V). Qualche breve conclusione (sez. VI) terminerà queste note proponendo spunti di approfondimento per chi fosse interessato all’importante tematica della trasformazione dei valori in prezzi da un punto di vista più completo e matematicamente rigoroso. L’unica precisazione che ci resta da fare è quella relativa al livello basilare di conoscenza dell’economia marxista richiesta al lettore: daremo per scontata una superficiale familiarità con i concetti espressi da Marx nel I volume de “Il Capitale” [2] quali: il valore d’uso e il valore di scambio, il lavoro astratto, la differenza tra lavoro e forza-lavoro, il capitale costante e quello variabile, il plusvalore e pochissimo altro, come ottimamente spiegato nel “Riassunto del Capitale” scritto da Friedrich Engels nel 1868, ma pubblicato solo nel 1929:
https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1867/capitale/e-riassunto.htm .
II. Marx e la trasformazione dei valori in prezzi
Come abbiamo appena accennato nell’introduzione, la trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione è un problema teorico di economia politica che emerge spontaneamente come conseguenza della teoria del valore-lavoro, ovvero quella dottrina economica sostenuta dai grandi studiosi “classici” del XVIII e XIX secolo (principalmente Adam Smith, David Ricardo, John Stuart Mill e Karl Marx) che assegna un valore di scambio a una qualsiasi merce basandosi sulla quantità di lavoro astratto (il lavoro considerato in genere, facendo astrazione dalle caratteristiche delle diverse attività lavorative concrete), socialmente necessario in un dato contesto capitalistico, usato per produrre tale merce, sommato ovviamente al valore di scambio delle materie componenti e della parte usurata dei macchinari impiegati. In formule, l’equazione della produzione capitalista di merci mediante lavoro sarà scritta semplicemente come:
w = c + l , (1)
dove w è il valore di scambio della merce prodotta, c è il capitale costante (ovvero il valore di scambio delle materie prime, dell’usura dei macchinari e di altre spese fisse compiute dal capitalista), mentre l è il lavoro astratto, espresso in ore, necessario al processo produttivo. Ne consegue logicamente che i valori di scambio di tutte le merci fabbricate in un dato contesto capitalistico sono intrinsecamente delle quantità temporali, ovvero rappresentano il numero di ore lavorate da un ipotetico lavoratore medio. La grande scoperta di Marx, ignota ma in qualche modo subodorata da alcuni suoi predecessori (per esempio, Thomas Hodgskin e Karl Rodbertus), fu quella della suddivisione del lavoro l in capitale variabile v e plusvalore s:
w = c + v + s , (2)
dove il primo, v, rappresenta il valore di scambio del salario ricevuto dai lavoratori in questione, mentre il secondo, s, il tempo di lavoro di cui si appropria necessariamente il capitalista per trasformarlo in profitto. Ma come è possibile dividere rigorosamente una giornata di lavoro di un lavoratore medio coinvolto nella produzione della nostra merce? Marx risolse brillantemente nel I volume de “Il Capitale” [2] un problema che aveva diviso alcuni importanti economisti accademici britannici del XIX secolo coinvolti nell’acceso dibattito sulla durata massima delle giornate lavorative degli operai industriali. Immaginando che i nostri lavoratori spendano tutto il loro salario ricevuto comperando beni, quindi merci, dotati di un certo valore di scambio espresso in ore di lavoro astratto, il plusvalore emerge naturalmente come differenza tra il lavoro astratto erogato dal lavoratore per il suo sforzo e quello contenuto nelle merci comperate e quindi, supponendo sempre uno scambio di valori equivalenti (principio di equivalenza), nella paga ricevuta. In formule proprio: s = l - v.
Marx, studiando le statistiche del periodo precedente alla stesura del I volume de “Il Capitale” [2] del 1867, si avvide che, nonostante piccole differenze tra i diversi rami industriali, il rapporto s / v (che battezzò saggio di plusvalore, m) era all’incirca costante nel contesto capitalistico a lui contemporaneo. Questo gli apparve naturale in quanto i lavoratori, che nel sistema capitalista godono almeno della libertà di licenziarsi (e di esser licenziati), sarebbero fluiti in massa nei settori con minor saggio di plusvalore (ossia, con paghe migliori rispetto alle ore effettivamente lavorate) disertando tutti gli altri. Al contrario, l’economista di Treviri notò anche che il rapporto c / v (che battezzò composizione organica del capitale, q) variava in maniera significativa tra i diversi rami industriali a causa del differente grado di tecnologia utilizzato, con livelli piuttosto elevati nel settore chimico e in quello siderurgico, medi nel tessile e nell’alimentare, alquanto bassi in agricoltura e nell’industria delle costruzioni.
Questa duplice scoperta comportava di per sé, e Marx ne fu perfettamente cosciente già prima del 1867, anticipando così le critiche dei marginalisti successive al 1870, un grosso problema teorico che cercheremo di spiegare in modo semplice. Il capitalista del nostro esempio, terminata la fase produttiva, entra legalmente in possesso di un quantitativo di merce dotata di valore di scambio w, la vende realizzando un ricavo monetario che avrà lo stesso valore di scambio della merce in oggetto. Ciò accade sempre in base al citato principio di equivalenza il quale, secondo gli economisti classici, assicura che nella compravendita di tutte le merci si scambino in media valori uguali, in quanto tutte le possibili fluttuazioni dei prezzi di mercato vengono sui grandi numeri livellate e ridotte a zero. Per quanto riguarda poi il valore di scambio della moneta, argomento che attualmente sarebbe piuttosto complesso, va detto che in Gran Bretagna ai tempi di Marx esso non costituiva affatto una difficoltà, in quanto in regime di rigorosa parità aurea (gold standard) si risolveva nel banale valore di scambio della merce oro: 1 sterlina britannica uguale a 0.235421 once (7.3234 grammi) d’oro a 22 carati (92% di purezza). Una volta in possesso del suo ricavo il nostro capitalista potrà agevolmente calcolare il suo profitto, π, sottraendo le spese già anticipate per il capitale fisso c e i salari v. In termini di valori di scambio abbiamo semplicemente: π = w – c – v = s. Non sorprendentemente la teoria marxiana del I volume de “Il Capitale” [2] implica che il profitto sia soltanto l’espressione monetaria del plusvalore. Tuttavia, nel mondo degli affari, anche allo scopo di valutare la convenienza di un certo investimento, si preferiva (e si preferisce ancora oggi) ragionare in termini percentuali utilizzando il cosiddetto tasso di profitto netto, r. Esso rappresenta il rapporto tra il profitto ottenuto e il capitale investito: r = s / ( c + v ). Con pochi passaggi matematici possiamo convincerci che il profitto è dato quindi dall’importante equazione:
r = s / [ v ( q + 1 ) ] = m / ( q + 1 ) , (3)
che lo lega rigidamente alla composizione organica e al saggio di plusvalore. Sicché, l’uniformità di m e la disuniformità di q nei vari rami industriali implicano necessariamente una disuniformità anche di r, con un tasso di profitto netto basso nei settori ad alta composizione organica (per esempio, la siderurgia) e, viceversa, alto nei settori a bassa composizione organica (per esempio, l’edilizia). Tuttavia, già dai tempi di Ricardo era ben nota la tendenza al livellamento del tasso di profitto, dovuta alla semplice ragione che tramite rapidi disinvestimenti i capitalisti abbandonerebbero subito i settori a basso valore di r per investire in quelli a più alto valore; ma così facendo aumenterebbero la concorrenza in tali settori più redditizi e dunque andrebbero ad abbassare i tassi di profitto più elevati a causa della caduta dei prezzi di mercato. Tale moto incessante di investimenti e disinvestimenti, che avviene quotidianamente ancora oggi nelle Borse di tutto il mondo, fa sì che in media un certo contesto capitalistico sia caratterizzato da un unico valore di r, in contraddizione con l’Eq. (3).
Marx si convinse presto della necessità di abbandonare, almeno parzialmente, il principio di equivalenza, la parte forse più filosofica e meno empirica della teoria del valore-lavoro, postulando dunque una possibile differenza tra il cosiddetto prezzo di produzione p e il valore di scambio w:
(4)
e quindi anche tra il profitto e il plusvalore: π ≠ s. La compravendita delle merci avverrebbe ora in base al prezzo di produzione e non garantirebbe quindi lo scambio di prodotti dello stesso valore. Ma come determinare p e π a partire da w e s ? E soprattutto, come mantenere in vita il nocciolo irrinunciabile della teoria del I volume de “Il Capitale” [2], secondo la quale alla base del valore economico vi è sempre del lavoro astratto (lavoro “morto” nei beni capitali e lavoro “vivo” nella forza-lavoro), e alla base del profitto vi è sempre del plus-lavoro, ossia del lavoro non retribuito?
La risposta a queste due domande Marx la formulò esplicitamente nella 2a parte del III volume de “Il Capitale” [1] (pubblicato postumo da Engels soltanto nel 1894), la quale venne scritta quasi certamente nel periodo 1864-1865. La soluzione escogitata per accordare la teoria del valore-lavoro al livellamento del tasso di profitto si basava su una visione globale del sistema economico: non più una singola impresa in un determinato ramo industriale, ma numerose aziende (diciamo, n) rappresentative di tutti i settori produttivi di un certo contesto capitalistico. La prima operazione concettuale dell’economista di Treviri fu appunto quella di stimare le quantità economiche “aggregate” (indicate in queste note da una lettera maiuscola), ossia relative alle n aziende rappresentative, mediante una semplice somma. Per esempio, per il prezzo aggregato si avrà:
P = p1 + p2 + p3 + … + pn , (5)
e analogamente per il valore aggregato W, il profitto aggregato Π, il plusvalore aggregato S ecc. Secondariamente venne postulata la validità della teoria del valore-lavoro su scala globale mediante le prime due cosiddette identità fondamentali marxiane:
P = W ; (6a)
Π = S , (6b)
da intendersi così: (a) la somma di tutti i prezzi di produzione (espressi in ore di lavoro astratto) delle merci fabbricate in un determinato periodo in un certo sistema economico capitalistico eguaglia la somma di tutti i valori di scambio di tali merci; (b) la somma di tutti i profitti (espressi in ore di lavoro astratto) realizzati in un determinato periodo in un certo sistema economico capitalistico eguaglia la somma di tutti i plusvalori estratti nello stesso periodo. Data l’esistenza di un unico tasso di profitto netto, ricordando che per le quantità aggregate C + V = W - S, ne deriva necessariamente la terza identità fondamentale marxiana:
r = Π / ( P – Π ) = S / ( W – S ) . (6c)
Una volta determinato r, è immediato associare un qualsiasi prezzo e un qualsiasi profitto di non importa quale ramo industriale i mo, ai relativi valori di scambio e plusvalori{a}:
pi = ( 1 + r ) ( wi - si ) ; (7a)
πi = r ( wi - si ) . (7b)
È proprio questa la trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione secondo l’approccio marxiano.
Checché se ne possa pensare [e vedremo nelle prossime sezioni le dure critiche dei neoricardiani alle Eqq. (4), (6) e (7)], non bisogna credere che la soluzione marxiana appena esposta fosse per l’autore solo un semplice trucco per salvare in qualche modo la teoria economica contenuta nel I volume de “Il Capitale” [2] dalle aporie del livellamento del tasso di profitto. All’opposto, per Marx il trasferimento (del tutto involontario) di una parte del plusvalore dai settori a bassa composizione organica verso quelli a maggiore composizione organica mediante la formazione di un prezzo di produzione distinto dal valore di scambio, è solo il primo anello di un gigantesco processo di redistribuzione del plusvalore nell’intera società (cfr. le parti dalla 4a alla 7a del III volume de “Il Capitale” [1]). Come il sangue che circola nel corpo umano fornendo nutrimento a tutti i tessuti, così il plusvalore, estratto dai soli lavoratori dei settori produttivi, viene inizialmente redistribuito tra i capitalisti di tali settori in ragione inversa al valore di q del ramo industriale considerato; ma poi fluisce all’esterno raggiungendo gli altri settori capitalistici: quello commerciale, quello bancario, quello assicurativo e in ultimo quello finanziario. Ma la circolazione del plusvalore non si ferma alla sola classe imprenditoriale incontrando anche ceti sociali totalmente parassitici: tramite la rendita fondiaria perviene ai proprietari terrieri, tramite le tasse e le imposte agli alti burocrati di Stato ecc. In somma, nel geniale affresco marxiano la circolazione del plusvalore al livello mondiale rende tutta la classe dominante globalmente sfruttatrice (in senso scientifico e non esclusivamente morale) di tutta la classe lavoratrice, e non più il singolo gruppo di lavoratori sfruttato dal solo proprietario dell’impresa presso cui hanno la ventura di lavorare.
III. Marx anticipatore dei modelli input-output
Prima di addentrarci nelle critiche all’approccio marxiano della trasformazione dei valori in prezzi, abbiamo bisogno di un piccolo salto all’indietro, precisamente al 1885, due anni dopo la morte di Marx, quando Engels pubblicò il II volume de “Il Capitale” [3], basato sugli appunti marxiani del periodo 1863-1878. Si tratta di un’opera totalmente dedicata al cosiddetto “processo di circolazione del capitale”, ovvero alle idee principali alla base del mercato capitalista e di come vengono realizzati in termini monetari i valori di scambio e i plusvalori mediante la compravendita delle merci. Ovviamente non abbiamo nessuna intenzione di discutere di queste complesse questioni nelle nostre brevi note, se non per un singolo aspetto: gli schemi di riproduzione descritti nella 3a parte del II volume de “Il Capitale” [3] dove Marx anticipa di quasi un secolo l’econometria e i suoi modelli input-output dovuti principalmente a John von Neumann, Vassily Leontief e Piero Sraffa [4]. Lo scopo palese era quello di studiare un modello estremamente semplificato del sistema capitalistico in cui però fossero già evidenti i legami strettissimi tra i vari settori produttivi, veri e propri vincoli, stabiliti dalle tecniche in uso ma realizzati sul mercato, secondo i quali i prodotti (output) di un determinato settore diventavano essenziali fattori produttivi (input) di un altro. È del tutto ovvio che Marx aveva anche un secondo fine nella sua ricerca, in quanto si stava domandando se il carattere essenzialmente “anarchico” della produzione capitalistica non potesse essere almeno una delle cause delle sue crisi ricorrenti mediante il meccanismo del “disproporzionamento”, ossia della perdita di armonia tra i vari settori, per cui alcuni degli input non sarebbero più stati disponibili nelle giuste proporzioni provocando una sorta d’inceppamento del sistema.
Iniziamo la nostra spiegazione divulgativa con il cosiddetto modello di riproduzione semplice a due settori, dove il primo settore, 1, rappresenta la fabbricazione dei mezzi di produzione,
mentre il secondo settore, 2, riguarda la produzione dei beni di consumo. I vari cicli (diciamo, annuali) del sistema economico riportato in questo schema si susseguono uno dopo l’altro, ma come vedremo tra poco, non giocheranno alcun ruolo. Quindi per ciascun settore esiste una terna di valori: c1, v1, s1 e c2, v2, s2 che, come si è visto nella sezione precedente, rappresentano rispettivamente il capitale costante, il capitale variabile e il plusvalore prodotti dal settore prescelto. Il valore di scambio della produzione annuale di merci per singolo settore, w1 o w2, sarà dunque dato semplicemente dalla somma delle tre componenti appena citate:
w1 = c1 + v1 + s1 ; (8a)
w2 = c2 + v2 + s2 . (8b)
Qui la teoria del valore-lavoro si applica in modo inflessibile: le merci sono vendute esattamente al loro valore e non sussiste alcun tasso di profitto valido al livello generale, in quanto il problema della trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione non è stato ancora affrontato. Inoltre, sono presenti nel modello altre due ipotesi semplificatrici. In primo luogo, il saggio di plusvalore, m, è uguale in entrambi i settori e costante nel corso degli anni:
m = s1 / v1 = s2 / v2 . (9)
Secondariamente, la composizione organica può variare da un settore all’altro (in generale quindi q1 ≠ q2), ma deve essere costante nel corso degli anni (ossia non c’è progresso tecnico):
(10)
In questo modo la conoscenza della coppia (v1, v2) specifica tutti i dettagli del sistema, dato che m, q1 e q2 sono costanti positive fissate inizialmente. A questo livello la domanda posta da Marx potrebbe essere la seguente: “Quali sono le condizioni che la coppia (v1, v2) deve soddisfare per garantire la riproduzione semplice del sistema?”.
Ma cosa intende il nostro autore con il termine “riproduzione semplice”? Intende la stazionarietà del sistema modello, ovvero il fatto che ogni ciclo produttivo si dipani esattamente uguale al precedente. Questo è possibile solo se in ogni ciclo le produzioni annuali di merci per singolo settore, w1 and w2, sono completamenti consumate: w1 per rimpiazzare tutto il capitale costante c1 + c2, mentre w2 per alimentare i salari dei lavoratori, v1 + v2, assieme ai plusvalori degli imprenditori, s1 + s2. Riportato in formule si ha:
c1 + v1 + s1 = c1 + c2 ; (11a)
c2 + v2 + s2 = v1 + s1 + v2 + s2 . (11b)
La soluzione formale di questo quesito può essere ottenuta rapidamente scrivendo tutte le quantità appena citate come funzioni dei capitali variabili, usando un po’ di algebra elementare e risolvendo il seguente sistema di equazioni lineari dove le incognite sono proprio la coppia (v1, v2):
(12)
Esiste un’unica soluzione (oltre quella banale priva di senso economico: v1 = v2 = 0) per il sistema in Eq. (12) ed è data da: (v1 = k , v2 = k ( 1 + m ) / q2 ), dove k è una costante arbitraria di scala associata alla grandezza complessiva del sistema economico in esame{b}. Abbiamo quindi trovato che la condizione iniziale per il modello di riproduzione semplice a due settori con m, q1 e q2 fissati è:
v1 / v2 = q2 / (1 + m ) , (13)
che coincide con quanto scoperto nel II volume de “Il Capitale” [3] da Marx: c2 = v1 + s1, nota come condizione di riproduzione semplice basata sul valore (VSRC in inglese) per un modello a due settori{c}.
Naturalmente è possibile applicare il ragionamento marxiano a modelli di riproduzione semplice più elaborati, ossia con più settori produttivi in modo da renderli via via maggiormente realistici. Ma è ovvio che il prezzo da pagare è il rapido aumento di complessità matematica che ben presto esula dall’algebra elementare per coinvolgere metodi matriciali avanzati che ai nostri scopi non interessano. Tuttavia, sarà molto importante per tutto il resto di queste note un modello basato su tre settori, in cui il primo fabbrica i mezzi di produzione per tutti e tre: w1 = c1 + c2 + c3; il secondo produce i mezzi di sostentamento frugali che vengono consumati dai lavoratori: w2 = v1 + v2 + v3. I capitalisti invece hanno il consumo esclusivo dei beni di lusso del terzo settore: w3 = s1 + s2 + s3. Messo in formule si ha:
c1 + v1 + s1 = c1 + c2 +c3 ; (14a)
c2 + v2 + s2 = v1 + v2 + v3 ; (14b)
c3 + v3 + s3 = s1 + s2 + s3 . (14c)
Le VSRC del nostro nuovo modello si possono sempre ricercare considerando che m, q1, q2 e q3 sono costanti e che quindi tutto è determinato dalla conoscenza di (v1, v2, v3). Questo permette di scrivere un sistema analogo all’Eq. (12), ma ora composto da tre equazioni lineari con tre incognite:
(15)
la cui soluzione è data dalla seguente terna contenente la costante di scala k che già conosciamo:
(16)
A questo punto è forse utile un esempio numerico concreto (cfr. Tab. I) per capire meglio il senso del concetto di stazionarietà nel nostro schema di riproduzione semplice. Si tratta del modello in sterline britanniche suggerito dall’economista Mikhailo Tuhan-Baranovskyi (meglio noto come Mikhail Tugan-Baranovsky) [5] nel 1905.
Tab. I. Esempio di schema di riproduzione semplice a tre settori. I colori verde, azzurro e giallo evidenziano la condizione di stazionarietà rispettivamente per i settori 1, 2 e 3.
Si può verificare nella Tab. I che l’Eq. (16) è rispettata ponendo k =54 £, in quanto abbiamo:
(17)
La stazionarietà del sistema si può poi vedere dalle tre uguaglianze: c1 + c2 + c3 = w1 (verde), v1 + v2 + v3 = w2 (azzurro) e s1 + s2 + s3 = w3 (giallo). Ovvero, i beni prodotti nelle tre categorie sono totalmente ed esattamente consumati lasciando lo schema in una situazione di equilibrio. Si noti come con m costante nei tre settori e q molto diverse, i tassi di profitto r siano e rimangano difformi in quanto il livellamento del saggio di profitto non è qui contemplato.
IV. Le critiche alla trasformazione marxiana dei valori in prezzi
Come spiegato in dettaglio in molti testi di storia del pensiero economico o di argomento affine [6], poco tempo dopo la pubblicazione postuma nel 1894 del III volume de “Il Capitale” [1], dove Engels finalmente rivelava il metodo della trasformazione marxiana dei valori di scambio in prezzi di produzione (dopo averla preannunciata già nel 1885 nella prefazione al II volume), iniziarono le critiche a questo procedimento che molti economisti avevano ritenuto del tutto impossibile. Non abbiamo ovviamente né lo spazio né l’intenzione di ricostruire il dibattito tra marxisti, neoricardiani e marginalisti che si dipanò in quel periodo, per riprendere poi nei decenni successivi fino alla data convenzionale del 1977, anno di pubblicazione del noto testo di Ian Steedman [7] che in un certo senso pose termine a tale conflitto, o almeno alla sua prima fase. Ci limiteremo quindi a seguire le critiche prodotte dall’economista Ladislaus Bortkiewicz nel 1906-1907 [8] perché sono sufficientemente chiare e, soprattutto, non necessitano di strumenti matematici avanzati come invece è il caso del metodo di Sraffa e del suo allievo Steedman.
Bortkiewicz venne a contatto nel 1905 con le critiche di Tugan-Baranovsky [5] al metodo marxiano di trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione e ne condivise una larga parte, cercando però di renderle più solide e rigorose. L’idea di partenza è molto semplice: se l’effetto del livellamento del saggio di profitto è, come sostiene Marx, la redistribuzione del plusvalore tra i capitalisti, con un flusso netto dai proprietari di imprese a bassa composizione organica verso quelle a valori di q più elevati, allora un modello di riproduzione semplice a tre settori, dove compaiono i consumi aggregati di tutti i capitalisti, dovrebbe adattarsi perfettamente al metodo marxiano di formazione dei prezzi. In altre parole, se lo schema di Tab.
I è stazionario per i valori di scambio, dovrebbe rimanere tale anche per i prezzi di produzione calcolati nel modo suggerito da Marx. Non restava quindi che provare, ottenendo i risultati negativi riportati in Tab. II. Le tre identità fondamentali marxiane (viste nella sez. II) sono ovviamente soddisfatte per costruzione:
w1 + w2 + w3 = p1 + p2 + p3 = 875,00 £ ; (18a)
s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3 = 200,00 £ ; (18b)
r = ( s1 + s2 + s3 ) / ( w1 + w2 + w3 - s1 - s2 - s3 ) = 29,629% . (18c)
Tuttavia, il sistema ha perso completamente la sua stazionarietà:
(19a)
(19b)
(19c)
in quanto i capitalisti, con un profitto complessivo di 200,00 £, possono comperare tutte le merci di lusso ora in vendita a 181,48 £, rimanendo con un surplus di 18,52 £. La stessa cosa per i lavoratori, che guadagnano collettivamente 300,00 £ e possono comperare tutte le merci frugali adesso in vendita a sole 285,19 £, rimanendo con un surplus di 14,81 £. Al contrario i mezzi di produzione rincarano complessivamente di 33,33 £, passando da 375,00 a 408,33 £, ma i capitalisti non sono in grado di sostenere questo ulteriore esborso negli investimenti per il capitale costante in quanto il loro surplus è notevolmente minore. Alcuni prodotti intermedi (ossia mezzi di produzione) rimangono quindi invenduti, del denaro resta non speso e il sistema s’inceppa poiché si è perso l’equilibrio economico.
Tab. II. Esempio della trasformazione dei valori in prezzi nello schema di riproduzione semplice a tre settori di Tab. I, sviluppato secondo la procedura di Marx. Le tre identità fondamentali marxiane sono chiaramente soddisfatte: w1 + w2 + w3 = p1 + p2 + p3 = 875,00 £ (giallo), s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3 = 200,00 £ (azzurro), r = ( s1 + s2 + s3 ) / ( w1 + w2 + w3 - s1 - s2 - s3 ) = 29,629%. Tuttavia, il sistema ha perso completamente la sua stazionarietà: p1 = 408,33 £ ≠ c1 + c2 + c3 = 375,00 £ (fucsia), p2 = 285,19 £ ≠ v1 + v2 + v3 = 300,00 £ (grigio), p3 = 181,48 £ ≠ π1 + π2 + π3 = 200,00 £ (verde).
A questo punto, dimostrata l’inapplicabilità della procedura marxiana a uno dei più elementari schemi di riproduzione semplice possibili, Bortkiewicz si sforzò di entrare nel meccanismo di Marx per scoprirne gli errori. Ne identificò principalmente due che in realtà erano già stati in qualche modo evidenziati dall’economista marginalista Eugen Böhm-Bawerk [9] nel 1896: (i) i costi degli input non vengono trasformati da valori a prezzi, mentre quelli degli output sì. Questo non è corretto perché la condizione di stazionarietà prescrive che vengano trattati allo stesso modo, in quanto gli output di un ciclo sono esattamente gli input del ciclo successivo; (ii) il profitto è calcolato con i valori: πi = r ( ci + vi ) e non con i prezzi, ma in realtà gli imprenditori, sia per l’investimento iniziale sia per il ricavo finale, hanno a che fare sempre e soltanto con prezzi.
Tuttavia, a differenza di Böhm-Bawerk che giudicò queste due inconsistenze più che sufficienti per liquidare l’intero pensiero economico marxiano, Bortkiewicz, da fine matematico quale fu, si propose di emendarle in modo da arrivare alla “corretta trasformazione dei valori in prezzi”, benché in cuor suo considerasse il metodo di Marx come alquanto superato rispetto alle nuove tendenze economiche, specie quelle dell’equilibrio economico generale di Léon Walras e Vilfredo Pareto che attraevano il suo vivace interesse. L’approccio di Bortkiewicz al problema della trasformazione nel quadro della stazionarietà dello schema è concettualmente molto semplice. Si definisca il fattore trasformante Xi come il rapporto Xi = pi /wi , che quindi sarà indicato da X1 per i mezzi di produzione, da X2 per i beni di consumo frugali e da X3 per quelli di lusso. Si faccia poi uso di una corretta definizione del profitto, usando prezzi e non valori: πi = r ( X1 ci +X2 vi ). Si scrivano infine le equazioni di stazionarietà che eguagliano i prezzi degli input e degli output:
( 1 + r ) ( X1 c1 + X2 v1 ) = w1 X1 = ( c1 + c2 + c3 ) X1 ; (20a)
( 1 + r ) ( X1 c2 + X2 v2 ) = w2 X2 = ( v1 + v2 + v3 ) X2 ; (20b)
( 1 + r ) ( X1 c3 + X2 v3 ) = w3 X3 = ( s1 + s2 + s3 ) X3 . (20c)
Abbiamo ottenuto un sistema di tre equazioni lineari con quattro incognite: X1, X2, X3 e r. Non possiamo entrare troppo nei tecnicismi algebrici, ma questo tipo di sistemi di equazioni è detto omogeneo in Xi (cioè tutti gli addendi contengono un Xi) e, nel nostro caso, fornisce una soluzione definita per il tasso di profitto netto r, mentre per i tre fattori trasformanti ammette la libertà di una costante di scala arbitraria b il cui inverso (1 / b) è detto numerario o unità di misura del prezzo{d}. In altre parole, se ( X1, X2, X3, r ) sono un insieme di quattro numeri che è soluzione del sistema delle Eqq. (20a-c), allora anche ( b X1, b X2, b X3, r ) sarà una soluzione valida, per ogni b positivo. Si noti anche come r non cambi nei due casi.
Bortkiewicz a questo punto ebbe l’idea di determinare anche b in modo univoco inserendo nel sistema appena descritto una delle prime due identità fondamentali marxiane. Scelse la seconda, relativa al profitto aggregato; avrebbe potuto liberamente scegliere la prima (relativa ai prezzi aggregati), ma assolutamente non la terza, in quanto nel modello di Tugan-Bortkiewicz r non si può scegliere e, in generale, differisce dal tasso di profitto netto determinato da Marx. Naturalmente il nostro economista russo-tedesco fece notare come non ci fosse posto per due equazioni supplementari, in quanto queste avrebbero dato luogo a un sistema, generalmente impossibile da risolvere, con cinque equazioni e quattro incognite. Era la dimostrazione matematica dell’impossibilità del metodo marxiano di trasformazione dei valori in prezzi. Tornando all’equazione supplementare, espressione della seconda identità fondamentale marxiana, notiamo che questa venne riformulata così:
r [ X1 (c1 + c2 + c3) + X2 (v1 + v2 + v3) ] = s1 + s2 + s3 , (20d)
ossia la somma di tutti i profitti, calcolati correttamente dai prezzi, eguaglia la somma dei plusvalori. Invece di fornire le lunghe formule generali per ( X1, X2, X3, r ), dove ora non vi è alcuna costante arbitraria di scala, è molto più istruttivo vedere i risultati di Bortkiewicz (cfr. Tab. III) applicati al nostro modello numerico di Tab. I. La prima e la terza identità fondamentali
marxiane non sono ovviamente soddisfatte: w1 + w2 + w3 ≠ p1 + p2 + p3 e r ≠ ( s1 + s2 + s3 ) / ( w1 + w2 +w3 - s1 - s2 - s3 ) = 29,629%, mentre la seconda lo è per costruzione: s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3. Ma quello che è più importante è che il sistema abbia preservato completamente la sua stazionarietà dato che ora anche i costi di input sono stati trasformati: ( c1 + c2 + c3 ) X1 = p1, ( v1 + v2 + v3 ) X2 = p2, ( s1 + s2 + s3 ) X3 = p3. Si noti che, data la scelta della seconda identità fondamentale marxiana come equazione supplementare, in ogni caso abbiamo che X3 = 1, ossia le merci di lusso sono completamente acquistate dai capitalisti spendendo tutti i loro profitti, π1 + π2 + π3.
Il problema della trasformazione dei valori di scambio in prezzi poteva dirsi finalmente risolto, ma al costo, evidente fin da subito, di abbandonare uno dei capisaldi della teoria del valore-lavoro: l’eguaglianza, almeno al livello globale aggregato, tra prezzi (espressi in ore di lavoro astratto) e valori di scambio. Sembrava quindi possibile creare una certa dose di ricchezza, ossia merci con prezzi, senza che dietro vi fosse del corrispondente valore-lavoro. Viceversa, scegliendo una diversa equazione supplementare, per esempio la prima identità fondamentale marxiana nella forma:
( 1 + r ) [ X1 C + X2 V ] = C + V + S , (21)
dove, come nella sez. II, C = c1 + c2 + c3 , V = v1 + v2 + v3 e S = s1 + s2 + s3, sarebbe stato un altro punto essenziale del pensiero economico marxiano a essere abbandonato: l’eguaglianza, almeno al livello globale aggregato, tra profitti (espressi in ore di lavoro astratto) e plusvalori. Sarebbe apparso quindi possibile creare una certa dose di profitto, senza che dietro vi fosse del corrispondente plusvalore estratto dal lavoro “vivo”, con buona pace della teoria marxista dello sfruttamento.
Tab. III. Esempio del metodo di Bortkiewicz applicato allo schema di riproduzione semplice a tre settori della Tab. I. La prima e la terza identità fondamentali marxiane non sono ovviamente soddisfatte: w1 + w2 + w3 ≠ p1 + p2 + p3 e r ≠ ( s1 + s2 + s3 ) / ( w1 + w2 +w3 - s1 - s2 - s3 ) = 29.629%, mentre la seconda lo è per costruzione: s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3 (azzurro). Ciò che è importante è che il sistema ha preservato completamente la sua stazionarietà dato che ora anche i costi di input sono stati trasformati: ( c1 + c2 + c3 ) X1 = p1 (fucsia), ( v1 + v2 + v3 ) X2 = p2 (grigio), e ( s1 + s2 + s3 ) X3 = p3 (verde).
Ma con il passare degli anni e soprattutto a seguito dei lavori di Sraffa [10] del 1960, emerse un aspetto ancora più radicale del cosiddetto approccio “neoricardiano”, contenuto in nuce già nello studio di Bortkiewicz su Marx del 1906-1907, ma di cui purtroppo non possiamo fornire molti dettagli. Ci limitiamo a ricordare che, utilizzando il metodo sraffiano, Steedman ritrovò, tra le altre cose, gli stessi risultati delle Eqq. (20a-c), ovvero prezzi di produzione e tasso di profitto netto, senza mai utilizzare le categorie del valore di scambio e del plusvalore. Infatti, le sue equazioni contenevano come dati iniziali solo le ore lavorate, il salario medio orario e la matrice tecnica, ovvero la ripartizione percentuale delle varie merci intermedie, prodotte come output nei diversi rami industriali, da usarsi nel ciclo successivo come input degli stessi. Il problema della trasformazione non era più quindi soltanto risolto, era addirittura eliminato, dichiarando la completa ridondanza della categoria economica del valore, non più utile nella determinazione di prezzi e profitti.
V. La nascita della “Nuova Interpretazione”
L’impatto del metodo sraffiano applicato alla teoria economica marxista, comprendente oltre alla trasformazione dei valori in prezzi anche l’altra spinosa questione della caduta tendenziale del saggio di profitto, fu davvero enorme nel ventennio ’60-’70 del secolo scorso. Legioni di economisti progressisti, ostili anche per istinto alla cosiddetta “sintesi neoclassica” accademica (ossia marginalista in microeconomia e keynesiana moderata in macroeconomia), che fino a quel momento si erano considerati in qualche modo marxisti, cominciarono a sentirsi sempre più attratti dall’approccio neoricardiano, sia per i problemi che questo aveva risolto sia per il prestigio guadagnato dalla scuola britannica durante la famosa “Controversia delle due Cambridge” sul concetto di capitale. Se fino a quel periodo solo Paul Sweezy e pochi altri “marxisti eterodossi” avevano pubblicamente denunciato la teoria del valore-lavoro, da quel momento in poi avvenne l’opposto. E ciò fu particolarmente evidente in Italia, date le origini di Sraffa e, soprattutto, il ritorno dalla Gran Bretagna di due suoi brillanti allievi: Pierangelo Garegnani e Luigi Pasinetti, veri missionari del verbo neoricardiano nel nostro paese. Anche il massimo esponente degli economisti marxisti italiani, Claudio Napoleoni, importante punto di riferimento della cultura accademica vicina al Partito Comunista Italiano, abbracciò lo sraffismo e si accomiatò nel 1976 dalla teoria del valore-lavoro con un volumetto dall’emblematico titolo di “Valore” [11], dove relegava questo concetto al lontano universo delle categorie marxiane puramente filosofiche, assieme all’alienazione e al feticismo delle merci. Come riporta il graffiante economista liberale Sergio Ricossa, qualcuno commentò: “Il PCI non ha messo Marx in soffitta; lo ha messo in biblioteca”, ossia in quel periodo lo spostò sui ripiani della biblioteca del salotto tra quelle edizioni dei classici che fanno bella mostra di sé, ma che nessuno legge più…
Eppure, ci fu anche chi non si accodò al momentaneo trionfo della scuola neoricardiana e volle studiarne con cura tutte le premesse implicite, spesso nascoste da una perfezione formale presentata in una veste matematica moderna e impeccabile (per esempio, l’uso del teorema di Perron-Frobenius). Nacque quindi all’inizio degli anni ’80 la prima risposta organica alla critica neoricardiana a Marx, prendendo il nome significativo di “Nuova Interpretazione” (NI). Il movimento fu iniziato da Gérard Duménil [12] e Duncan Foley [13], ma poi si estese a molti altri economisti marxisti dando origine a una vera e propria scuola internazionale che esiste tuttora. Il punto di partenza fu uno studio dettagliato del ruolo economico del lavoro umano nei modelli neoricardiani dove compare sotto forma di capitale variabile. Se osserviamo con attenzione le Eqq. (20a-c) notiamo una perfetta simmetria tra il capitale costante ci e il capitale variabile vi. In questo senso il lavoro è considerato alla stregua di una merce qualsiasi e va quindi trasformato da valore di scambio a prezzo di produzione mediante X2, il fattore trasformante delle merci frugali che i lavoratori comperano esaurendo il loro salario. Questo fatto si nota ancora più chiaramente negli autori successivi (Sraffa e Steedman), dove il costo orario del lavoro, λ, è derivato da un certo paniere di merci detto salario orario reale, ossia un insieme di beni di consumo frugali prefissati, che a seconda del prezzo delle sue varie componenti, verrà a incidere in modo più o meno pesante su λ. In altre parole, come per produrre le merci intermedie il capitalista ha bisogno di altre merci secondo quantità e proporzioni precise, dettate dalle tecnologie in uso, a prescindere dal loro costo effettivo, così per mantenere attiva la forza-lavoro lo stesso capitalista avrà bisogno di erogare un certo salario reale, a prescindere dal costo dei beni di consumo che lo compongono, i cui prezzi, va detto, sono proprio le soluzioni del modello neoricardiano.
Ora, almeno secondo i teorici della NI, questo approccio è scorretto in quanto il valore di scambio del capitale variabile non è il valore di scambio dei beni di consumo ricevuti dai lavoratori, ma è la somma dei valori di scambio che i lavoratori ottengono in forma monetaria come salario stipulato in anticipo rispetto al completamento di un certo ciclo produttivo. In questo senso se i lavoratori sono pagati secondo il valore di scambio della loro forza-lavoro, i loro salari dipendono già dai prezzi, e non dai valori, dei beni di consumo frugali che essi necessitano per riprodurre la loro forza-lavoro. Appare dunque evidente che il capitale variabile non debba esser trasformato da valore a prezzo come invece avviene nelle Eqq. (20a-c). Ma perché c’è questa anomalia della forza-lavoro rispetto a tutte le altre merci? La risposta della NI è secca: la forza-lavoro è assolutamente peculiare poiché è l’unica merce a non esser riprodotta in maniera capitalistica (i nuclei familiari non sono fabbriche!) e quindi i lavoratori vengono pagati con salari negoziati all’inizio del ciclo produttivo, non retribuiti con un paniere di beni fisici predeterminati come se fossero animali di una fattoria.
Date queste premesse possiamo scrivere la versione della NI per lo schema di riproduzione di Tugan-Bortkiewicz come:
( 1 + r ) ( X1 c1 + v1 ) = w1 X1 = ( c1 + c2 + c3 ) X1 ; (22a)
( 1 + r ) ( X1 c2 + v2 ) = w2 X2 = ( v1 + v2 + v3 ) X2 ; (22b)
( 1 + r ) ( X1 c3 + v3 ) = w3 X3 = ( s1 + s2 + s3 ) X3 . (22c)
Non abbiamo più a che fare con un sistema di tre equazioni lineari omogenee in Xi, in quanto ora compaiono addendi privi di questo tipo di incognite, precisamente gli elementi ( 1 + r ) vi. Le incognite restano in un numero di quattro, Xi e r, ma perduta l’omogeneità, sparisce il numerario arbitrario e r rimane un parametro indeterminato: esiste tutto un intervallo, più o meno ampio a seconda dei valori numerici dei coefficienti, per cui r risulta compatibile con il modello in esame. I tre fattori trasformanti invece, una volta scelto un tasso di profitto compatibile, sono rigidamente determinati.
Prima di addentrarci nello studio delle interessanti proprietà del sistema delle Eqq. (22a-c) vogliamo domandarci quale sia il punto di contatto tra la NI e l’approccio neoricardiano di Bortkiewicz delle Eqq. (20a-c). Immaginiamo di risolvere queste ultime e di ottenere come soluzioni i tre fattori trasformanti (a meno di una costante moltiplicativa arbitraria) e il tasso di profitto netto. Scegliamo il numerario in modo che il secondo fattore trasformante sia uguale all’unità e ribattezziamo i nostri risultati con lettere greche per evitare equivoci: ξ1, 1, ξ3, r. Varranno naturalmente per loro le seguenti tre eguaglianze:
( 1 + r ) ( ξ1 c1 + v1 ) = ( c1 + c2 + c3 ) ξ1 ; (23a)
( 1 + r ) ( ξ1 c2 + v2 ) = ( v1 + v2 + v3 ) ; (23b)
( 1 + r ) ( ξ1 c3 + v3 ) = ( s1 + s2 + s3 ) ξ3 . (23c)
Risolviamo ora le Eqq. (22a-c) scegliendo come valore parametrico di r proprio quello neoricardiano appena determinato, r. Otterremo i tre fattori trasformanti senza nessuna costante moltiplicativa arbitraria: X1, X2, X3, per i quali varranno altre tre eguaglianze:
( 1 + r ) ( X1 c1 + v1 ) = ( c1 + c2 + c3 ) X1 ; (24a)
( 1 + r ) ( X1 c2 + v2 ) = ( v1 + v2 + v3 ) X2 ; (24b)
( 1 + r ) ( X1 c3 + v3 ) = ( s1 + s2 + s3 ) X3 . (24c)
Con pochi calcoli elementari è semplice convincersi che X1 = ξ1, X2 = 1 e X3 = ξ3. Abbiamo quindi scoperto che utilizzando il valore “neoricardiano” r per il tasso di profitto netto, la NI restituisce esattamente i prezzi di produzione del modello di Tugan-Bortkiewicz, ma con la costante b prefissata, modo che X2 = 1.
Dato che gli economisti che proposero la NI erano interessati alla valorizzazione del maggior numero possibile di elementi dell’economia marxiana, la loro proposta fu subito quella di rendere anche r determinato mediante l’aggiunta di un’equazione supplementare. La scelta più ovvia era quella di introdurre la terza identità fondamentale marxiana, ossia l’assegnazione diretta del tasso di profitto netto selezionando il valore previsto da Marx (cfr. sez. II): rm= S / ( C + V ), ma tale operazione non si rivelò molto interessante e fu quindi abbandonata anche perché lo schema non conservava la sua stazionarietà. Molto più fruttuosa fu la decisione di seguire su questo punto Bortkiewicz e inserire la seconda identità fondamentale marxiana (Π = S), che nel formalismo della NI si scrive come: r ( X1 C + V ) = S. In questo modo si determina un tasso di profitto netto r* , in generale diverso da quello neoricardiano r, ma pure distinto da quello marxiano rm. Ma ciò che è più interessante è una nuova proprietà di conservazione:
p2 + p3 =V X2 + S X3 = V + S , (25)
ovvero, la somma dei prezzi di produzione dei beni di consumo totali (frugali e di lusso) eguaglia la somma dei loro valori di scambio. Si tratta di una versione “debole” della prima identità fondamentale marxiana da cui sono stati esclusi tutti i prodotti intermedi, cioè il capitale costante aggregato C, che nel nostro schema è associato ai mezzi di produzione.
A questo punto vale la pena osservare l’esempio numerico della Tab. I come appare una volta trattato come la NI (cfr. Tab. IV). Naturalmente la seconda identità fondamentale marxiana è soddisfatta per costruzione: s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3 = 200.00 £ e, come si è detto, vale anche la forma debole della prima identità fondamentale marxiana: v1 + v2 + v3 + s1 + s2 + s3 = ( v1 + v2 + v3 ) X2 + ( s1 + s2 + s3 ) X3 = 500.00 £. Tuttavia, il sistema ha perduto leggermente la sua stazionarietà: v1 + v2 + v3 ¹ p2 = ( v1 + v2 + v3 ) X2 e π1 + π2 + π3 ¹ p3 = ( s1 + s2 + s3 ) X3, ma si tratta di un fenomeno emendabile, molto diverso da ciò che avveniva nello schema marxiano di Tab. II, che invece non ammetteva rimedio. Il motivo di questa diversità riposa nel fatto che la lieve perdita di stazionarietà della NI è dovuta soltanto al fenomeno del consumo e non concerne la sfera della produzione, ossia la compravendita dei capitali costanti. Il senso economico di questo fenomeno in cui i beni di consumo frugali, dopo la trasformazione, diventano più o meno cari di prima in modo tendenzialmente opposto alle merci di lusso era ben noto anche a Marx, che lo menziona sia nei Grundrisse [14] che nel III volume de “Il Capitale” [1]. Pensava però che mediando su tutte le tipologie di merci consumate dai lavoratori l’effetto sarebbe stato quasi impercettibile. È del tutto evidente che in uno schema a tre soli settori, in cui i beni di consumo frugali sono rappresentati da un solo ramo produttivo tale ipotetico effetto di media non può in alcun modo intervenire.
Tab. IV. Esempio della trasformazione dei valori in prezzi per lo schema di riproduzione semplice a tre settori di Tab. I sviluppato secondo la “Nuova Interpretazione” (dove i capitali variabili v1, v2 e v3 non sono trasformati) e la seconda identità fondamentale marxiana. Ovviamente tale legge di conservazione è soddisfatta per costruzione: s1 + s2 + s3 = π1 + π2 + π3 = 200.00 £ (azzurro). Nonostante che ( c1 + c2 + c3 ) X1 = p1 (fucsia), il sistema ha perduto leggermente la sua stazionarietà: v1 + v2 + v3 ≠ p2 (grigio) e π1 + π2 + π3 ≠ p3 (verde), benché valga una forma “debole” della prima identità fondamentale marxiana: v1 + v2 + v3 + π1 + π2 + π3 = p2 + p3 = 500.00 £.
Il ripristino della stazionarietà nel nostro schema di riproduzione semplice a tre settori, svolto secondo la NI, è in realtà immediato. Dato che l’Eq. (25) può esser enunciata anche così: il costo aggregato di tutti i beni di consumo (sia frugali, p2, che di lusso, p3) eguaglia la somma di tutti i salari V e i profitti Π, ci si presentano due sole possibilità: nel caso in cui V > p2, abbiamo un surplus per i lavoratori e un deficit per i capitalisti ( Π < p3 ) e quindi i lavoratori potranno finire di spendere tutti i loro salari acquistando i beni di lusso invenduti. Nel caso, invece, in cui V < p2, abbiamo un deficit per i lavoratori e un surplus per i capitalisti ( Π >p3 ) e quindi questi ultimi potranno finire di spendere tutti i loro profitti acquistando i beni di consumo frugali invenduti.
Terminiamo questa sezione ricordando che il recupero della stazionarietà dello schema che abbiamo appena esposto non è un espediente di comodo per nascondere un presunto difetto della NI, ma è una conseguenza necessaria delle sue stesse premesse: se il salario è una quantità monetaria fissata in precedenza allo svolgimento del ciclo economico mediante un contratto, è assolutamente naturale pensare alla possibilità che V > p2 o che, all’opposto, V < p2, in seguito alla formazione dei prezzi di produzione per i beni di consumo frugali. Che poi questo implichi che Π < p3 (o Π > p3) per ciò che concerne i capitalisti e i prodotti di lusso, è una semplice conseguenza della seconda identità fondamentale marxiana e non deve stupire.
VI. Conclusioni
Possiamo riassumere finalmente analogie e differenze tra il metodo di trasformazione di Marx (a sinistra), quello di Bortkiewicz (al centro) e i risultati della NI (a destra) nel prospetto sottostante:
P = C + V + S ; P = X1C + X2V + S; P = X1C + V + S (26a)
rm = S / ( C + V ) ; r = S / ( X1 C + X2 V ); r * = S / ( X1C + V ). (26c)
Come si può notare, la NI si situa a metà tra l’approccio marxiano e quello neoricardiano in quanto solo il fattore trasformante X1 gioca un ruolo davvero cruciale, mentre X2 e X3, pur essendo entrambi diversi da 1, non determinano le quantità-chiave dello schema. All’opposto, il metodo marxiano manca di fattori trasformanti in quanto, come abbiamo visto, non trasforma gli input, mentre il metodo neoricardiano dà importanza sia a X1 che a X2 (ma non a X3=1), perché considera il capitale costante e quello variabile in maniera sempre simmetrica tra loro. Tuttavia, è importante comprendere come la NI non sia un semplice ibrido posticcio tra due approcci entrambi a loro modo ben giustificati, il primo in maniera potentemente intuitiva ma matematicamente non rigorosa (Marx), il secondo in forma economicamente piuttosto arida ma analiticamente del tutto ineccepibile (Bortkiewicz). Al contrario, basta sfogliare un manuale universitario di macroeconomia elementare per scoprire che il risultato principale della NI, ossia il calcolo del prodotto aggregato senza includere le merci intermedie, è quello che normalmente fa la contabilità economica nella stima del Prodotto Interno Lordo (PIL). Scrive infatti Bruno Iossa [15] a pag. 2 circa il PIL di un’economia chiusa: «Esso comprende tutti i beni e servizi prodotti, tranne i cosiddetti beni “intermedi” consumati nel periodo considerato. (…). I beni intermedi sono detti anche “beni di consumo ad uso immediato” e sono quei beni di produzione che si consumano interamente nel processo produttivo in cui vengono trasformati». D’altro canto, se il PIL sottratto degli ammortamenti è uguale al Prodotto Interno Netto (PIN) e se quest’ultimo, eliminate le imposte indirette e aggiunti i contributi, dà proprio il Reddito Nazionale Netto (RNN), si capisce come nel nostro schemino iper-semplificato la quantità di riferimento sia molto più V +Π (salari più profitti, ovvero il reddito nazionale) che non P (la somma di tutti i prezzi delle merci vendute), nonostante la piccola, ma inevitabile, inesattezza di conglobare gli ammortamenti del capitale fisso in C, assieme ai beni intermedi circolanti. Quindi il risultato della NI non va visto come un facile ripiego, ma come una conclusione corretta nell’ottica di rivendicare la teoria del valore-lavoro per il RNN e, in buona approssimazione, anche per il PIL, assumendo i prezzi delle merci intermedie come valori essenzialmente fittizi se considerati al livello globale e non di singola impresa.
Concludiamo queste brevi note rimandando il lettore interessato a comprendere il funzionamento di questa teoria nel caso di rigorosi modelli economici multisettoriali ai recenti lavori dell’economista coreano Dong-Min Rieu [16]
Note
{a} Si rammenta il lettore che, secondo la teoria del valore-lavoro seguita da Marx, in ogni ramo industriale i mo vale la seguente relazione tra valore prodotto wi, capitale costante ci, capitale variabile vi e plusvalore si :
wi = ci + vi + si.
Quindi wi - si è sempre uguale a ci + vi, che è proprio il capitale iniziale (costante più variabile) investito dal capitalista nella sua azienda. Per cui, se il tasso di profitto è r, è semplice concludere che il profitto del ramo i mo sarà: πi = r ( ci + vi ) = r ( wi - si ). Noto poi il profitto e il capitale investito, sommandoli, si calcola il prezzo di produzione: pi = ( 1 + r ) ( ci + vi ) = ( 1 + r ) ( wi - si ).
{b} Dato il carattere arbitrario della costante k nella soluzione: (v1 = k , v2 = k ( 1 + m ) / q2 ), sarebbe stata del tutto legittima la scelta: (v1 = h q2 / ( 1 + m ) , v2 = h ), con una diversa costante arbitraria, h. Quel che conta qui è solo che: v1 / v2 = q2 / (1 + m ), ossia l’Eq. (13).
{c} La connessione tra l’Eq. (13) e la condizione di riproduzione semplice basata sul valore, c2 = v1 + s1 si ottiene come segue. Moltiplico l’Eq. (13) per v2 e per ( 1 + m ), scrivendo: v1 ( 1 + m ) = q2 v2. Ora, per definizione: m v1 = s1 e q2 v2 = c2, sicché arrivo proprio a quanto ottenuto da Marx.
{d} Non si smarrisca il lettore davanti alla costante b (o al suo inverso, il cosiddetto numerario). Essa rappresenta qui per i prezzi esattamente quello che la costante k rappresentava per i valori negli schemi di riproduzione semplici marxiani della Sez. III. Entrambe derivano dal fatto che le equazioni usate non fissano in modo univoco la taglia del sistema economico in esame, ma solo i rapporti tra le merci prodotte e consumate. Questa è una caratteristica molto comune dei cosiddetti modelli input-output e li rende, per l’appunto, molto flessibili, adattandoli all’economia di una città o di una regione o di un paese o, addirittura, dell’intero mondo.
Appendice: le ipotesi di singolo sistema, SSSI e TSSI
Nel corso di questo articolo ci siamo soffermati su tre approcci principali di trasformazione dei valori-lavoro in prezzi di produzione nell’ambito di sistemi elementari di riproduzione semplice del tipo di quelli presentati da Marx nei libri II e III de “Il Capitale” [1,3]. Abbiamo visto come il metodo originale marxiano non sia compatibile con la stazionarietà del sistema, ma quello neoricardiano sì; mentre nella cosiddetta “Nuova Interpretazione” si ha una lieve violazione dell’equilibrio riassorbibile mediante un opportuno trasferimento di beni di consumo dai lavoratori ai capitalisti (o viceversa). Sia con l’approccio neoricardiano che con quello “novo-interpretativo” occorre rinunciare alla validità simultanea delle due famose identità fondamentali marxiane [si vedano le Eqq. (6a) e (6b)] secondo le quali: (i) la somma di tutti i valori-lavoro, W, eguaglia quella di tutti i prezzi di produzione, P, (espressi in ore di lavoro astratto); (ii) la somma di tutti i plusvalori, S, eguaglia quella di tutti i profitti, P, (espressi in ore di lavoro astratto). Da tale rinuncia discende immediatamente che il tasso di profitto generale delineato da Marx, rm º P / (P - P ) = S / (W - S), non può essere di norma quello corretto secondo i due approcci appena menzionati.
All’inizio degli anni ’80 dello scorso secolo, ad opera di diversi autori [17] in modo più o meno contemporaneo, emerse la consapevolezza che l’origine del mancato soddisfacimento di entrambe le identità fondamentali marxiane fosse una diretta conseguenza della doppia contabilità in prezzi di produzione e valori-lavoro. In altre parole, sussistono sia nell’approccio neoricardiano che in quello “novo-interpretativo” due registri per ogni merce j: quello del valore, wj, e quello del prezzo, pj. L’unica differenza tra i due approcci sta nel fatto che nel primo, la forza-lavoro risulta trattata in modo duale come una merce qualsiasi, mentre nel secondo, prezzo e valore della forza-lavoro coincidono. Le due contabilità non si compenetrano, rimanendo sempre distinte in tutti i processi di produzione e di circolazione delle merci, secondo regole parallele ma differenti:
1) Il valore (-lavoro) di una merce, wj, è dato dal valore delle sue componenti di capitale costante, cj, sommate alla quantità di lavoro astratto, lj, necessaria per produrla. Sappiamo poi che tale lavoro è diviso in capitale variabile, vj, che va ai lavoratori, e plusvalore, sj, che invece viene incamerato dal capitalista in ragione di un saggio di sfruttamento, m = sj /vj, essenzialmente costante e omogeneo in tutto il sistema economico modello considerato.
2) Il prezzo (di produzione) di una merce, pj, è dato dal prezzo delle sue componenti di capitale costante, P(cj), sommate al costo del lavoro, P(vj), necessario per produrla e moltiplicate per il saggio lordo di profitto ( 1 + r ). Ne deriva direttamente che il profitto è dato da: πj = r ( P(cj) + P(vj)) con r il rapporto tra profitto e capitale investito, essenzialmente costante e omogeneo in tutto il sistema economico modello considerato.
Orbene, anche alla luce di un’originale (quanto controversa) rilettura di alcuni passi di Marx, i suddetti autori si convinsero del fatto che in realtà valori-lavoro e prezzi di produzione non sono parte di due contabilità distinte, ma, all’opposto, s’intersecano continuamente tra loro secondo regole analoghe alle (1) e (2), ma con qualche sostanziale modifica:
1’) Il valore di una merce, wj, è dato dal prezzo delle sue componenti di capitale costante espresso in ore di lavoro astratto, P(cj) / μ, sommato alla quantità di lavoro, lj, necessaria per produrla. Abbiamo quindi che μ rappresenta l’espressione monetaria di un’ora di lavoro astratto, da non confondersi con il costo medio orario del lavoro, λ. Infatti μ = ( 1 + m ) λ, dato che il capitalista retribuisce solo la percentuale 1 / ( 1 + m) del lavoro lj realmente erogato.
2’) Il prezzo (di produzione) di una merce, pj, è dato, seguendo a questo punto Marx, dal suo valore, wj, sottratto del plusvalore, sj= m lj / ( 1 + m ), generato nel produrla e moltiplicato per μ e per il saggio lordo di profitto ( 1 + r ) = W / ( W – S ). Si noti che wj - sj coincide a causa del punto (1’) con P(cj) / μ + vj, dove il valore del capitale variabile è dato da vj= lj / ( 1 + m ).
Si tratta quindi di una drastica ridefinizione del concetto di valore-lavoro che ora non può più esser determinato prima dei prezzi di produzione, ma solo contemporaneamente ad essi. Il problema della trasformazione dei valori in prezzi si è quindi mutato nel problema della determinazione simultanea dei valori e dei prezzi. Ma perché la nuova definizione di valore, che chiameremo d’ora in avanti “valore-lavoro aggiunto” (VLA), permette di soddisfare entrambe le identità fondamentali marxiane? La dimostrazione è molto semplice. Dalla (2’) abbiamo che:
pj = μ ( wj - sj) W / ( W - S ); (A1a)
πj = μ ( wj - sj) S / ( W - S). (A1b)
Sommando su tutte le merci j del nostro sistema economico otteniamo proprio che:
P = μ W; (A2a)
P = μ S . (A2b)
A questo punto i sostenitori dell’ipotesi di singolo sistema si trovarono di fronte al problema di come applicare l’idea del VLA agli schemi marxiani di riproduzione semplice e qui sorsero contrasti insanabili che diedero luogo a due scuole distinte [6]: l’interpretazione simultanea di singolo sistema (simultaneous single system interpretation, SSSI) e l’interpretazione temporale di singolo sistema (temporal single system interpretation, TSSI). La prima sostiene la necessità di preservare la stazionarietà degli schemi di riproduzione semplice: ogni ciclo deve essere identico al precedente da tutti i punti di vista, sia quello dei prezzi sia quello dei valori, sicché i prezzi e i valori in entrata devono necessariamente eguagliare quelli in uscita. L’altra nega questa necessità in nome del rifiuto del cosiddetto “fisicalismo”, il quale sarà illustrato più avanti in questa appendice.
Iniziamo col presentare brevemente la SSSI utilizzando come esempio lo schema di riproduzione semplice a tre settori delle Eqq. (14) e (15) che è ormai familiare al lettore. Il problema sarà quello di ottenere la stazionarietà dello schema utilizzando i punti (1’) e (2’) che intrecciano prezzi e valori. I due punti dovranno esser completati da tre relazioni di chiusura che lascino in equilibrio il sistema, ovvero che eliminino la possibilità di terminare il ciclo economico con merci invendute o con somme di denaro non spese. La prima relazione è quasi ovvia in quanto impone che il prezzo totale dei mezzi di produzione fabbricati nel settore “1”, p1, sia uguale alla somma dei prezzi del capitale costante che entra nei tre settori: P(c1) + P(c2) + P(c3). La seconda chiusura riguarda i beni di consumo frugali prodotti dal settore “2” per il sostentamento e la riproduzione dei lavoratori. Il loro prezzo è p2 che dovrà coincidere con l’espressione monetaria del salario aggregato percepito da tutti i lavoratori: μ L / ( 1 + m ). Infine i generi di lusso prodotti dal settore “3” per i capitalisti: il loro prezzo totale p3 dovrà esser uguale al plusvalore aggregato [identico al profitto aggregato per la (2’)] percepito da tutti i capitalisti: μ m L / ( 1 + m ). In formule, mettendo insieme tutte le relazioni citate otteniamo un sistema di sei equazioni:
(A3)
dove p2 e p3 sono già esplicite se si utilizza la nozione di costo del lavoro λ. Invece di risolvere questo sistema meccanicamente è assai più istruttivo concentrarsi sul blocco delle prime tre equazioni, che possono costituire un piccolo sottosistema omogeneo se riscritte (seguendo la quarta equazione) in modo da utilizzare le percentuali di capitale costante dei vari settori: Aj1p1 = P(cj), con la ovvia condizione che A11 + A21 + A31 = 100%. Analogamente, seguendo la quinta equazione, si useranno anche le percentuali di lavoro: ωj p2 = λ lj, sempre con la condizione che ω1 + ω2 + ω3 = 100%. Si avrà quindi che:
(A4)
Tale sistema, detto equazione di Steedman, gode di notevoli proprietà matematiche dovute all’applicazione del teorema di Perron-Frobenius nelle quali non possiamo purtroppo addentrarci dato il carattere divulgativo della presente trattazione. Tuttavia, vogliamo ricordare, proprio come si è visto per l’approccio neoricardiano di Bortkiewicz, che date le percentuali di capitale costante A11, A21 e A31 insieme a quelle di lavoro ω1, ω2 e ω3, il tasso di profitto netto r è determinato in maniera univoca, mentre p1, p2 e p3 lo sono a meno di una costante di scala arbitraria (detta “numerario”, n). Per esempio, si possono porre i prezzi di produzione come funzione del numerario e dei prezzi relativi, βj, rispetto ai generi di lusso: p1 = n β1, p2 = n β2 e p3 = n. Ovviamente il modello avrà un senso econometrico solo se r > 0, mentre il teorema di Perron-Frobenius assicura esclusivamente l’esistenza e la positività di 1 / ( 1 + r ) insieme a quelle di β1 e β2. Riassumendo, abbiamo osservato che date A11, A21, ω1, ω2 (e quindi anche A31 e ω3) possiamo determinare univocamente r, β1 e β2, dove il primo è una semplice funzione dei secondi due. Infatti, sommando le prime tre relazioni in Eq. (A3) e usando la terza e la quarta si ha che:
(A5)
Abbiamo quindi già un risultato importantissimo per la SSSI: essa non è in alternativa all’approccio neoricardiano di Sraffa e Steedman, anzi lo presuppone in maniera rigorosa. Ma qual è quindi il senso delle ultime due equazioni? L’ultima fissa definitivamente la grandezza del numerario: n = m λ L. La penultima invece identifica β2 con l’inverso del saggio di plusvalore m:
(A6)
introducendo così un primo elemento specifico del valore in una trattazione fino ad ora basata esclusivamente sui prezzi. A questo punto possiamo agevolmente completare il quadro valoriale, calcolando i VLA delle tre merci prodotte: wj = [ Aj1 p1 + ( 1 + m ) ωj p2 ] / μ, quelli dei capitali variabili utilizzati: vj = ωj p2 / μ, i rispettivi plusvalori: sj = m ωj p2 / μ e, in ultimo, le rispettive composizioni organiche: qj = Aj1 p1 / ( ωj p2 ). Non ci resta quindi che verificare ancora una volta la validità delle due eguaglianze fondamentali marxiane e rimandare a un esempio numerico in Tab. A-I. Dalle definizioni di prezzo e profitto aggregati, considerando anche l’Eq. (A5), possiamo scrivere che:
(A7)
mentre per i VLA abbiamo, ricordando le espressioni per wj e sj, nonché la formula m = p3/p2 in Eq. (A6), che:
(A8)
Il risultato finale della SSSI rappresenta quindi un tentativo riuscito di combinare gli approcci marxiano e neoricardiano mediante una nuova definizione di valore, il VLA, ma dato che il tasso di profitto r coincide necessariamente con quello neoricardiano e dunque si presta all’applicazione del teorema di Okishio che nega la caduta tendenziale del saggio di profitto (vedasi lavoro divulgativo sull’argomento), non è strano che marxisti “ortodossi” come Andrew Kliman [6] abbiano liquidato la SSSI con parole sarcastiche: «Thus we have a curious paradox. The SSSIs preserve Marx’s aggregate equalities, yet they imply that Marx’s rate of profit is identical to the rate of profit of his “physicalist” critics! The voice is the voice of Marx, but the hands are the hands of Sraffa».
Tab. A-I. Esempio di schema di riproduzione semplice a tre settori risolto per mezzo della SSSI in analogia con l’approccio neoricardiano di Tab. III. In questo caso la somma dei prezzi di produzione pj eguaglia quella dei valori wj (ombreggiatura gialla) e la somma dei profitti πj coincide con quella dei plusvalori sj (ombreggiatura azzurra). Si può però verificare che le condizioni di stazionarietà per i valori, riportate in Eq. (16), non sono più soddisfatte a causa della nuova definizione di “valore lavoro”.
Prima di trattare la TSSI sarà opportuno spiegare la questione del cosiddetto “fisicalismo” che, in effetti, è il vero bersaglio polemico dei sostenitori di questa interpretazione. Per far ciò è utile dettagliare lo schema usato nella SSSI dal punto di vista tecnico, mettendo in luce la sua semplice struttura fisica che precede ogni possibile determinazione economica dei prezzi. Come già sappiamo, si hanno tre settori industriali: 1, 2 e 3, i quali fabbricano rispettivamente: mezzi di produzione (pm) per tutti e tre i settori, beni di consumo frugali (cm) per lavoratori e generi di lusso (lg) per capitalisti. Lo schema sottostante (Tab. A-II) riporta le unità merceologiche (non i prezzi!) consumate e prodotte, nonché le ore di lavoro astratto utilizzate:
Settore |
Merci in ingresso (unità) |
Lavoro utilizzato (h) |
Merci in uscita (unità) |
1 |
pm1 = A11 PM |
l1 |
pm1 + pm2 + pm3 = PM |
2 |
pm2 = A21 PM |
l2 |
cm1 + cm2 + cm3 = CM |
3 |
pm3 = A31 PM |
l3 |
lg1 + lg2 + lg3 = LG |
Somma |
PM |
L |
PM + CM + LG |
Tab. A-II. Modello della struttura tecnica dello schema di riproduzione semplice a tre settori utilizzato come esempio in tutto il presente studio. Si noti come gli aspetti tecnici precedano quelli relativi ai prezzi e, ovviamente, non varino né nel corso dei successivi cicli economici, né con il mutare dell’approccio di trasformazione valori-prezzi utilizzato.
Vale forse la pena di ricordare che gli aspetti tecnici degli schemi di riproduzione sono rigidamente fissati una volta per tutte e non sono soggetti a modifica, né nel corso dei successivi cicli economici, né al variare dell’approccio trasformativo prescelto per la conversione dei valori-lavoro in prezzi di produzione. Anche se non possiamo entrare nei dettagli dell’argomento va notato che, seguendo il metodo di Dmitriev, una volta conosciute le tre quantità orarie di lavoro l1, l2, l3 e le tre percentuali di ripartizione delle unità merceologiche aggregate dei mezzi di produzione A11, A21, A31 (con A11 + A21 + A31 = 100%), è possibile trovare facilmente il valore-lavoro (tradizionale, non VLA) contenuto nel numero di unità merceologiche aggregate PM, CM e LG. Lo indicheremo con il simbolo V(…) misurato in ore di lavoro astratto:
V(PM) = l1 / ( 1 - A11 );
V(CM) = l1 A21 / ( 1 - A11 ) + l2;
V(LG) = l1 A31 / ( 1 - A11 ) + l3.
Il valore-lavoro di ogni singola unità merceologica dei mezzi di produzione, dei beni di consumo frugali e dei generi di lusso verrà quindi stimata semplicemente dai rispettivi quozienti:
V(PM) / PM;
V(CM) / CM;
V(LG) / LG.
Poi, a partire da PM, si possono scrivere rapidamente le unità merceologiche delle quantità disaggregate pm1, pm2 e pm3:
pm1 = A11 PM;
pm2 = A21 PM;
pm3 = A31 PM
e i loro valori-lavoro:
V(pm1) = A11 V(PM);
V(pm2) = A21 V(PM);
V(pm3) = A31 V(PM).
Inoltre, nell’ipotesi ragionevole di uguaglianza del salario reale per i tre settori: cm1 / l1 = cm2 / l2 = cm3 / l3, abbiamo anche le unità merceologiche delle quantità disaggregate cm1, cm2 e cm3 (con l1 + l2 + l3 = L, il lavoro aggregato):
cm1= ( l1 / L ) CM;
cm2= ( l2 / L ) CM;
cm3= ( l3 / L ) CM
e i loro valori-lavoro:
V(cm1) = ( l1 / L ) V(CM);
V(cm2) = ( l2 / L ) V(CM);
V(cm3) = ( l3 / L ) V(CM).
In ultimo, invocando l’uniformità dello “sfruttamento”, possiamo scrivere: lg1 / l1 = lg2 / l2 = lg3 / l3, completando così la determinazione delle unità merceologiche delle quantità disaggregate lg1, lg2 e lg3:
lg1 = ( l1 / L ) LG;
lg2 = ( l2 / L ) LG;
lg3 = ( l3 / L ) LG,
insieme ai loro valori-lavoro:
V(lg1) = ( l1 / L ) V(LG);
V(lg2) = ( l2 / L ) V(LG);
V(lg3) = ( l3 / L ) V(LG).
In sintesi, ammessa la possibile aggregazione fisica delle merci prodotte, sotto ipotesi aggiuntive ragionevoli (cioè l’omogeneità inter-settoriale del salario e dello “sfruttamento”) e conoscendo le ore di lavoro astratto utilizzate dai tre diversi settori insieme alla ripartizione relativa delle unità dei mezzi di produzione, la sola condizione di stazionarietà del sistema è sufficiente per estrarre da un semplice schema tecnico un dettagliato schema di valori-lavoro, attribuendo un determinato valore-lavoro a ogni singola unità di mezzi di produzione, di beni di consumo frugale e di generi di lusso. Questo permette automaticamente d’introdurre quantità economiche (basate naturalmente sui valori e non sui prezzi) a noi già note come, il saggio di plusvalore:
m = V(LG) / V(CM),
la composizione organica dei tre settori:
q1 = V(pm1) / V(cm1);
q2 = V(pm2) / V(cm2);
q3 = V(pm3) / V(cm3)
e i loro tassi di profitto:
r1 = V(lg1) / ( V(pm1) + V(cm1) );
r2 = V(lg1) / ( V(pm2) + V(cm2) );
r3 = V(lg1) / ( V(pm3) + V(cm3) ).
Glissando sul complesso problema teorico dell’aggregazione del capitale che ha visto lo scontro tra scuole economiche rivali per vari decenni, possiamo concludere definendo “fisicalismo” il completo parallelismo tra valori-lavoro e unità merceologiche di natura fisica posto in essere dalla stazionarietà dello schema di riproduzione semplice in oggetto.
Ma ciò non è tutto: la semplice ipotesi aggiuntiva della formazione di un tasso medio di profitto ρ, contrapposto ai tre distinti valori settoriali ( r1, r2, r3 ) basati sul valore-lavoro, permette di trasferire rapidamente il “fisicalismo” sul terreno dei prezzi di produzione mediante l’ormai noto approccio neoricardiano al problema (vedasi Eq. (20) nel testo del nostro studio). Tenendo separate le quantità merceologiche dai prezzi unitari, up1,2,3, e utilizzando un costo orario medio del lavoro λ = CM up2 / L, avremo il sistema omogeneo nella forma di Steedman riportato in Tab. A-III:
Settore |
Capitali (prezzi totali, £) |
Costo del lavoro (£) |
Tasso lordo di profitto |
Merci in uscita (prezzi totali, £) |
1 |
(A11 PM up1 |
+ l1 CM up2 / L ) |
´ ( 1 + ρ ) |
= PM up1 |
2 |
(A21 PM up1 |
+ l2 CM up2 / L ) |
´ ( 1 + ρ ) |
= CM up2 |
3 |
(A31 PM up1 |
+ l3 CM up2 / L ) |
´ ( 1 + ρ ) |
= LG up3 |
Tab. A-III. Schema di riproduzione semplice a tre settori nella forma di Steedman per i prezzi di produzione, derivante in maniera automatica dallo schema tecnico di Tab. A-II.
Questo sistema, come già sappiamo, ammette come soluzione ρ e i tre prezzi up1,2,3 a meno, però, della solita costante moltiplicativa arbitraria (il numerario). Abbiamo dunque dimostrato che il “fisicalismo”, supportato questa volta anche dall’ipotesi della parificazione del tasso di profitto, genera non solo un elenco esauriente di valori-lavoro unitari, ma addirittura un sistema completo di prezzi unitari relativi (ossia upi / upj), concludendo così in modo definitivo il problema economico per eccellenza, ovvero quello della formazione dei prezzi di produzione.
Dato che la SSSI ingloba in sé sia l’idea di un unico sistema di valori e prezzi, sia l’approccio neoricardiano fondato sulla stazionarietà, i sostenitori della TSSI furono obbligati a sviluppare una critica al “fisicalismo” che dell’approccio neoricardiano sembra la più solida e incontrovertibile giustificazione. Va però precisato, a scanso di ogni possibile equivoco, che i “temporalisti” (ossia i sostenitori della TSSI) non negano minimamente la legittimità della struttura tecnica dello schema di riproduzione e la sua stazionarietà “fisica”. Ciò, infatti, riguarda l’ingegneria e non l’economia. Se un processo industriale ha in ingresso un certo numero di unità merceologiche di capitale costante e utilizza un certo numero di ore di lavoro astratto, produrrà per forza di cose una certa quantità di una determinata merce. Se poi vogliamo che il ciclo economico si ripeta senza intoppi e variazioni di sorta, allora le unità merceologiche consumate dovranno esser rimpiazzate in modo ordinato da quelle appena prodotte, includendo i lavoratori, che dovranno esser sfamati per continuare a lavorare e riprodursi, e i capitalisti, che dovranno continuare a ricevere i loro prodotti di lusso. La critica al “fisicalismo” da parte dei “temporalisti” è invece la duplice opinione che sia i valori-lavoro determinati con il metodo di Dmitriev, sia i prezzi e i tassi di profitto risolti con l’approccio di Steedman siano economicamente del tutto insignificanti in quanto semplici corollari della stazionarietà “fisica”. Orbene, il fatto che i “temporalisti” respingano la nozione tradizionale di valore-lavoro in quanto optano per l’esistenza di un singolo sistema, elimina già alla radice l’uso del metodo di Dmitriev. La critica della TSSI si concentrerà quindi esclusivamente sull’equazione di Steedman, che, come si è visto in Eq. (A4), appare immutata anche nella SSSI.
Prima di mostrare come i “temporalisti” immaginino di mantenere la stazionarietà tecnica senza derivarne anche quella economica riguardante prezzi e valori, vale però la pena menzionare brevemente le motivazioni filosofiche di questa presa di posizione: la categoria del valore, secondo il marxismo “ortodosso” della TSSI, non sarebbe una categoria naturale come potrebbe esserlo, ad esempio, nel pensiero dell’economia politica classica premarxista. All’opposto, essa rappresenterebbe, almeno in parte, un costrutto storico e sociale, in cui sarebbero riflessi, assieme ai traguardi tecnico-scientifici raggiunti dal capitalismo, anche le sue contraddizioni e i suoi antagonismi di classe. Nel “fisicalismo” neoricardiano tutto ciò sarebbe rimosso, mancando proprio la prospettiva storica e sociale che i “temporalisti” pensano di poter riguadagnare mediante la rinuncia alla stazionarietà di prezzi e valori. Naturalmente la scuola sraffiana non accetta questa motivazione affermando che la dimensione sociale e antagonista tra capitale e lavoro non è rimossa nell’equazione di Steedman, ma, al massimo, sublimata nel rapporto inverso che esiste tra la dimensione del salario reale percepito dai lavoratori, PM, e il tasso di profitto, r. Rimandiamo il lettore interessato alla critica marxista dell’approccio neoricardiano a un dettagliato articolo dell’economista Anwar Shaikh sull’argomento [18].
Nella pratica la TSSI si configura come la riproposizione filologicamente accurata dell’approccio marxiano alla trasformazione dei valori di scambio in prezzi di produzione esposto nella Sez. II del presente lavoro divulgativo. La novità (se così si può definire) consiste nel descrivere il ciclo successivo a quello analizzato da Marx nel III libro de “Il Capitale” [1]. Dato che si tratta di un approccio temporale non stazionario, dobbiamo necessariamente immaginare d’iniziare la trasformazione (nel solito schema di riproduzione semplice a tre settori) con il ciclo “I”, avendo ereditato da quello precedente tre triplette di VLA per i rispettivi processi produttivi:
c1(I), v1(I), s1(I);
c2(I), v2(I), s2(I);
c3(I), v3(I), s3(I),
q1(I) v1(I), v1(I), m(I) v1(I);
q2(I) v2(I), v2(I), m(I) v2(I);
q3(I) v3(I), v3(I), m(I) v3(I),
così da ribadire l’uniformità del saggio di plusvalore e la disuniformità della composizione organica. A queste triplette, già lo sappiamo, corrisponderanno in uscita tre blocchi di merci dotati dei seguenti VLA:
w1(I), w2(I), w3(I),
somme delle componenti di ciascuna tripletta. Seguendo Marx è ora possibile calcolare il tasso di profitto del “I” ciclo, r(I):
(A9)
e quindi i corrispondenti prezzi:
(A10)
e profitti:
(A11)
Fino a questo punto si è ripetuto quanto già visto per l’approccio marxiano, mentre ora è interessante vedere il passaggio dal ciclo “I” al ciclo “II” proposto dalla TSSI. Dato che viene applicata la definizione di VLA per il valore di scambio, i capitali costanti, cj(II), sono a tutti gli effetti dei prezzi di produzione (divisi per μ). Ora, poiché il capitale costante è prodotto interamente nel settore “1”, il suo prezzo complessivo sarà p1(I) e dovrà esser confrontato con il capitale costante aggregato C(I) = c1(I) + c2(I) + c3(I). Il rapporto tra i due: p1(I) / (μ C(I)) sarà quindi la misura della dilatazione o del restringimento degli cj(II) rispetto agli antecedenti cj(I):
(A12)Lo stesso avverrà per il costo del lavoro μ vj(II): il suo prezzo complessivo sarà p2(I) e dovrà esser confrontato con il capitale variabile aggregato V(I) = v1(I) + v2(I) + v3(I). Il rapporto tra i due: p2(I) / (μ V(I)) sarà la misura della dilatazione o del restringimento dei vj(II) rispetto agli antecedenti vj(I):
(A13)
Infine analizziamo il plusvalore sj(II): utilizzando la teoria del VLA sappiamo che la somma di plusvalore e capitale variabile deve esser costante per ogni singolo settore passando da un ciclo all’altro. Avremo quindi semplicemente che:
(A14)
Naturalmente a questo punto si può ripartire dall’Eq. (A9) con “II” al posto di “I”, giù fino alle Eqq. (A10-A14) dove verrà data la prescrizione per“III” e così via per tutti i cicli economici successivi, con la precisazione che l’algoritmo appena discusso preserva a ogni ciclo, diciamo “N”, le due eguaglianze fondamentali marxiane tra quantità aggregate: P(N) = μ W(N) e Π(N) = μ S(N), ma non in generale tra un ciclo e l’altro: P(N) ≠ P(N+1) e Π(N) ≠ Π(N+1). Inoltre, è utile ricordare al lettore che nel corso dell’applicazione dell’algoritmo, né il saggio di plusvalore m(N), né il tasso di profitto netto r(N), né le tre composizioni organiche q1(N), q2(N), q3(N), restano costanti. A questo punto due domande sorgono spontanee:
(i) cosa succede iterando l’algoritmo della TSSI un numero elevato di volte?
(ii) Dato che Tugan-Baranovsky e Bortkiewicz stroncarono la soluzione marxiana al problema della trasformazione dei valori in prezzi (vedi la Sez. IV del presente lavoro divulgativo), perché i “temporalisti” non si curano di tali critiche e, anzi, pensano di poter reiterare la medesima soluzione più e più volte?
Per quanto riguarda la questione (i), come già notato da Kliman e come dimostrato matematicamente da chi scrive, la TSSI tende asintoticamente a un “punto fisso” essenzialmente identico alla soluzione trovata dalla SSSI se si eccettua la dimensione di scala del sistema economico modello, in effetti irrilevante dato il carattere arbitrario di μ. Un esempio numerico di questo risultato è riportato in Tab. A-IV per le stesse cifre usate nelle Tabb. I, II e III e mostra prezzi e valori asintotici (μ = 500 £ / 104 h = 4,808 £/h) proporzionali a quelli in Tab. A-I (μ = 520 £ / 104 h = 5,000 £/h) tramite la costante di scala 100/104. Saggio di plusvalore e tasso di profitto sono ovviamente identici nei due casi. Ciò potrebbe esser facilmente interpretato come una capitolazione della TSSI nei confronti dell’approccio rivale di singolo sistema, ma questa non è certo l’opinione dei “temporalisti”. Essi pensano invece che nella realtà il sistema economico sarà mutato per altre cause, non immediatamente rappresentabili in modo matematico, ben prima di raggiungere il detto punto fisso, che quindi nella pratica non verrà mai nemmeno lambito.
In effetti, tralasciando la diatriba tra TSSI e SSSI, l’andamento asintotico verso una soluzione in ultima analisi neoricardiana non ci deve stupire: già nel 1977 Shaikh dimostrò (ma questa volta nell’ambito di un duplice sistema di prezzi e valori) che l’iterazione dell’approccio marxiano conduceva asintoticamente alla soluzione di Bortkiewicz. Questo fatto lo portò a scrivere che la soluzione di Marx al problema della trasformazione dei valori in prezzi non era scorretta, ma solo incompleta.
La domanda (2) è davvero la questione cruciale per determinare lo status scientifico della TSSI al di là di vere o presunte “ortodossie” marxiste. Si tratta in effetti di capire se la rinuncia alla stazionarietà dei prezzi permetta al sistema economico di proseguire un ciclo dopo l’altro senza che si accumulino merci invendute o denaro non speso. Questa eventualità sarebbe inaccettabile in quanto ovviamente incompatibile con la struttura tecnica del sistema che prevede, come abbiamo dimostrato, flussi ininterrotti sempre uguali di lavoro e di merci, sia intermedie che finali. L’unica eccezione ammissibile sarebbe quella utilizzata dalla “Nuova Interpretazione” (vedasi Sez. V), ossia un modesto trasferimento di beni di consumo tra capitalisti e lavoratori per riequilibrare il sistema, eliminando i debiti di una parte con i risparmi dell’altra.
Tab. A-IV. Esempio di schema di riproduzione semplice a tre settori risolto per mezzo della TSSI in contrapposizione con l’approccio della SSSI di Tab. A-I. Il sistema economico è seguito nei cicli: I, II, III e XLIX dove finalmente i valori e i prezzi asintotici sono raggiunti per il livello di precisione numerica utilizzata. Errori di arrotondamento sull’ultima cifra significativa riportata sono comunque sporadicamente presenti. Le ombreggiature verde e azzurra mostrano il soddisfacimento, ciclo per ciclo, delle equivalenze fondamentali marxiane, rispettivamente, per i prezzi e i valori aggregati e per i profitti e i plusvalori aggregati. Quelle gialle e violette mostrano invece la compensazione del mercato tra un ciclo e il successivo.
(… + altri XLVI cicli economici » asintoto)
Per studiare la questione che abbiamo posto scegliamo un ciclo a caso, N, e immaginiamo di determinare con l’algoritmo della TSSI i prezzi di produzione (come, per esempio, in Tab. A-IV): p1(N), p2(N), p3(N). Questi prezzi sono relativi alle merci prodotte al termine del ciclo N, mentre nell’approccio marxiano i capitali costanti μ c1(N), μ c2(N), μ c3(N) e i capitali variabili μ v1(N), μ v2(N) μ v3(N) sono sempre anticipati all’inizio di ogni ciclo. Essi dovranno esser confrontati non con i prezzi relativi al ciclo N, ma con quelli relativi al ciclo N-1 (dato che le merci in questione sono ancora sul mercato), i quali si scrivono rispettivamente come p1(N-1) e p2(N-1). Il discorso relativo a profitti e plusvalori merita invece qualche ulteriore sottigliezza, in quanto i vari profitti πj(N-1) sono calcolati, comme il faut, sottraendo dal prezzo di produzione pj(N-1) i costi totali, ossia il capitale investito μ cj(N-1) + μ vj(N-1). Tuttavia, il capitalista del j mo settore in questione non godrà esattamente di πj(N-1) spendendolo interamente per acquistare beni di lusso, in quanto dovrà provvedere agli investimenti, ora valutati come μ cj(N) + μ vj(N) e diversi rispetto a quelli del ciclo precedente. Per questo motivo Kliman [6] introdusse la comoda nozione di “cespite” (“revenue” in inglese), ij(N), distinta da quella di profitto e definita come la porzione del prezzo pj(N-1) effettivamente disponibile per l’acquisto dei beni di lusso prodotti nel ciclo N-1 una volta defalcati gli investimenti per il ciclo N, μ cj(N) + μ vj(N). In parole semplici, è il denaro che rimane effettivamente nelle tasche del capitalista una volta iniziato un nuovo ciclo produttivo. A questo punto, usando i cespiti, le condizioni di compensazione del mercato (“market clearing” in inglese) possono esser scritte in modo molto semplice come:
μ c1(N) + μ c2(N) + μ c3(N) = μ C(N) = p1(N-1); μ v1(N) + μ v2(N) + μ v3(N) = μ V(N) = p2(N-1); i1(N) + i2(N) + i3(N) = P(N-1) – μ C(N) – μ V(N) = p3(N-1).
(A15)
Sommando le tre relazioni dell’Eq. (A12) abbiamo proprio che μ C(N) = p1(N-1) e similmente μ V(N) = p2(N-1) mediante le tre relazioni dell’Eq. (A13), come mostrato anche dall’esempio numerico in Tab. A-IV. Per quello che riguarda invece i beni di lusso basta sostituire le precedenti due relazioni nella terza per arrivare all’identità. Abbiamo quindi dimostrato che lo schema di riproduzione semplice a tre settori, svolto secondo l’algoritmo della TSSI, è pienamente sostenibile, in quanto pur non garantendo la stazionarietà, se non asintoticamente, ammette in modo rigoroso il “market clearing” per ogni ciclo. È appena il caso di ricordare al lettore che all’asintoto, dove TSSI e SSSI coincidono, cespiti e profitti divengono identici in quanto il sistema è diventato stazionario.
Naturalmente, come nel modello neoricardiano, o della “Nuova Interpretazione”, o della SSSI, anche la TSSI ammette una rigorosa generalizzazione al caso di uno schema di riproduzione semplice con un numero arbitrario di settori, benché tale procedura necessiti di un apparato matematico matriciale avanzato, certamente non compatibile con il carattere divulgativo del presente scritto. Va però precisato che, nonostante l’inatteso successo nell’implementare in uno schema puramente marxiano il “market clearing”, diversi autori hanno espresso critiche piuttosto severe al concetto stesso di “approccio temporale alla riproduzione semplice”. Non volendoci addentrare in una problematica piuttosto tecnica e complessa concludiamo questa appendice ricordando solo en passant l’obiezione di Fred Moseley [17], che contesta la significanza stessa di uno schema di riproduzione in cui manchi un insieme di stabili prezzi di produzione intorno ai quali oscillino gli effettivi prezzi di mercato delle varie merci presenti.
Bibliografia essenziale
[1] K. Marx, Il capitale, Libro III (Editori Riuniti, Roma, 1974).
[2] K. Marx, Il capitale, Libro I (Editori Riuniti, Roma, 2006).
[3] K. Marx, Il capitale, Libro II (Editori Riuniti, Roma, 1968).
[4] T. Camarinha Lopes and H. Dantas Neder, Sraffa, Leontief, Lange: The political economy of input–output economics, Economia 18, 192 (2017).
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[14] K. Marx, Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, 2 voll. (Pgreco, Roma, 2012).
[15] B. Iossa, Macroeconomia Elementare (CEDAM, Padova, 2017).
[16] Dong-Min Rieu, The ‘New Interpretation’: Questions Answered and Unanswered, Metroeconomica 60, 568 (2009).
[17] F. Moseley, Money and Totality (Haymarket Books, Chicago (IL), 2017).
[18] A. Shaikh, Neo-Ricardian Economics: A Wealth of Algebra, A Poverty of Theory, Review of Radical Political Economics, 14, 67 (1982).
DAN KOLOG.
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