Informazione, disinformazione, mala-informazione e contro informazione


Son ben cosciente che questa pattumiera mediatica non potrà essere fermata né da “guerrieri della tastiera, né persino dalla diffusione delle migliori prove scientifiche” per parafrasare un’espressione che Julie Leask ha usato recentemente nella sua recensione apparsa su Nature[1]. Ad ogni modo provo a fare il punto su informazione, disinformazione, mala-informazione e contro-informazione.

 

La notizia consiste nel fatto. Cosa è avvenuto, dove, quando, come e perché. La notizia può essere d’interesse privato e/o pubblico. Nel secondo caso può essere d’interesse locale, regionale, nazionale, internazionale. Ad ogni modo le notizie non sono riportate oggettivamente! Questo è per molti versi naturale. I fatti, anche nel più obbiettivo dei cronisti, vengono ricordati e ripetuti con l’inevitabile percezione e interpretazione del cronista stesso. Quando, poi, il cronista non era presente allo svolgersi dei fatti, questo deve avvalersi di testimonianze e ricostruzioni, che, anche se le più genuine possibile, saranno frutto delle percezioni e interpretazioni dei singoli testimoni. In simil modo, quando si vuol ricostruire la dinamica di un incidente, alle testimonianze si dovranno aggiungere prove oggettive, perizie tecniche ecc. La verità che si potrà ricostruire e riportare, sarà comunque una verità relativa e mai la verità assoluta.

 

Quindi, il consumatore di notizie, il pubblico, deve tenere sempre presente che ogni qual volta si sente una notizia, nel migliore dei casi, questa è una ricostruzione approssimativa, più o meno veritiera di cosa è successo. E questo anche con la massima buona fede.

 

Ma l’informazione è sistematicamente strumentalizzata. Come scrivevano Herman e Chomsky negli anni ‘80 i media costruiscono il consenso[2]. Ovvero, per via di come il sistema socioeconomico funziona, al sistema dell’informazione sono applicati filtri che faranno passare una certa versione di comodo. Per dirlo in altri termini, questo altro non è che il risultato dell’egemonia culturale della classe dominante[3]. La strumentalizzazione dell’informazione è la quintessenza dell’informazione stessa. Lo è sempre stato; tanto che si dice “la Storia la fanno i vincitori”. Questo è evidentemente un luogo comune, ma si basa sul fatto che la storia la fa chi ha la possibilità di divulgare la sua visione dei fatti e spesso i vincitori, che hanno il diritto acquisito d’imporre limiti ai vinti, egemonizzano l’informazione. I vinti possono in alcuni casi esprimere la propria voce, ma questo conferma che l’informazione è usata come strumento per influenzare l’opinione. L’egemonia culturale, però, non si forma con la sola informazione. Questa dipende anche dal sistema educativo, dal contesto sociale (famiglia, amici, colleghi) in cui si è immersi, e da una componente, un’indole, individuale. Questi quattro elementi sono interconnessi; solo la combinazione di questi elementi può formare l’opinione del singolo.

 

Quindi il consumatore di notizie deve sempre tenere presente che il fatto, ovvero la notizia, è riportato in modo approssimativo e la sua interpretazione, in molti casi, rappresenta il modo di pensare di chi possiede quel canale di informazione.

 

Già tenere questo in mente eviterebbe parecchie false aspettative e conseguenti frustrazioni inculcateci dall’ideologia borghese che, ipocritamente, fa passare il concetto che l’informazione sia il diritto dovuto a conoscere la verità. L’informazione non è un diritto, ma una conquista, e come tale richiede quindi uno sforzo, tempo e fatica. La verità dei fatti, ovvero presumere di conoscere esattamente cosa sia accaduto, è pura presunzione, appunto! Detto questo la reazione giusta sarebbe combattere per conoscere quelli che sono i fatti, ma con la coscienza che nel migliore dei casi e con grandi sforzi si potrà conoscere un’approssimazione dei fatti.

    

Verba volant, scripta manent? La notizia può arrivare al pubblico in diversi modi, di bocca in bocca, tramite mezzi d’informazione tradizionali, giornali, radio o tv e attraverso il web (Internet). Oggigiorno un sacco di notizie raccontate oralmente, se registrate su audio o video non volano più via, ma rimangono (in codice binario). Quindi il proverbio latino vale solo per la comunicazione che è davvero propagata di bocca in bocca e non registrata in alcun modo. Viviamo tempi in cui qualsiasi persona può fare un video su qualsiasi avvenimento, sia questo uno sciagurato che dorme a bocca aperta sul treno, oppure uno che viene pestato a morte. Ma la vera novità è che chiunque può condividere tale video o notizia con milioni di persone, senza dover passare dai canali tradizionali dell’informazione, mettendolo sul web. Nei mezzi di comunicazione tradizionali, tv, giornali, radio, le notizie vengono raccolte, selezionate, preparate e trasmesse da pochi addetti ai lavori, per il consumo dei molti, in modo perlopiù autoritario, ovvero senza, o con ridotta, possibilità di replica e d’interazione attiva. I mezzi di comunicazione di rete interattiva, i vari social media, invece concedono la possibilità, almeno apparente, di una grande interazione, dove anche la massa diventa canale d’informazione. I social media hanno l’ambizione di aver dato possibilità di replica immediata alla massa degli utenti. Questa è nel più dei casi una parvenza. Vero è che ora il singolo ha la possibilità di rendere pubblica la sua opinione, anche se spesso è l’opinione di altri ripetuta a pappagallo, in modo molto più esteso e immediato. Per molti la funzione sociale del bar, della panchina del parco, della sala d’attesa del medico, del salone del parrucchiere, dei mezzi pubblici, è ora data dalle piattaforme dei social media. Il livello e l’attendibilità delle informazioni, notizie di interesse pubblico, presenti sui social media quindi di solito non va oltre il cosiddetto gossip, le panzane e il sensazionalismo una volta riservato ai luoghi di incontro della urbe. Ahimè, molti vedono i social media come fonte di informazione! Come il polso dell’opinione pubblica. Alcuni social media vengono utilizzati da istituzioni private e pubbliche di una certa reputazione per raggiungere velocemente ed estesamente un’audience. Ciò non vieta che tra questi ci siano agenzie o singoli che propagano panzane e informazioni fabbricate in modo tale da screditare, destabilizzare e polarizzare.

 

Il consumatore di notizie, pur sapendo che i fatti sono riportati in modo approssimativo e contengono il più delle volte l’interpretazione di chi possiede o sponsorizza quel canale d’informazione, dovrebbe sempre considerare l’autorevolezza e l’attendibilità della fonte, in quanto è molto più probabile che un canale d’informazione con una reputazione da difendere, anche se di parte, debba rispondere alla diffusione di panzane o “fake news”.

 

Utilizzo mirato di notizie fabbricate, verosimili, esagerate e decontestualizzate però non è fine a sé stesso, anche se sarebbe un errore pensare ai social media come unica sorgente di disinformazione o mala-informazione. È comprovato che le fake news circolano nei social media o nel web con estrema semplicità, più che nei canali classici. Vi sono social media che si focalizzano più sulla comunicazione di messaggi interpersonali, più o meno ristretti al circolo di amicizie, e altri più focalizzati sulle notizie e sulle novità. Si è notato che la presa delle notizie shoccanti nei social media dove per altro gli utenti sono lì per motivi affettivi (per esempio, FaceBook), è molto più forte che in un contesto più razionale[4]. Si è anche visto come notizie che suscitano rabbia, frustrazione e scontento viaggino più lontano di notizie più neutre e veritiere[5]. Per chiudere il cerchio è stato anche studiato l’attivismo dei cosiddetti “cliccatori”. Si è visto che i più attivi sono i giovani della destra estrema, ovvero una minoranza rumorosa[6]. Uno dei risultati più evidenti di tale fabbrica di notizie è quella di polarizzare l’opinione pubblica[7]. I più ricettivi a tale modello di fabbricazione dell’informazione sono quindi i giovani, per altro poco informati, che tendono all’autoreferenzialità, ovvero che selezionano notizie che confermano quello che già pensavano e che sono pressoché aleatori, ovvero influenzabili. Questo terzo punto può derivare da una combinazione di fattori quali la mancanza di solide basi e convinzioni, la mancanza di riferimenti e rappresenta l’insoddisfazione. La polarizzazione degli elementi più aleatori è importante quando si cerca d’influenzare l’opinione pubblica. Non è un caso che il motto “l’unione fa la forza” o la sua versione socialista “lavoratori di tutto il mondo unitevi!” abbiano ancora senso. Hanno così tanto senso che è opportuno, per chi vuole dirigere senza troppi problemi una “nazione” o una “civiltà” come ci piace definirci, polarizzare ovvero dividere in due, o ancor meglio in più tronconi, l’opinione pubblica. Più frammentata la classe lavoratrice è e meglio è.

 

Un aspetto importante nel quale operano le notizie fabbricate è quello della funzione educatrice dell’informazione. Su alcuni concetti di base le notizie non possono cambiare di molto l’opinione già radicata in un individuo. Per esempio, buttarsi giù da un ponte non è in generale una buona idea, se lo si fa senza corda di protezione è sempre una pessima idea. Ora non c’è fake news o stolto che tengano, per l’opinione dominante buttarsi giù da un ponte, e a maggior ragione senza corda, rimane di gran lunga una pessima idea. Ma vi sono argomenti sui quali l’informazione è cruciale per farsi un’opinione. Ecco un esempio attuale. Nel caso della pandemia da COVID-19 è meglio optare per “l’immunità di gregge” naturale (laissez faire, laissez passer) o attuare norme di prevenzione stringenti e infine optare per una vaccinazione di massa? Non è facile avere una opinione chiara a priori. Nemmeno gli esperti, ovvero gli epidemiologi e gli infettivologi, hanno opinioni unanimi sul da farsi[8]. Il ruolo dell’informazione in questo caso diventa cruciale per far sì che un individuo si possa fare un’opinione. In un mondo complesso come il nostro gli esempi del ruolo educativo dell’informazione sono moltissimi. È anche per questo che la cattiva informazione e la disinformazione sono un problema serio.       

 

Il consumatore di notizie a questo punto, pur sapendo che nel migliore dei casi queste sono ricostruzioni parziali di ciò che è accaduto, spesso legate a interpretazioni strumentali, dovrebbe considerare oltre all’autorevolezza della fonte anche che vi sono fabbricazioni della realtà e che queste hanno lo scopo di dividere l’opinione pubblica. Mettere gli uni contro gli altri, nazione contro nazione, etnia contro etnia, categoria contro categoria, generazione contro generazione e così via. Tali divisioni agevolano il controllo delle leve del potere politico.   

 

L’informazione non è ancora tutta delegata ai social media, sebbene la sua digitalizzazione tenda a utilizzare sempre più quei canali. La classe media conservatrice, oggigiorno, fatta da persone vicino all’età pensionabile (sia quella di centro-destra che quella di centro-sinistra, per intenderci) utilizza ancora i mezzi di informazione classici. Non è tremendamente attiva su internet e men che meno sui social. Questa classe, che non è immune dalla mala-informazione, è però meno esposta alle bufale e alle panzane orchestrate per creare la disgregazione dell’opinione. Questo segmento di consumatori d’informazione forma le sue idee su basi meno aleatorie, ma non per questo talvolta meno errate. Pensare che l’elettorato americano possa essere influenzato unicamente dai social media è quindi riduttivo. Una semplice analisi demografica dell’elettorato e dei consumatori attivi sui social media può dimostrare come l’idea che i social media possano da soli determinare avvenimenti politici come l’elezione di Trump è esagerata.

 

Arriviamo quindi al fenomeno del complottismo o, come dicono gli anglofoni, del cospirazionismo. Questo parte dal presupposto, per alcuni versi corretto, che l’informazione dei mezzi di comunicazione più seguiti non dica tutta la verità, o menta, o la copra. Questo è per alcuni versi corretto perché come si è già visto la verità è, nel migliore dei casi, ricostruita più o meno accuratamente, anche dai cronisti e dai testimoni più onesti e spassionati ed è riportata da organizzazioni influenzate o sostenute da interessi economici. Tale teoria in linea di massima si rifà al concetto di Herman e Chomsky già citato. Ma il complotto prevede che vi sia un disegno segreto di un manipolo di individui, atto ad assicurarsi il controllo dei centri nevralgici del potere. Di complotti, o meglio tentati complotti, ne sono esistiti, ne esistono e ne esisteranno, ma ciò non toglie che non tutto è un complotto e non tutto necessiti di un complotto. Questo punto è cruciale e vediamo perché. Il complotto vero e proprio, per essere tale, deve coinvolgere un manipolo di persone e portare, tramite una sequenza di azioni lineari ben definite, in gran segreto, a una coercizione ben precisa, ovvero a un risultato forzato che non sarebbe avvenuto altrimenti. I complotti che per funzionare dovrebbero coinvolgere un gran numero di persone e dovrebbero tener conto di diversi possibili risultati o di troppi passaggi sono balle!

 

Per esempio, George Soros, il milionario americano-ungherese di origine ebraica, che si è arricchito oltremodo speculando principalmente sul crollo della sterlina britannica, il quale sarebbe alla testa di così tanti complotti da far pensare che dovrebbe aprire un “ufficio complotti” a tempo pieno per riuscire a tenerne il conto, per definizione non può essere alla testa di un complotto perché sarebbe alla luce del giorno. Ovviamente è l’estrema destra che lo vede a capo del “genocidio bianco”, ovvero neonazisti che accusano un ricco ebreo di genocidio! Per non dire che Soros è stato anche accusato di aver facilitato il genocidio vero spingendo altri ebrei nelle braccia dei nazisti. Peccato avesse meno di quindici anni! Soros avrebbe cospirato oltre che negli USA, anche in Armenia, in Australia, nelle Filippine, in Russia, in Turchia e - perché no? - anche in Italia, foraggiando le Onlus per agevolare l’ingresso di immigranti irregolari per destabilizzare la sovranità italiana[9]. Stessa storia in Inghilterra e in Ungheria. In somma nulla di nuovo sotto il sole, il ricco ebreo è sempre un buon capro espiatorio.

 

Oggi con la pandemia di COVID-19 abbiamo una vasta raccolta di esempi di teorie del complotto che sono, se non altro, un esempio di creatività della grettezza umana. Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, c’è anche quella che dà la colpa della pandemia, o della sua montatura, in funzione di quale sfumatura si voglia usare, a Soros. Di solito tali teorie hanno finalità anti-vaccino o paradossalmente antidemocratiche.

 

[Un appello al buon senso.

 

Implorerei i seguaci delle teorie del complotto almeno di chiedersi, prima di mettere un “mi piace”, o di condividere una notizia medico-scientifica (o presunta tale): “Cosa penserei io se uno scienziato, un medico, un virologo, un epidemiologo, un rianimatore che sia, mi dicesse come fare il mio lavoro? Quale sarebbe l’attendibilità della sua opinione nel mio campo?” E al contempo chiedersi: “Qual è il grado di attendibilità del post o del video in questione? Qual è il suo grado di evidenza scientifica?”

 

Considerando che il grado di evidenza scientifica è tanto più alto quanto sono più alte la qualità e la quantità della ricerca scientifica esistente per tale fenomeno, e che il grado di evidenza più basso viene associato all’opinione del singolo esperto, anche se questo è il massimo esperto al mondo, se l’evidenza scientifica di un fenomeno è riconducibile all’opinione degli individui, vuol dire che non se ne sa abbastanza. L’evidenza scientifica è divulgata su giornali specializzati non su YouTube.

 

YouTube è una piattaforma d’informazione che può ospitare qualsiasi tipo di materiale e non ha nessun sistema di controllo di attendibilità scientifica. Sta quindi allo spettatore valutarne l’attendibilità. Quindi lo spettatore individuale si sostituisce alla commissione scientifica. Ma che problema c’è? Siamo o non siamo 60 milioni di epidemiologi con specializzazione in malattie infettive e virologia, con una seconda laurea in ingegneria elettrica con specifiche competenze sui sistemi di rete wireless, e perché no, con una terza laurea in medicina e chirurgia, con specializzazione in anestesia e rianimazione?     

 

Fine dell’appello al buon senso.]

 

Tali teorie sono ovviamente passate come contro-informazione, screditando conseguentemente quella che è la vera contro-informazione. Ma come distinguere le fake news e le teorie del complotto dalla notizia genuina ed eventualmente dalla contro-informazione?

 

Il complottismo altro non è che fake news con una trama, più o meno verosimile, con lo scopo di mobilizzare masse aleatorie sulla base non di quelli che sono i fatti, ma di quelle che sono trame di comodo, ovvero che funzionano secondo la logica di “chi le cerca è chi ne sente il bisogno”. E chi ne sente il bisogno? Chi è arrabbiato col mondo, insoddisfatto, frustrato e non si sente parte di una classe, ma almeno si può sentire vittima di un complotto. Alcuni aggiungono, chi ha bisogno di credere in qualcosa come con la religione[10].

 

Peccato che non c’è un complotto ma è la normale amministrazione del sistema capitalista, il quale ha nei secoli creato una morale idealista che cozza con la realtà economica dei fatti. Dire che abbiamo perso la lotta di classe è vero, ma può implicare che date le condizioni giuste tale lotta si può riaprire. Seguire le varie “verità vere”, quelle che qualcuno, il Soros del momento, ci nasconde perché altrimenti andrebbe tutto bene è esattamente cadere nella logica nazista dell’idea del diritto. Tutto mi è dovuto: è la mia libertà e il mio diritto. Mentre la libertà, diceva Giorgio Gaber, è partecipazione! Libertà vuol dire effettivamente sapere dove sono i limiti individuali e le chiavi di collaborazione della specie umana. Libertà è collaborazione tra uomo e uomo (nel senso di specie umana) e uomo e natura.    

 

Il consumatore di notizie deve essere cosciente di una cosa, che ho cercato di ripetere in tutto quest’articolo. Una notizia riporta una verità e non la Verità. Ma per quanto parziale e interpretata una notizia veritiera deve avere dei riscontri. Se si chiedesse allo stesso Chomsky dove e come si informa, vedremo che risponderà dai media principali, tipo per lui il New York Times ecc. Ma farà lo sforzo di andare oltre una sola sorgente e verificare per quanto possibile l’attendibilità delle fonti. Se questo vi sembra troppo, allora forse capirete anche perché è più semplice credere a tutto quello che sentiamo qua e là e perché le bufale o le notizie fabbricate hanno presa. Le notizie, quindi, richiedono uno sforzo in più per verificarle e spesso le selezioniamo secondo preconcetti che già avevamo. Gli interessi strumentali dietro all’interpretazione di una notizia sono solitamente identificabili e il consumatore di notizie ne deve essere cosciente. L’informazione è sempre stata utilizzata per influenzare l’opinione pubblica e lo sarà anche in futuro, nella società capitalista. Un complotto per essere tale deve esser segreto: la presenza dell’ennesimo sito o “professore” che ha scovato il complotto deve far suonare subito un campanello d’allarme. Se fosse stato un complotto non sarebbe stato così facile da svelare. Un “professore” deve essere in grado di pubblicare le sue scoperte e teorie su riviste scientifiche con processi di revisione. Si può dir tutto ma oggigiorno vi sono molte riviste che pubblicano anche i commenti dei revisori e quindi è difficile essere zittito dalle lobby della comunità scientifica, che esistono ma non possono più fare il bello e il cattivo tempo.

 

Avere accesso alle informazioni è una conquista, valutarne la veridicità è uno sforzo e interpretarne il significato è una competenza. Essere una “pecora dalla bocca larga”, incazzata col mondo, che ha il click facile non è che l’anticamera del baratro.

 

Cesco


Si ringrazia D.C. e Gian Maria per aver corretto la bozza di questo articolo.



[1] Julie Leask. Vaccines — lessons from three centuries of protest. Book Review. Nature, Vol: 585, 24 September 2020, 499-501.

[2] Herman, E. S., & Chomsky, N. Manufacturing consent: The political economy of the mass media. New York: Pantheon Books. 1988.

[3] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica diretta da Gianni Francioni. 1977.

[4] Berriche, M., Altay, S. Internet users engage more with phatic posts than with health misinformation on Facebook. Palgrave Commun, 6, 71 2020. https://doi.org/10.1057/s41599-020-0452-1 .

[5] Soroush Vosoughi, Deb Roy, Sinan Aral. The spread of true and false news online. Science, 1146-1151. 09 Mar 2018

[6] Deen Freelon, Alice Marwick, Daniel Kreiss. False equivalencies: Online activism from left to right. Science, 1197-1201. 04 Sept. 2020

[7] Marina Azzimonti, Marcos Ross Fernandes. Social Media Networks, Fake News, and Polarization. NBER Working Paper No. w24462. March 2018.

[8] Giusto per dare una risposta sulla questione dell’immunità di gregge naturale à la svedese. Questo approccio è stato riconosciuto errato dalla scienza, in quanto il grado di circolazione del virus SARS COV-2 necessità di essere molto alto e a lungo, con un conseguente tasso di mortalità ingiustificato, prima di poter parlare di percentuali immunizzazione di gregge, condizioni che comunque aprirebbero la strada ad una chiara fase endemica. Mentre la prevenzione dei contagi e il vaccino di massa è la strada ideona per una vera e propria immunità di gregge. Risultando questa ad un minore tasso di mortalità, e abbassando, ma non per questo annullando, il rischio endemico.   

[9] Why is billionaire George Soros a bogeyman for the hard right? https://www.bbc.com/news/stories-49584157 . 6 September 2019

[10] From plandemic to breadcrumbs: conspiracy-theory slang. The Economist, https://www.economist.com/1843/2020/09/17/from-plandemic-to-breadcrumbs-conspiracy-theory-slang,17  Settembre 2020.

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