La Rivoluzione tedesca 1918-1920 - PARTE III -
Congresso Generale dei Consigli di Germania
Lunedì 16 dicembre finalmente si riunì a Berlino, più precisamente alla Preußisches Abgeordnetenhaus, ovvero la Camera dei rappresentati prussiana, il primo Congresso generale dei Consigli dei lavoratori e dei soldati di Germania, che durò fino a sabato 21 dicembre. Vi si riunirono 489 delegati, 405 dei quali erano lavoratori e 84 soldati; la maggioranza dei lavoratori erano operai e impiegati, ma vi era anche un largo numero di sindacalisti. Secondo quanto riportato da Bernstein solo 442 mandati furono riconosciuti validi1. La SPD contava 288 delegati, formando quindi la maggioranza, mentre la USPD ne contava 90, inclusi 10 spartachisti. Inoltre, vi erano 25 democratici, 11 del gruppo dei Rivoluzionari uniti, ovvero un gruppo di Amburgo guidato da Laufenberg, 25 appartenenti a un gruppo autonomo di soldati e 50 senza appartenenza politica2. Circa la metà dei delegati era composta da intellettuali, giornalisti, deputati e funzionari; mentre il 36%, ossia 179, erano operai e impiegati. Vi era un mezzadro, tre rappresentati dei contadini e 13 ufficiali3; vi erano presenti due donne4. Rosa Luxemburg e Karl Liebkencht erano assenti5. La proposta di consentire la loro partecipazione come spettatori con voto consultivo fu bocciata dal Congresso per ben due volte. Il punto cruciale sul quale si discusse e si votò fu l’elezione dell’Assemblea nazionale. Un appunto va fatto su Bernstein il quale, essendo una delle personalità più rispettate della USPD, il giorno prima dell’inizio del Congresso alla riunione degli “indipendenti” aveva proposto la collaborazione con la SPD e lo stesso Bernstein in un gesto di riconciliazione, venendo meno secondo lui il motivo di scissione sulla questione dei crediti di guerra, chiedeva di avere entrambe le tessere. Nonostante Bernstein non sembra dare molta enfasi a questo fatto, questa notizia ebbe risonanza mondiale sulla stampa socialista.
Il Congresso Generale iniziò mentre la Germania si trovava ancora in fibrillazione. Nonostante la firma dell’armistizio poco più di un mese prima, la stampa e i conservatori premevano sulla costituzione di un governo che potesse negoziare la pace con l’Intesa usata come vero e proprio spauracchio. Lo stesso armistizio era stato prolungato di un mese ma aggiungeva la condizione per gli Alleati di poter per ragioni di sicurezza occupare la sponda destra del Reno da Colonia ai Paesi Bassi. Secondo voci messe in giro dalla stampa conservatrice, Londra e Parigi non riconoscevano l’autorità dei Consigli, Solf si era dimesso il 13, e questo avrebbe portato alla ripresa delle ostilità. In aggiunta vi era la questione delle riparazioni, soprattutto la Francia voleva fissare una cifra considerevole per far pagare alla Germania la ricostruzione, ma anche questo discorso era in sospeso. Soli due giorni prima, il Presidente del Reichstag Fehrenbach aveva raccolto consensi per riconvocare il Reichstag racimolando adesioni e protezione di truppe militari. Questo andava a mettere ulteriore pressione sul governo provvisorio perché se si fosse riunito il Reichstag avrebbe dovuto decidere se collaborarci o rinnegarlo: a maggior ragione questo tipo di iniziative spingeva per l’elezione di una Assemblea nazionale. Inoltre, erano passati soli dieci giorni dal tentato putsch. I mandati erano stati scovati, ma questo aveva lasciato un solco profondo tra le due frazioni della USPD, ovvero i centristi e gli spartachisti. Una conseguenza del 6 dicembre fu la divisione dei poteri tra Congresso Esecutivo, con funzione di controllo e Congresso dei Delegati con funzione esecutiva. Un’altra conseguenza non di poco conto fu l’ingresso delle truppe del generale Lequis a Berlino chiamate dal governo provvisorio per evitare ulteriori attacchi da destra o da sinistra. Il Congresso, quindi, iniziava con le solite fobie di un intervento esterno, il timore concreto di altri colpi di stato, le continue accuse della sinistra radicale di tradire la rivoluzione e i suoi organi, e una forte urgenza di “regolarizzare” il governo con l’indizione delle elezioni.
Riprendendo le suggestive parole di Gustavo Sacerdote, (sotto lo pseudonimo di Genosse, ovvero “Compagno” in tedesco) che sulle colonne dell’Avanti! descrive l’atmosfera nella quale si aprì il Congresso, si può brevemente rivivere quel momento:
“Tutti i posti sono occupati. Sono presenti circa 480 delegati, tra cui due donne. Circa metà dei delegati è in uniforme militare, fra essi vi sono alcuni ufficiali. Ai lati, sopra il banco della presidenza, stanno due ghirlande coi nastri rossi. Il banco della presidenza, la tribuna dell’oratore sono parati in rosso. Al banco degli antichi ministri prussiani siedono i commissari del popolo: Barth6, Ebert, Haase, Landsberg, Scheidemann, Dittmann7. In un altro banco siede il Comitato esecutivo con Ledebour8 alla testa.
Apre il Parlamento della Rivoluzione Richard Müller9, membro del Comitato esecutivo. Che, con un applaudito discorso, ricorda il compito di questo Parlamento degli operai e dei soldati, e il consolidamento della Rivoluzione e della Repubblica socialista. [...]”10.
La prima seduta si aprì infatti alle 10 del mattino con i discorsi di apertura di Richard Müller e di Friedrich Ebert. Richard Müller insistette, memore delle decisioni prese dopo il 6 dicembre, che era nel diritto del Consiglio Esecutivo trasferire i poteri ai Delegati del Popolo così come toglierli in caso di pericolo controrivoluzionario, notando che i Delegati non erano mai stati a loro agio con questa decisione. Quindi Müller insistette in difesa del Consiglio Esecutivo calunniato dalla stampa borghese11, precisando che: “la preparazione12 della rivoluzione iniziò già nel luglio del 1916”13, e che molti di coloro i quali lavorarono a questa preparazione entrarono quindi nel Consiglio Esecutivo dei Consigli dei lavoratori e dei soldati della Grande Berlino, il quale divenne l’Organo Centrale provvisorio dei Consigli di Germania che così era “l’espressione visibile della rivoluzione”. Secondo Müller era per via della sua origine schiettamente rivoluzionaria che ora veniva attaccato.
“È di una chiarezza cristallina che i Consigli dei lavoratori e dei soldati sono il solo vero risultato della rivoluzione. Se questi cadono, di questa non rimarrà molto” protestava Müller.
Continuando, che nella risoluzione del 17 novembre il Consiglio Esecutivo dichiarava: “[…] Lo Stato tedesco deve diventare una repubblica proletaria sulla base di una economia socialista”14, «avremo spaventato qualcuno» ironizzava Müller. Quindi il suo discorso si rivolse contro la SPD ricordando che il 9 di novembre quando la rivoluzione aveva raggiunto Berlino la Vorwärts pregava di non scendere in piazza. Nonostante il Consiglio Esecutivo parlò sempre di potere provvisorio è comprensibile, continua Müller, che alcuni abbiano creduto che questo volesse instaurare la dittatura del proletariato, ma questo fu fatto credere a molti tedeschi soprattutto dagli oppositori della rivoluzione. Quindi Müller parlò della enorme mole di lavoro burocratico e diplomatico sotto la quale il Consiglio Esecutivo si trovò ad operare senza alcun tipo di supporto e sotto la quale effettivamente rimase seppellito. Infine, si rivolse al Consiglio dei Delegati del Popolo, denunciando il colpo di stato, orchestrato dalla destra e in particolare dal capitano Lorenz, avvenuto il 6 di dicembre su commissione del Ministero della Guerra. Le truppe avevano espresso fedeltà al Consiglio dei Delegati del Popolo ma non al Consiglio Esecutivo, arrestandolo, e giurato sulla Repubblica tedesca, ma non sulla Repubblica Socialista tedesca. Quindi continuò che quando il Consiglio Esecutivo chiese la rimozione di Wilhelm Solf e Eduard David per la loro condotta nel negoziato, questa richiesta fu contrastata dai Deputati del Popolo.
Ne seguì il discorso di Ebert che citò il compianto Jaurès: «La Repubblica deve essere una nazione di re», sottolineando le difficoltà economiche nelle quali imperversava la Germania e l’importanza di non turbare la ripresa economica del Paese. Dopo il discorso di Ebert venne eletto quindi un bureau composto da un maggioritario, Leinert di Hannover, un indipendente Seger di Lipsia e il soldato Gomolka, quindi fu rigettata la proposta di far partecipare al Congresso Liebknecht e Luxemburg come ospiti. Lo stesso mattino la Rote Fahne aveva pubblicato un appello che chiamava la gente di Berlino a scendere in piazza per dare il benvenuto ai membri del Congresso generale. Quindi una folla di diverse migliaia di persone di riversò nella Siegesallee per raggiungere la Camera dei rappresentati in circa 50 o 60.000, secondo Bernstein, o 250.000, secondo la Rote Fahne, o 8.000, secondo Genosse inviato dell’Avanti!. I discorsi di Liebknecht e Paul Levi furono apertamente ostili nei confronti dei Scheidemänner ovvero i collaboratori dei maggioritari e dell’Assemblea nazionale. Una delegazione fu quindi mandata al Congresso per richiedere che:
i. La Germania fosse una libera Repubblica socialista.
ii. Tutto il potere fosse dei Consigli dei lavoratori e dei soldati.
iii. Il Consiglio Esecutivo nominato dal Consiglio Centrale divenisse il vero organo legislativo e esecutivo e che i delegati del popolo fossero nominati e rimossi da questo.
iv. I delegati Ebert e Haase venissero rimossi.
v. Avvenisse una energica implementazione di tutte le misure necessarie per proteggere la rivoluzione specialmente il disarmo delle formazioni controrivoluzionarie e la creazione della Guardia Rossa.
vi. Vi fosse un appello del Consiglio Centrale a tutti i proletari del mondo per formare Consigli dei lavoratori e dei soldati e iniziare la rivoluzione mondiale.
Il presidente della seduta Leinert assicurò i delegati che i punti sarebbero stati discussi e votati dal Congresso15. Dopo questa interruzione riprese la parola Müller chiedendo il sequestro dei documenti del ministero degli Esteri. Protestò quindi contro l’azione di Governo di armare le forze militari e liberare il capitano Lorenz.
A Müller replicò Dittmann, per gli indipendenti, il quale precisò che la richiesta di dismissioni di Solf era accolta dagli indipendenti e che non fu David, ma Karl Kaustky e Max Quarck ad ispezionare i documenti dell’Ufficio degli Esteri, e che Kausky non aveva trovato alcun indizio che potesse far pensare che qualcosa fosse stato distrutto. Quindi – disse anche – che il capitano Lorenz era stato scagionato da una commissione di tre giuristi nominati dal Consiglio Esecutivo stesso. Dittmann spiegava che il Consiglio dei Delegati del Popolo aveva agito principalmente per far fronte alle necessità del momento, ovvero la pace e la fame, e che questo inesorabilmente aveva tardato la socializzazione. Dittmann espose il programma di tassazione del governo, menzionò le ordinanze di politica sociale, le otto ore, gli aiuti per i disoccupati e aggiunse che il Socialismo avrebbe avuto bisogno per il suo sviluppo completo di un periodo di transizione. Il benessere che i lavoratori avevano creato non c’era più e questo andava ricostruito mantenendo la produzione. Quindi passò all’esercito che doveva essere smobilitato ma che nel frattempo doveva rispondere al Comando Supremo: alcuni ufficiali avrebbero tentato la controrivoluzione ma la maggioranza dei soldati era con la Rivoluzione. Il governo provvisorio favoriva la libertà di espressione proprio per assicurare al proletariato il controllo sul governo. Quindi sull’Assemblea nazionale (questa era stata già acclamata il 12 novembre anche se ora i radicali vi si opponevano) vi erano delle buone ragioni, continuava Dittmann, per non avere le elezioni anticipate, ma il governo alla fine aveva deciso per il 16 febbraio 1919, ma ora sarebbe toccato al Congresso deciderne la data. Quello era il momento del proletariato di essere unito contro i partiti della borghesia e di non sprecare energie in una guerra fratricida16!
Altri membri del Consiglio Esecutivo presero la parola dopo Dittmann, tra i quali spiccò Georg Ledebour di Berlino, il quale chiamò Ebert “vergognoso” per la sua risposta ai soldati il 6 dicembre. Si ricordi che nella stampa radicale non era passata l’idea del rifiuto di Ebert ma più che altro del suo tergiversare per vedere come sarebbero andate le cose. Ebert era stato comunque dipinto come in combutta con i putschisti. Ledebour criticò Dittmann il quale il 2 novembre aveva fatto fronte con Haase contro il lancio della rivoluzione a Berlino il 4 novembre, e questo diede tempo a Ebert e Scheidemann di prendere il controllo della situazione. Fino allo scoppio della rivoluzione, aggiunse Ledebour, Scheidemann e i suoi amici avevano beneficiato dello stato di assedio e ora potevano beneficiare della Rivoluzione. Toccò quindi a Landsberg, il terzo delegato maggioritario, che difese a spada tratta l’operato del governo provvisorio. Mentre Emil Barth, altro delegato, ne fu critico, lamentano la lentezza con la quale procedeva la smilitarizzazione17, le troppe libertà date ai militari, proponendo una mozione per cui: ogni operazione non strettamente legata alla smobilitazione fosse immediatamente annullata18; tutti gli ufficiali fossero congedati appena arrivati nelle guarnigioni; fosse garantita la pensione ai più vecchi e ai malati ed il ritorno alla professione ai giovani. Ebert quindi lo criticò per non averne discusso prima con loro ricordandogli che molte di queste misure erano già state approvate. Fu respinta ancora la richiesta di ammettere Liebknecht al Congresso.
Il secondo giorno, il 17 dicembre, ancora il corteo di spartachisti scese in piazza ma venne contrastato dalla milizia berlinese. A Neukölln, un distretto di Berlino, gli spartachisti occuparono il Municipio, ma anche in questo caso la milizia berlinese e le truppe dell’esercito in forte superiorità numerica li fecero sgomberare. In novembre a Neukölln si era formato un Consiglio rivoluzionario il quale aveva decretato l'abolizione dell’autorità municipale, la socializzazione delle banche, e la requisizione delle case per renderle proprietà comune. Secondo Donny Gluckstein questo episodio “mostrò come la questione delle forze armate fosse un punto di rifermento per che avesse avuto il potere”19. Proprio durante il discorso di Ebert, il Congresso fu disturbato dai soldati: 30 soldati entrarono nella sala del Congresso, provenienti dalla guarnigione di Berlino, tra i quali vi erano uomini della Volksmarinedivision, uomini della questura di Eichhorn e uomini della milizia repubblicana di Wels20. I loro rappresentati lessero il seguente proclama:
“Come prima siamo a disposizione del governo attuale, ovvero il governo in cui risiede il programma con gli obbiettivi di una Repubblica socialista come fine principale. I compagni della Marina sono la prima barriera protettiva della Rivoluzione, la loro presenza è quindi assolutamente necessaria. I consigli dei soldati richiedono che il Congresso approvi immediatamente la seguente urgente mozione:
1. Il Consiglio Supremo dei soldati, che comprende delegati di tutti i consigli dei soldati, eserciti il comando su tutte le truppe dell’Esercito e allo stesso modo della Marina.
2. Che i distintivi di tutti i ruoli dell’esercito di tutti i gradi siano banditi. Tutti gli ufficiali devono essere disarmati. Il bando dei distintivi di ruolo e dei gradi di servizio si applicherà alle truppe di ritorno dopo che esse avranno riconsegnato le armi nelle caserme.
3. I consigli dei soldati sono responsabili della affidabilità delle truppe di divisione e della loro disciplina.”21.
Il presidente Seeger, indipendente, rispose loro che era impossibile approvare tale mozione seduta stante come da loro richiesto. Gli indipendenti Heckert e Ledebour invece insistettero che questo fosse di vitale importanza ovvero difendere i marinai dagli attacchi portati avanti dai Delegati del Popolo. Questo creò il pandemonio e molti maggioritari offesi lasciarono la Camera. Quindi Haase prese la parola per far tornare la calma, promettendo ai soldati che la loro mozione sarebbe stata considerata al più presto ma che doveva essere prima discussa, il che generò la reazione dei soldati. Seeger quindi la portò ai voti e venne accettata. Ledebour presentò un forte atto d’accusa nei confronti di Ebert per aver provocato i suoi avversari e perché i soldati che tornavano dal fronte venivano impiegati per la controrivoluzione: «Ripeto ancora che Ebert è indegno della carica che copre e costituisce una vergogna per il Governo». Queste truppe erano guidate dagli ufficiali, e in molte località i Consigli erano stati sciolti proprio dai militari. Ebert e Landesberg replicarono che c’era necessità che il confine orientale venisse difeso e chi si fosse opposto a ciò avrebbe commesso un delitto contro il popolo22. Barth confermò la latente crisi nel governo e si espresse contro l’appoggio di Ebert ai militari. Ebert quindi replicò circa l’impossibilità di destituire il generale Hindenburg e altri generali durante la smobilitazione, aggiungendo che anche per loro maggioritari era difficile rimanere a governo con Barth e senza sicure ed esplicite garanzie si sarebbero visti costretti a ritirarsi. La maggioranza del Congresso era comunque saldamente in mano ai maggioritari.
Quando gli animi si furono calmati il 18 dicembre un’altra risoluzione venne accettata dal Congresso:
“1. Il Comando Supremo dell’Esercito e della Marina è esercitato dal Consiglio dei Delegati del Popolo sotto il controllo del Consiglio Esecutivo.
2. La rimozione dei distintivi di rango e il bando di portare l’arma fuori servizio.
3. I consigli dei soldati sono responsabili dell’affidabilità delle truppe di divisione e del mantenimento della disciplina. Non ci saranno più superiori fuori servizio.
4. I soldati eleggono i loro leader. Il precedente ufficio deve essere rieletto.
5. Abolizione dell’Esercito e la formazione del Volkswehr, la Forza di Difesa del Popolo, sono accelerate23.
6. Gli ufficiali dell’amministrazione militare e i funzionari col rango di ufficiale possono continuare a ricoprire i loro incarichi per le esigenze della smobilitazione, purché giurino di rinunciare ad azioni che possano nuocere alla rivoluzione.
7. Scioglimento al più preso dell’esercito permanete e costituzione della milizia popolare.”24
Vi fu unanime accordo sulla mozione introdotta da Walter Lamp’l, il rappresentante del Consiglio dei soldati di Amburgo, per una completa democratizzazione dell’esercito e la subordinazione del Comando Supremo ai Consigli25. Un ottavo punto fu aggiunto da Lamp’l su suggerimento di Ebert:
“8. Queste norme valgono quali direttive. Le norme esecutive definitive verranno stabilite dai sei Delegati del Popolo sotto controllo del Consiglio Esecutivo e con il consenso dei Consigli dei soldati dell'esercito e della marina”.
Questa aggiunta fu sufficiente per inficiare l’efficacia della risoluzione26.
Durante questa discussione Gustav Noske, tornato da Kiel in veste di Assistente, propose la riduzione del comitato di 53 persone per l’amministrazione della Marina, e il delegato dei soldati di Kiel appoggiò questa proposta, confermando che questo comitato non aveva mai concluso nulla. Sempre il 18 un’altra delegazione, di 50 persone, fu mandata al Congresso dagli spartachisti. Il Congresso votò a larga maggioranza per non ammetterli in quanto secondo il Congresso questi rappresentavano solo Berlino e non tutta la Germania. Il presidente Leinert però accetto di parlarci e dopo diversi scontri verbali il loro portavoce riuscì a prendere la parola ripetendo i punti espressi il 16 e aggiungendo «Abbasso l’Assemblea nazionale e tutto il potere ai Consigli!»27. Il delegato Braß portò alla tribuna un ordine segreto del Comando Supremo della VIII armata nel quale si leggeva che le divisioni dovevano essere guidate dagli ufficiali e fornite di mezzi come mitragliatrici, e che occorreva allontanare elementi poco fidati. Ancora il Comando si esprimeva per il dovere di difendere i confini occidentali e orientali. A ciò Barth replicò che questa era la solita scusa per avere un esercito in grado di sopprimere la rivoluzione.
Già il 19 venne promulgata una ordinanza per regolare provvisoriamente «il problema del comando e la posizione dei consigli dei soldati nell’esercito di pace» la quale ristabiliva la gerarchia militare. Il generale Wilhelm Groener aveva dichiarato:
«Non riconosco le risoluzioni prese a Berlino il 18 dicembre 1918 dal Consiglio Centrale dei Consigli dei lavoratori e dei soldati e riguardanti gli accordi sul carattere dell’esercito e in particolare sulla posizione degli ufficiali e dei sottufficiali […]. L’esercito rimane fedele al governo Ebert, dal quale si aspetta che mantenga gli impegni presi sulla continuità dell’esercito e sul riconoscimento dell’autorità di comando, affinché il corpo degli ufficiali e dei sottufficiali possa continuare a prestare il proprio servizio. Ho presentato le mie rimostranze al governo in questo senso. Restano pertanto in vigore gli ordini impartiti finora»28.
I discorsi di chiusura furono di Müller e Dittmann. Nei voti finali la mozione di Barth fu rigettata nonostante la mozione del radicale Braß di disarmo immediato dei controrivoluzionari fu approvata. Bernstein menziona la mozione del bolscevico Eugen Leviné la quale lamentava che le attività del Consiglio dei Delegati ammontavano ad una sistematica alienazione del potere dei Consigli, e quindi servivano a rafforzare la controrivoluzione. Questa fu contestata da quella dei maggioritari presentata da Hermann Lüdemann il giorno prima:
“Il Congresso dei Consigli di Germania, detentore di tutto il potere politico, trasferisce il potere legislativo ed esecutivo al Consiglio dei Delegati del Popolo, il quale eserciterà queste facoltà fino a che nuove disposizioni saranno prese dall’Assemblea nazionale costituente.
Il Congresso nomina il Consiglio Centrale dei Consigli dei lavoratori e dei soldati, che eserciterà il controllo parlamentare sui governi tedesco e prussiano. Esso avrà il diritto di verificare l’operato dei Delegati del Popolo del Reich e, fino alla definitiva regolamentazione dei rapporti statali, anche dei Delegati del Popolo di Prussia.
Per la supervisione delle amministrazioni centrali del Reich, il Consiglio dei Delegati del Popolo nomina degli Assistenti aggiunti ai Sottosegretari. A ogni ministero del Reich saranno associati due Assistenti scelti tra i membri di entrambi i partiti socialdemocratici. Il Consiglio Centrale sarà consultato prima della designazione dei ministri e dei loro Assistenti.”29.
Questa mozione fu votata a larga maggioranza30. L'accresciuto potere che quest’ultima mozione dava ai Delegati del Popolo fece scaturire una nuova discussione tra maggioritari, per i quali parlò Max Cohen-Reuß, e gli indipendenti, per i quali parlò Ernst Däumig31. Il primo ripeté la tesi della necessità per la Repubblica tedesca di doversi organizzare per assicurare stabilità interna e affidabilità nei rapporti con gli esteri e questo poteva avvenire solo con la elezione della Assemblea nazionale, che i Consigli esprimevano solo parte del volere della popolazione, che il socialismo marxista era un processo organico, e che in Russia le cose erano state fatte al contrario. La socialdemocrazia, sempre secondo Cohen-Reuß, doveva includere i circoli borghesi, la cui influenza non poteva sottostimare, e il venir meno di questa funzione di rappresentanza avrebbe significato una invasione da parte dell’Intesa. Il Congresso, quindi, approvò la sua mozione fissando le elezioni per il 19 di gennaio32. In questa atmosfera giubilante per il discorso di Cohen-Reuß, Ernst Däumig parlò senza mezzi termini e presentò la mozione contro l’Assemblea nazionale, dichiarando che l’elezione dell’Assembla nazionale sarebbe stata: “la condanna a morte” della rivoluzione. L’idea che, insistette Däumig, il sistema dei Consigli potesse funzionare anche dopo l’elezione dell’Assembla Nazionale era vana. “Che ruolo può avere un sistema consiliare al fianco di un sistema pomposo, parlamentare, democratico borghese rappresentato dall'assemblea nazionale?”. Däumig parlò chiaro: “Ciò di cui abbiamo bisogno è l'implementazione del sistema dei Consigli nei luoghi di lavoro. Abbiamo bisogno di lavoratori che guidino le loro officine e fabbriche attraverso i Consigli dei quali si fidano. Questo deve avvenire ora! I proprietari di officine e fabbriche si prenderanno il più che possono prima che arrivi la socializzazione. È obbligo dei lavoratori sapere e conoscere l’intero processo di produzione, non solo la loro mansione specifica. Ribadisco, questo è possibile solo con il sistema dei Consigli”33.
Toccò ad Haase spiegare cosa si intendesse per supervisione dei Delegati da parte del Consiglio Centrale: egli spiegò che tutti i disegni di legge dovevano passare per il Consiglio Centrale e tutti i decreti dovevano essere discussi insieme a questo organo. Sempre Haase spiegò che le circostanze richiedevano ai delegati di agire rapidamente e che il Consiglio Esecutivo si riservava il diritto di revocarli. Dopo una pausa richiesta dagli indipendenti, Haase riprese nel dire che tra i delegati c’era accordo sulla necessità di avere una Assemblea nazionale, ma disaccordo sulla sua funzione, e che, sempre secondo Haase, i Consigli avrebbero dovuto conservare i loro poteri e la loro rilevanza politica. Secondo Haase, indire le elezioni così presto era un errore, in quanto: vi erano ancora territori occupati, molti soldati il 19 di gennaio non sarebbero ancora tornati dal fronte, e altrettanti non avrebbero avuto il tempo di capire per che cosa avrebbero votato. La posizione della SPD si rifaceva all’idea, già espressa da Ebert in novembre, circa la necessità di ridare pace e stabilità, e quindi ordine e sicurezza, alla Germania per scongiurare la crisi degli approvvigionamenti; solo tramite lo stabilirsi della Repubblica democratica assicurata dalla Assemblea nazionale questo sarebbe potuto avvenire. Scheidemann si dichiarò contrario alla permanenza dei Consigli, i quali non rappresentavano che una parte della popolazione e che avrebbero significato: «assolutamente la scomparsa certa del commercio e dell’industria, la rovina del Reich e una incalcolabile miseria per la popolazione». Quelli che volevano ritardare le elezioni erano una minoranza rumorosa, continuò Scheidemann: «non vogliamo la guerra civile. Vogliamo assicurare il lavoro, la pace e il pane alla gente; quindi, noi vogliamo la vittoria della Rivoluzione». La mozione di Cohen fu confermata con 400 voti a 50, la mozione Däumig fu rigettata con 344 contrari e 98 a favore34.
Quindi la discussione si focalizzò sulla proposta dell’indipendente Geyer che voleva modificare la risoluzione Lüdemann, dando al Comitato Centrale il pieno diritto di approvare o rigettare le leggi prima della loro promulgazione. Questa proposta fu duramente contrastata da Ebert, tornando allo stato di emergenza, alla mancanza di cibo e di materiale grezzo, emergenze che richiedevano la più repentina azione senza poter aspettare l’approvazione del Consiglio Centrale; quindi, pur collaborando con il Comitato Centrale, il potere legislativo ed esecutivo doveva rimanere nelle mani dei Delegati del Popolo. Gli indipendenti sembrarono annusare la trappola e Obuch e Barth parlarono in favore della proposta di Geyer. Il primo disse: «C'è qualcos'altro dietro l'argomentazione delle complicazioni legislative e amministrative. Proletari, state in guardia! Non mollate la presa sui vostri diritti!»35.
Il venerdì 20 dicembre si tenne il voto sulla proposta Geyer relativamente alla risoluzione Lüdemann e fu rigettata con 290 voti a 115. Qui purtroppo si sviluppò una grave rottura su richiesta di Ledebour e contro l’avviso di Haase: gli indipendenti decisero di non partecipare alle elezioni dei membri del Consiglio Centrale del Consiglio dei lavoratori e dei soldati precludendosi la loro presenza lì! Anche perché la mozione Lüdemann negava al Consiglio Centrale il veto sul Consiglio dei Delegati del Popolo. Anche Müller e Däumig decisero di boicottare l’elezione del Consiglio Centrale. Questo diede pieno controllo della SPD sul Consiglio Centrale! La USPD decise di boicottare l’elezione del Consiglio Centrale, ma di rimanere nel governo provvisorio. Forse non è eccessivo mettere l’enfasi su quanto risultò catastrofica la decisione della USPD di boicottare l’elezione del Consiglio Centrale perdendo di fatto uno strumento di equilibrio nel periodo che andrà da quel giorno al 19 gennaio, soprattutto quando si pensa al disastro che accadde in quel lasso di tempo.
Rudolf Hilferding presentò il rapporto della già citata Commissione per la Socializzazione sostenendo che l’economia necessitava di riprendersi prima di poter parlare di socializzazione. Il processo di socializzazione sarebbe dovuto iniziare dall'industria pesante dato il suo carattere monopolistico, ma la socializzazione immediata delle banche non sarebbe stata ancora auspicabile per via della frammentazione di questo settore. Per quanto riguarda l’agricoltura la socializzazione sarebbe dovuta cominciare dalle grandi proprietà terriere. In ogni caso la socializzazione avrebbe impiegato molto tempo e i lavoratori socialisti avrebbero dovuto lavorare sull’ideale socialista. Emil Barth non era d'accordo con l’analisi di Hilferding e chiedeva l’immediata socializzazione. Con una breve replica Hilferding ammoniva che l’immediata socializzazione avrebbe chiesto sacrifici maggiori per molti operai che non avrebbero avuto salari adeguati date le condizioni disastrate di molte industrie. La mozione Lüdemann-Severing venne messa ai voti e approvata; essa prevedeva l’immediata socializzazione di tutte le industrie nelle condizioni di essere socializzate, in particolare quelle di estrazione mineraria, così come un’altra mozione proposta dagli indipendenti che prevedeva il salario minimo e le 8 ore per i minatori tenendo conto dei tempi trasferimento36.
I rappresentanti dei soldati, quindi, proposero la riunificazione della SPD e della USPD, ma in realtà questo mostrò come la distanza tra Haase e Liebknecht fosse molto maggiore di quella tra Haase ed Ebert. Georg Ledebour parlò contro la riunificazione perché: «entrare nella Gabinetto con Ebert, Scheidemann e Landsberg, che sono quelli maggiormente da biasimare per il fatto che il capitalismo sia stato in grado di sopravvivere alla guerra, fu l’errore più grande dei nostri amici nella USPD». A questo replicò Scheidemann, il quale fece molta fatica a parlare dato l’enorme trambusto dei congressisti nel vederlo salire sul pulpito, e riuscì solo ad apprezzare le intenzioni della mozione dei soldati, ma a dichiarare l’impossibilità di affrontare questo argomento al Congresso. I radicali iniziarono a gridare «Scheidemann deve andarsene, via Scheidemann!», a cui ironicamente Scheidemann rispose: «Ad ogni modo, avevo intenzione di andarmene a mangiare fra mezzora.», poi, non riuscendo più ad ultimare il suo discorso, scendendo dal palco disse: «La risposta che non volete sentire da me, i lavoratori di Germania ve la daranno il 19 gennaio»37.
Oltre l’approvazione della data dell’elezione per la Assemblea nazionale, una conseguenza importante del Congresso fu il passaggio di consegne dal Congresso Esecutivo, il quale dai più radicali veniva visto come un organo rivoluzionario, al neoeletto Congresso Centrale, che, come abbiamo visto, era stato eletto dai maggioritari, oltre al fatto che il 28 dicembre il Consiglio Esecutivo sarebbe terminato. Questo comportò già dal 21 dicembre delle dimostrazioni, che si andarono a sommare con la processione funeraria dei caduti del 6 dicembre. Liebknecht tenne un discorso in questa occasione, che ricevette una dura replica il giorno successivo sulla Vorwärts: Liebknecht ormai era il sobillatore della guerra civile38. Nel frattempo, il Consiglio dei Delegati del Popolo e il nuovo Consiglio Centrale si riunirono e, cosa non di poco conto, il generale Groener riuscì a far cancellare le risoluzioni sull’esercito votate all'unanimità al Congresso. Groener ormai poteva pubblicamente dire: “meno interferite e più permettete alle cose di fare il proprio corso e ci lasciate lavorare, più velocemente l’ordine sarà ristabilito”39. Anche Rürup fa notare che l’amministrazione pubblica che durante la prima fase della rivoluzione aveva collaborato con le nuove organizzazioni (comunque intese come temporanee) rivoluzionarie, ora, già prima delle elezioni della Assemblea Nazionale, riprendeva a funzionare gerarchicamente, tornando ad essere “un corpo autoritario nel seno della Repubblica democratica”. Hugo Preuss, l’autore della Costituzione di Weimar, qualche anno dopo, nel 1925 ricorderà che: “la discrepanza tra la Costituzione democratica e la tradizionalmente antidemocratica e autoritaria pubblica amministrazione costituì «la causa diretta più importante della debolezza del nuovo stato»”40.
La rivolta dei marinai della Volksmarinedivision
Dopo il tentativo di colpo di stato del 6 dicembre in cui la Volksmarinedivision aveva giocato un ruolo centrale, il suo rapporto con il governo provvisorio del Consiglio dei Delegati del Popolo si era deteriorato. Il Conte von Metternich era stato destituito dal Consiglio dei 53 della Marina perché colto a fornire passaporti falsi ai mandanti del putsch e il comando fu assegnato al marinaio Radtke41. La cosa importante da notare che i rapporti si erano deteriorati, almeno da parte della Volksmarinedivision, non per ragioni di natura politica. Un migliaio di marinai della Volksmarinedivision erano stati alloggiati presso l’ex Marstall, ovvero scuderie reali, che erano di fronte al Königsschloss, ovvero al Palazzo reale, dove una parte della Volksmarinedivision era stata messa a guardia alle opere d’arte. Opere d’arte che andarono scomparendo a causa di frequenti furti spesso, secondo l’accusa, condotti dai mariani stessi o comunque non contrastati da loro in veste di custodi. Il ministero delle Finanze, quindi, fece pressione sul governo per un cambio di guardia. Il 12 dicembre il ministro delle Finanze Hugo Simon, indipendente, consegnò un memorandum al governo che chiedeva la rimozione dei marinai dallo Schloss e dal Marstall. Il governo si trovò d'accordo e l’incarico passò al solito Otto Wels, maggioritario, quello del 6 dicembre. Allo stesso tempo la Volksmarinedivision che era la guardia armata di Berlino aveva richiesto un aumento delle truppe e di essere distaccata dal comando della Marina, ossia di essere accorpata alle meglio pagate Soldatenwehr (Forze di Difesa dei soldati) guidate da Wels medesimo. Quando, al contrario, i marinai furono informati di dover ridurre la loro forza a 600 unità e di dover lasciare le loro sistemazioni, nella Volksmarinedivision esplose un forte malcontento. Wels, su ordine di Ebert, aveva già iniziato a eseguire i tagli di personale e 90 marinai furono congedati; quindi, la Volksmarinedivision si oppose ad ulteriori congedi e indicò che solo il Consiglio Esecutivo poteva decidere sul da farsi, non il Consiglio dei Delegati. Questi accadimenti erano avvenuti in concomitanza al Congresso Generale e la delegazione di marinai che aveva interrotto la seduta era proprio legata a questi fatti. Quindi il 21, ovvero il giorno dopo la chiusura del Congresso, Wels aveva ricevuto ordine di pagare 80.000 marchi di salario, se e solo se la Volksmarinedivision avesse abbandonato lo Schloss e riconsegnato le chiavi. Chi alloggiava allo Schloss sarebbe stato alloggiato al Marstall, ma solo i salari di 600 uomini sarebbero stati pagati! Questa disposizione era stata firmata dai Delegati del Popolo, Ebert, Haase, Landsberg, Barth, Dittmann, e Scheidemann42.
Il 22 dicembre, domenica, la Volksmarinedivision fu invitata da Wels a presentarsi alle 11:00 al suo quartier generale, ma i marinai non si presentarono. Quindi il lunedì 23, un membro del Consiglio Esecutivo Thost e due membri del Comitato della Marina si recarono alla Cancelleria del Reich in rappresentanza della Divisione, furono rassicurati da Ebert che i marinai congedati sarebbero stati inglobati nella Forza di sicurezza Repubblicana e che quando avessero lasciato il Schloss sarebbero stati pagati. I tre della delegazione accettarono e lo riferirono al resto della Divisione. Quindi il comandante assegnato Radtke e il comandante eletto, l’ex luogotenente Dorrenbach43, spartachista, invece di recarsi da Wels con il mazzo di chiavi si recarono direttamente alla Cancelleria del Reich, e riconsegnarono le chiavi al Delegato del Popolo più radicale, Emil Barth. Barth chiamò telefonicamente Wels per informarlo della riconsegna e quindi di procedere con la paga, ma Wels si oppose precisando che le chiavi andavano riconsegnate a lui medesimo; ne scaturì un diverbio che alterò i marinai mostrando solo l’inflessibilità burocratica di Wels. Il punto di vista di Wels era forse troppo inflessibile ma si basava sul fatto che il suo capo diretto era il Delegato Ebert essendo questi in carica degli affari militari e solo con il nullaosta di Ebert, Wels avrebbe accettato telefonicamente la riconsegna delle chiavi. Quindi Barth disse a Dorrenbach: «Andate da Ebert, lui chiamerà Wels, quindi la faccenda sarà risolta». Bernstein si chiede perché Barth non si prese la briga di accompagnare i marinai da Ebert, i quali comunque, già alterati, si recarono all’ufficio di Ebert, ma non lo trovarono. Questo li fece imbestialire sentendosi rimandati da Erode a Pilato. Quindi decisero di occupare la Cancelleria del Reich affinché la situazione non fosse stata chiarita. Ebert stava pranzando con Landsberg non lontano dal suo ufficio, ma per qualche motivo i marinai ormai irritati avevano deciso di occupare l’edificio. Secondo il racconto di Barth, Dorrenbach gli chiese di seguirlo per andare ad incontrare Ebert. Ora, nell’ufficio di Ebert c’era anche Landsberg, Scheidemann e il sottosegretario Baake. Bernstein precisa però che Scheidemann non era presente. Barth ricorda il primo scambio di parole con gli altri delegati e quando apprese da loro di essere sotto la custodia dei marinai. Tutti i telefoni erano stati occupati dai marinai, ma sempre secondo Barth il Presidente del Consiglio dei soldati di Potsdam lo aveva chiamato su una linea secondaria per avvisarlo che dei reggimenti di fanteria e cavalleria, che erano stati preparati dal mattino, erano partiti per Berlino su ordine del governo. Bernstein conferma che vi era una linea telefonica diretta con il Comando Supremo della quale Dorrenbach non era a conoscenza, dalla quale effettivamente Ebert aveva chiesto aiuto anche militare al generale Groener. Sempre secondo Ebert vi fu effettivamente un negoziato con una delegazione della Divisone composta da Dorrenbach e altri due marinai, ma che solo Dorrenbach, e non i due marinai, si ostinava a non accettare le offerte di Ebert. Questo punto è a dir poco ambiguo in quanto se gli accordi erano stati raggiunti già dalla delegazione di Thost, che motivo poteva aver avuto Ebert per ritrattare? Intanto Wels aspettava direttive dalla Cancelleria fin a quando fu informato che la Cancelleria era stata occupata. Quindi ordinò alle truppe sotto il suo comando, la Soldatenwehr repubblicana, di recarsi alla Cancelleria e, mentre Wels stava uscendo per andare anch'egli alla Cancelleria, fu fermato da una delegazione di marinai guidati dallo stesso Dorrenbach. Durante la conversazione concitata tra i due si sentirono spari fuori dal quartier generale di Wels, al che Wels si fiondò sul balcone gridando di cessare il fuoco perché si stava negoziando. Gli uomini del Soldatenwehr, probabilmente per un evento casuale, avevano aperto il fuoco sui marinai uccidendone uno, secondo Bernstein, ma secondo Paul Frölich et al., uccidendone tre. Questo fece infuriare i marinai che occuparono il quartier generale di Wels e volendolo linciare. Ora, secondo Bernstein, ma ciò appare un po’ strano, Wels in tutto questo trambusto riuscì a parlare telefonicamente con il generale Lequis della Gardeschützenkavallerie per chiedere aiuto. È più probabile che queste truppe fossero state preallertate e si fossero messe in marcia per Berlino, proprio dalla telefonata di Ebert. I marinai presero Wels, il suo aiutante Fischer e il segretario Bongartz e li portarono al Marsall. Quindi gli ultimi due furono rilasciati e Wels fu portato allo Schloss, dove l’indipendente Radtke evitò che venisse linciato e lo fece mettere in una stanza confortevole informando i marinai che Wels era sotto loro custodia cautelare.
Intanto una delegazione di cinque con a capo Brutus Molkenbuhr della Soldatenwehr repubblicana si recò da Ebert, informandolo che loro e le altre truppe arrivate a Berlino erano pronte a schiacciare il putsch dei marinai. Gli uomini di Lequis arrivati da Potsdam arrestarono il Delegato Barth dichiarando di riconoscere solo Ebert. Ebert chiese alle truppe di Lequis di rilasciare Barth, di sgomberare il campo e che la difesa della Cancelleria fosse affidata alla Soldatenwehr. Ebert chiese di evitare spargimenti di sangue e la delegazione di Molkenbuhr si recò al Marstall per negoziare con la Volksmarinedivision. Quindi alle 10 della sera le truppe lasciarono la Cancelleria, e alle 11 dalla Cancelleria partì una telefonata allo Schloss e al Marstall per chiedere informazioni su Wels. All’una di notte Radtke chiamò dallo Schloss per informare che Wels era ancora in custodia dei marinai. Secondo Bernstein a questo punto Ebert, dopo aver discusso con Landsberg e Scheidemann, il quale sembra ora essere stato presente, chiamò il ministro della Guerra, Schëuch, chiedendogli di fare il possibile per liberare Wels. Intanto al Marstall Radtke era impegnato a negoziare con i soldati la sorte di Wels, il quale rischiava ancora di essere linciato. Si decise di chiamare Georg Ledebour il quale era considerato uno dei pochi che avrebbe potuto convincere i marinai. Quindi nel mezzo della notte Ledebour si recò al Marstall, riuscì con un forte discorso a convincere i mariani a rilasciare Wels i quali erano stati molto vicini al linciare il loro prigioniero. Aveva convinto i marinai che lui, Dorrenbach e altri rappresentati si sarebbero recati alla Cancelleria per un negoziato. Purtroppo, il luogotenente generale Lequis della Gardeschützenkavallerie, incaricato da Schëuch aveva già circondato lo Schloss e il Marstall con le sue truppe d’assalto armate di tutto punto.
Una loro delegazione di 5 uomini si recò nel Marstall alle 7 e 50 del mattino della Vigilia di Natale del 1918. La delegazione chiedeva la resa immediata dei marinai, le quali richieste sarebbero state soddisfatte, ma entro dieci minuti i marinai dovevano lasciare il Schloss e il Marstall disarmati; se la bandiera bianca non fosse stata alzata i soldati avrebbero aperto il fuoco. Secondo le ricostruzioni la situazione al Marstall era pressoché caotica e i marinai non riuscirono a produrre la bandiera bianca in tempo quindi le truppe repubblicane aprirono il fuoco alle 8 in punto. Secondo altre ricostruzioni i dieci minuti non furono rispettati. Le truppe piazzarono due mitragliatrici a Schinkelplatz e diverse altre a Werderscher Markt e Oberwallstraße, mentre i marinai disponevano di cinque mitragliatori e un pezzo di artiglieria pesante. Il fuoco e addirittura il bombardamento dello Schloss e del Marstall recarono molti danni a cose e persone. Il combattimento durò fino alle 10, quando i marinai esposero la bandiera bianca da una finestra del Marstall. Quindi una delegazione di marinai si presentò all’ingresso del Marstall. Dalla Französische Straße si avvicinarono il comandante della brigata della Kavallerie, von Tschirschky e un rappresentate del governo su un veicolo con esposta la bandiera bianca, vennero fatti entrare nel Marstall dal quale uscirono dopo un quarto d’ora con un comitato di marinai per negoziare la resa44. Durante le ostilità i Delegati del Popolo si erano riuniti per discutere come far cessare le ostilità. Ebert chiamò quindi il ministro della Guerra informandolo che a nome di tutto il Gabinetto chiedeva l’immediato cessate il fuoco; quindi, fu organizzata una delegazione composta da Cohen, il presidente del Consiglio Centrale, Richard Müller, il presidente del Consiglio Esecutivo di Berlino, e Thost del comitato dei 53 della Marina che si recarono all’Università per il negoziato di resa dei mariani. La delegazione di marinai per la tregua delle 10 raggiunse l’Università, dove fu accordato il pagamento dei salari con il che la delegazione di marinai avrebbe evacuato i due edifici; quindi, il delegato dell’esercito, il luogotenente generale Hoffmann, rispose che a queste condizioni le truppe avrebbero lasciato Berlino. Alle 11 i marinai evacuarono completamente lo Schloss e il Marstall45. Una ricostruzione completamente diversa da quella riportata da Bernstein viene fornita da Paul Frölich et al., secondo cui il fuoco venne riaperto alle 10 e 30 ma una massa di operai e di spartachisti, così come alcuni reparti della Soldatenwehr repubblicana, si unirono ai marinai. “Le mogli degli operai, incuranti del pericolo, penetrarono tra le schiere delle truppe delle guardia e spiegarono ai soldati quale azione scellerata veniva fatta loro compiere […]. I soldati gettarono i fucili e gli ufficiali vennero disarmati”46. Secondo questa ricostruzione solo allora iniziarono i negoziati. Bernstein effettivamente menziona nuovi combattimenti nei quali furono coinvolti gli spartachisti. “Già alle nove e un quarto”, ma non è chiaro se del mattino o della sera, scoppiarono scontri a Lutsgarden e nel cortile dello Schloss; vicino alla Borsa circa 300 spartachisti avevano attaccato il cordone e a Lutsgarden avevano preso due mitragliatrici dalle truppe di Potsdam. Dal racconto però si evince che lo Schloss fosse già in mano alle truppe di Potsdam e l’assalto fu respinto47. Ciò che importa è che la stampa diede la colpa agli spartachisti per non aver permesso l'evacuazione della Volksmarinedivision usando donne e bambini per costringere le truppe a cessare il fuoco48. In tutto questo avvenne un episodio che avrebbe avuto profonde conseguenze: il capo della polizia di Berlino Emil Eichhorn, indipendente radicale, aveva mandato le sue truppe di polizia armata sui luoghi del conflitto con l’intento di arginare il combattimento e non farlo estendere al resto di Berlino. Data la sua vicinanza agli spartachisti e date le voci messe in giro dalle truppe repubblicane di infiltrazioni spartachiste durante il conflitto, Emil Eichhorn fu accusato di armare gli spartachisti che volevano trasformare questo conflitto tra soldati repubblicani e marinai del popolo in una rivoluzione politica. Secondo la conta dei caduti e dei feriti c’è la prova dell’intervento spartachista nel combattimento del Marstall: i marinai contarono nove morti e molti feriti gravi, che fecero salire il numero di morti a 20, il resoconto parla di 40 feriti tra gli spartachisti, le truppe governative registravano 2 morti e 2 feriti49.
Le dimissioni della USPD
In tutto questo trambusto è notevole che il governo provvisorio emanò il 23 dicembre una importante ordinanza che creava la legge sul contratto collettivo (Tarifrecht) che metteva fuori legge i contratti privati tra singole industrie e i loro lavoratori, regolarizzando le griglie di pagamento, creando anche comitati di arbitrato che relazionavano il Ministero del Lavoro50. Tornando però alla rivolta dei marinai, già dal pomeriggio fino alla sera del 24 si tennero discorsi di piazza e riunioni dove si incominciò ad invocare il tradimento dei Delegati maggioritari, che senza consultare gli altri Delegati, avevano ordinato l’intervento dell’esercito. Quindi si chiedevano già le dimissioni degli indipendenti dal governo provvisorio. Il giorno dopo, ovvero il giorno di Natale 1918, dopo una dimostrazione organizzata dagli spartachisti e dagli Steward rivoluzionari, i dimostranti guidati da elementi radicali della divisione dei marinai vicini agli spartachisti, andarono ad occupare il Vorwärts, il giornale della SPD maggioritaria, in quanto questo era stato molto critico del comportamento dei marinai, ma soprattutto degli spartachisti, accusandoli “di aver fatto dell’istituzione di un governo basato sulla violenza il proprio obiettivo rivoluzionario”. Quindi i marinai dichiarano che questa sarebbe uscita con il nuovo nome di Roter Vorwärts. Il capo della polizia Eichhorn mandò i suoi uomini per mantenere l’ordine alla sede del Vorwärts, i rivoluzionari nominarono una commissione di dodici rappresentati formata da Steward rivoluzionari e da indipendenti. Inizialmente questi arrestarono il ministro Ernst, il quale alloggiava sopra i locali del giornale. Quindi il 26 il Vorwärts venne sgombrato, ma solo dopo aver pubblicato una proclamazione degli Steward rivoluzionari che sottolineava il ruolo controrivoluzionario che questo giornale aveva avuto. Fu fatta seguire una dichiarazione della vecchia redazione, maggioritaria rientrata, che ovviamente declinava le accuse51. Durante l’occupazione dell’edificio venne scoperto un reparto di Jäger, con fucili, autoblindo e ventuno mitragliatrici, otto casse di munizioni per mitragliatrici e ventisei granate a spoletta e trenta senza spoletta52.
Il 27 dicembre si riunirono i Delegati del Popolo e il Consiglio Centrale. Barth fece un discorso di accusa nei confronti dei tre delegati maggioritari, imputando loro la premeditazione dello scontro armato e il sistematico depistaggio dei colleghi. Anche Haase a Dittmann, i quali non avevano partecipato in prima persona agli avvenimenti del 23 e 24, si scontrarono con Ebert sulla questione dell’esercito. Ebert, come si era espresso in precedenza, giustificava il mantenimento di un forte esercito per conservare delle truppe abbastanza preparate per intervenire sul confine orientale, nei Balcani e in Polonia, nel caso che i bolscevichi avessero attaccato, lasciando però così non pochi poteri e autonomia al Comando Supremo dell’esercito, mentre i due leader socialisti indipendenti erano contrari a qualsiasi idea di guerra (e a maggior ragione di guerra contro la Russia dei Soviet) ed erano per l’immediata implementazione delle risoluzioni approvate al Congresso generale, risoluzioni che erano state disattese. Gli indipendenti formularono otto quesiti per il Consiglio Centrale che avevano lo scopo di giudicare l’operato dei tre delegati maggioritari. Il primo punto concerneva l’ordine emesso da Ebert, in accordo con Scheidemann e Landsberg, di far intervenire l’esercito: il Consiglio Centrale lo considerò una misura necessaria per liberare Wels e quindi lo approvava. Il secondo punto chiedeva se il Consiglio Centrale avesse ammesso i 10 minuti di ultimatum dati ai marinai da parte dei soldati, cosa che il Consiglio Centrale ovviamente non accettava. Così come il Consiglio Centrale era d’accordo nell’applicazione immediata delle risoluzioni di abolizione delle gerarchie e del bando al porto d’armi fuori servizio per gli ufficiali. Quindi gli indipendenti chiedevano se il Consiglio Centrale avesse approvato il fatto che il Comando Supremo, in un telegramma riservato, aveva rigettato le risoluzioni prese durante il Congresso Generale, e anche questo ovviamente non era stato approvato. Gli indipendenti allora chiedevano un’opinione sul fatto che i tre delegati maggioritari avessero proposto di spostare la Cancelleria del Reich in un’altra sede, Weimar, al centro della Germania, e se il Consiglio Centrale accettasse il fatto che, sempre i maggioritari, non volessero la piena smobilitazione e fosse d’accordo con il principio che il Governo non potesse usare l’esercito tradizionale per la sua difesa, ma solo un Forza di Difesa Popolare formata da volontari secondo principi fondamentalmente democratici. Su questi tre punti il Consiglio Centrale non si espresse per mancanza di elementi di giudizio. In ultimo gli indipendenti chiedevano al Consiglio Centrale se quest’organo fosse favorevole a iniziare la socializzazione delle industrie pronte a ciò, ottenendo una risposta più o meno favorevole. Ma il Consiglio Centrale non si limitò a rispondere ai quesiti del Delegati del Popolo e a sua volta volle sapere se gli indipendenti fossero stati pronti a difendere la pace, la sicurezza e specialmente la proprietà pubblica e privata contro la violenza, e se fossero pronti a difendere il loro stesso operato contro ogni tipo di violenza a prescindere da che lato venisse. A questi due quesiti i tre Delegati del Popolo indipendenti risposero con una dichiarazione di dimissioni. La dichiarazione articolava la loro dimissione sulle basi degli avvenimenti sanguinosi del 24 dicembre riconducibili all’ordine dei tre Delegati maggioritari di dare carta bianca all’esercito. Esercito che usò mezzi non necessari per la liberazione di Wels, i delegati maggioritari non si erano curati di supervisionare le azioni dell’esercito, continuavano Haase, Dittmann e Barth: “[…] Noi non possiamo assumerci la responsabilità per il fatto che l’autorità sulla vita di esseri umani sia trasferita alla discrezione di rappresentanti del vecchio sistema basato sulla violenza [...]”53. Accusavano il Consiglio Centrale che accettava questo operato dei Delegati del Popolo maggioritari, e notavano la pericolosità di questo precedente dove il Consiglio Centrale disapprovava la modalità con la quale l’esercito si era comportato, ma aveva giustificato chi all’esercito aveva dato carta bianca. Non convinti delle genuine intenzioni del Consiglio Centrale di partire con la socializzazione e visto il carattere delle domande a loro poste, ai tre Delegati del Popolo indipendenti non restava che dimettersi. Bernstein è comprensivo della posizione molto meditata dei tre indipendenti ma è contrario alla loro decisione di lasciare il governo. Bernstein aggiunge che si era esagerato sull’idea che le parole di Ebert al Ministro della guerra avevano potuto implicare quello che il generale Lequis avrebbe poi effettuato, e racconta che Dittmann si recò da von Schëuch per fare presente che non si ordina di bombardare un edifico dove è tenuto l’ostaggio da liberare, e che von Schëuch rispose dicendo che non aveva né dato né ricevuto un tale ordine assurdo54. Questo era un chiaro esempio di come il militarismo tedesco tra gli ufficiali e le truppe ancora inquadrate fosse duro a morire. Come epilogo di questa vicenda dopo aver pagato i marinai questi vennero accorpati alla Soldatenwehr, il 28 dicembre Wels diede le dimissioni e il generale Lequis venne sostituito dal generale barone von Lüttwiz.
Il 29 di dicembre sulla Freiheit uscì una spiegazione più convincente, almeno agli occhi di Bernstein, delle dimissioni degli indipendenti. Le divergenze in politica interna ed estera tra i maggioritari e gli indipendenti, la fiducia dei maggioritari nel Comando Supremo, e l'eccessiva forza ridata all’esercito, li aveva convinti ad abbandonare il governo provvisorio. Il problema fondamentale era che il Consiglio Centrale, che non aveva più rappresentati gli indipendenti, non permetteva alcuna manovrabilità da parte degli indipendenti stessi. Bernstein principalmente non vede perché i tre indipendenti non abbiano preservato il loro diritto di porre veto (tre contro tre) cosa che avrebbe potuto arginare gli errori dei maggioritari. Tutto sommato Bernstein pur reputando la decisione di disertare l’elezione dei rappresentati del Consiglio Centrale da parte degli indipendenti come un errore madornale, pur considerando l’operato di Barth e di Dorrenbach la principale causa della precipitazione degli eventi il 24 dicembre, pensava ancora fosse possibile salvare il salvabile. Per Bernstein, e lui lo dice senza mezzi termini, la presenza dei tre indipendenti al governo sarebbe stata ancor più importante per arginare l’azione “bolscevica” che gli spartachisti di Karl Liebknecht stavano organizzando55.
Già il 24 dicembre Noske, ancora a Kiel, venne chiamato a Berlino da Ebert. Noske inizialmente rifiutò asserendo che il suo lavoro a Kiel non era concluso, ma Ebert lo convinse dicendogli che non si sarebbe dovuto trattenere a lungo; quindi, si mise in viaggio con un bagaglio leggero. Fece ridirigere il treno a Chemnitz, il suo vecchio distretto elettorale per vedere la situazione; quindi, venne ragguagliato sulla situazione in altri centri come Amburgo, Cuxhaven e Wilhelmshaven dove, egli apprese, gli ufficiali avevano riottenuto il controllo. Seppe infatti che Bernhard Kuhnt dello squadrone navale di Wilhelmshaven aveva tentato di prendere il potere a Oldenburg senza successo56. Ma la sua chiamata a Berlino non fu temporanea: ai tre Delegati del Popolo indipendenti dimissionari subentrarono tre Delegati del Popolo maggioritari. Uno fu appunto Gustav Noske che accettò di buon grado, quindi Paul Löbe e Rudolf Wissell. Löbe declinò la carica, spiegando che non si sentiva all’altezza e che avrebbe fatto meglio nella sua provincia, Bernstein commenta, data la pacatezza di giudizio e il buon temperamento di Löbe, questi sarebbe stato molto utile per mitigare Noske57. Non venne comunque rimpiazzato e i Delegati rimasero cinque. Le parole d’ordine del nuovo governo provvisorio erano mantenimento della pace, della sicurezza, della proprietà pubblica e privata, della produzione, dei risultati della rivoluzione e preparazione per l’Assemblea nazionale. Per quanto riguarda i Segretari di Stato indipendenti tutti seguirono l’esempio dei Delegati tranne tre. Karl Kautsky, agli Esteri, rimase ancora qualche settimana per ultimare il suo lavoro archivistico; Emanuel Wurm, all’ufficio del Cibo, rimase fino a che un rimpiazzo adeguato venne trovato, ed Eduard Bernstein, al Tesoro, rimase per scelta fino alla fine del mandato, ovvero al febbraio 1919. Bernstein si giustifica nel suo resoconto storico, asserendo che egli doveva dare l’esempio che servisse per la riunificazione del Partito socialdemocratico58. Sempre il 29 dicembre furono organizzate due importanti dimostrazioni, una dai maggioritari alla quale parteciparono 400 mila persone e una organizzata dal gruppo di Spartakus alla quale parteciparono 20 mila persone. Gli scioperi però incominciarono a coinvolgere l’aria produttiva della Ruhr e della Turingia-Sassonia.
La scissione della Lega di Spartaco della USPD
Il 24 dicembre i comunisti internazionalisti di Germania (corrente di Brema) si erano riuniti in una Conferenza a Berlino alla quale avevano partecipato delegati di altre parti della Germania. Questi dovevano decidere se rimanere autonomi o fondersi con la Lega di Spartaco. Johann Knief degli internazionalisti e Leo Jogiches degli spartachisti erano diffidenti. Karl Radek rappresentante dei soviet lavorò in funzione della fusione. Mancò però una chiara maggioranza. Il gruppo di Spartaco aveva chiesto a tutta la USPD un Congresso generale per discutere la scissione, ma questo non avvenne. Quindi i 29 dicembre si tenne una riunione preliminare in vista della Conferenza della Lega di Spartaco il giorno seguente.
La Conferenza si tenne quindi dal 30 dicembre e il 1° gennaio 1919. A questa riunione parteciparono solo 114 attivisti, dei quali 83 delegati. Ernst Meyer aprì la Conferenza ricordando che questo movimento era nato nell’agosto del 1914 con un piccolo gruppo di dissidenti. Tra il 14 e 15 questo piccolo gruppo aveva diffuso un volantino “Il mondo sputa sangue”, prima testimonianza di dissidenza alla guerra. Quindi nacque Spartakus ovvero l'attività giornalistica contro la guerra supportata da quella parlamentare sostenuta da Liebknecht e Rühle59. Quindi Liebknecht sottolineò che la divisione della USPD, prima di essere tale, avvenne già il 16 marzo 1916 anche se fu costituita solo nel 1917. La USPD non aveva principi teorici né programmi d’azione e questo era vero anche ora perché la USPD in sé non era capace di organizzarsi. Sempre Liebknecht sottolineò che la USPD aveva trai suoi il revisionista Bernstein e che quelli come lui che avevano contribuito alla politica di guerra e a tradizioni dalle quali non potevano scappare con la rapidità dei “rieducatori del 4 agosto” (data d’inizio della Grande Guerra). Erano rimasti quelli che erano. Molti nella USPD, sempre secondo Liebknecht, erano affetti da cretinismo parlamentare. In più, collaborando col governo provvisorio, la USPD aveva funzionato da foglia di fico per i maggioritari. A Gotha gli spartachisti entrarono nella USPD già con molte riserve, ora con lo scoppio della rivoluzione era il momento di avere un programma chiaro e quindi di formare un partito separato: “Non c'è’ dubbio che almeno Ebert e Scheidemann furono complici del putsch, se non gli organizzatori […] mentre Haase e compagni rimasero nel Gabinetto”. Al Congresso il Consiglio Centrale fu ridotto ad una marionetta, incalzò Liebknecht, e fu scelta l'Assembla nazionale che significa la restaurazione della borghesia. Gli indipendenti al governo hanno creato le condizioni per la controrivoluzione nei conflitti del 6, 23 e 24 dicembre. Accusò Liebknecht, che la responsabilità era di Haase-Dittmann-Barth e quindi di tutti gli indipendenti. Quindi il caso di Bernstein di avere la tessera di entrambi i partiti avrebbe ispirato altri e comunque avrebbe determinato la disintegrazione interna del partito, mentre la separazione era necessaria. Liebknecht quindi presentò la risoluzione di scissione dalla USPD e di creazione di un nuovo partito:
“Mentre la Conferenza della Lega di Spartaco dà il benvenuto fraterno al proletariato in lotta di tutti i paesi e chiede di unirsi alla rivoluzione mondiale, risolve: tagliando i suoi legami organizzativi con la USP, la Lega di Spartaco si costituisce in un partito politico indipendente sotto il nome di: Partito Comunista di Germania (Lega di Spartaco).”60.
Si votò per la scissione dalla USPD e la costituzione del Partito Comunista di Germania (Lega di Spartaco)61 con soli tre voti contrari. Il presidente Pieck della Sede Centrale di Berlino informò quindi che i comunisti avevano dichiarato di volersi unire a questo nuovo partito non appena questo si fosse scisso dalla USPD. Seguì un lungo discorso di Radek in rappresentanza dei quattro compagni provenienti dalla Repubblica Sovietica Russa. Denunciò il fatto di essere stato accolto dal governo Ebert-Haase con le mitragliatrici e il fatto che il governo Ebert-Haase aveva rifiutato il pane russo per la popolazione tedesca, ma che comunque l'entusiasmo della gente russa per la rivoluzione tedesca era alto. Del resto, i russi riconoscevano nei socialisti piccolo-borghesi tedeschi gli stessi comportamenti attuati dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari.
“il signor Solf, dirige la politica estera della rivoluzione tedesca, mentre Karl Kautsky, il teorico della Seconda Internazionale, ai suoi piedi come un giovane operaio apprendista fa pratica nell’arte del governare.”
Incalzò quindi Radek sulle ragioni deleterie del collaborare con la borghesia, tra le quali il non potersi liberare dai debiti di guerra.
“Le masse si solleveranno contro questa “coalizione” se si scoprirà che gli Ebert sono i cani poliziotto dei magnati del carbone e del ferro, i difensori degli Junker avidi di denaro. Ciò avverrà prima di quanto molti credano: gli sviluppi in Alta Slesia e in Renania-Vestfalia lo dimostrano.”
Quindi Radek si concentrò sulla guerra civile ammonendo che la Germania sta già facendo questa esperienza con i fatti del 6 e del 24 dicembre, che in Russia questa è ancora in corso e se i “bolscevichi selvaggi” hanno ucciso meno di qualche migliaio di borghesi, le forze borghesi a Kiev, in Finlandia e sul Don aveva già ucciso centinaia di migliaia di lavoratori. Quindi diede un risconto sulla guerra combattuta dalle forze sovietiche contro la coalizione dei bianchi. Mise in guarda dall'argomento principale avanzato dagli Scheidemänner contro il Partito Comunista di Germania che esso avrebbe aperto la strada all'Intesa verso la Germania; una grande menzogna in quanto se l'Intesa fosse arrivata non avrebbe incontrato alcuna resistenza da parte del popolo tedesco. Chiudendo, Radek prestò omaggio alla grande rivoluzionaria polacca:
“il Partito comunista russo è orgoglioso di aver lavorato un tempo in stretta alleanza con Rosa Luxemburg, la vostra guida spirituale.”62.
In tutta risposta fu stilato un telegramma da mandare al governo sovietico:
“La Conferenza del Reich della Lega di Spartaco, che oggi ha fondato il Partito Comunista di Germania, invia i più sinceri saluti alla Repubblica Sovietica Russa, ai compagni combattenti russi contro il nemico comune degli oppressi di tutti i paesi. Sapere che tutti i vostri cuori battono per noi ci dà forza e potere nella nostra lotta. Lunga vita al socialismo! Lunga vita alla rivoluzione mondiale!”.
Nella sessione pomeridiana parlò Paul Levi, il quale toccò l’argomento caldo dell’Assemblea nazionale, spiegando che in Germania ci sarebbe dovuto essere un Räteregierung, un governo consiliare, ma la realtà ormai imponeva che da lì a poco si sarebbero tenute le elezioni e che lui si sarebbe candidato. È ovvio, sostiene Levi, che l’Assemblea nazionale è “la bandiera della controrivoluzione […] con tutti i suoi compari, con Ebert e Scheidemann, con tutti i suoi generali, con Hindenburg e Groener, con tutte le sue potenze economiche, con Stinnes e Thyssen e i direttori della Deutsche Bank”, ma proprio per questo la presenza radicale dei comunisti era fondamentale. Quindi con gran coraggio, contro una platea pressoché ostile, Levi incalzò:
“Compagni di partito! Tuttavia, vi consigliamo di non ignorare le elezioni dell'Assemblea nazionale. Vi suggeriamo di presentarvi con tutte le vostre forze a queste elezioni per l'Assemblea Nazionale. (Grida: "Mai!" "No!") Lasciatemi finire! Alla fine, dite "Mai!". Vi proponiamo di partecipare a queste elezioni e di combattere con tutta la ferocia, tutta l'energia e tutto lo spirito combattivo che, vi dico, avete dimostrato in ogni lotta, per ogni posizione che la controrivoluzione ha eretto di fronte a voi fino ad ora. (Grida: “Spreco di energia!”)”63. E ancora, Levi cercò di portare l’esempio bolscevico quando parteciparono all’Assemblea nazionale, e solo quando, spiega Levi, “la situazione divenne tale che l’Assemblea nazionale era oggettivamente superata rispetto alla situazione in cui si trovava la Russia, l'Assemblea nazionale venne sciolta. ([Interruzione:] “Facciamolo subito!”)”. Rivolgendosi direttamente ai compagni astensionisti più prestigiosi, come il compagno Rühle, Levi cercò di spiegare che grave errore strategico sarebbe stato il boicottare l’Assemblea: si sarebbe dato così tempo e forza alla borghesia di rafforzarsi e combattere, sarebbe: “il danno più grande a voi stessi e al nostro movimento”64.
Dopo Levi la Conferenza decise di avere un oratore contro e venne chiamato quindi proprio Otto Rühle per il quale questo compromesso avrebbe confuso molti, specie donne e giovani non avrebbero capito perché votare gli spartachisti. La strada, secondo Rühle, restava per gli spartachisti la piattaforma migliore. Quindi incalzando Levi, Rühle affermò, se come ha detto il nostro compagno il destino degli spartachisti dipende dalla partecipazione all’Assemblea allora stiamo necessariamente versando in uno stato pietoso; e chiuse con un appello:
“Vi rivolgo un appello urgente: non lasciatevi coinvolgere in questa politica opportunistica. Non sto dicendo che si tratti di una politica deliberatamente opportunistica. Ma il suo effetto sarà opportunistico. […] Vi rivolgo un appello urgente: non cedete a tutto questo, ma seguite la strada diretta di una politica del tutto coerente, che ponga una sola richiesta: un sistema consiliare!”65.
Il Convegno entrò nel clou quando si alzò per replicare Rosa Luxemburg accolta tra fragorosi applausi, ma la quarantasettenne polacca non usò mezzi termini:
“Noi tutti comprendiamo e apprezziamo moltissimo lo zelo rivoluzionario e la determinazione che esprimono tutti voi, e se il compagno Rühle vi ha messo in guardia dal nostro opportunismo, accetteremo questo rimprovero”.
Luxemburg denunciò l’inesperienza e la fretta con la quale si voleva votare su un argomento così delicato, quindi passò al caso russo. La Russia denunciò Luxemburg è nella sua fase finale della Rivoluzione iniziata nel 1905 e non nel 1917, i bolscevichi hanno respinto l’Assemblea nazionale quando al potere c’era il governo Trotsky-Lenin, mentre in Germania: “Non avete niente alle spalle se non la miserabile mezza rivoluzione del 9 novembre”.
“La vostra tattica si basa sul presupposto che entro 14 giorni, quando la popolazione se ne sarà andata da Berlino, a Berlino potrà essere formato un nuovo governo. "Formeremo un nuovo governo qui tra 14 giorni". Sarei felice se fosse così. Ma come politica seria non posso basare le mie tattiche su speculazioni”.
Per Luxemburg era proprio l’immaturità delle masse che non aveva ancora portato il sistema dei Consigli al potere sicché la controrivoluzione era riuscita ad erigere l’Assemblea nazionale. La situazione non si risolveva nella scelta tra mitragliatrici o parlamento e l’Assemblea non sarebbe stata comunque il vecchio Reichstag tedesco; inoltre, l'elezione avrebbe rappresentato un nuovo strumento di lotta rivoluzionaria. Con logica ferrea chiese:
“Da un punto di vista puramente pratico, potete davvero dire con la coscienza pulita che se decidete di boicottare, siete il nucleo migliore della classe operaia tedesca e, in quanto rappresentanti dello strato più rivoluzionario, avete l'opportunità di assicurare con la coscienza pulita che le vaste masse della classe operaia seguiranno davvero il vostro slogan di boicottaggio e non vi prenderanno parte?”. Quindi rivolgendosi direttamente a Rühle:
“Non si parli di opportunismo in questa sala, ricordatelo, compagno Rühle! C'è una profonda contraddizione nella tua argomentazione quando affermi che temi gli effetti negativi del parlamentarismo sulle masse. Da un lato, siete così sicuri della maturità rivoluzionaria delle masse che contate di instaurare qui un governo socialista entro 14 giorni, il che significherebbe la vittoria finale del socialismo. D'altro canto, temi le pericolose conseguenze del voto per queste stesse masse mature. Devo dirti francamente che non ho paura di niente. Sono convinta che le masse siano create e nate fin dall'inizio dall'intera situazione per comprendere correttamente le nostre tattiche. Dobbiamo educare le masse nello spirito della nostra tattica, affinché capiscano come usare lo strumento del voto non come un'arma di controrivoluzione, ma come masse rivoluzionarie e coscienti di classe per schiacciare con la stessa arma coloro che ce l'hanno messo nelle mani”.
Quindi con chiarezza cristallina:
“Concludo con la formulazione: non c'è differenza tra noi nello scopo e nell'intenzione, siamo tutti sulla stessa base: combattiamo l'Assemblea nazionale come baluardo controrivoluzionario, vogliamo fare appello ed educare le masse per distruggere l'Assemblea nazionale. È una questione di opportunità e di metodo migliore. Il vostro è più semplice, più comodo, il nostro è un po' più complicato ed è proprio per questo che lo apprezzo, per approfondire la rivoluzione spirituale delle masse. D'altronde le vostre tattiche sono speculazioni sui rapidi sviluppi delle prossime settimane, mentre le nostre tengono presente che la strada per l'educazione delle masse è ancora lunga”66.
Considerando cosa sarebbe accaduto da lì a poco le parole di Rosa Luxemburg avrebbero dovuto pesare sulla coscienza di non pochi attivisti spartachisti che non la ascoltarono e si gettarono nella rivolta.
Dopo altri brevi interventi il Presidente Pieck annunciò le tre mozioni: “una mozione di Rogg (Duisburg) per distribuire schede elettorali uniformi sulle quali siano annotati i due nomi Liebknecht e Luxemburg, una seconda mozione di Rühle (Pirna) che rifiuta di partecipare alle elezioni dell'Assemblea nazionale e una terza mozione simile di alcuni compagni di Berlino”67.
Seguì il discorso un po’ ambiguo di Eugen Leviné contro la partecipazione all’Assemblea:
“La situazione è questa, che ci piaccia o no: le masse andranno all'Assemblea nazionale, le masse voteranno per i nostri avversari: i borghesi, i dipendenti e gli indipendenti. Come possiamo ora, attraverso la nostra posizione nei confronti dell'Assemblea nazionale, garantire che le masse torneranno a noi in seguito? Ci troviamo ora di fronte alla possibilità di una dittatura Ebert-Scheidemann nel prossimo futuro. Le battaglie più dure ci attendono. […] In ogni caso, dobbiamo cercare di opporre il potere reale all'Assemblea nazionale, alla coalizione della borghesia con i socialisti di maggioranza. Questo vero potere è l'espansione del sistema dei consigli”68.
Ciò venne prontamente incalzato da Heckert: “Quando ascoltiamo le loro argomentazioni e il vigore con cui si battono contro l'Assemblea nazionale, potremmo quasi convincerci che i quattro anni e mezzo di guerra mondiale siano stati un sogno e che l'intera Germania fosse già piena di eroi durante la guerra.”. Heckert in modo molto pratico spiegò che il non partecipare alle elezioni dell’Assembla avrebbe significato per molti proletari non votare per i Consigli. “La compagna Luxemburg ha mostrato come i compagni russi abbiano proceduto a far saltare in aria l'Assemblea nazionale quando il potere era già nelle mani del gruppo di sinistra, potere che noi non abbiamo ancora e probabilmente passerà del tempo prima che lo avremo nelle nostre mani.”69. Con un pizzico di ironia Heckert replica a tono alla platea in maggiorana contraria:
(“[Interruzione:] “Le masse non vogliono un’assemblea nazionale!”) Che le masse non vogliano un’assemblea nazionale è dimostrato dal fatto che la manifestazione dei Scheidemänner era più grande della nostra. Il nostro plotone non era composto da 160.000 uomini come quello degli Scheidemännern. ([Interruzione:] "Lasciate che vi insegnino a contare!" Suona la campanella del Presidente.) Potrei sbagliarmi, ma c'era sicuramente una folla considerevole radunata insieme agli altri. Chemnitz è una città operaia e solo 7.000 persone hanno votato per noi, mentre gli altri hanno ricevuto 10.000 voti.”.
Quindi dopo una serie di interventi a favore e contro toccò a Liebknecht il quale ribadì che la scelta di partecipare alle elezioni è stata difficile e che tutta la precedente attività politica dovrebbe essere sufficiente a provare il fatto che questa non era una posizione opportunista o di cretinismo parlamentare. “Chi pensa che vogliamo abbandonare il sistema dei consigli ha completamente frainteso il punto di vista da cui siamo partiti”. Sempre con estrema franchezza Liebknecht spiegò:
“E, compagni, è possibile chiarire questo alle masse: mandateci lì, non perché possiamo parlamentarizzarci, perché possiamo ottenere vantaggi, perché possiamo entrare in una specie di trattativa con gli Scheidemännern, come è stato suggerito da alcuni, ma perché possiamo essere lì con le unghie e con i denti per distruggere l'Assemblea nazionale” [sottolineature nostra].
Una volta arrivati alla votazione, la mozione di Rühle venne approvata con 62 voti favorevoli e 23 contrari.
Quindi il compagno Becker di Dresda lesse una dichiarazione da parte del Gruppo dei Comunisti Internazionale di Germania70 annunciando la loro fusione col neonato Partito Comunista di Germania. Il giorno seguente il dibattito si concentrò sul problema sindacale. La maggioranza del congresso risultò critica sul ruolo dei sindacati ormai soppiantati dai consigli di fabbrica. Secondo Luxemburg i sindacati avevano dimostrato di essere strumenti dello Stato borghese, i Consigli dei lavoratori e dei soldati dovevano diventare i portatori di tutte le esigenze politiche ed economiche; quindi, i consigli dei lavoratori avrebbero dovuto dirigere e supervisionare le lotte economiche dalle fabbriche e questo avrebbe eroso tutte le funzioni sindacali. Nella sessione pomeridiana Luxemburg tenne un imponente discorso sul Programma e sulla situazione politica, collegando il programma del KPD(S) direttamente al Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Riprese la polemica di lunga data che l’aveva divisa già prima della guerra da Kautsky sullo sciopero sottolineando come la posizione della Vorwärts fosse identica a quella della Freiheit contro lo sciopero. Notò anche che le truppe tedesche fossero a Riga e collaborassero con quelle inglesi per combattere i bolscevichi e che il Comando Supremo dell’VIII Armata collaborasse con il maggioritario August Winnig. La Vorwärts, quindi, era per lo strangolamento della rivoluzione in Russia, sincero desiderio dell'Intesa, ma è in realtà anche desiderio di Ebert e Scheidemann. Quindi Luxemburg presentò la seguente risoluzione:
“La Conferenza del Reich prende atto con indignazione delle azioni del governo tedesco a Est. L'unione delle truppe tedesche con quelle dei baroni baltici e degli imperialisti inglesi non significa solo un vile tradimento del proletariato russo e della Rivoluzione russa, ma significa anche suggellare l'alleanza mondiale dei capitalisti di tutti i paesi contro il proletariato combattente del mondo intero. Di fronte a queste atrocità, il congresso del partito dichiara ancora una volta: il governo Ebert-Scheidemann è il nemico mortale del proletariato tedesco. Abbasso il governo Ebert-Scheidemann!”71,
che venne approvata all'unanimità. La seduta del 1° gennaio fu aperta in ritardo perché i vertici degli spartachisti si erano dilungati a discutere con una commissione dei revolutionären Obleute, ovvero gli Steward rivoluzionari, composta da Ledebour, Richard Müller, Däumig, Nowakowski, Eichen, Eckert e Scholze. Si tentò di convincere gli Steward rivoluzionari ad entrare nel partito, specie i più in vista Ledebour, Däumig e Richard Müller, ma questi ultimi posero cinque condizioni: i) revoca della decisione di non partecipare alle elezioni; ii) abbandono della tattica putschista; iii) partecipazione su base paritaria al programma; iv) libertà di intervento sulla stampa; v) eliminazione dal nome del partito di “(Lega di Spartaco)”. Le trattative fallirono soprattutto per l'atteggiamento di Ledebour72. Quindi fu nominata la Direzione del partito, composta da Hermann Duncker, Käte Duncker, Hugo Eberlein, Paul Frölich, Paul Lange, Leo Jogiches, Paul Levi, Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Ernst Meyer, Wilhelm Pieck e August Thalheimer.
CESCO
1Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 141.
2Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 59.
3Ibidem.
4Gustavo Sacerdote. Il Congresso. I maggioritati prevalgono nella Presidenza. Liebknecht parla al popolo. L’Avanti! (edizione milanese), mercoledì 18 Dicembre 1918.
5Nicholas Vrousalis. Revolutionary Principles and Strategy in the November Revolution: The Case of the USPD. In The German Revolution and Political Theory, edited by Gaard Kets and James Muldoon, Palgrave Macmillan, Springer 2019.
6Emil Barth (1879-1941): nato a Heidelberg, metalmeccanico, attivista della SPD, contrario alla guerra nell’aprile del 1917 aderì alla USPD. Nominato il 10 novembre nel Consiglio dei Delegati in sostituzione di Liebknecht, quindi fu il Delegato più radicale. Dimissionario il 29 dicembre con gli altri indipendenti, sparì dalla scena politica. Non entrò nel KPD(S), ma rientrò nella riunificata SPD. Le sue memorie pubblicate nel 1920 furono usate nel processo della “pugnalata alle spalle” come prova del ruolo deleterio giocato dalla sinistra radicale. Venne incarcerato più volte durante il regime nazista.
7Wilhelm Dittmann (1874-1954): nato a Eutin, falegname, nel 1894 divenne membro della SPD e lavorò come editore di giornali quotidiani. Nel 1904 divenne segretario della Sezione di Francoforte della SPD e fu anche consigliere comunale. Nel 1912 fu eletto al seggio di Solingen nel Reichstag. Votò contro i crediti di guerra il 21 dicembre 1915, quindi venne espulso dalla SPD e andò a formare con molti altri la USPD nell’aprile 1917. Nel febbraio del 1918 fu incarcerato per essere stato coinvolto nello sciopero dei lavoratori delle fabbriche di munizioni a Berlino, ma fu rilasciato dal governo von Baden il 15 ottobre. Il 10 novembre venne nominato Deputato del Popolo, quindi si dimise il 29 dicembre. Fu eletto nell’Assemblea nazionale di Weimar e prese parte al Reichstag della Repubblica di Weimar. Fu contrario all’ingresso della USPD nella Terza Internazionale e alla sua unificazione con il KPD. Quindi rientrò nella SPD riunificata dove divenne presidente del gruppo parlamentare della SPD fino al 1933. Fu vicepresidente del Reichstag dal 1920 al 1925 e consigliere comunale di Berlino dal 1921 al 1925. Quando i nazisti presero il potere nel febbraio del 1933 Dittmann fuggì in Austria, quindi in Svizzera. Fece ritorno in Germania solo nel 1951 dove lavorò nell’archivio storico della SPD a Bonn. https://en.wikipedia.org/wiki/Wilhelm_Dittmann
8Georg Ledebour (1850-1947): nato a Hannover, lavorò come redattore e nel 1890 entrò nella SPD, divenne deputato al Reichstag dal 1900 al 1918, quindi nella USPD nell’aprile del 1917. Presenziò alle conferenze di Zimmerwald nel 1915, di Kiental nel 1916 e di Stoccolma nel 1917. Fu contrario all’unione della USPD alla KPD. Non entrò nella riunificata SPD, ma andò a formare la Lega Socialista. Nel 1931 si unì al Partito Socialista Operaio di Germania (SAPD), quindi andò in esilio in Svizzera dove morì.
9Richard Müller (1880-1943): nato a Weira, perse la madre a otto anni e il padre a quindici; quindi, senza aver completato gli studi si trasferì ad Hannover e poi a Belino, dove diventò apprendista metalmeccanico. Seguì corsi organizzati dal movimento operaio, quindi divenne un operaio specializzato ed entrò nel sindacato della SPD solo nel 1906. Divenne successivamente un organizzatore alla Associazione dei Metalmeccanici di Germania (DMV). Con lo scoppio della guerra Müller iniziò a organizzare scioperi ed entrò a far parte della organizzazione Revolutionäre Obleute. Questa organizzazione con Müller come uno degli agitatori di punta organizzò lo sciopero di massa nel giugno del 1916 contro l’incarcerazione di Karl Liebknecht. Müller entrò in aprile 1917 nella USPD dove conobbe Ernst Däumig che si unì agli steward. Con lo scoppio della rivoluzione Müller fu nominato Presidente del Consiglio dei lavoratori e dei soldati di Berlino. Müller però non si trovò in linea con la politica degli spartachisti, e il suo rifiuto di entrare nella KPD(S) lo marginalizzò nella USPD. Müller rimase un leader della (DMV) fino alla fine del 1920 e nel Consiglio di fabbrica centrale di Berlino. Al congresso dei Consigli dei lavoratori in ottobre 1920 la posizione di Müller fu sconfitta da quella di Robert Dißmann il quale suggeriva di subordinare i Consigli di fabbrica ai sindacati. Quindi Müller entrò nel KPD ma venne espulso come Paul Levi nel 1922 per la loro opposizione all'Azione di marzo. Si ritirò quindi dalla scena politica. Con il piccolo successo editoriale della sua storia della rivoluzione fondò una casa editrice Phöbus, e divenne un libraio; quindi, alla fine degli anni Venti convertì la sua casa editrice in una ditta di costruzioni Phöbus-Treuhand-Baugesellschaft per costruire case popolari, rimase nel sindacato di sinistra e in quest'ambiente incontrò Karl Korsh. Non si sa molto della sua vita durante il regime nazista.
10Gustavo Sacerdote. Il Congresso. I maggioritari prevalgono nella Presidenza. Liebknecht parla al popolo. L’Avanti! (edizione milanese), mercoledì 18 dicembre 1918.
11Il Consiglio era stato accusato di aver sperperato 800 milioni di marchi mentre la spesa complessiva in sei settimane era stata di 500.000 marchi [riportato da Bernstein in Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 148].
12Si fa notare che l’idea che la rivoluzione fosse stata preparata è tipicamente portata avanti dagli shop steward di Berlino, i quali però furono comunque presi di sorpresa dalla sua esplosione e dal suo carattere (Reinhard Rürup. Problems of the German Revolution 1918-19. Journal of Contemporary History, Vol. 3, No. 4, 1918-19: From War to Peace (Oct. 1968), pp. 109-135).
13Gabriel Kuhn. All Power to the Councils! A Documentary History of the German Revolution of 1918-1919. PM Press, 2012.
14Ibidem.
15Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 142-143.
16Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 149-150.
17In realtà la smobilitazione tedesca fu la più rapida tra le potenze coinvolte nel conflitto mondiale. Questa rapidità fu dovuta al parziale disfacimento dei ranghi. Il fatto che il governo provvisorio incaricò il Comando Supremo di gestire la smobilitazione fu proprio per cercare di arginare il rientro disorganizzato di migliaia di uomini dal fronte.
18Su questo punto Barth non aveva tutti i torti. Ufficialmente la Germania era ancora in guerra, soprattutto sul fronte orientale dove doveva gestire le vicende polacche e baltiche.
19Donny Gluckstein. Revolutionary Berlin: Fulcrum of the twentieth century. In The German Revolution and Political Theory, edited by Gaard Kets and James Muldoon, Palgrave Macmillan, Springer 2019.
20Otto Wels (1873-1939): nato a Berlino, tappezziere, diventò membro della SPD a diciotto anni, frequentò la scuola della SPD e divenne attivo nel sindacato dei tappezzieri; quindi, dal 1906 si dedicò a tempo pieno alla politica e divenne segretario della SPD a Brandeburgo e nel comitato di stampa della Vorwärts. Nel 1912 passò al Reichstag ed entrò nell’esecutivo della SPD su suggerimento di Bebel. Il giorno dello sciopero del 9 novembre fu Wels a parlare con i Naumburger Jäger portati dal comandante in capo Alexander von Linsingen in difesa di Berlino. Wels convinse gli Jäger a non sparare sui manifestanti, quindi passò a fare la stessa cosa in altre caserme. Indetta la Repubblica fu nominato comandante della milizia repubblicana di Berlino. Fu quindi coinvolto negli accadimenti del 6 dicembre e accusato di aver dato ordine di sparare sui dimostranti spartachisti. Quindi fu preso ostaggio dalla Divisione della Marina Popolare il 23 dicembre per via del pagamento degli stipendi e della sua inflessibilità, ma una volta liberato fu obbligato a dimettersi dal comando della milizia. Nel 1919 divenne presidente della SPD e ricevette un seggio nell'Assemblea nazionale, quindi nel governo della Repubblica di Weimar. Fu coinvolto nei lavori della costituente. Wels guidò lo sciopero che si oppose al putsch di Kapp e spinse per le dimissioni di Noske. Quando i nazisti salirono al governo nel 1933 fu uno dei suoi aperti oppositori anche con discorsi al Reichstag entrando in aperto conflitto con Hitler. Il partito lo mandò a Saarbrucken e quindi a Praga, qui fu tra i fondatori della Sozialdemokratische Partei Deutschlands im Exil ( SoPaDe), ovvero la SPD in esilio. Quando la Germania nazista prese i Sudeti la SoPaDe si trasferì a Parigi e con essa Wels, dove morì nel ‘39. https://de.wikipedia.org/wiki/Otto_Wels
21Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 144-145.
22Gustavo Sacerdote. Nella nuova Repubblica Germanica. Il conflitto di tendenze e di poteri. Avanti!, giovedì 19 dicembre 1918.
23Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 146.
24Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 65.
25Nicholas Vrousalis. Revolutionary Principles and Strategy in the November Revolution: The Case of the USPD. In the German Revolution and Political Theory, edited by Gaard Kets and James Muldoon, Palgrave Macmillan, Springer 2019.
26Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 65.
27Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 143-144.
28Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 66.
29Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 63.
30Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 153.
31Ernst Däumig (1866-1922): nato a Merseburg, figlio di un sacrestano intraprese gli studi di teologia che interruppe arruolandosi nella Legione Straniera, prestando servizio cinque anni in Nord Africa e in Indocina. Al suo ritorno in Germania si arruolò nell’esercito prussiano come ufficiale. Alla fine dell’Ottocento leggendo le opere di Marx ed Engels passò al socialismo e incominciò a scrivere articoli sulla Legione Straniera e sulla politica coloniale nella Neue Zeit di Karl Kautsky. Iniziò così la sua carriera da giornalista e nel 1911 passò al Vorwärts dove scrisse principalmente su questioni militari. Divenne insegnate alla scuola di educazione operaia di Berlino. Contrario alla guerra venne rimosso dalla Vorwärts, e nell’aprile del 1917 fu uno dei fondatori della USPD dove assunse la direzione del bollettino della Grande Berlino dell’USPD; quindi, nel maggio del 1918 venne eletto segretario del Comitato Centrale. L’8 novembre venne arrestato per timore di una rivolta a Berlino proprio per il suo ruolo centrale e il suo carisma sui soldati. Una volta rilasciato venne nominato consigliere nel Consiglio Esecutivo dei lavoratori e soldati della Grande Berlino. Si espresse contro l’Assemblea nazionale e a favore di Consigli di fabbrica al Consiglio dei Consigli ma la sua risoluzione fu bocciata. Däumig non volle entrare nel KPD(S) per via della politica putschista degli spartachisti e perché era contro alla frammentazione delle forze. Dal gennaio 1919 pubblicò la rivista Der Arbeiter-Rat, fu eletto co-presidente della USPD ma, dato il rifiuto di Haase di co-dirigere il partito, Däumig si dimise. Alla morte di Haase, assassinato, Däumig prese la co-presidenza della USPD con Arthur Crispien. Däumig fu inoltre redattore della rivista Die Republik, e nel 1920 redattore della Kommunistische Rundschau. Nel giugno del 1920 venne eletto al Reichstag e si recò insieme ai dirigenti della USPD, Wilhelm Dittmann, Arthur Crispien e Walter Stoecker al Secondo Congresso mondiale della Terza Internazionale, che si tenne dal 19 luglio al 7 agosto a Pietrogrado e Mosca del 1920. Mentre Crispien e Dittmann respinsero decisamente le 21 condizioni, Däumig e Stoecker si dichiararono disposti ad accettarle e al Congresso straordinario di Halle riuscirono a far aderire la maggioranza della USPD ai 21 punti. Quindi la USPD si scisse e la parte favorevole all’ingresso nella Terza Internazionale si unì al KPD ora guidato da Paul Levi formando la VKPD nel dicembre del 1920. Come Levi anche Däumig fu contro la scissione del PSI di Livorno e nella riunione del Comitato Centrale della VKPD Däumig fu per la risoluzione che si oppose alla scissione del PSI imposta dal Comintern, la quale perse per soli 5 voti. Däumig quindi uscì dalla direzione del partito e si oppose apertamente all’Azione di marzo 1921 fomentata sempre dal Comintern. Dopo l’espulsione di Levi nell'agosto del 1921 sempre a causa della sua opposizione all'Azione di marzo, anche Däumig si dimise dal gruppo parlamentare del KPD e fondò il Kommunistische Arbeitsgemeinschaft (Gruppo di lavoro comunista). Questa creò la rivista Sowjet, presto rinominata Unser Weg (La nostra via), e Däumig fu redattore insieme ad Adolph Hoffmann del bollettino del Gruppo di lavoro comunista. Nel febbraio del 1922 i membri del Gruppo rientrarono nella USPD. Ma 13 giugno 1922 durante una seduta del Reichstag Däumig fu colpito da un ictus che lo portò alla morte il 7 luglio.
32Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 153-154.
33Gabriel Kuhn. All Power to the Councils! A Documentary History of the German Revolution of 1918-1919. PM Press, 2012.
34Nicholas Vrousalis. Revolutionary Principles and Strategy in the November Revolution: The Case of the USPD. In the German Revolution and Political Theory, edited by Gaard Kets and James Muldoon, Palgrave Macmillan, Springer 2019.
35Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 157.
36Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 160.
37Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 162.
38Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 166.
39Reinhard Rürup. Problems of the German Revolution 1918-19. Journal of Contemporary History, Vol. 3, No. 4, 1918-19: From War to Peace (Oct.,1968), pp. 109-13
40Reinhard Rürup. Problems of the German Revolution 1918-19. Journal of Contemporary History, Vol. 3, No. 4, 1918-19: From War to Peace (Oct.,1968), pp. 109-13
41Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 67.
42Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 170.
43Heinrich Dorrenbach (1888-1919): sottotenente e membro della SPD imprigionato due mesi nel 1917 per tentata diserzione. Con Richard Müller fondò il 9 novembre la Guardia Rossa, la quale non ebbe lunga vita, fu quindi coinvolto nell'organizzazione della Divisione della Marina Popolare e divenne parte del suo comitato direttivo a partire dal 9 dicembre assieme a Fritz Radtke, Emil Milewski, Adolph Hillebrandt e Wilhelm Friedrich Rädel. Si unì alla USPD sempre nel dicembre 1918, fu a capo della rivolta della Divisione nel Natale 1918 e partecipò alla rivolta spartachista del gennaio del 1919. Una volta imprigionato il 18 maggio 1919 venne ucciso da Ernst Tamschick il quale aveva assassinato in marzo anche Leo Jogiches. https://www.rosalux.de/stiftung/historisches-zentrum/rosa-luxemburg/heinrich-dorrenbach-1
44Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 171-184.
45Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 171-186.
46Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 69.
47Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 171-186.
48Helen L. Boak. Women in the German Revolution. In The German Revolution and Political Theory edited by Gaard Kets and James Muldoon. Palgrave MacMillan, Springer, 2019.
49Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 188.
50Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 269.
51Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 189.
52Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germania 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 72.
53Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 198.
54Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 199.
55Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 201.
56William Grant Ratliff. The political career of Gustav Noske, 1918-1920. A Thesis in History, Texas Tech University 1980.
57Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 203.
58Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 206.
59Otto Rühle (1874-1943): nato a Großchirma in Sassonia, frequentò l’istituto magistrale grazie ad una borsa di studio ed entrò molto giovane nella SPD nel 1896. Fece l’insegnante quindi il conferenziere e si dedicò alla condizione scolastica dei figli dei lavoratori. Pubblicò nel 1911 Das proletarische Kind. Nel 1912 divenne deputato al Reichstag, fu l’unico con Liebknecht a votare contro i crediti di guerra nel 1915, e uscì dalla SPD nel 1916. Fu eletto nel Consiglio dei lavoratori e dei soldati di Dresda, dal quale uscì per ragioni politiche. Contrario alla partecipazione alle elezioni dell’Assemblea nazionale al primo Congresso fondativo della KPD(S), al secondo Congresso della KPD a dicembre sempre del 1919 la sua corrente antiparlamentare fu espulsa e andò a formare la KAPD. Al secondo Congresso della Terza Internazionale a Mosca entrò in contrasto con Lenin e abbandonò il Congresso e fu poi espulso dalla KAPD. Rühle si unì alla Allgemeine Arbeiterunion diventando un esponente dei Comunisti dei Consigli. Influenzato dalla moglie nel periodo che va dal 1923 al 1928 si dedicò allo studio e pubblicò diversi lavori, tra i quali Am anderen Ufer e Das proletarische Kind, Karl Marx. Leben und Werk, Kurs auf den Staats-kapitalismus e Mensch auf der Flucht. Con l’avvento dei nazisti nel ‘33 emigrò a Praga e quindi nel 1936 in Messico dove divenne amico di Trotsky. Morì prematuramente nel 1943.
60Relazione sul Congresso. Bericht über den Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) vom 30. Dezember 1918 bis 1. Januar 1919. Dietz Verlag Berlin 1972. https://www.marxists.org/deutsch/geschichte/deutsch/kpd/1918/tag1am.htm#begrmey
61Kommunistische Partei Deutschlands (Spartakusbund).
62Relazione sul Congresso. Bericht über den Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) vom 30. Dezember 1918 bis 1. Januar 1919. Dietz Verlag Berlin 1972. https://www.marxists.org/deutsch/geschichte/deutsch/kpd/1918/tag1am.htm#begrmey
63Relazione sul Congresso. Bericht über den Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) vom 30. Dezember 1918 bis 1. Januar 1919. Dietz Verlag Berlin 1972. https://www.marxists.org/deutsch/geschichte/deutsch/kpd/1918/tag1am.htm#begrmey
64Ibidem.
65Ibidem.
66Relazione sul Congresso. Bericht über den Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) vom 30. Dezember 1918 bis 1. Januar 1919. Dietz Verlag Berlin 1972. https://www.marxists.org/deutsch/geschichte/deutsch/kpd/1918/tag1am.htm#begrmey
67Ibidem.
68Ibidem.
69Ibidem.
70Gruppe der Internationalen Kommunisten Deutschlands
71Relazione sul Congresso. Bericht über den Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) vom 30. Dezember 1918 bis 1. Januar 1919. Dietz Verlag Berlin 1972. https://www.marxists.org/deutsch/geschichte/deutsch/kpd/1918/tag1am.htm#begrmey
72Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germaia 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001, p 84-87.
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