La Rivoluzione tedesca 1918-1920 - PARTE I -


 



Introduzione generale

Quando si pensa alla rivoluzione in Europa sicuramente il pensiero va alla Francia del 1789 e alla Russia del 1917. Eppure, le circostanze di profondo sconvolgimento in cui versava gran parte dell’Europa nel 1918, dopo ben quattro anni e tre mesi di conflitto, determinarono veri e propri moti rivoluzionari anche in Germania. Gli sconvolgimenti che negli anni che vanno dalla fine del 1917 al 1920 interessarono, oltre le già citate Russia e Germania, anche l’Austria, con la “Vienna rossa”, l’Ungheria con la breve Repubblica Sovietica di Béla Kun, l’Italia, con la vittoria elettorale del Partito Socialista Italiano nel 1919 e le occupazioni delle terre e delle fabbriche determinanti il “biennio rosso”, quindi la Finlandia, con la guerra civile, la Polonia e i paesi Baltici con le varie rivolte per l’indipendenza. Questi potrebbero bastare da esempio per far comprendere all’osservatore odierno come una grande fetta della popolazione europea poteva effettivamente sperare, o temere, che da lì a poco sarebbe potuta avvenire una rivoluzione socialista anche su scala mondiale.

I primi a imporsi furono i bolscevichi russi, i quali però dovettero imbarcarsi in una lunga guerra civile che durò per tutto il periodo affrontato in questo testo, ovvero, dall’ottobre 1918 fino al marzo 1920. Quindi per l’assetto amministrativo della Germania rivoluzionaria, la vittoria bolscevica, e l’espandersi della rivoluzione à la bolscevica, rimaneva una concreta esaltante, o preoccupante, possibilità, a seconda se si fosse per gli uni o per gli altri. Molti atteggiamenti che oggi possono risultare come forzatamente, o addirittura, inutilmente radicali, ma, soprattutto la dura reazione conservatrice che ne risultò, possono essere almeno in parte capiti proprio in merito a questo stato d’animo ansiogeno soprattutto della classe media, la quale da un lato era stata spossata dalla guerra e dall’altro non si immedesimava in quel tipo di promesse collettivistiche, livellatrici e internazionalizzanti. In parte quella paura, così come la confusione dei grandi dissidi che stavano lacerando i grandi movimenti socialisti in tutti i paesi citati e più, non fecero altro che rafforzare i movimenti conservatori che semplicemente richiamavano all’ordine e al protezionismo patriottico attribuendo in larga parte proprio ai socialisti la responsabilità della situazione di disagio postbellica. La colpa, secondo tali formazioni conservatrici, era da cercare sempre e solo negli altri, negli approfittatori, nei “pescecani”, negli imboscati, nei socialisti, nei disfattisti, nei bolscevichi, quindi, in base alla nazione di turno, nei nemici di ieri (francesi, tedeschi, austriaci ecc.), negli ebrei e così via.

La rivoluzione tedesca contiene tutti questi elementi. È un esempio estremamente interessante di come l’élite burocratico-militare caratteristica dell’epoca guglielmina riuscì a riprendersi dal più grande dei tonfi, quale fu la sconfitta in una guerra che così duramente avevano contribuito a creare e che avevano trascinato così alla lunga. Anche se sul concetto di sconfitta ci si dovrà soffermare, in quanto la Germania non si arrese, ma firmò un armistizio, nel novembre del 1918 che poi venne convertito in pace a Versailles nel giugno del 1919. Questa che oggi può sembrare una banalità per molti “patrioti” tedeschi dell’epoca non lo fu affatto, così, per loro la fantomatica “pugnalata alla schiena”, ovvero l’aver rinunciato alla difesa militare dei confini per via del trambusto interno, divenne la vera e sola causa delle pesanti sanzione che la Germania dovette subire pur senza essere stata sconfitta. È più che ragionevole pensare che Germania sarebbe stata sconfitta anche sul campo ma ciò non toglie che questa della “pugnata alla schiena” fu una idea pesantemente influente così come quella della “vittoria mutilata” in Italia.

La rivoluzione tedesca è anche un ottimo esempio di quanto complesso ed estenuante possa risultare il processo rivoluzionario socialista quando si sforza di mantenere una certa collegialità. La storia non si fa con i “se”, ovviamente, ma fosse la sinistra tedesca riuscita a mantenere una certa coesione, anche per solo calcolo politico, e avesse potuto avere un governo stabile come frutto delle elezioni dall’Assemblea Nazionale, avrebbe questa potuto essere una vera e concreta alternativa al modello avanguardista e dittatoriale bolscevico?

In questo testo cercheremo di vedere come la Germania si ritrovò in rivoluzione e come i socialisti di ogni fattezza gestirono tale momento rivoluzionario nel bene e nel male.



Breve introduzione dei fatti storici



Il ruolo della SPD nella dissoluzione della Seconda Internazionale

Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la storia del movimento operaio potrà individuare nel 4 agosto 1914, ovvero l’approvazione al Reichstag1 dei crediti di guerra da parte della SPD2, la fine di un’era, l’era dell’internazionalismo socialista3. Se non altro in quanto la SPD era stata fino ad allora il Partito guida della Seconda Internazionale. Solo una settimana prima il 4 agosto, ovvero, il 29 e il 30 luglio, i delegati della SPD insieme a quelli degli altri partiti della Seconda Internazionale si erano riuniti a Bruxelles in una riunione straordinaria del Bureau della Internazionale Socialista4 per decidere sul da farsi di fronte al drammatico svilupparsi degli eventi nei Balcani. Il giorno prima di questa riunione straordinaria, infatti, era scaduto l’ultimatum-farsa, che l’Impero Austroungarico aveva mandato al Regno di Serbia, in risposta alla uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria avvenuta un mese prima, il 28 giugno, a Sarajevo. Come è noto l'Austria attribuiva tendenziosamente la responsabilità di questo assassinio direttamente al Regno di Serbia e i diplomatici dell’Impero Austroungarico erano ben consci che la non completa adesione alle clausole di questo ultimatum da parte della Serbia avrebbe scatenato la mobilitazione dell’esercito russo, ma, nonostante ciò, inserirono tra tali clausole una richiesta che delegittimava la sovranità serba. I diplomatici austroungarici erano altrettanto a conoscenza della posizione del loro principale alleato, il Kaiser tedesco Guglielmo II di Hohenzollern, il quale non credeva che ci fossero gli estremi per dichiarare guerra alla Serbia, ma, nonostante ciò, insistettero con la linea dura.

Proprio il giorno in cui i delegati si riunivano a Bruxelles, il 29 luglio, la Russia sentendosi provocata dall’atteggiamento austriaco nei confronti della Serbia, infatti, avviò la mobilitazione parziale delle truppe sul confine austroungarico. Durante il secondo giorno di riunione del Bureau socialista, ovvero il 30 luglio 1914, alle 6 del pomeriggio, l’esercito russo iniziò la mobilitazione generale, alla quale seguì la contro-mobilitazione della flotta tedesca e l’immediata risposta di quella britannica. La Germania sentendosi minacciata dalla mobilitazione russa si vide costretta a mandare a sua volta un ultimatum alla Russia chiedendo di fermare la mobilitazione generale. Si tenderebbe così ad alleggerire le responsabilità del Kaiser, il quale sembra essere stato messo di fronte a cause di forza maggiore. Eduard Bernstein, marxista revisionista e storico, spiega che “anche se non si volesse biasimare Guglielmo II per aver voluto la guerra considerando le sue proteste – e gli si potesse concedere la mancanza di volontà nell’agire con piena certezza – la sua responsabilità per la guerra non può di gran lunga essere rimossa.”. Infatti, Bernstein, spiega che Guglielmo II si era illuso di essere il signore della guerra e della pace in Europa e chiunque non avesse rispettato questo fatto avrebbe subìto una dichiarazione di guerra5. La Germania era stata fondata come risultato della vittoria prussiana sulla Francia imperiale, soli quarantatré anni prima, grazie alla politica di sangue e ferro del suo Cancelliere Otto von Bismarck. La Germania sconfiggendo Danimarca, Austria, e Francia aveva effettivamente raggiunto la supremazia militare sulla terraferma del continente, e grazie in larga parte all’estro diplomatico di Bismarck era diventata un punto di equilibrio tra le varie nazioni europee. Questo assetto bismarckiano si andò però deteriorando. Tra le molteplici cause vi furono il crollo dell’Impero Ottomano e le mire espansionistiche russe, ma soprattutto, una volta uscito di scena Bismarck per mano di Guglielmo II, la cessazione del trattato segreto di riassicurazione tra Germania e Russia su decisione ancora di Guglielmo II, sotto l’influenza del nuovo Cancelliere. Quindi la questione irrisolta con la Francia dell’Alsazia e Lorena, e la minaccia della Triplice alleanza per la Russia portò al temutissimo accordo tra Russia e Francia nel 1891. L’idea di Guglielmo II di essere ancora il fulcro della pace in Europa non teneva conto di quanto gli assetti fossero cambiati soprattutto con la storica intesa cordiale tra Gran Bretagna e Francia del 1904 e quindi con l’accordo tra Gran Bretagna e Russia nel 1907. La russofobia elemento già caratterizzante della politica estera tedesca diventò una vera e propria ossessione. Concordiamo con Bernstein nel dare una buona parte della responsabilità al Kaiser, però senza nulla togliere alla élite militare tedesca, sicuramente cattiva consigliera.

Alla riunione del Bureau socialista Jean Jaurès6, probabilmente la più alta personalità della Seconda Internazionale espressa dalla Francia; autentico simbolo del pacifismo socialista, cercò ancora una volta una soluzione che evitasse la guerra, proponendo lo sciopero generale di tutti i lavoratori dei paesi coinvolti in un possibile conflitto, e non solo dei lavoratori francesi. Questa proposta, che solo qualche anno prima sarebbe stata additata come puro antimilitarismo hervéista7, lo rese molto impopolare presso la stampa nazionalista francese che ora proponeva apertamente la sua eliminazione fisica. Da notare che fino ad allora una posizione simile, almeno superficialmente, la aveva tenuta anche la SPD. Hugo Haase, presidente della SPD, aveva suggellato questa unione di intenti abbracciando fraternamente Jaurès trovandosi d'accordo con lui sulla linea pacifista. Si ricordi altresì che la SPD aveva perso da poco, un anno circa, il suo leader storico August Bebel morto nell’agosto del 1913. August Bebel, vero e proprio “paterfamilias della classe lavoratrice tedesca” come lo definisce William Maehl8, si era reso protagonista della linea tenuta dalla SPD per tutti i primi anni del Novecento e in materia di guerra tra nazioni, la sua posizione era stata quella di non focalizzarsi sul metodo di opposizione alla guerra, ma sull’opposizione dei lavoratori alla guerra. La questione però si annebbiava alquanto se si trattava della difesa dei confini nazionali. A onor del vero, la politica estera della SPD sotto la guida di Bebel era stata pressoché ininfluente nel Reichstag, ma comunque aveva determinato (o era sintomo di) un profondo dualismo nei socialdemocratici. Da un lato l’antimilitarismo e la contrarietà alla guerra anche in chiave strategica, per esempio opporsi ad un ingrandimento della flotta navale per non inimicarsi la Gran Bretagna, il considerare la Prussia un esercito con uno Stato; dall’altro chiari messaggi a favore del rafforzamento dei confini orientali per via di una profonda russofobia9. Secondo lo schema esemplificativo di Maehl fin quando la politica bismarckiana di egemonia sull'Europa continentale aveva dato i suoi frutti la SPD poteva spingere l’acceleratore sull’antiimperialismo e antimilitarismo, poi con l’accordo franco-russo e l’insicurezza dell’appoggio britannico, la questione della difesa dei confini dall’aggressione zarista posizionò la SPD di Bebel su una linea difensiva. Chiaramente già dal Congresso di Erfurt Bebel, così come Georg von Vollmar, dichiaravano che in caso di aggressione la classe lavoratrice tedesca avrebbe difeso la libertà tedesca dalla barbarie zarista, salvando così i principi socialdemocratici10. Ora, la mobilitazione russa era un atto di aggressione?



Cosa successe nei 5 giorni che vanno dal 30 di luglio al 4 di agosto?

Iniziamo con l’osservare che al suo ritorno a Parigi, la sera del 31, Jaurès venne assassinato: un esaltato nazionalista gli sparò mentre cenava con amici e colleghi. Sempre quel giorno la Gran Bretagna chiese formalmente alla Germania e alla Francia di rispettare la neutralità del Belgio, e avvisò che in caso contrario sarebbe dovuta intervenire in sua difesa. Questo avvertimento arrivava proprio in risposta alle intenzioni tedesche di passare attraverso il Belgio per invadere la Francia che, alleata della Russia, in caso di guerra sarebbe dovuta per forza di cose intervenire. Infatti, era noto che la Germania considerava il Belgio la via preferenziale per raggiungere Parigi11. Ancora il 31 luglio il Comitato Centrale della SPD si era riunito per discutere il voto di astensione o opposizione ai crediti di guerra sul quale avrebbe dovuto esprimersi il governo tedesco. Lo stesso giorno Karl Kautsky, marxista ortodosso e vero e proprio teorico del partito, nonché anch’egli storico, e Hugo Haase, i quali si erano chiaramente espressi contro i crediti, avevano abbozzato una dichiarazione per il Gruppo Parlamentare della SPD che presumeva il rifiuto della SPD ai crediti di guerra. Nel mentre la Germania però non si era limitata a mandare un ultimatum ma aveva anche iniziato la mobilitazione dell’esercito. Infatti, il timore del Comando Supremo tedesco era quello di non mobilitare in tempo l’esercito e questo timore causò un effetto domino che non permise di aspettare che la diplomazia facesse il proprio lavoro.

Il 1º agosto mentre tutta Europa si svegliò con la notizia dell’uccisione di Jaurès, l’ambasciatore tedesco consegnava la dichiarazione di guerra alla Russia e, sempre quella sera, la Germania invase il Lussemburgo per prendere repentinamente in mano le linee telegrafiche e ferroviarie. Per la Germania una vittoria sulla Russia presupponeva una vittoria lampo sulla Francia. Il 2 agosto proseguì l’invasione del Lussemburgo e le truppe tedesche sconfinano anche in Francia. Sempre il 2 agosto la Fraktion della SPD, che non aveva ancora deciso come votare sui crediti di guerra, decise di non astenersi! Quella dell’astensione sarebbe stata una decisione politicamente importante e avrebbe ricalcato il comportamento di Wilhelm Liebknecht e August Bebel nel 1870 quando erano stati chiamati ad esprimersi sui crediti per la guerra franco-prussiana12. In un clima di difesa della patria al quale l’opinione pubblica era già abituata da tempo, recentemente esacerbato dalla stampa conservatrice e nazionalista, decidere di astenersi avrebbe comunque avuto un impatto estremamente forte, perché sarebbe andato sia contro anni di russofobia sia contro il timore dell’aggressione su due fronti. Anche se al Reichstag l’astensione della SPD non ne avrebbe determinato un cambio di fronte, data l’estensione e il seguito della SPD, questa avrebbe molto probabilmente destabilizzato l'opinione pubblica. Alle 19 del 2 agosto la Germania mandò un ultimatum al Belgio per ottenere libero ascesso delle truppe. Questo per forza di cose risultò come una provocazione aperta al Regno Unito, ma comprensibilmente la Germania non voleva rischiare di tenere due fronti aperti troppo a lungo; quindi, si vedeva costretta a passare per il Belgio.

Il 3 agosto la Germania dichiarava guerra alla Francia. La Fraktion si espresse con 78 voti a favore dei crediti di guerra e 14 contrari13. L’adesione non era stata unanime, anche se la disciplina di partito avrebbe fatto credere l’opposto. Il segretario della SPD, Friedrich Ebert, che dalla morte di August Bebel, era diventato letteralmente indispensabile alla gestione del partito, nei primi giorni di agosto 1914 venne fatto addirittura rifugiare in Svizzera dal partito stesso per evitare che fosse colpito da una eventuale ritorsione del governo. Al suo ritorno Ebert, seppur non unendosi al gruppo di destra della SPD, votò anch’egli a sorpresa a favore dei crediti di guerra, destando non poco stupore in molti membri del Comitato Centrale14. Lo storico D.K. Buse sostiene che il fatto che il Comitato Centrale della SPD non abbia preso decisioni proprio fino al ritorno di Ebert dalla Svizzera provava quanto Ebert dirigesse (run) la SPD piuttosto di governarla (rule) come aveva fatto per lungo tempo il suo predecessore Bebel 15.

Il 4 agosto le truppe tedesche invasero il neutrale Belgio e il Regno Unito dichiarò guerra alla Germania. La SPD, che con il voto interno del giorno prima aveva deciso di appoggiare i crediti di guerra, votò con grande disciplina di partito compattamente a favore dei crediti di guerra per difendere la patria dall’invasione zarista, assolutista e retrograda, in difesa quindi dei valori socialdemocratici. Quando si palesò la vittoria a favore dei crediti, Kautsky, al quale fu chiesto insieme ad altri quattro autorevoli esponenti della SPD di redigere la dichiarazione ufficiale di giustificazione, nonostante sempre contrario alla guerra, per spirito unitario e di disciplina di partito, cercò almeno di dare un carattere socialista a tale dichiarazione, chiedendo al governo di rinunciare alle annessioni territoriali o alla violazione della neutralità. Questo è comprensibile se si pensa che alla opinione pubblica tedesca l’intervento bellico era stato sempre propinato come una guerra di difesa contro le mire espansionistiche russe. Nonostante passi spesso in sordina il 4 agosto fu anche il giorno in cui i socialisti francesi votarono a favore della politica militare del governo in difesa della Francia. Quindi lo stesso giorno, a guerra già dichiarata, i due partiti principali della Seconda Internazionale si trovano su due fronti opposti a sostenere le loro rispettive borghesie nazionali, alla faccia della tanto ventilata solidarietà internazionalista della classe lavoratrice.

Nel merito, un biografo di Kautsky, Gary P. Steenson, scrive: “La SPD che Kautsky pensava di aver servito morì il 4 agosto 1914. Cause della morte, forse, naturali, ma a Kautsky deve andare parte del biasimo per non essere stato in grado di prescrivere misure preventive durante le decadi successive al 1890.” 16. È eccessivo dare una parte così grande di biasimo di quanto successe alla SPD al solo Kautsky anche se questo fu lo “sport” preferito di Lenin proprio a partire dal 1914. Lenin come altri si sentirono traditi dalla SPD e dal suo leader teorico, Karl Kautsky, ma, obbiettivamente Kautsky non era il leader della SPD, era un teorico, forse il teorico più prestigioso; aveva sì curato l’eredità dei fondatori, Marx ed Engels, di una dottrina, il marxismo, rivoluzionaria; ma, come vedremo, a poco a poco questa dottrina era stata soppiantata da un revisionismo organizzativo rappresentato da una formidabile ed enorme macchina quale era diventata la SPD. Per Lenin però la SPD di Kautsky avrebbe dovuto essere ancora la guida del marxismo rivoluzionario, l’unico partito in grado di attuare la trasformazione socialista. In realtà, la SPD fu vittima del proprio successo divenendo, come dicono gli inglesi, too big to fail. Troppo grande per mettersi in gioco con l’attuazione di un programma effettivamente rivoluzionario ed internazionalista. Così come troppo allacciata alle sorti della nazione tedesca. Se vogliamo campanelli di allarme erano già stati suonati da alcuni marxisti come Jaurès e Luxemburg, quest'ultima entrata in forte polemica con Kautsky molto prima del ‘14.

Quindi in primo luogo Kautsky non fu mai a favore della guerra e in secondo luogo non era, come Bebel, il paterfamilias della SPD, anche se nell’immaginario di molti questo sarebbe stato logico. Kautsky era stato a lungo il braccio teorico e Bebel quello politico all’interno della SPD e, anche se la SPD poteva sembrare una grande Chiesa e Kautsky il papa, questa idea non ne rifletteva per nulla la realtà. Una critica ridimensionata che si può muovere a Kautsky è che, come massimo teorico della SPD, autore del programma di Erfurt (1891) e di molti altri testi, nonché direttore di giornali teorici, egli avrebbe potuto almeno scalfire la compattezza socialdemocratica a proposito della guerra. Avrebbe così anticipato quello che poi accadde durante la guerra, ovvero, la scissione in due partiti. Le cose non sarebbero cambiate, ma di fronte a molti marxisti radicali avrebbe comunque salvato l’onore del marxismo tedesco. Semplificare così l'atteggiamento di Kautsky sarebbe tuttavia antistorico. Durante i giorni che vanno dall'assassinio dell’Arciduca Franz Ferdinand, (28 giugno 1914) alla dichiarazione di guerra della Germania alla Russia (3 agosto) Kautsky aveva notato che l’opinione pubblica era fortemente influenzata da sentimenti nazionalistici; non è un caso che proprio nel periodo iniziale della guerra dedicò molti scritti al problema del nazionalismo17. E questo è in sostanza il problema: Ebert fu l’efficace organizzatore di un partito mastodontico come la SPD e la SPD ebbe un disperato bisogno di lui, Kautsky fu un teorico, seppure stimato, ma lontano dalla realtà pratica. Anche sulla sua effettiva influenza in Germania, piuttosto che all'estero andrebbe discusso. Cercare in Kautsky il capro espiatorio è comodo ma storicamente errato.

Quando ormai i giochi erano fatti e Francia e Germania erano in guerra, il sentimento patriottico, Union sacrée invocata da Poincaré in Francia, e Burgfrieden18 invocata dal Kaiser in Germania, avevano persuaso rispettivamente la SFIO19 e la SPD in egual maniera. Il tema tanto discusso da Jaurès quando ancora in vita, ovvero la difesa della nazione, ora diventava una triste realtà. Sia la SFIO prima che la SPD poi avrebbero dovuto decidere non solo se appoggiare la spesa militare ma anche se entrare a far parte del governo di guerra. Questo avrebbe sdoganato un altro nodo che aveva caratterizzato la politica dei partiti socialisti prima del conflitto, l’intransigenza. Intransigenza aveva voluto dire proprio il non scendere a patti con i governi e i partiti borghesi. Se la SFIO inizialmente non ne voleva sapere, la SPD si allineò alla Burgfrieden rinunciando al suo ruolo di opposizione20. Nonostante il 4 agosto viene ancora oggi visto come la capitolazione della Seconda Internazionale per mano della SPD è però importante chiarire, come fa notare Buse, che tra il 1914-15 la SPD era stata consultata dal governo solo su questioni inerenti al Reichstag, mentre è solo dopo il 1916 che il governo tedesco coinvolgerà la SPD in tutte le questioni politiche21. Questo è a grandi linee quello che successe in quegli ultimi cinque giorni.



Furono davvero gli ultimi cinque giorni a cambiare l’opinione della SPD sulla guerra?

Abbiamo iniziato questo saggio indicando il 4 agosto come la fine della Seconda Internazionale per mano della SPD. È opinione comune che proprio la SPD fu la principale responsabile del collasso della Seconda Internazionale22. Questo “collasso” fu però un processo graduale. A tal proposito William Maehl mostra molto bene, nel suo lavoro del 1952, la metamorfosi che ebbe luogo negli anni precedenti all'interno della SPD, individuando principalmente quattro ragioni per le quali nella SPD trionfò il revisionismo riformista pur mantenendo esteriormente una parvenza rivoluzionaria. I quattro fattori proposti da Maehl sono: i. l’enorme crescita del Partito, una vera e propria ipertrofia dell’apparato amministrativo, una sorta di Stato nello Stato, quindi, ii. la concomitante crescita dei sindacati confederati collegati al Partito, poi, iii. il ritardo dello sviluppo del proletariato tedesco, in particolare se paragonato a quello inglese, e in fine, iv. l’impressionate crescita del capitalismo tedesco nei sette anni che precedettero la guerra, l’“era di prosperità23! In breve, se da un lato il sistema capitalistico, almeno in Germania, non sembrava tendere al collasso e al conseguente immiserimento della classe lavoratrice, dall’altro la SPD, una volta abrogate le leggi antisocialiste che lo avevano costretto nell'illegalità fino al 1890, conobbe uno sviluppo e una popolarità impressionati, e quindi anche una ricchezza di mezzi, senza eguali. Già Georg von Vollmar nel 1891, quindi al tempo del Programma di Erfurt, ammoniva di prendere in considerazione la possibilità di arrivare al socialismo per via riformista; quindi, Eduard Bernstein nel 1896, anch’egli non vedendo il paventato progressivo impoverimento delle masse lavoratrici, si sentì di riproporre l’idea di una evoluzione del capitalismo nel socialismo per via riformista. Anche nella sua ricostruzione degli eventi della Rivoluzione tedesca Bernstein si sentì di ripetere l'importanza della crescita economica in Germania negli anni 1912, ‘13 e ‘14, in parte raggiungendo o in alcuni casi superando la Gran Bretagna e la Francia. Questa ricchezza si estese anche all’apparato militare, che per flotta era seconda solo alla Gran Bretagna e per forze di terra era seconda solo alla Russia24.

Sotto la guida politica di August Bebel e l’influenza teorica di Karl Kaustky, il revisionismo della dottrina marxista proposto da Bernstein fu rigettato dalla SPD almeno nella forma, ma nella pratica, non arrivando mai la auspicata crisi e crescendo il Partito sempre più, si formò una generazione di funzionari di Partito e di funzionari sindacali abituati all’idea riformista del socialismo, e dipendente dalla grande macchina qual erano diventati il Partito e i sindacati. Non è un caso che questo è il profilo di due alti dirigenti della SPD del periodo bellico e post-bellico come Friedrich Ebert e Gustav Noske. Ebert iniziò la sua carriera nella SPD a livello nazionale organizzandone la stampa e la statistica, quindi passò alle finanze. “Nel 1911 le sue funzioni erano “equivalenti a quelle condotte da un leader a tempo pieno””. Ebert aveva una forte relazione con i sindacati25. Noske aveva addirittura iniziato nei sindacati della fabbrica di Brandeburg, in cui lavorava; quindi, era divenuto impiegato a tempo pieno in uno dei giornali locali della SPD e dal 1906 era stato eletto delegato al Reichstag26.

Nei primi anni del ‘900 la SPD era divisa in tre correnti di pensiero, quella revisionista, quella rivoluzionaria e quella centrista. Quella centrista, ufficialmente alla guida del partito, ovvero quella alla quale appartenevano Bebel e Kautsky, non escludeva la rivoluzione e la dittatura del proletario, ma sottolineava l’importanza della struttura della repubblica parlamentare27. Come già accennato la componente minoritaria ma di fatto più organizzata risultò essere quella revisionista-riformista. Oltre a come la SPD si organizzasse internamente quello che fu davvero rilevante fu come la SPD influenzò il movimento dei lavoratori internazionale. Al VI Congresso dell’Internazionale Socialista tenutosi ad Amsterdam nel 1904, un paio di mesi dopo il Congresso antimilitarista anarchico, apparentemente il tema dell’opposizione alla guerra non fu direttamente toccato, ma nella “risoluzione Kautsky” approvata al Congresso precedente, quello di Parigi del 1900, sulla partecipazione socialista ad un governo borghese, si faceva menzione a condizioni straordinarie, come quelle di pericolo nazionale. Jaurès che in qualche modo era per la partecipazione al governo però argutamente fece questa costatazione premonitrice:

A questo punto non desidero presentare problemi che gli eventi non ci hanno ancora proposto. Ma quando ho sentito il compagno Kautsky ripetere che accetta la possibilità della partecipazione socialista nel governo centrale in caso di pericolo nazionale, che consentirebbe al comunista Blanqui di far parte del governo in una repubblica borghese afflitta dal compito di respingere un invasore, mi chiedo se il ministerialismo stava diventando ortodosso a condizione di essere complicato con il nazionalismo, mi chiedo se fosse più giustificabile per un proletario sacrificare la lotta di classe al fine di collaborare alla difesa dello stesso paese amministrato e soprattutto sfruttato dalla classe borghese. Mi chiedo se la libertà politica, la libertà intellettuale e la possibilità di organizzare il proletariato non erano essenzialmente tanto proficue quanto la nazione d’oggi. Sento che sotto alcune circostanze non potrei seguire fino in fondo il ministerialismo nazionalista del nostro compagno.28.

Queste parole sono ancor più significative se si pensa che, dieci anni dopo un blanquista, il buon Marcel Sembat entrò a far parte del governo di guerra francese. Comunque, al Congresso di Amsterdam del 1904 fu approvata la Risoluzione di Dresda dove tra le altre cose si menzionava l’azione del Gruppo Parlamentare Socialista che avrebbe usato il suo potere per portare avanti la più vigorosa lotta contro il militarismo. Il VII Congresso dell’Internazionale, il primo Congresso tenutosi in Germania a Stoccarda, nel 1907, trattò in modo più approfondito il tema del “militarismo e del conflitto nazionale29. In Francia e nei Paesi Bassi l’antimilitarismo era diventato un argomento centrale nel dibattito politico della sinistra anarchica e socialista. Il sentire comune dei lavoratori operai e contadini, soprattutto nei paesi dove la leva obbligatoria bloccava i giovani per un lungo periodo, era che la guerra era un affare dei padroni ma ricadeva inesorabilmente sulle spalle della povera gente. Questo sentire popolare venne cavalcato con successo dagli anarco-sindacalisti allemanisti, come Hervé e Almereyda e gli anarchici antimilitaristi come Domela Nieuwenhuis30. In Italia l’antimilitarismo anarco-sindacalista fu praticato da personaggi come Maria Rygier, Filippo Corridoni, Michele Bianchi e non ultimo Benito Mussolini, molto vicino all’hervéismo anche nel voltar gabbana31. Prima del Congresso di Stoccarda vi fu il Congresso della SFIO a Nancy, dove il leader collettivista Jules Guesde, sette anni prima dello scoppio della guerra, spiegava che nel caso la Germania fosse stata attaccata, i socialisti tedeschi si sarebbero schierati in sua difesa e la stessa cosa avrebbero dovuto fare quelli francesi se nelle medesime circostanze. In tutta coerenza Guesde entrò a sua volta a far parte del governo di guerra durante la Prima guerra mondiale. Jaurès, nonostante avesse brillantemente smascherato il patriottismo di Hervé, quest’ultimo nascostosi dietro una facciata antimilitarista, insieme a Vaillant accettava alcuni aspetti del suo antimilitarismo, in particolare l’impegno della classe lavoratrice internazionale contro una eventuale guerra. La mozione Vaillant-Jaurès nata al Congresso di Nancy fu proposta quindi a Stoccarda: raccoglieva in parte la proposta di Hervé di contrastare la guerra con lo sciopero di massa e dimostrazioni varie, ma non cadeva nel tranello di credere nell’antimilitarismo rivoluzionario. Bebel, però, riteneva lo sciopero generale contro la guerra una sciocchezza, tanto quanto credere che lo sciopero generale avrebbe potuto mettere fine al sistema capitalista. Bebel stesso aveva esternato al Congresso della SPD di Essen, sempre nel 1907, la sua determinazione a non cedere nemmeno un lembo di terra all’invasore e che avrebbe imbracciato il fucile lui stesso se necessario, citazione che fece i sui danni al tempo della Prima guerra mondiale32. La mozione di Bebel, quindi, ribadiva la contrarietà dei lavoratori socialisti alla guerra ma senza scegliere una particolare strategia di lotta. Secondo Bebel le circostanze del caso avrebbero determinato la strategia più efficace. La risoluzione finale scritta da Bebel conteneva passaggi di Jaurès così come alcuni paragrafi di Luxemburg, scritti con Lenin e Martov. Come fa notare Craig Nation, il paragrafo conclusivo della risoluzione menzionava l’intervento dei socialisti a favore della cessazione repentina della guerra e lo sfruttamento della condizione di crisi economica e politica da essa determinata per aizzare il popolo contro il sistema capitalista in modo tale da determinarne l’abolizione33. Per ora nei vari Congressi della Seconda Internazionale Socialista la SPD aveva in qualche modo mitigato le tendenze antimilitariste hervéiste e nel 1907 a Stoccarda la SPD aveva raggiunto il seguente compromesso: se da un lato reputava giusto che la classe lavoratrice si opponesse alla guerra, dall’altro non voleva impegnarsi nel prevederne la modalità.

A Copenaghen nel 1910 la SPD di Bebel rigettava definitivamente l’idea dello sciopero in caso di guerra, riproposta da Keir Hardie dell’Indepedent Labour Party britannico e da Édouard-Marie Vaillant, leggendario comunardo blanquista francese. Le uniche misure contro la guerra sulle quali si poteva concordare erano eliminazione dell’esercito permeante, l’arbitrato internazionale, l’abolizione del segreto diplomatico e il disarmo generale34. Questi sono temi che perdureranno anche dopo la Prima guerra mondiale. Jaurès si occuperà di arbitrato internazionale e nel 1911 pubblicherà il suo Armée Novelle35, mentre il disarmo generale fu un cavallo di battaglia della SFIO di Blum fino all’ascesa di Hitler36. Nell’Armée Novelle Jaurès presupponeva la difesa dell'identità nazionale da parte della milizia popolare. La nazione non andava distrutta ma socializzata. Jaurès non credeva nella omologazione delle varie identità culturali. Spinto dalla volontà di assicurare la pace Jaurès allora suggeriva la costruzione di un apparato difensivo così formidabile da scoraggiare ogni pensiero di aggressione. La proposta di Jaurès, che in molti casi anticipava il wilsonismo, era stata o accolta freddamente o criticata dagli intellettuali socialisti37. In realtà questa non si discostava molto da quanto già suggerito da Bebel e già presente del Programma di Erfurt38.

A Basilea nel 1912, sulla stessa falsariga, si era deciso che l’International Socialist Bureau avrebbe aiutato in qualche modo i lavoratori nel caso dello scoppio di una guerra: proprio quello che però palesemente fallì il 29 e 30 di luglio del 1914. Nel 1912 si pensava che le classi dominanti avrebbero temuto la reazione proletaria alla guerra e il rischio che questa avrebbe portato la rivoluzione. Questa idea non era completamente fuori luogo se si pensa alle rivoluzioni o comunque alle insurrezioni avvenute durante e immediatamente dopo la fine del conflitto e se si pensa alla Settimana rossa che nel giungo del 1914 si propagò sulla penisola italiana, dietro la quale vi era stata una storia di ammutinamento. Le rivolte della cosiddetta Settimana rossa scoppiarono solo due mesi prima le dichiarazioni di guerra tra Austria, Russia, Germania, Francia e Inghilterra; non a caso per l’Italia un eventuale intervento in quelle condizioni sociali sarebbe stato improponibile. Ci volle un considerevole sforzo mediatico e diverse defezioni importanti per rendere verosimile l’idea di un intervento nelle menti degli altrimenti disinteressati lavoratori italiani. Lavoratori che nella loro maggioranza sarebbero comunque rimasti fuori dal conflitto, come confermato dal questionario lanciato proprio dall’allora direttore dell’Avanti!, sempre quel Benito, il quale stava già pianificando di passare con i socialisti interventisti. Non è poi che i lavoratori cambiarono idea: il patto segreto di Londra era già stato siglato e la stragrande massa dei contadini e dei lavoratori urbani dovette adeguarsi.

Tornando al partito guida, non ha torto Maehl quando nota che: “La SPD era certamente e onestamente desiderosa di pace ma non si voleva arrischiare nel perdere la sua ragguardevole posizione interna compromettendosi in un corso di azione azzardato, contingente ad una situazione che avrebbe potuto non realizzarsi39, in altre parole la SPD aveva troppo da perdere per dedicarsi anima e corpo all'internazionalismo. Ancora Maehl esprime lo stesso concetto in modo molto efficace: “La SPD non avrebbe preso la decisione fatale tra Germania e la fratellanza dei lavoratori europei, perché prevalse il timore che una qualsivoglia decisione avrebbe distrutto il partito40. Maehl individua nei Congressi della SPD di Chemnitz 1912 e di Jena nel 1913 il definitivo affermarsi della corrente revisionista che così andò a controllare la Parteiausschuss (la Direzione) e il Vorstund (ovvero, il Comitato Esecutivo). Nell’apparenza a Chemnitz la sinistra aveva trionfato data l’espulsione del riformista Gerhard Hildebrand, ma, “La destra semplicemente si ritirò dalla sua vecchia posizione e si arroccò su di una nuova dietro al nazionalismo. Con argomentazioni patriottiche aprì al centro, che aveva dato prova del suo latente nazionalismo evidente nel rapporto del Comitato Esecutivo a Chemnitz”41. Al Congresso di Jena, Bebel oramai non c’era più e “la SPD si era avviata su una via senza ritorno”. Il Partito, che aveva sempre condannando il militarismo, non rigettava però l’idea di difendere la patria. In più la risoluzione di Emanuel Wurm di appoggiare la tassazione diretta sul reddito e sulla proprietà anche quando si sapeva che questa sarebbe stata usata per finanziare gli armamenti, metteva in qualche modo un’ipoteca sul futuro appoggio ai crediti di guerra e questo in piena contravvenzione della risoluzione di Stoccarda del 1907. Maehl chiaramente nota che il Rubicone venne passato a Jena nel 1913 piuttosto che il 4 agosto del 1914 quando la SPD votò al Reichstag a favore dei crediti di guerra42. La dichiarazione di guerra della Germania alla Francia e lo schierarsi dei due partiti simbolo della Seconda Internazionale, la SPD e la SFIO, fu solo la formalizzazione della morte definitiva dell’internazionalismo operaio, dalla quale ancora oggi il movimento dei lavoratori non si è ripresa.

Volendo aggiungere due parole di commento è necessario fare una considerazione sul Partito Socialista Italiano (PSI) in relazione alla SPD e alla SFIO. Il PSI, come è noto, si espresse per la neutralità quando il Regno d’Italia, comunque ancora nella Triplice Alleanza, aveva deciso di non esser tenuta d’intervenire a fianco dei due alleati in quanto aggressori. Quindi, una volta entrati in guerra a fianco dell’Intesa, il PSI si espresse per il non aderire né sabotare. Questa formula, nobile sì, però va contestualizzata. Il PSI si confermava un partito antimilitarista, le frange di attivisti interventiste o erano state espulse al tempo della guerra in Tripolitania e Cirenaica nel 1911, o avevano lasciato il partito durante la campagna interventista. L’elemento però cruciale è che il Regno d’Italia aggrediva l’Impero Austroungarico. Quella dell’Italia non era per nulla una guerra difensiva. Non aderire ad una guerra di aggressione, nonostante tutta la retorica irredentista sulla liberazione di Trento e Trieste, era comunque la scelta più in sintonia con sentire delle masse. Sul né sabotare questa era una specificazione in linea con le disposizioni prese dalla Seconda Internazionale che avevano rigettato a più riprese l’antimilitarismo hervéista, il quale tra le altre cose predicava il sabotaggio. Ora, senza nulla togliere al grande coraggio dei socialisti italiani che comunque per la loro scelta furono oggetto di una feroce campagna mediatica che li dipingeva come traditori della patria, disfattisti, imboscati e spie, e molti suoi leader vennero anche incarcerati, o confinati, si veda Lazzari e Serrati, la loro posizione però storicamente non fu assolutamente sovrapponibile al caso francese, e neppure, relativamente, a quello tedesco. I socialisti francesi dovevano reagire ad una invasione della Germania e il socialismo francese aveva un nobilissimo precedente: l’eroica difesa di Parigi dall’invasione prussiana, la quale aveva dato vita alla mitica Comune. Votare a favore dei crediti di guerra e appoggiare il governo per difendersi da questa aggressione era stata la scelta più in sintonia con le masse francesi. Anche se può sembrare difficile da credere vi fu anche in Francia uno zoccolo duro pacifista, ma la loro posizione era davvero di molte volte più difficile da gestire di quella dei corrispettivi italiani. Per quanto riguarda la Germania, la SPD come abbiamo avuto modo di descrivere è stata condannata dalla storia per aver votato a favore dei crediti di guerra e aver così affondato la Seconda Internazionale. C'è un però…, la Germania aveva vissuto fino dalla sua unificazione la fobia di una aggressione russa. Bismarck si era prodigato per evitare che questo avvenisse, e dopo la scellerata politica post-bismarckiana in materia diplomatica, tolto un breve riavvicinamento tra le due nazioni, nel 1914 l’accordo franco-russo perdurava ormai dal 1891 con l’aggiunta della catastrofica (per i tedeschi) intesa di questi due paesi con la vera superpotenza dell’epoca, la Gran Bretagna. Questa situazione aveva accentuato il timore di essere attaccabili su due fronti. Non si è fatto cenno delle due crisi marocchine, 1905 e 1911, le quale possono essere viste come provocazioni francesi e avevano già fatto paventare un conflitto europeo. Decenni di timore di essere circondati ed esposti a una possibile invasione su due fronti aveva genuinamente condizionato una larga parte della popolazione tedesca, anche se ciò non toglie che un’altra larga fetta probabilmente il problema non se lo era mai posto. Tornando però alla SPD, la massa alla quale comunque questa rispondeva sicuramente leggeva i quotidiani ed era informata sugli accadimenti; quindi, è più che ragionevole pensare che questa sentisse il timore concreto di una aggressione. La SPD votando i crediti di guerra per larga parte genuinamente credeva di contribuire alla difesa dei confini nazionali. Con l’invasione del neutrale Belgio e lo sdegno della stampa estera circa la ferocia tedesca, questa ingenuità non fu più giustificabile. Nel caso della SPD ancor più che in Francia il voto a favore dei crediti non fu unanime, sulla guerra la SPD si era spaccata internamente e questa spaccatura andò esacerbandosi col proseguire del conflitto.



La rovina della guerra e la spaccatura della SPD.

In Germania così come in Francia, ma anche nel Regno Unito, l’idea della guerra era stata digerita da gran parte dei socialisti per via del mai risolto problema della difesa nazionale. È un dato di fatto che moti socialisti erano per diverse ragioni pronti a mettere la difesa nazionale davanti all'internazionalismo operaio. Abbiamo visto come Zibordi già nel 1918 aveva osservato che nei paesi più industrialmente sviluppati le masse operaie tendevano a solidarizzare con i capitalismi dei loro Stati per “salvare a questi quella egemonia dei mercati a cui essi sentono strettamente legata la propria sorte43. Nonostante si debba notare che i lavoratori nel maggiore dei casi non volessero andare al fronte, o mandare i propri figli al fronte, questa osservazione ci rende più facile comprendere su che tasti premeva la stampa bellicista. Stampa bellicista che insisteva sui concetti del “qualcosa da perdere”, la “difesa dei valori”, la “libertà” e addirittura le “conquiste sociali”. Le analisi di Otto Bauer e di Anton Pannekoek hanno chiarito quanto quello della questione nazionale fosse un nodo irrisolto sul quale la classe al potere poteva far presa con “slogan ideologici44.

In Italia, il paese che nel maggio del 1915, decide di offendere l’Impero Austroungarico, la posizione degli interventisti socialisti è intrisa di retorica risorgimentale e garibaldinismo comunardo, una sorta di 1848 e 1871 rivissuto dai figli e dai nipoti. Questo è catturato ancora da Zibordi nella sua breve polemica con Turati soprattutto dopo Caporetto45. La guerra però ha poco di romantico e da subito le perdite sui fronti occidentale e orientale sono ingenti; ancor prima che l’Italia entri in guerra, per esempio, nei soli primi quattro mesi di guerra la Francia aveva perso ben 310.000 soldati, la Germania contava circa 600.000 morti già alla fine del 1915. Si stima che alla fine della Prima guerra mondiale le perdite tra i soldati ammontino a dieci milioni. Per dare un metro di paragone nella guerra franco-prussiana del 1870-71 i morti totali furono di poco superiori ai 180.000. Per non menzionare Verdun, la più lunga battaglia della Prima guerra mondiale, ovvero, l’offensiva tedesca durata undici mesi che la Francia respinse e che costò la vita a oltre 262.308 soldati.

Un massacro di tale entità e di tale continuità non poteva passare in sordina tra la popolazione. In Germania i rappresentanti di Fabbrica (Obleute o Shop Steward) rivoluzionari avevano organizzato scioperi già dall’estate del 1916 contro l’arresto di Karl Liebknecht46, e ancora contro il razionamento di cibo nel 1917 e contro la guerra nel gennaio del 1918, fondando le basi del Consiglio Esecutivo (Vollzugsrat) di Berlino durante la Rivoluzione47. La spaccatura venutasi a formare nella SPD già nei giorni che precedettero l’entrata in guerra si esacerbò con il perdurare del massacro al fronte. Solo dopo una lunga scissione interna finalmente nell’aprile 1917 venne fondata la USPD48, ovvero il Partito socialdemocratico indipendente di Germania. Questo conteneva principalmente tre correnti: la destra, ovvero la frazione “centrista” di Haase, Kautsky, Rudolf Hilferding e in qualche senso anche Bernstein; la sinistra divisa nel Gruppo internazionale (Gruppe Internationale), che nel novembre del 1918 si chiamerà Lega di Spartaco49, guidata dai noti Luxemburg, Liebknecht, Clara Zetkin, Paul Levi e Leo Jogiches; la componente dei rappresentati di fabbrica, appunto, guidati da Richard Müller, Ernst Däumig ed Emil Barth. Vi era poi una componente di ultrasinistra (links-radikale) che si era però tenuta fuori dalla USPD, i quali portavoce si riunivano attorno alla rivista Arbeiterpolitik ed erano l’olandese Anton Pannekoek e Otto Rühle. Il ruolo giocato da Anton Pannekoek e da Karl Radek soprattutto nella radicalizzazione del Consiglio dei lavoratori di Brema è stato però ridimensionato50. Anton Pannekoek di fatto era ancora nei Paesi Bassi in quel periodo, anche se vi è prova di quanto le sue idee avessero influenzato tramite l’Arbeiterpolitik comunisti come Hans Brodmerkel di Brema. Di fatto Pannekoek aveva avuto un ruolo indiretto e circoscritto.

La SPD maggioritaria al Reichstag aveva comunque il controllo dei tre quarti della stampa. Bernstein spiega che i maggioritari non erano visti dalla popolazione come nemici, da un lato erano per la difesa della patria e dall’altro promuovevano discorsi per il raggiungimento della pace. Nel luglio del 1917 assieme al Zentrum, ovvero i cattolici, e al Partito Popolare Progressista promossero una azione parlamentare per la pace51. Le ricostruzioni della sinistra radicale, vedi “Illustrierte Geschichte der deutschen Revolution” di Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher52 tendono a minimizzare la popolarità dei socialdemocratici maggioritari, ovvero della SPD, durante e alla fine della guerra. Questo però è un appiattimento della realtà che non fa comprendere a pieno come la proposta moderata portata avanti dalla SPD, ingenua e ripugnate come poteva risultare ai rivoluzionari d’azione, non si era per nulla “intrufolata nella festa rivoluzionaria”. La proposta socialdemocratica della SPD invece aveva il vantaggio di parlare di socialismo e non spaventare troppo la vecchia classe dominante e il ceto medio. Gli stessi autori ammettono che nel novembre del 1918 tutti in qualche misura si riscoprirono socialisti: i monarchici, il centro cattolico, i liberali, addirittura alti funzionari del vecchio regime, e persino Wolfgang Kapp in quel periodo cercava un impiego nella nuova Repubblica53. Solo quando si considera come per gran parte della opinione pubblica, anche lavoratrice e operaia, l’aver fatto il proprio dovere, come chiesto dalla SPD, e il voler ora rimettere in piedi la Germania sotto il vessillo della Repubblica democratica non erano viste come politiche contraddittorie, giusto o sbagliato che sia, si possono intendere meglio gli sviluppi di dicembre 1918 e gennaio 1919. Considerando invece la SPD come un branco di sprovveduti, traditori, opportunisti non si fa altro che usarli come capro espiatorio di tutti i mali senza effettivamente affrontare la dura realtà dei fatti.

Secondo Otto Kirchheimer54 la monarchia a questo punto era già stata spodestata dal generale Erich Ludendorff, l’industria pesante la vera forza dietro agli armamenti ormai aveva consegnato la Germania al generale55. Bernstein spiega che i cancellieri: Theobald von Bethmann-Hollweg, in carica dal 1909 al 1917, il quale aveva rassegnato le dimissioni nell’estate del 1917 per via della guerra sottomarina, Georg Michaelis, in carica dal luglio al novembre del 1917, il quale era stato scelto dai militari ma non aveva mostrato grandi attitudini, e il principe Maximilian von Baden, cancelliere dall’ottobre al novembre del 1918, non capirono la logica su cui era basato il sistema del Reich tedesco, ovvero la supremazia militare e la conseguente necessaria vittoria, mentre il generale Ludendorff e l’ammiraglio Tirpitz, essendo uomini di logica, lo capirono e portarono il sistema alla sua rovina e alla rovina della monarchia56. Il 2 di luglio 1917 Ebert si assunse parte della responsabilità di aver proposto la risoluzione di pace, mentre la Germania era sotto il pieno controllo del Comando Supremo guidato dal generale Ludendorff. La SPD si astenne nel votare contro il trattato di Brest-Litovsk57, ovvero di pace separata con la Russia rivoluzionaria, nonostante Ebert espresse una serie di preoccupazioni per questo trattato, lamentando la difficoltà a collaborare col governo di Graf von Hertling. Questi era un uomo del Zentrum, fu cancelliere tra Michaelis e il principe von Baden, abile politico ma molto malato dovette cedere il proprio posto un anno dopo il suo insediamento. Ebert aveva definito il trattato di Brest-Litovsk una “sfortuna”. Quando nel settembre 1918 si pose la questione di prendere parte al governo, Ebert che in principio era contrario per la politica poco patriottica del governo, il quale aveva accettato le condizioni di Brest-Litovsk, ora si era impegnato a convincere il suo partito a partecipare58. La politica patriottica della SPD durante la crisi del 1917 aiutò la Germania a posporre la crisi istituzionale, la SPD infatti si oppose regolarmente agli scioperi e aiutò il governo nella opposizione ai socialisti più radicali.

All’inizio del 1918 nessuno poteva immaginare che la guerra fosse finita quello stesso anno. La Germania aveva pianificato la grande spallata sul fronte occidentale con l’intento di sconfiggere gli alleati prima che gli USA avessero avuto il tempo di schierare le proprie forze. Quindi l’8 agosto 1918 arrivò il giorno nero dell’esercito tedesco quando alle 4.20 A.M. iniziò l’offensiva alleata che ruppe la prima linea tedesca, e generò il rifiuto del grosso delle truppe tedesche a combattere. Nonostante ciò quell'attacco venne contenuto, ma già il 9 agosto il Comando Supremo si era reso conto di non poter più vincere la guerra, ora la questione era come ottenere una tregua e una pace che non sapessero troppo di sconfitta. Con il fronte occidentale ormai compromesso, anche la stampa incominciò a parlare apertamente di collasso del fronte occidentale e ne attribuì la responsabilità al generale Ludendorff. Questi aveva ormai ammesso la sconfitta militare, ma senza, ovviamente, assumersene la responsabilità. La SPD prese quindi le distanze dal governo Hertling, e tra i militari al comando si determinò l’idea che anche la SPD, come altri movimenti più radicali, avesse contribuito alla pugnalata alle spalle. Una cosa molto simile era accaduta in Italia dopo la disfatta di Caporetto, nel novembre del 1917, con la formazione in Parlamento del Fascio d’Azione. Necessariamente tra i soldati tedeschi emerse l’idea che la guerra era ormai perduta. Fu così che cominciò la dissoluzione dell’esercito tedesco59. In Germania a questo punto la governabilità era diventata un problema, il paese era in disfatta e la SPD che era rimasta pur sempre fedele allo sforzo bellico era diventata un punto di riferimento non trascurabile. Nella riunione del 23 settembre 1918 si proposero le condizioni alle quali partecipò Ebert in veste di leader della SDP, di mettere sotto sorveglianza il Kaiser e i generali, ovvero di toglierle loro il comando, Ebert aveva dichiarato in quella occasione: “Il controllo della politica deve essere sotto tutte le circostanze messo nelle mani del Governo civile60.

Il 1° ottobre la situazione era disperata. Bernstein riporta il racconto del Cancelliere uscente Hertling: “[…] Hertling parlò del suo successore con il Kaiser che non si era ancora deciso su Max von Baden. Quindi Ludendorff irruppe nella stanza senza essere stato annunciato e immediatamente chiese, completamente infuriato: «Non è ancora pronto il nuovo governo?», al che il Kaiser rispose giustamente altrettanto bruscamente: «Non faccio miracoli!». E Ludendorff: «Ma il governo deve essere formato immediatamente, perché la proposta di pace deve essere emessa oggi stesso.» Il Kaiser: «Me lo doveva dire 14 giorni fa!»61. Il 3 ottobre il principe Max von Baden venne nominato Cancelliere quindi il 4 ottobre fu mandata la richiesta di armistizio. L’intento era quello di far passare la richiesta di armistizio come proveniente da un nuovo governo che rappresentasse la maggioranza dei tedeschi. La richiesta di un nuovo governo in Germania era arrivata dal presidente degli USA. Il presidente statunitense Wilson, oramai il vero vincitore e protagonista, sospettoso di questo “nuovo” governo rispose con tre lettere diplomatiche. In più le condizioni dell'armistizio proposte dai tedeschi erano ancora troppo blande in merito ai territori occupati in Francia e in Belgio. Ludendorff trovandosi in disaccordo con i termini del negoziato ordinò di continuare il conflitto. Max von Baden chiese a Guglielmo II le dimissioni di Ludendorff ma queste arrivarono solo il 26 ottobre. Intanto la guerra continuava e durante prima settimana di governo von Baden, la formidabile linea difensiva tedesca, la “linea Hindenburg”, in Belgio era caduta causando la ritirata delle truppe tedesca dal 9 all’11 ottobre.

Il 7 ottobre si riunì a Gotha il “Gruppo Internazionale”, la Lega di Spartakus, ovvero gli elementi più radicali della USPD, i quali decisero che la linea bolscevica della dittatura dei soviet di lavoratori e soldati era quella da seguire anche in Germania. Bernstein, che ovviamente è molto duro nel giudicare i bolscevichi e gli spartachisti al loro seguito, afferma però: “Certamente la dottrina bolscevica è marxista solo nel linguaggio, ma blanquista nel carattere. Però la prospettiva blanquista non è, come [Bernstein stesso] ha già spiegato nel 1899 in ‘The Preconditions of Socialism’, sbagliata in tutti i punti. Dati alcuni presupposti è giusta per scopi politici limitati, e azioni che sono basate su questa hanno anche del successo da mostrare. Qui, tutti i presupposti per tale azione erano presenti62. Questa è una frase molto importante di Bernstein perché va oltre il “non c’erano le condizioni in Russia, o in Germania”. È un’analisi più sottile, che ammette la logica di un intervento di una minoranza ma che ne riconosce il limite. Probabilmente è l’atteggiamento più intellettualmente onesto. I leader della Lega di Spartakus non parteciparono a tale riunione in quanto liberati solo più tardi, Karl Liebknecht il 21 ottobre, Wilhelm Dittmann il 15 e Rosa Luxemburg solo l’8 novembre. Ad ogni modo gli spartachisti erano già attivi nel fare entrare armi dalla Russia per prepararsi alla rivoluzione imminente. Questo fu ammesso dallo stesso Adolf Joffe ambasciatore della Russia sovietica a Berlino63. La questione dei fondi e delle armi russe creò un gran polverone all’interno della USPD: Bernstein commenta che se non vi fosse stato nulla di male a farsi aiutare da un partito fratello questo si sarebbe dovuto fare alla luce del sole. La rivoluzione tedesca, conclude, venne senza soldi e armi russe, ma questi ebbero la funzione solo di sviare la gente a credere nel successo in una insurrezione armata in una fase così prematura64.

Il principe von Baden, un “liberale” incaricato di formare il nuovo governo che rispondesse alle richieste di Wilson , aveva provato a formare un governo che includesse anche il Partito Popolare progressista, il Zentrum cristiano e i socialisti maggioritari della SPD, Gustav Bauer segretario di Stato del Lavoro e Philipp Scheidemann segretario di Stato senza portafoglio65, ma, si era screditato poco dopo il suo insediamento per via di una lettera mandata al principe Alexander zu Hohenlohe-Schillingsfürst resa pubblica dalla stampa, dove affermava la sua sfiducia nei confronti della parlamentarizzazione e della democratizzazione del Reich e aveva chiamato nella stessa lettera la risoluzione di pace del luglio 1917 “figlia disgustosa della paura”. Inoltre le lettere rese pubbliche dai bolscevichi una volta preso il potere in Russia esposero anche il Kaiser, il quale in un epistolario con lo Zar Nicola II al tempo della guerra russo-giapponese aizzava lo Zar contro il Regno Unito66. Il 12 ottobre il governo tedesco accet la condizione imposta da Wilson del ritiro completo delle truppe dal Belgio e dalla Francia, ma solo due giorni prima il traghetto a vapore irlandese RMS Leindter era stato silurato da un sottomarino tedesco UB-123 durante la sua rotta Dublino-Holyhead causando la morte di circa 100 civili e 500 militari. Questo generò una forte campagna anti-tedesca e la reazione di Wilson che non volle più trattare con il governo militarista di von Baden, egli avrebbe trattato i termini dell’armistizio solo con un governo costituzionale. Il 23 ottobre il Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nella sua Third Note dichiarò di non essere convinto che il governo del principe Max von Baden fosse un governo responsabile. Wilson aveva chiesto ai suoi consiglieri militari di disegnare le condizioni dell’armistizio così da assicurare loro il potere illimitato per fare modo che venisse messa in atto la pace concordata con il governo tedesco67. Il 17 ottobre il Grand Ammiraglio Tipriz si espresse in favore di continuare la battaglia sottomarina con l’intento di ribilanciare il negoziato, Ludendorff suggerì di continuare le ostilità in quanto pensava che militarmente gli alleati non avrebbero avuto modo di sfondare le linee difensive tedesche le quali erano state riorganizzate dopo la ritirata dell’11 ottobre. Proprio su questo punto von Baden e Ludendorff si scontrarono entrambe minacciando le dimissioni; Guglielmo II in questo caso scelse la posizione di von Baden. Dopo il Regno di Bulgaria anche l’Impero ottomano, verso la fine di ottobre, aveva firmato l'armistizio, quindi il 29 ottobre il fronte austroungarico era collassato sul fronte italiano, ormai il 30 ottobre l’Impero austroungarico non esisteva più. Il Kaiser lo stesso giorno fuggì a Spa. Quindi mentre tutto stava crollando attorno alla Germania anacronisticamente il 29 ottobre Ammiragliato si ostinava ad approvare il grande attacco generale della marina tedesca alla marina britannica nel Canale della Manica. Come riassume Bernstein, il Kaiser in fuga, un cancelliere screditato: questa era la situazione quando si innescò la rivolta della Marina68.

Ad ogni modo il principe Max von Baden aveva in Ebert il suo sostenitore di fiducia e ormai si erano venute a creare le condizioni per la SPD di Ebert di riempire il vuoto di potere che quattro anni di guerra rovinosa e il discredito del regime degli Hohenzollern e del suo Comando Supremo avevano lasciato. In una posizione di potere acquisita dalle circostanze, Ebert si impegnò ad agevolare la richiesta fatta al Kaiser di abdicare e di chetare la rivolta della marina intanto scoppiata a Kiel69. È da aggiungere che il governo von Baden aveva un piano per rinnovare la Costituzione e istituire un suffragio allargato, questo aveva consentito alla SPD di credere che fosse possibile già da subito l’attuazione di riforme sociali importanti70. Un’altra considerazione è che i negoziati per l’armistizio continuarono mentre la Germania passò da un governo liberale monarchico, rappresentate il vecchio regime, ad uno socialdemocratico “rivoluzionario”, visto dall’Intesa talvolta opportunisticamente in modo ambiguo, ovvero, a tratti come un governo socialista kaiserista, altre volte come un governo sanguinario e bolscevico. Il negoziato per l’armistizio fu lasciato dal governo provvisorio nelle mani dei vecchi ministri affidandosi alla loro esperienza, creando però una forte discrepanza tra le aspettative e il risultato finale del negoziato.



CESCO

1 La Dieta imperiale.

2 Sozialdemokratische Partei Deutschlands.

3 La Seconda Internazionale era stata inaugurata il 14 luglio 1889 a Parigi, tredici anni dopo circa la fine della Prima Internazionale, fondata nel 1864 a Londra.

4 Il Bureau della Internazionale Socialista era stato fondato nel 1900 ed era l’organo esecutivo della Seconda Internazionale.

5 Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 40.

6 Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista, luglio 2021.

7 Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista, gennaio 2022.

8 William H. Maehl. August Bebel and the Development of a Responsible German Socialist Foreign Policy 1878-96. Journal of European Studies, vi (1976), 17-46.

9 William H. Maehl. August Bebel and the Development of a Responsible German Socialist Foreign Policy 1878-96. Journal of European Studies, vi (1976), 17-46.

10 Ibidem.

11 Il cosiddetto “piano Schlieffen”.

12 Mentre i lassalliani diedero il loro consenso ai primi crediti di guerra, Bebel e Liebknecht si astennero, poi nel novembre del 1870 entrambi i movimenti socialisti votarono contro. Bebel dichiarò in quella circostanza che l’annessione dell’Alsazia e della Lorena avrebbe calpestato il diritto di auto-determinazione dei popoli. L'opposizione di Bebel e Liebknecht sfociò in un processo tenutosi nel 1872 (Jürgen Schmidt. Global Values Locally Transformed. The IWMA in the German States 1864–1872/76. In: "Arise Ye Wretched of the Earth": The First International in a Global Perspective. E-Book ISBN: 9789004335462, Publisher: Brill, 10 Mar 2018).

13 Gary P. Steenson. Karl Kautsky, 1854-1938. Marxism in the Classical Years. University of Pittsburgh Press, originally published in 1979, reprint 1991.

14 Buse, D. K. “EBERT AND THE COMING OF WORLD WAR I: A MONTH FROM HIS DIARY.” International Review of Social History 13, no. 3 (1968): 430–48. http://www.jstor.org/stable/4458367

15 Ibidem.

16 Gary P. Steenson. Karl Kautsky, 1854-1938. Marxism in the Classical Years. University of Pittsburgh Press, originally published in 1979, reprint 1991.

17 Ibidem.

18 (“tregua nel castello” ovvero “tregua interna”)

19 Section Française de l'Internationale Ouvrière.

20 D. K. Buse. “EBERT AND THE COMING OF WORLD WAR I: A MONTH FROM HIS DIARY.” International Review of Social History 13, no. 3 (1968): 430–48. http://www.jstor.org/stable/4458367

21 D. K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255.

22 William Maehl. The Triumph of Nationalism in the German Socialist Party on the Eve of the First World War. The Journal of Modern History. 1952, vol. 24 (1), pp. 15-41.

23 Ibidem.

24 Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p. 39.

25Buse, D. K. “EBERT AND THE COMING OF WORLD WAR I: A MONTH FROM HIS DIARY.” International Review of Social History 13, no. 3 (1968): 430–48. http://www.jstor.org/stable/4458367

26William Grant Ratliff. The Political career of Gustav Noske, 1918-1920. A Thesis in History. Texas Tech University. 1980.

27William Maehl. The Triumph of Nationalism in the German Socialist Party on the Eve of the First World War. The Journal of Modern History. 1952, vol 24 (1), pp. 15-41.

28Samuel Bernstein. Jean Jaures and the Problem of War. Science & Society, Vol. 4, No. 3 (Summer, 1940), pp. 127-164 (38 pages).

29R. Craig Nation. War on war: Lenin, the Zimmerwald left, and the origins of communist internationalism. 1989 Haymarket Books (2009).

30Cesco. Gustave Hervé: Estratto da “From Revolutionary Theater to Reactionary Litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the Extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista, gennaio 2022.

31Cesco. Mussolini e la sua lunga marcia da socialista col fazzoletto nero (1901-1914) - Parte II -. Adattamento Socialista, novembre 2022.

32R. Craig Nation. War on war: Lenin, the Zimmerwald left, and the origins of communist internationalism. 1989 Haymarket Books (2009). p. 18 e nota 44.

33R. Craig Nation. War on war: Lenin, the Zimmerwald left, and the origins of communist internationalism. 1989 Haymarket Books (2009).

34R. Craig Nation. War on war: Lenin, the Zimmerwald left, and the origins of communist internationalism. 1989 Haymarket Books (2009).

35Jean Jaurès. L’organisation socialiste de la France. L’Armée nouvelle. 1911. http://catalogue.bnf.fr/ark:/12148/cb35171297p

36Cesco. Léon Blum: un socialista “prigioniero” della Repubblica - PARTE II- (tratto principalmente da “Léon Blum: Humanist in Politics” di Joel Colton). Adattamento Socialista, agosto 2023.

37Cesco. Il socialismo ha bisogno di un’Armée Nouvelle?. Adattamento Socialista, giugno 2024.

38Vedi appendice I in Cesco e Dan Kolog. Per il centotrentesimo anniversario della fondazione del Partito Socialista Italiano: Riflessioni sul "Programma di Genova". Adattamento Socialista, agosto 2022.

39William Maehl. The Triumph of Nationalism in the German Socialist Party on the Eve of the First World War. The Journal of Modern History. 1952, vol 24 (1), pp. 15-41.

40 Ibidem.

41 William Maehl. The Triumph of Nationalism in the German Socialist Party on the Eve of the First World War. The Journal of Modern History. 1952, vol 24 (1), pp. 15-41.

42 Ibidem.

43Cesco. Giovanni Zibordi e la guerra. Adattamento Socialista, luglio 2024.

44Anton Pannekoek: Lotta di Classe e Nazione - Parte III. Traduzione di Dan Kolog, Adattamento Socialista. ottobre 2024.

45Cesco. Giovanni Zibordi e la guerra. Adattamento Socialista, luglio 2024.

46Karl Liebknecht, come è noto, dopo la prima votazione dei crediti del 1914, quella celebre del 4 agosto, quando si piegò alla decisione del Partito, il 2 dicembre 1914 votò contro il rinnovo dei crediti di guerra. Nonostante diversi membri della SPD erano stati contrari sia il 4 che il 2 ai crediti, egli fu l’unico a spezzare la disciplina di partito e votare contro. Nel suo discorso accusava apertamente la Germania di buonapartismo, e dichiarava una volte per tutte che quella della Germania non era una guerra difensiva. https://www.marxists.org/archive/liebknecht-k/works/1914/12/17.htm

47Nicholas Vrousalis. Revolutionary principles and strategy in the November Revolution: The Case of the USPD. In The German Revolution and Political Theory. Edited by Gaard Kets and James Muldoon. Palgrave MacMillan. 2019.

48Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands

49Rosa Luxemburg, la quale passerà la maggior parte del periodo bellico in prigione, già il giorno dopo la votazione dei crediti di guerra aveva fondato il Gruppe Internationale. All’inizio del 1916 il Gruppe Internationale incominciò a pubblicare le Spartakusbriefe e diventò noto come Spartakusgruppe [da All Power to the Councils! A Documentary History of the German Revolution of 1918-1919. Edited and Translated by Gabriel Kuhn. PM Press, 2012]

50Gaard Kets. Working-Class Politics in the Bremen Council Republic. In The German Revolution and Political Theory. Edited by Gaard Kets and James Muldoon. Palgrave MacMillan. 2019.

51Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 58.

52Vedi Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germaia 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “llustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001.

53Paul Frölich, Rudolf Lindau, Albert Schreiner e Jakob Walcher. Rivoluzione e controrivoluzione in Germaia 1918-1920. Dalla fondazione del Partito comunista al putsch di Kapp. Titolo originale: “llustrierte Geschichte der deutschen Revolution”, 1929. Pantarei editore, 2001. p. 8.

54Weimar - und was dann? Analyse einer Verfassung, 1930 in [D.K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255. ]

55D.K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255.

56Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 41.

57Il trattato di pace separata di Brest-Litovsk fu firmato nel marzo del 1918 tra la Russia dei Soviet, rappresentata da Lev Trockij, e le forze dell’Alleanza. I negoziati erano iniziati nel dicembre del 1917. Da subito la Germania cercò di annettere il più possibile. Lenin conscio degli sforzi necessari per la guerra civile in corso era molto più aperto ad una pace con condizioni sfavorevoli per la Russia che Trockij. Il 9 febbraio la pace separata siglata tra Ucraina e le forze centrali causò l’abbandono del negoziato da parte di Trockij. In marzo una grande offensiva tedesca, che aveva preso l'Ucraina, precedentemente invasa dai bolscevichi, e occupato Narva in Estonia, obbligò i bolscevichi a firmare il trattato anche se con condizioni ancor più sfavorevoli. In realtà le misure economiche imposte dalla Germania non furono poi così gravi, le principale connessioni fatte erano state territoriali.

58D.K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255.

59Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 44.

60D.K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255.

61Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 46.

62Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 60.

63Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 61.

64Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 63.

65Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 59.

66Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 58.

67Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 272.

68Marius S. Ostrowski. Eduard Bernstein on the German Revolution. Selected Historical Writings. Palgrave MacMillan, Springer Nature, 2020. p 48.

69D.K. Buse. “Ebert and the German Crisis, 1917-1920”. Central european History, Vol. 5, No. 3 (Sep., 1972), pp234-255.

70Reinhard Rürup. Problems of the German Revolution 1918-19. Journal of Contemporary History, Vol. 3, No. 4, 1918-19: From War to Peace (Oct. 1968), pp. 109-135.

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