Anton Pannekoek: Lotta di Classe e Nazione - Parte I - La Nazione e le sue Trasformazioni
Anton
Pannekoek
Lotta di Classe e Nazione
(presentazione, traduzione e note a cura di Dan Kolog)
Pubblicato a Reichenberg nel 1912 con il titolo di “Klassenkampf und Nation”.
Presentazione
Sono passati 112 anni dalla pubblicazione di questo breve, ma denso,
saggio del marxista olandese Antonie Pannekoek (“Anton” in tedesco) sui
rapporti tra il movimento operaio e socialista del tempo (la “Socialdemocrazia”
veniva allora chiamato, in omaggio al partito-guida tedesco) e la cosiddetta “questione
nazionale”. Si chiudeva la Belle Époque, piena di speranze per le “magnifiche
sorti e progressive” dell’umanità, ma al contempo carica di una serie di “questioni”
del tutto irrisolte: la “questione sociale”, la “questione nazionale”, la “questione
coloniale” ecc. Stava per finire, di certo non in bellezza, la Seconda
Internazionale socialista, fondata dal vecchio Engels nel 1889, che aveva dato vita
velocemente a partiti socialisti di massa in tutto il mondo occidentale. Ma
soprattutto stava per suicidarsi l’Europa che sarebbe sprofondata di lì a due
anni in una lunga guerra di dimensioni mai viste prima (la “Grande Guerra”,
appunto), che massacrò più di dieci milioni di persone e spazzò via dalla Storia
quattro imperi secolari. Ebbene, a più di un secolo di distanza l’Europa è
ancora una volta in guerra e, ancora una volta, è lo spettro delle “nazionalità
oppresse” e del loro supposto “incomprimibile diritto all’autodeterminazione” a
fare da foglia di fico all’ennesima ecatombe sull’altare dell’imperialismo capitalistico
e dei suoi blocchi contrapposti. Se nel 1939 Hitler voleva riunire le minoranze
germanofone di tutta Europa sotto un unico Reich e un unico Führer,
se nel 1990 Croati e Bosgnacchi prendevano le armi per creare le loro “piccole
patrie” fuori dal dominio della vecchia e sfortunata Iugoslavia, se nel 1998 fu
poi la volta dell’etnia albanese del Kossovo, ora c’è l’Ucraina, riccamente
foraggiata dal mondo occidentale, a difendere con le unghie e con i denti la
sua indipendenza dalla Federazione Russa, erede, invero un po’ammaccata, della
superpotenza dell’URSS. Gioverà quindi a tutti quegli autentici socialisti che
siano sanamente disgustati dalla nuova
sbornia patriottarda che i mezzi di comunicazione di oggi ci propinano continuamente,
tornare al pensiero terso e razionale del grande teorico olandese che,
inascoltato a destra dai riformisti (i “social-patrioti”), ma perfino a
sinistra dai bolscevichi (gli “antiimperialisti”), lucidamente denunciava, nel
solco di Rosa Luxemburg, il carattere veramente furfantesco, tossico e
antisocialista dell’ideologia nazionalistica, bloccarda e bellicista, in tutte
le sue forme e declinazioni possibili, includendo “la guerra preventiva”, “la
guerra difensiva”, “il diritto delle minoranze etniche all’autodeterminazione”,
“la difesa della democrazia e del diritto internazionale”, il “peace
enforcing” ecc. Vere “polpette avvelenate” preparate con gran cura dai vari
maître à penser del capitale, che, come accadde con il celebre Rudyard
Kipling nel 1915, dovranno patire gravi lutti personali per poter finalmente
aprire gli occhi. Per fortuna nel mondo c’è ancora chi, come l’astronomo
olandese Pannekoek nel 1912, è capace di vedere le cose con chiarezza già da
prima mediante quel potente “telescopio della Storia” che era (e che è) il
metodo del materialismo storico marxista. Ad essi il nostro sincero plauso e la
dedica di questa traduzione che, speriamo, risulterà loro gradita. Certo, di
errori di “ipermetropia” Pannekoek nel 1912 ne commise molti, attribuendo, per
esempio, al proletariato una maturità dovuta alla lotta di classe ben al di là
di quanto effettivamente verificatosi nella prima metà del XX secolo, quando il
virus del nazi-fascismo imperialista (un esiziale nazionalismo allo stato
chimicamente puro) infettò buona parte dell’Europa e il Giappone, lambendo
successivamente persino l’America Latina. E che dire poi delle lunghe lotte
anticoloniali novecentesche talora intrecciatesi con quelle complesse realtà
sbrigativamente etichettate come “realsocialiste”: da Bucharin a Stalin e Mao,
da Tito a Ho Chi Minh e Castro, tali esperienze sembrarono dar ragione all’antagonista
di Pannekoek, il socialista austriaco Otto Bauer, che vedeva nel binomio
nazione-socialismo un qualcosa di permanente e storicamente ineludibile.
Eppure, siamo profondamente convinti che sul lungo periodo saranno Luxemburg e
Pannekoek ad aver ragione su Lenin e Bauer, almeno per ciò che concerne il
carattere transitorio del concetto stesso di nazione.
Dan Kolog
Indice
Introduzione
Parte I. La Nazione e le sue Trasformazioni
·
La
concezione borghese e la concezione socialista
·
La nazione
come comunità di destino
·
La nazione
contadina e la nazione moderna
·
La
tradizione e la mente umana
·
Il nostro
compito
Introduzione
Non essendo austriaco, forse
dovrei scusarmi per aver scritto sulla questione nazionale. Se si trattasse di
un problema puramente austriaco, chiunque non conosca a fondo la situazione
pratica (e non sia obbligato a conoscerla attraverso la prassi politica
quotidiana) non si impegnerebbe a esaminarlo. Ma la questione sta acquisendo un’importanza
crescente anche in altri Paesi. E grazie agli scritti dei teorici austriaci, in
particolare alla preziosa opera di Otto Bauer “La Questione delle Nazionalità
e la Socialdemocrazia” 1,
essa non è più appannaggio esclusivo della prassi politica austriaca ma è
diventata un argomento di teoria socialista generale. Attualmente questa
questione, il modo in cui è stata affrontata e le sue implicazioni non possono
non suscitare un vivo interesse in ogni socialista che consideri la teoria come
il filo conduttore della nostra prassi. Ora si possono esprimere giudizi e fare
critiche anche al di fuori dell’ambito delle condizioni specificamente
austriache. Poiché nelle pagine seguenti dovremo criticare alcune delle
conclusioni di Bauer, diciamo in anticipo che questo fatto non sminuisce in
alcun modo il valore del suo lavoro. La sua importanza non risiede nell’aver
stabilito risultati definitivi e inconfutabili in questo campo, ma nell’aver posto
le basi per ulteriori dibattiti e discussioni sulla questione nazionale.
Questa discussione sembra essere
particolarmente opportuna nel momento attuale. La crisi separatista 2
pone la questione nazionale all’ordine del giorno anche nel nostro partito 3
e ci obbliga a riesaminare tali problemi e a sottoporre il nostro punto di
vista a un esame approfondito. Forse un dibattito sui fondamenti teorici non
sarebbe del tutto inutile e con questo studio speriamo di dare il nostro
contributo ai compagni austriaci in vista di tale dibattito. Il fatto che il
compagno Otto Strasser, nel suo studio “L’Operaio e la Nazione”, sia
giunto alle nostre stesse conclusioni attraverso un percorso completamente
diverso, basato sulle condizioni austriache (ma guidato, naturalmente, dalla medesima
concezione marxista di base), ha avuto un ruolo determinante nella decisione di
pubblicare questo opuscolo. I nostri due sforzi possono quindi completarsi a
vicenda relativamente a questa questione.
Parte I. La Nazione e le sue
Trasformazioni
La concezione
borghese e la concezione socialista
Il socialismo è una nuova
concezione scientifica del mondo umano che si distingue fondamentalmente da
tutte le concezioni borghesi precedenti. Il modo borghese di rappresentare le
cose considera le diverse formazioni e istituzioni del mondo umano come
prodotti della natura, lodandole o condannandole a seconda che siano in
contraddizione o conformi alla “eterna natura umana”, oppure come prodotti del
caso o di decisioni umane arbitrarie che possono essere modificate a piacimento
per mezzo di una forza di volontà artificiale. La Socialdemocrazia, invece,
considera gli stessi fenomeni come prodotti naturali dello sviluppo della
società umana. Mentre la natura subisce praticamente solo cambiamenti
impercettibili - la genesi delle specie vegetali e animali e le loro
differenziazioni sono avvenute in periodi molto lunghi - la società umana è
soggetta a uno sviluppo rapido e incessante. Questo avviene perché la sua base,
ossia il lavoro dell’uomo per la sopravvivenza, ha dovuto costantemente
assumere nuove forme man mano che gli strumenti di lavoro venivano perfezionati.
La vita economica è messa in subbuglio e questo fatto dà origine a nuovi modi
di vedere le cose e a nuove idee, a nuove leggi e a nuove istituzioni
politiche. È quindi in relazione a questo punto che l’opposizione tra la
concezione borghese e quella socialista si palesa: per la prima, con un
carattere naturalmente immutabile e, al tempo stesso, arbitrario; mentre, per
la seconda, in un incessante processo di divenire e di trasformazione secondo
leggi stabilite, attraverso l’economia, sulla base del lavoro umano.
Questo vale anche per la
nazione. La concezione borghese vede nella diversità tra le nazioni le
differenze naturali tra gli uomini, dato che le nazioni sono raggruppamenti
umani costituiti da comunità di etnia, di origine e di lingua. Ma allo stesso
tempo crede anche di poter opprimere, con misure politiche coercitive, le
nazioni in un certo luogo ed estendere il proprio dominio a spese di altre
nazioni in un luogo diverso. La Socialdemocrazia, invece, considera le nazioni
come gruppi umani che hanno formato delle unità a causa della loro storia
comune. Lo sviluppo storico ha prodotto le nazioni entro i suoi limiti e a modo
suo. Esso, in generale, produce anche vari cambiamenti nel significato e nell’essenza
della nazione con il passare del tempo e con il mutare delle condizioni
economiche. È solo sulla base delle condizioni economiche che si può
comprendere la storia e lo sviluppo delle nazioni e, di conseguenza, della cosiddetta
“idea nazionale”.
Dal punto di vista socialista è Otto Bauer ad averne fornito, nella sua opera “La Questione delle Nazionalità e la Socialdemocrazia” 4, l’analisi più approfondita. La sua esposizione costituisce il punto di partenza indispensabile per un ulteriore esame e per una discussione della questione nazionale. In quest’opera il punto di vista socialista è formulato come segue: “La nazione non è quindi più per noi una cosa fissa, ma piuttosto un processo in divenire, determinato nella sua essenza dalle condizioni in cui il popolo lotta per il proprio sostentamento e per la conservazione della propria specie”
5. E poco più avanti: “La concezione materialista della Storia [sottolineatura originale di Pannekoek] può interpretare la nazione come il prodotto mai finito di un processo che si verifica costantemente, la cui forza motrice ultima è costituita dalle condizioni che regolano la lotta degli uomini con la natura, la trasformazione delle forze produttive umane e i cambiamenti nei rapporti che regolano il lavoro umano. Questa concezione rende la nazione come una sorta di Storia dentro di noi” 6. Il carattere nazionale sarebbe quindi “Storia solidificata”.La nazione come comunità di destino
Bauer definisce più compiutamente
la nazione come “la totalità degli esseri umani legati da una comunità di
destino in una comunità di carattere”. Questa formula è stata spesso
attaccata, ma erroneamente, perché essa è perfettamente corretta. L’equivoco
risiede nel fatto che le parole “somiglianza” e “comunità” vengono spesso
confuse. “Comunità di destino” non significa sottomissione a un destino
identico, ma l’esperienza condivisa di un unico destino che subisce continui
cambiamenti in una continua reciprocità di influenze. I contadini della Cina,
dell’India e dell’Egitto si assomigliano per la similitudine delle loro
condizioni economiche: essi hanno lo stesso carattere di classe, ma non c’è
traccia di comunità tra loro. I piccoli borghesi, i commercianti, gli operai, i
nobili proprietari terrieri e i contadini inglesi, invece, pur presentando
molte differenze di carattere dovute alle loro diverse posizioni di classe,
costituiscono comunque una comunità. Una storia vissuta in comune, l’influenza
reciproca che esercitano l’uno sull’altro, anche se sotto forma di lotte
accesissime, il tutto per mezzo di una lingua comune, ne fanno una comunità di
carattere, ovvero una nazione. Allo stesso tempo il contenuto mentale di questa
comunità, ossia la sua cultura comune, viene trasmesso di generazione in
generazione grazie alla parola scritta.
Questo non significa
assolutamente che tutti i membri di una nazione siano simili. Al contrario,
possono esserci grandi differenze di carattere all’interno di una nazione a
seconda della classe o del luogo di residenza. Il contadino tedesco e l’industriale
tedesco, il bavarese e l’oldemburghese ecc. presentano evidenti differenze di
carattere, ma fanno comunque parte della stessa nazione tedesca. Ciò non
implica nemmeno che non esistano comunità di carattere diverse dalle nazioni.
Non ci riferiamo, ovviamente, a organizzazioni particolari limitate nel tempo, come
le società per azioni o i sindacati. Tuttavia, ogni organizzazione umana che
comprenda un’unità duratura, ereditata di generazione in generazione,
costituisce una comunità di carattere generata da una comunità di destino
[sottolineatura originale di Pannekoek].
Le comunità religiose offrono un
altro esempio di questo. Anch’esse sono “Storia solidificata”. Non sono solo
gruppi di persone che condividono la stessa religione e che si riuniscono per
uno scopo religioso. Ciò accade perché sono, per così dire, uomini nati all’interno
delle loro chiese e raramente passano da una chiesa all’altra. In linea di
principio, però, la comunità religiosa comprende tutti coloro che sono legati
socialmente, in un modo o nell’altro, dalla loro origine, dal loro villaggio o
dalla loro classe. La comunità di interessi e di condizioni di esistenza ha
creato in modo simultaneo una comunità di rappresentazioni mentali fondamentali
che ha assunto una forma religiosa. Inoltre, essa ha creato anche un legame di
doveri reciproci, di lealtà e di protezione, tra l’organizzazione e i suoi
membri. La comunità religiosa era l’espressione principale dell’appartenenza
sociale nelle strutture tribali primitive e nella Chiesa del Medioevo. Le
comunità religiose nate durante la Riforma, ossia le Chiese protestanti e le
varie sette ereticali, erano invece organizzazioni di lotta di classe contro la
Chiesa dominante (ma spesso anche in conflitto tra di loro) e corrispondono,
quindi, almeno in una certa misura, ai nostri partiti politici contemporanei.
Di conseguenza le diverse fedi religiose esprimevano interessi vivi, reali e
profondamente sentiti. Ci si poteva convertire da una religione all’altra più o
meno nello stesso modo in cui oggi si può abbandonare un partito e iscriversi a
un altro. In seguito, queste organizzazioni si sono pietrificate in comunità di
fede in cui lo strato superiore, il clero, manteneva relazioni ristrette al proprio
ambito, le quali lo ponevano al di sopra dell’intera Chiesa. La comunità di
interessi scomparve e all’interno di ogni Chiesa sorsero, con lo sviluppo della
società, numerose classi e contraddizioni di classe. L’organizzazione religiosa
divenne sempre più un guscio vuoto e la professione di fede una formula
astratta priva di qualsiasi contenuto sociale. È stata quindi sostituita da
altre organizzazioni che erano associazioni vive ed espressioni di interessi.
La comunità religiosa costituisce quindi un gruppo la cui comunità di destino
appartiene sempre più al passato e si sta progressivamente dissolvendo. Quindi,
anche la religione è un precipitato di ciò che è storico in noi [sottolineatura originale di
Pannekoek].
La nazione, dunque, non è l’unica
[sottolineatura originale di Pannekoek] comunità di carattere sorta da una
comunità di destino, ma è solo una delle sue forme e, a volte, è difficile
distinguerla dalle altre forme senza ambiguità. Non servirebbe a nulla cercare
di scoprire quali unità organizzative umane possano essere definite “nazioni”,
soprattutto nell’antichità. Le unità tribali primitive, grandi o piccole, erano
comunità di carattere e di destino nelle quali caratteristiche, costumi,
cultura e lingua si trasmettevano di generazione in generazione. Lo stesso vale
per i comuni che raggruppavano vari villaggi o per le regioni rurali del
Medioevo. Otto Bauer scopre nel Medioevo, all’epoca degli Hohenstaufen, la “nazione
tedesca” nella comunità politica e culturale della nobiltà germanica. D’altra
parte, la Chiesa medievale possedeva numerosi tratti che la rendevano una sorta
di nazione: era la comunità dei popoli europei, con una storia comune e
rappresentazioni mentali comuni. Essa aveva persino una lingua comune, il
latino ecclesiastico, che permetteva alle persone istruite di influenzarsi
reciprocamente. Era la forza intellettuale dominante in tutta Europa e univa
tali persone in una comunità di cultura. Solo negli ultimi anni del Medioevo
nacquero lentamente le nazioni nel senso moderno del termine, ciascuna con la
propria lingua nazionale e con unità e cultura nazionali.
Una lingua comune è, nella
misura in cui forma un legame vivo tra gli uomini, l’attributo più
importante [sottolineatura originale di Pannekoek] della nazione, ma questo
non giustifica l’identificazione delle nazioni con i gruppi umani che parlano
la stessa lingua [sottolineatura originale di Pannekoek]. Gli inglesi e gli
americani, pur parlando la stessa lingua, appartengono a due nazioni con storie
diverse, a due comunità di destino che presentano caratteristiche nazionali
nettamente divergenti. È altrettanto errato considerare gli svizzeri tedeschi
come parte di una nazione tedesca comune che abbraccerebbe tutti i popoli di
lingua germanica. Per quanti elementi culturali si siano potuti scambiare tra
loro grazie a una lingua scritta identica, il destino ha separato gli svizzeri
dai tedeschi diversi secoli fa. Il fatto che i primi siano liberi cittadini di
una repubblica democratica e i secondi abbiano vissuto successivamente sotto la
tirannia di piccoli principi, il dominio straniero e il peso del nuovo stato autoritario
germanico, ha dovuto conferire a ciascun gruppo, anche se legge gli stessi
autori, un carattere molto diverso e in questo caso non si può parlare di una
comunità di destino e di carattere. L’aspetto politico è ancora più evidente nel
caso degli olandesi: il rapido sviluppo economico delle province marittime dei
Paesi Bassi, che prima si circondarono sul lato terrestre con una barriera protettiva
di province dipendenti, per poi diventare un’entità politica (ossia un potente
Stato mercantile), ha fatto sì che il “basso tedesco” diventasse una lingua
scritta moderna distinta, ma solo per un piccolo segmento separato dalla massa
di tutti coloro che parlavano originariamente il “basso tedesco”. Gli altri
sono stati esclusi da questa lingua mediante barriere politiche e hanno
adottato, in quanto residenti in Germania e soggetti a una storia comune, la
lingua scritta e la cultura alto-tedesche. Se i tedeschi d’Austria continuano a
sottolineare le loro qualità tedesche nonostante la loro lunga storia di
sviluppo separato e il fatto di non aver condiviso le esperienze storiche più
importanti tra quelle recenti dei tedeschi dell’Impero germanico, ciò è dovuto
essenzialmente alla loro supposta posizione d’inferiorità rispetto alle altre
nazionalità austriache 7
La nazione contadina e la nazione moderna
I contadini sono stati spesso descritti come
strenui custodi della nazionalità. Otto Bauer, tuttavia, li definisce anche
come quegli abitanti della nazione che non partecipano alla cultura nazionale.
Questa contraddizione rivela chiaramente che ciò che è “nazionale” nel
contadino è una cosa molto diversa da ciò che costituisce la nazione moderna.
La nazione moderna discende ovviamente dalla nazione contadina, ma se ne
differenzia in modo fondamentale.
Nell’antica economia naturale
dei contadini l’unità economica era ridotta alla sua scala più piccola e il
loro interesse pratico non si estendeva oltre i confini del villaggio o della
vallata. Ogni distretto costituiva una comunità che manteneva a malapena i
rapporti con i vicini più prossimi, una comunità che aveva la propria storia, i
propri costumi, il proprio dialetto e il proprio carattere. Alcuni di questi
contadini erano legati da vincoli di parentela agli abitanti dei villaggi dei
distretti vicini, ma in genere non avevano molta influenza gli uni sugli altri.
Il contadino si aggrappa fortemente alla specificità della sua comunità. Nella
misura in cui la sua economia non ha nulla a che fare con il mondo esterno,
nella misura in cui le sue sementi e i suoi raccolti sono solo eccezionalmente
influenzati dalle vicissitudini degli eventi politici, tutte le influenze del
mondo esterno passano su di lui senza lasciare traccia. In ogni caso, questo
tipo d’uomo non si preoccupa, rimanendo passivo, e questi eventi non penetrano
nel suo intimo. L’unica cosa che può modificare la natura dell’uomo è ciò che
egli coglie attivamente, che lo obbliga a trasformarsi e a cui partecipa per
interesse personale. È per questo che il contadino conserva il suo
particolarismo contro tutte le influenze del mondo esterno e rimane “senza
storia” se la sua economia è basata sull’autosufficienza. Dal momento però in
cui viene trascinato dagli ingranaggi del capitalismo e assume altre condizioni
– diventa, per esempio, borghese od operaio – il contadino inizia a dipendere
dal mercato mondiale e a comunicare con il resto del mondo. Dal momento in cui
ha nuovi interessi, il carattere indistruttibile del suo vecchio particolarismo
viene meno. Viene integrato nella nazione moderna, diventa membro di una
comunità di destino molto più estesa, una nazione in senso moderno.
Si parla spesso dei contadini
come se le generazioni precedenti appartenessero già alla stessa nazione dei
loro discendenti di oggi che vivono sotto il capitalismo. L’espressione “nazioni
senza storia” implica un concetto secondo il quale i cechi, gli sloveni, i
polacchi, gli ucraini, i russi ecc. hanno sempre costituito altrettante nazioni
diverse e particolari, ma che in qualche modo alcune di esse sono rimaste a
lungo latenti in quanto tali. In effetti, non si può parlare degli sloveni, ad
esempio, se non come di un certo numero di gruppi e di distretti con dialetti
slavi affini tra loro, senza che questi gruppi abbiano mai costituito una vera
unità o una comunità. Ciò che il nome trasmette fedelmente è il fatto che, di
norma, il dialetto decide quali nazioni devono essere rivendicate dai
discendenti dei suoi parlanti originari. In ultima analisi, tuttavia, sono gli
sviluppi reali a decidere se gli sloveni e i serbi, o i russi e gli ucraini,
devono diventare un’unica comunità nazionale con una lingua scritta e una
cultura comune, oppure due nazioni separate. Non è la lingua a essere decisiva,
ma il processo di sviluppo politico-economico. Identificando la lingua come il fattore
decisivo, si potrebbe benissimo dire che il contadino della Bassa Sassonia sia un
fedele custode della nazionalità tedesca, ma anche di quella olandese, a
seconda del lato del confine in cui si trovi: costui, in realtà, conserva solo
la propria particolarità di villaggio o di provincia. Sarebbe altrettanto
sciocco affermare che il contadino delle Ardenne conservi tenacemente una
nazionalità belga, vallone o francese quando si aggrappa al dialetto e ai
costumi della sua vallata, oppure dire che un contadino carinziano dell’epoca precapitalistica
appartenesse alla nazione slovena. La nazione slovena è apparsa solo [sottolineatura
originale di Pannekoek] con le classi borghesi moderne, che hanno formato una
nazione specifica, e il contadino non ne avrebbe fatto parte volentieri se non
fosse stato legato a quella comunità da un interesse personale reale.
Le nazioni moderne sono prodotti
integrali della società borghese. Sono nate con la produzione di merci, cioè
con il capitalismo, e i suoi agenti sono le classi borghesi. La produzione
borghese e la circolazione delle merci richiedono vaste unità economiche, ampi
territori in cui gli abitanti sono uniti in una comunità con un’amministrazione
statale unificata. Man mano che il capitalismo si sviluppa, esso rafforza
incessantemente il potere centrale dello Stato: lo Stato diventa più coeso e si
definisce in modo netto rispetto agli altri Stati. Lo Stato è l’organizzazione
di combattimento della borghesia. Nella misura in cui l’economia borghese si
basa sulla concorrenza, nella lotta contro altre organizzazioni dello stesso
tipo, le organizzazioni formate dalla borghesia devono necessariamente lottare
tra loro e più potente è lo Stato, maggiori sono i benefici a cui aspirano i
suoi borghesi. La lingua non è stata un fattore cruciale se non nello sforzo di
tracciare i confini di questi Stati. Regioni con dialetti affini sono state
costrette a fusioni politiche dove non intervenivano altri fattori, perché l’unità
politica, ossia la nuova comunità di destino, richiede un’unica lingua come
mezzo di comunicazione. La lingua scritta utilizzata per l’uso generale nasce
da uno di questi dialetti ed è quindi, in un certo senso, una creazione artificiale
[sottolineatura originale di Pannekoek]. Quindi Otto Bauer ha ragione quando
dice: “Creo un linguaggio comune insieme agli individui con cui interagisco
più strettamente e interagisco più strettamente con gli individui con cui
condivido un linguaggio comune” 8.
È così che sono nati gli Stati nazionali che sono effettivamente sia Stato sia
nazione 9.
Non sono diventati entità politiche semplicemente perché costituivano già
comunità nazionali, ma sono stati i loro nuovi interessi economici e la
necessità economica a far sì che gli uomini si unissero tra loro in gruppi così
solidi. Però il fatto che siano sorti questi Stati invece di altri - ad
esempio, la Germania meridionale e la Francia settentrionale non hanno formato
insieme un’entità politica, mentre ciò è avvenuto per la Germania meridionale e
per quella settentrionale - ciò è dovuto principalmente all’antica parentela dei
dialetti parlati.
La diffusione dello Stato
nazionale e la sua evoluzione capitalistica hanno portato a una situazione in
cui un’estrema varietà di classi e popolazioni coesistono all’interno di esso.
Per questo motivo sembra talvolta dubbio definire lo Stato nazionale come una
comunità di destino e di carattere, poiché classi e popolazioni non agiscono
direttamente le une sulle altre. Ma la comunità di destino dei contadini
tedeschi e dei grandi capitalisti, dei bavaresi e degli abitanti dell’Oldenburg
ecc., consiste nel fatto che sono tutti membri dell’Impero germanico, all’interno
dei cui confini conducono le loro lotte economiche e politiche, all’interno del
quale subiscono le stesse politiche, dove devono prendere posizione rispetto
alle stesse leggi e quindi hanno un effetto l’uno sull’altro. Ecco perché
costituiscono una vera e propria comunità, nonostante tutta la diversità interna
a tale comunità.
Lo stesso non vale per quegli
Stati che sono sorti come entità dinastiche sotto l’assolutismo, senza la
collaborazione diretta delle loro classi borghesi e che, di conseguenza,
attraverso la conquista sono arrivati a comprendere popolazioni che parlano
molte lingue diverse. Quando la penetrazione del capitalismo inizia a farsi
strada in uno di questi Stati, sorgono diverse nazioni all’interno dello stesso
Stato, che diventa uno Stato multinazionale come oggi l’Austria. La causa della
comparsa di nuove nazioni accanto alle vecchie risiede ancora una volta nel
fatto che la competizione è alla base dell’esistenza delle classi borghesi
[sottolineatura originale di Pannekoek]. Quando le classi moderne sono sorte da
un gruppo di popolazione puramente contadina, quando grandi masse si sono
insediate nelle città come lavoratori industriali, presto seguiti da piccoli
commercianti, intellettuali e proprietari di fabbriche, questi ultimi sono
stati costretti a organizzarsi per conto proprio in modo tale da far prosperare
i loro affari con queste masse che parlavano tutte la stessa lingua, ponendo quindi
l’accento sulla loro nazionalità. La nazione, in quanto comunità coesa,
costituisce per gli elementi che ne fanno parte un mercato, una base di
clienti, un bacino privilegiato di sfruttamento in cui questi capitalisti hanno
un vantaggio rispetto ai loro concorrenti di altre nazioni. Per formare una
comunità con classi moderne, queste devono elaborare una lingua scritta comune,
che è necessaria come mezzo di comunicazione e diventa la lingua della cultura
e della letteratura.
Il contatto permanente tra le
classi della società borghese e il potere statale, che finora aveva conosciuto
solo il tedesco come lingua ufficiale di comunicazione, le obbliga ora a
lottare per il riconoscimento delle loro lingue, delle loro scuole e dei loro
apparati amministrativi. Poiché lo Stato deve rappresentare gli interessi della
borghesia e deve darle un sostegno materiale, ogni borghesia nazionale deve
assicurarsi la massima influenza possibile sullo Stato. Per conquistare questa
influenza deve lottare contro le borghesie delle altre nazioni: più riesce a
radunare l’intera nazione intorno a sé in questa lotta, più potere essa esercita.
Finché il ruolo-guida della borghesia è basato sull’essenza dell’economia e le
è riconosciuto come qualcosa di evidente, la borghesia può contare sulle altre
classi che si sentono legate a essa, relativamente questo punto, da un’identità
di interessi.
Anche da questo punto di vista
la nazione è assolutamente un prodotto dello sviluppo capitalistico ed è
addirittura un prodotto necessario. Ovunque penetri il capitalismo, esso deve
necessariamente apparire come la comunità di destino delle classi borghesi. Le
lotte nazionali all’interno di uno Stato di questo tipo non sono la conseguenza
di un’oppressione o di un’arretratezza giuridica, ma sono l’espressione
naturale della competizione come presupposto fondamentale dell’economia
borghese: la lotta (borghese) di ciascuno contro tutti è il presupposto
indispensabile per la brusca separazione delle varie nazionalità l’una dall’altra.
La tradizione e la mente umana
Nell’uomo, la nazionalità è effettivamente
parte della sua natura, ma soprattutto della sua natura mentale. I tratti
fisici ereditati permettono in ultima analisi di distinguere i vari popoli, ma
questo non serve a separarli, né tanto meno a farli entrare in conflitto tra
loro. I popoli si distinguono in quanto comunità di cultura, una cultura
trasmessa da una lingua comune. Nella cultura di una nazione, che può essere
definita di natura mentale, è inscritta tutta la storia della sua vita. Il
carattere nazionale non è composto da tratti fisici, ma dall’insieme dei suoi
costumi, dei suoi concetti e delle sue forme di pensiero nel corso del tempo.
Se si vuole cogliere l’essenza di una nazione, è innanzitutto necessario avere
una visione chiara di come l’aspetto mentale dell’uomo si costituisca sotto l’influenza
delle sue condizioni di vita.
Ogni mossa che l’uomo compie
deve prima passare per la sua testa. La forza motrice diretta di tutte le sue
azioni risiede nella sua mente. Può essere costituita da abitudini, pulsioni e
istinti inconsci che sono l’espressione di ripetizioni sempre simili delle
stesse necessità vitali nelle stesse condizioni di vita esteriori. Può anche
entrare nella coscienza dell’uomo sotto forma di pensieri, idee, motivazioni o
principi. Ma questi da dove vengono? La concezione borghese vede qui l’influenza
di un mondo soprannaturale superiore che ci penetra, l’espressione di un
principio morale eterno dentro di noi, oppure i prodotti spontanei della mente
stessa. La teoria marxista invece, ossia il materialismo storico, spiega che tutto
ciò che è mentale nell’uomo è il prodotto del mondo materiale che lo circonda
[sottolineatura originale di Pannekoek]. Questo
intero mondo reale penetra in ogni parte della mente attraverso gli organi
sensoriali e lascia lì la sua impronta: i nostri bisogni vitali, la nostra
esperienza, tutto ciò che vediamo e sentiamo, ciò che gli altri ci comunicano
come un loro pensiero, ci appare invece come se lo avessimo osservato noi
stessi 10.
Di conseguenza è esclusa qualsiasi influenza di un mondo soprannaturale,
irreale e meramente postulato. Tutto ciò che è presente nella mente proviene
dal mondo esterno che noi indichiamo con il nome di mondo materiale; il che non
significa che sia costituito solo da materia fisica misurabile, ma da tutto ciò
che esiste realmente, compreso il pensiero. Tuttavia, in questo contesto la
mente non svolge il ruolo che talvolta le viene attribuito da una concezione
meccanicistica ristretta, ovvero quello di uno specchio passivo che riflette il
mondo esterno, di un ricevitore inanimato che assorbe e conserva tutto ciò che gli
viene inviato. La mente è attiva, agisce e modifica tutto ciò che la penetra
dall’esterno per creare qualcosa di nuovo [sottolineatura originale di
Pannekoek]. Ed è stato Joseph Dietzgen 11
a dimostrare più chiaramente come essa lo fa. Il mondo esterno scorre davanti
alla mente come un flusso infinito, sempre mutevole. La mente registra le sue
influenze, le fonde, le aggiunge a ciò che possedeva in precedenza e poi combina
tutti questi elementi. Dal flusso di fenomeni infinitamente vari la mente forma
concetti solidi e coerenti, in cui la realtà in movimento viene in qualche modo
congelata e fissata perdendo il suo aspetto instabile. Il concetto di “pesce”
implica una moltitudine di osservazioni di animali che nuotano, quello di “bene”
innumerevoli posizioni in relazione a diverse azioni, quello di “capitalismo”
un’intera vita di esperienze spesso molto dolorose. Ogni pensiero, ogni
convinzione, ogni idea, ogni conclusione, come, ad esempio, la generalizzazione
che gli alberi non hanno foglie in inverno, che il lavoro è duro e sgradevole,
che chi mi dà un lavoro è un mio benefattore, che il capitalista è un mio
nemico, che c’è forza nell’organizzazione, che è bene combattere per la propria
nazione, sono la sintesi di una parte del mondo vivente, di un’esperienza
multiforme in una formula concisa, rapida e, si potrebbe dire, rigida e senza
vita. Quanto più grande e completa è l’esperienza che serve da documentazione,
quanto più radicati e solidi sono i pensieri e le convinzioni, tanto più tale
generalizzazione sarà vera. Ma ogni esperienza è limitata, il mondo cambia
continuamente, nuove esperienze si aggiungono incessantemente alle vecchie, si
integrano alle vecchie idee o entrano in contraddizione con esse. Per questo l’uomo
deve ristrutturare le sue idee e abbandonarne alcune come errate - come quella
del capitalista benefattore - e conferire un nuovo significato a certi concetti
- come quello di “pesce”, da cui bisogna separare le balene - e creare nuovi
concetti per i nuovi fenomeni - come quello dell’imperialismo - e trovare altre
relazioni causali per alcuni concetti - p.e. il carattere intollerabile del
lavoro è un risultato del capitalismo - e valutarli in modo diverso - le lotte
nazionali sono dannose per i lavoratori - ecc. In breve, l’uomo deve
incessantemente ricominciare da capo. Tutta la sua attività mentale e il suo
sviluppo consistono nell’infinita ristrutturazione di concetti, idee, giudizi e
principi per mantenerli il più possibile coerenti con la sua sempre più ricca
esperienza della realtà. Questo avviene in modo consapevole nello sviluppo
della scienza.
I significati delle definizioni
di Bauer di nazione come “ciò che è storico in noi”, e di carattere nazionale
come “storia solidificata”, sono così collocati nel loro giusto contesto. Una
realtà materiale comune produce un modo di pensare comune nelle menti dei
membri di una comunità. La natura specifica dell’organizzazione economica che
essi compongono congiuntamente determina i loro pensieri, i loro costumi e i
loro concetti. Essa produce in loro un sistema coerente di idee, un’ideologia
che condividono e che fa parte delle loro condizioni materiali di vita. La vita
in comune è penetrata nelle loro menti, insieme alle lotte comuni per la
libertà contro i nemici stranieri e alle lotte di classe comuni all’interno
della patria. Essa è raccontata nei libri di Storia ed è trasmessa ai giovani
come memoria nazionale. Ciò che si desiderava, si sperava e si voleva è stato
chiaramente evidenziato ed espresso dai poeti e dai pensatori e questi pensieri
della nazione, il sedimento mentale della loro esperienza materiale, sono stati
conservati sotto forma di letteratura per le generazioni future. La costante
influenza intellettuale reciproca consolida e rafforza questo processo:
estrarre dal pensiero di ciascun compatriota ciò che ha in comune, ciò che è
essenziale e caratteristico dell’insieme, cioè ciò che è nazionale, costituisce
il patrimonio culturale della nazione. Ciò che vive nella mente di una nazione,
la sua cultura nazionale, è la sintesi astratta della sua esperienza comune, la
sua esistenza materiale come organizzazione economica.
Pertanto, tutte le qualità
mentali dell’uomo sono normali prodotti della realtà, ma non solo della realtà attuale
[sottolineatura originale di Pannekoek], perché anche l’intero passato vi
sussiste in forma più o meno forte. La mente è lenta rispetto alla materia e
assorbe incessantemente le influenze esterne mentre la sua vecchia esistenza
affonda lentamente nelle acque del Lete, ossia nell’oblio. Pertanto, l’adattamento
del contenuto della mente a una realtà costantemente rinnovata è solo graduale
[sottolineatura originale di Pannekoek]. Il passato e il presente determinano
entrambi il suo contenuto, ma in modo diverso. La realtà vivente, che esercita
costantemente la sua influenza sulla mente, è incorporata in essa e vi si
imprime in modo sempre più efficace. Ma ciò che non si nutre più della realtà
presente, non vive più se non nel passato e può ancora essere conservato a
lungo, soprattutto grazie alle relazioni che gli uomini intrattengono tra loro,
all’indottrinamento e alla propaganda artificiale. Però nella misura in cui
questi residui vengono privati del terreno materiale che ha dato loro vita,
necessariamente scompaiono sebbene con lentezza. È così che acquisiscono un
carattere “tradizionale”. Una tradizione [sottolineatura originale di
Pannekoek] è pur sempre una parte della realtà che vive nella mente degli
uomini, che agisce sulle altre parti della realtà e per questo dispone spesso
di una forza considerevole e potente. Ma è una realtà mentale naturale le
cui radici materiali affondano nel passato. [sottolineatura originale di
Pannekoek]. È così che la religione è diventata, per il proletariato moderno,
un’ideologia di natura puramente tradizionale. Essa può ancora avere un’influenza
potente sull’azione di questo, ma tale potere ha radici solo nel passato, nell’importanza
che la comunità religiosa possedeva in altri tempi, nel suo utilizzo da parte
del capitale e nella sua lotta contro il capitale, non si nutrendosi più della
realtà contemporanea. Per questo motivo, il processo che porta alla sua
estinzione tra i proletari non si fermerà. Al contrario, la realtà
contemporanea sta coltivando sempre più la coscienza di classe che, di
conseguenza, occuperà un posto più ampio nella mente del proletariato e ne
determinerà sempre di più l’azione.
Il nostro compito
Fino ad ora ho soltanto inquadrato
il compito assegnatomi dal nostro studio. La Storia ha dato origine a nazioni
con i loro limiti e con le loro caratteristiche specifiche. Ma questi non sono
ancora fatti definitivi, finiti e completi, con i quali bisogna confrontarsi.
La Storia sta ancora seguendo il suo corso. Ogni giorno continua a costruire e
a modificare ciò che nei giorni precedenti era stato costruito. Non è
sufficiente, quindi, confermare che la nazione è ciò che di storico c’è in noi,
ossia Storia solidificata. Se non fosse altro che Storia pietrificata, [sottolineatura
originale di Pannekoek] essa sarebbe di natura puramente tradizionale, come la
religione. Ma per la nostra pratica e per la nostra tattica, la questione se la
nazione sia qualcosa di più assume la massima importanza. Certo, con essa bisogna
farci i conti in ogni caso, come con ogni grande forza mentale dell’uomo; ma se
l’ideologia nazionalistica si presenta solo come una forza del passato oppure
se affonda le sue radici nel mondo di oggi, sono due cose completamente
diverse. Per noi la domanda più importante e decisiva è la seguente: come
agisce la realtà attuale [sottolineatura
originale di Pannekoek] sulla nazione e su tutto ciò che è nazionale? In
che senso oggi questi elementi si sono modificati? La realtà attuale in
questione è, beninteso, il capitalismo altamente sviluppato e la lotta di
classe proletaria [sottolineatura originale di Pannekoek].
Questa è dunque la nostra
posizione rispetto allo studio di Bauer: in altri tempi, la nazione non
svolgeva alcun ruolo nella teoria e nella pratica della Socialdemocrazia. Non c’era
motivo di prenderla in considerazione. Nella maggior parte dei Paesi, anche
oggi, non è utile alla lotta di classe prestare troppa attenzione alla
questione nazionale. Ma, obbligato a farlo dalla situazione austriaca, Bauer ha
colmato questa lacuna. Ha dimostrato che la nazione non è né il prodotto dell’immaginazione
di alcuni letterati, né il prodotto artificiale della propaganda nazionalistica.
Con lo strumento del marxismo egli ha dimostrato che essa affonda le sue radici
materiali nella Storia e ha spiegato la necessità e il potere delle idee
nazionali con l’ascesa del capitalismo. La nazione si rivela come una realtà
potente con la quale dobbiamo fare i conti nella nostra lotta. Essa ci fornisce
la chiave per comprendere la storia moderna dell’Austria e dobbiamo quindi
rispondere alla seguente domanda: qual è l’influenza della nazione e del
nazionalismo sulla lotta di classe? Come deve essere valutata nel contesto
della lotta di classe? Questa è la base e il filo conduttore delle opere di
Bauer e degli altri marxisti austriaci. Ma con questo approccio, il compito è
stato eseguito solo a metà. La nazione, infatti, non è semplicemente un
fenomeno autonomo e completo di cui si deve accertare l’effetto sulla lotta di
classe: essa è a sua volta soggetta all’influenza delle forze contemporanee,
tra le quali la lotta rivoluzionaria del proletariato per l’emancipazione che
tende sempre più a diventare un fattore primario. Quale effetto esercita
dunque la lotta di classe, l’ascesa del proletariato, da parte sua, sulla
nazione? [sottolineatura originale di Pannekoek]. Bauer non ha esaminato
questa questione, o lo ha fatto in modo insufficiente. Lo studio di questo tema
porta, in molti casi, a giudizi e a conclusioni che divergono da quelli da lui
forniti.
1 Per la versione italiana, cfr. Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).
2 Crisi piuttosto seria innescata dalla fuoriuscita delle sezioni ceche dalla Sozialdemokratische Arbeiterpartei Österreichs (SDAPÖ) e dai sindacati ad essa vicini nel 1898 per motivi eminentemente nazionalistici.
3 Qui Pannekoek non si riferisce alla socialdemocrazia olandese, ma alla Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) alla quale era in quel periodo iscritto in quanto residente in Germania (1906-1914).
4 Per la versione italiana, cfr. Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).>
5 Ibidem.
6 Ibidem.
7 Ossia polacchi, cechi, sloveni, croati, italiani, ruteni, romeni, bosgnacchi, serbi, senza poi considerare le nazionalità del gemello Regno di Ungheria (magiari, slovacchi ecc.).
8 Per la versione italiana, cfr. Otto Bauer, La questione nazionale (Ed. Riuniti, Roma, 1999).
9 Ecco perché in Europa Occidentale i termini “Stato” e “nazione” sono spesso usati in modo intercambiabile. Il debito dello Stato è chiamato “debito nazionale” e gli interessi della comunità statale sono sempre chiamati “interessi nazionali” [nota originale di Pannekoek].
10 Il rapporto tra mente e materia è stato esposto nel modo più chiaro possibile negli scritti di Joseph Dietzgen che, in virtù della sua analisi dei fondamenti filosofici del marxismo, si è ben meritato il titolo che Marx gli ha dato: “il filosofo del proletariato” [nota originale di Pannekoek]. Per la versione italiana, cfr. Joseph Dietzgen, Teoria di classe della conoscenza (Lavoro Liberato, Mira (VE), 1999).
11 Vedi nota precedente.
Comments
Post a Comment