Il socialismo ha bisogno di un’Armée Nouvelle?



Introduzione

Perché parlare di guerra e di esercito? Si potrebbe banalmente rispondere per via della guerra in Ucraina e a Gaza. Questo ovviamente non terrebbe conto del fatto che vi sono e vi sono state molte altre guerre e che queste due non sarebbero un’eccezione, ma la norma. Se si andasse a guardare il numero di conflitti in Europa o di quelli che interessano direttamente i Paesi europei, ci si renderebbe ben presto conto di quando poco eccezionale sia l’attuale periodo. La vera ragione che ci ha spinto a riprendere in mano questo vecchio e polveroso classico, ormai forse anacronistico, è capire come si debba comportare un lavoratore socialista di fronte alla minaccia della guerra. A nostro avviso un lavoratore non si dovrebbe mai pensare (in quanto lavoratore) come individuo singolo, ma dovrebbe pensarsi sempre come parte di una moltitudine, di una classe. Ma di fronte a una minaccia esterna? È giusto che il lavoratore difenda la nazione in cui vive? E anche se si ragiona, come noi auspichiamo, all’interno di una organizzazione di classe, come dovrebbe reagire la classe dei lavoratori di fronte alla richiesta di guerra per legittima difesa? Jean Jaurès molti anni fa, centoquattordici, proprio perché cosciente del rischio di un conflitto mondiale che incombeva sulla Francia, spese molto tempo ed energia nel cercare di dare una risposta concreta a questo quesito. Per alcuni versi la sua “soluzione” lo rende tutt’oggi un simbolo per la sinistra così come per la destra. Ma fu la sua idea così ambigua o è stata soggetta a fallaci interpretazioni? Qual era la proposta di Jaurès? E sarebbe ancora attuale oggi?



Breve contesto storico

Dall’interessante sito Jaures.info1 abbiamo raccolto un po’ di informazioni inerenti alla pubblicazione de L’Armée Nouvelle di Jean Jaurès. Introdotto da Jaurès stesso, questo voluminoso libro di ben 686 pagine era uscito nel 1911 come commento alla proposta di legge in 18 articoli che Jaurés stesso aveva presentato alla Camera dei deputati francese il 14 novembre 1910 e poi raccolto in una edizione parlamentare del Journal Officiel. Oltre alla prima edizione commerciale, quella del 1911 appunto, edita dalla libreria di Jules Rouff e che abbiamo consultato2, nel tempo ne uscirono almeno altre cinque: una del 1915 redatta dalla Bibliothéque de L’Humanité, una del 1932 edita da Max Bonnafous, una nel 1969 introdotta da Madeleine Rebérioux, quindi quella del 1977 introdotta da Lucien Baillot e infine quella introdotta da Jean-Noel Jeanneney nel 19923. Il sito Jaures.info riporta le introduzioni proprio di Madeleine Rebérioux, Jean-Noel Jeanneney e Louis Baillot.

Come ricorda la Rebérioux, il progetto di legge Jaurès era stato rigettato alla Camera per 478 voti: 88 voti a favore erano stati dati dal suo Partito, Parti Socialiste, Section française de l’Internationale ouvrière (SFIO), e da alcuni socialisti e radicali indipendenti, 10 erano stati gli astenuti4. Ad ogni modo nel 1911 veniva comunque pubblicata L’Armée Nouvelle. Questo lavoro era stato motivato anche dalla necessità di promuovere una drastica riforma dell’esercito francese e contrastare la reintroduzione della legge dei tre anni proposta durante il breve governo di Aristide Briand, ex-anarco-sindacalista, uno dei tanti esempi pre-Mussolini di “salto della quaglia” che in Francia furono molto comuni all’epoca. Tale legge venne infine approvata nel 1913 dal governo di Louis Barthou.

Nel 1911 Jean Jaurès era decisamente il leader carismatico del socialismo francese. Ideatore e fondatore della Humanité nel 1904 nonché ideatore e fondatore della SFIO nel 1905, Jaurés propugnava un socialismo marxista riformista, che non disdegnava la lotta sindacale né l’antimilitarismo, ma che non rigettava neppure il concetto d’identità nazionale e l’eventuale difesa della patria. Il tema della difesa della nazione, come avremo modo di vedere, sarà al centro della sua idea militare. È bene ricordare che l’esercito francese era stato fortemente modernizzato a partire dalla Rivoluzione francese e aveva conosciuto il suo più grande prestigio durante le campagne napoleoniche, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, ma dopo la sconfitta del nipote, Luigi Bonaparte, ovvero Napoleone III, a Sedan nel settembre del 1870 contro l’esercito prussiano, l’esercito francese aveva perso gran parte di tale prestigio. Quindi durante la Terza Repubblica, 1871-1914, l’esercito francese era improntato all’idea della riconquista del prestigio perduto e, in termini concreti, della rivincita contro i tedeschi in modo tale da riprendere l’Alsazia-Lorena, persa proprio a causa delle pesanti sanzioni dettate da Bismarck. Va sottolineato il senso di vulnerabilità lasciato dalla guerra franco-prussiana e l’idea delle pesanti sanzioni di guerra cosa che non avrà poco peso sulle sanzioni che a loro volta i francesi infliggeranno ai tedeschi alla fine della Prima Guerra Mondiale.

Il caso Boulanger provò apertamente, quando nel gennaio del 1889 il generale Georges Boulanger fu molto vicino a prendere il potere con un colpo di Stato à la Napoleone III, che la Francia dei militari era pronta o almeno voleva la rivincita militare. Uno dei motivi per i quali Boulanger aveva rischiato di prendere il potere fu proprio il sentimento di rivalsa nei confronti dei tedeschi e la voglia della frangia cesarista di metteresti nelle mani dell’uomo forte. Se poi si pensa al beneplacito di parte della sinistra blanquista, allora si capisce come questo sentimento fosse trasversale nella società francese di fine secolo. Il colpo di Stato fu sventato grazie a un forte spirito repubblicano e col tempo la Francia si preoccupò a legare rapporti diplomatici sempre nell’intento di “difendersi” dalla minaccia alemanna. Importanti dapprima furono gli accordi con l’impero zarista russo, già nel 1892, quindi più tardi con il Regno Unito tramite l’intensa cordiale. Una lettura spesso intesista della storia fa dimenticare come questi accordi allarmassero le alte sfere tedesche che potevano quindi fare leva a loro volta sulla carta dell’accerchiamento e dell’autodifesa. Non è una coincidenza che anche all’interno della Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD) tali dibattiti avevano preso luogo. Gli accordi con l’arretrata e illiberale Russia non erano passati inosservati e nel 1902 Jaurès commentava il rinnovo della triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria e Italia positivamente in quanto avrebbe controbilanciato l’alleanza franco-russa. In quella occasione Jaurès aveva previsto, una sorta di Società delle Nazioni che avrebbe “messo fine alla corsa distruttiva agli armamenti5. La mentalità boulangista nazionalista francese dell’epoca era spesso anche fortemente antisemita e questo si palesò con il caso Dreyfus nel 1894, nel quale ancora una volta il nostro Jaurès giocò un ruolo primario: egli fu il vero fautore della scarcerazione dello sfortunato Dreyfus, militare ebreo-francese accusato ingiustamente di spionaggio.

Jaurès aveva anche denunciato la politica coloniale scellerata che la Francia stava portando avanti durante le due crisi marocchine del 1907 e proprio del 1911, politica che avrebbe generato, a suo parere, il fanatismo islamico. E anche in questo fu premonitore. Tali crisi avevano concretamente minacciato la pace e avevano fatto temere un conflitto franco-tedesco. Samuel Bernstein fa notare che alla stregua di Inghilterra e Germania anche in Francia l’economia dal 1878 al 1913 conobbe una forte crescita e si tramutò anche in grandi conquiste territoriali coloniali6. Oltre a ciò, gli interessi dell’alta borghesia francese si estendevano all’estero grazie a ingenti prestiti, come quelli alla Russia.

Nei primi anni della sua carriera politica Jaurès aveva avuto un’idea di giustizia immanente che agiva indipendentemente dalle forze economiche, la quale evocava altruismo e avrebbe portato gli uomini alla riconciliazione invece che al conflitto. Questa legge morale avrebbe agito come tampone nella lotta di classe e, quando la classe dominante avrebbe dimenticato tale legge morale e avrebbe così interrotto la democratizzazione della repubblica, la classe lavoratrice avrebbe dovuto riunire tutte le forze democratiche e assumere la guida in difesa della democrazia7. Nel caso in cui il governo avesse portato la nazione in guerra Jaurès pensava che: “sarà diritto e dovere del proletariato insorgere, per appellarsi in disperazione alla forza della rivoluzione […] rimuovere la nazione dai papponi della nazione, dalla casta militare e le gang finanziarie8.

Jaurès fu uno dei più autorevoli critici della Socialdemocrazia tedesca, giudicandola un indifeso colosso paralizzato tanto nella sua attività rivoluzionaria quanto in quella parlamentare. Considerava che la SPD anche se fosse arrivata al potere non sarebbe potuta diventare la guida della nazione data la natura della costituzione tedesca9. Jaurès, che in patria veniva chiamato l’alemanno, fu un grande promotore del riavvicinamento tra Francia e Germania: secondo lui il problema dell’Alsazia-Lorena sarebbe stato risolto dal socialismo. Jaurès era convinto che i lavoratori avrebbero potuto evitare la guerra e così si espresse, nel 1909, in merito all’annessione della Bosnia da parte dell’Austria. Russia ed Austria-Ungheria erano da tempo dietro i precari equilibri dei Balcani. La Francia con l’affare marocchino aveva contribuito a disturbare gli assetti di pace, così come l’Italia con l’invasione della Tripolitania e della Cirenaica. Secondo lo storico Samuel Bernstein è a questo punto, nel 1912, che Jaurès perse la fiducia nell’idea che il capitalismo potesse risolvere tali conflitti di interesse in modo pacifico10. Sempre S. Bernstein sottolinea quanto più marxista fu l’atteggiamento del riformista Jaurés nei confronti di una possibile guerra rispetto a quello di Guesde e dei guesdisti, con la loro tattica del far nulla, come la chiama Bernstein. Jaurès invece si era battuto per la riduzione della durata del servizio militare, il rifiuto di votare a favore dei crediti di guerra e l’organizzazione di un esercito di milizia popolare, come vedremo.

La risposta di Jaurès al far nulla di Guesde, convinto quest’ultimo che le guerre sarebbero finite con il capitalismo, e all’antipatriottismo insurrezionale spicciolo di Gustave Hervé, era, con grande scandalo dei marxisti più ortodossi, che le Nazioni fossero uno stato di fatto e avessero un certo valore socialista e umano, e che solo attraverso l’unità nazionale i lavoratori potessero raggiungere la loro emancipazione; quindi i proletari non dovevano rompere la macchina dello Stato nazionale ma socializzarla11. Per Jaurès non c’era contraddizione nel fatto che i lavoratori avrebbero dovuto salvaguardare la pace e mantenere al contempo l’identità nazionale. La nazione si sarebbe dovuta difendere tramite la milizia nazionale che avrebbe formato l’esercito regolare. “Nel suo ultimo discorso a Lione, dichiarò che tutte le potenze imperialiste erano egualmente colpevoli della crisi e proclamò che ‘se la tempesta scoppia, tutti noi socialisti ci assicureremo di rifuggire dai crimini che i governanti andranno a commettere12.

Il modo di concepire e fare politica di Jaurès spiega quindi la singolarità del fatto che il simbolo del pacifismo francese, quale Jaurès era, abbia scritto un saggio così lungo sulla costruzione di un nuovo esercito nazionale.



L’Armée Nouvelle

Il presupposto fondamentale per capire tutta l’impostazione di Jaurès ruota attorno alla difesa della Nazione. Nelle prime righe del suo lavoro Jaurès più o meno consapevolmente sembra volersi alienare una buona fetta di marxisti radicali del tempo e d’oggi, parlando di Nazione. A una lettura meno superficiale però si scopre che per Jaurès il presupposto primario è la difesa della pace in Francia. Francia intesa da Jaurès come il paese repubblicano per eccellenza dal quale può concretamente emergere il socialismo. Difesa della Nazione, quindi, come difesa della pace ovvero difesa della Repubblica, nel senso alto del termine, e della possibilità di sviluppo del socialismo. Questi presupposti, per Jaurès, giustificano la costituzione di una forza militare così imponete da scoraggiare qualsiasi attacco e quindi da garantire la pace. L’esercito come concepito da Jaurès ha un effetto deterrente.

Per Jaurès è fondamentale che la borghesia capisca che, a livello nazionale, tra le due classi, quella sfruttata e quella sfruttatrice, vi sia una sorta di comunione di intenti, cioè sia ai socialisti che ai borghesi, per motivi diversi, sta a cuore l’incolumità delle Francia, quindi, una proposta socialista di riforma dell’esercito secondo Jaurès andrebbe presa seriamente anche dai borghesi nazionalisti, altrimenti agli antipodi dei socialisti. Jaurès in una frase efficace e premonitrice, avverte i borghesi:

Le jour où l’existence nationale serait en jeu,

[Il giorno in cui l’esistenza della nazione sarà in gioco,]

ils auraient à conduire à la bataille des millions de prolétaires ;

[essi dovrebbero condurre in battaglia milioni di proletari;]

quelle faiblesse et quelle tristesse si entre eux et ces hommes il y a comme un divorce moral,

[quale debolezza e quale tristezza se tra di loro e questi uomini vi fosse come un divorzio morale]

un irréparable malentendu de la conscience et de la pensée !

[un malinteso irreparabile della coscienza e del pensiero!]

E nota che nel caso di una guerra un divorzio morale tra chi la guerra la dirige, la classe borghese, e chi la guerra la combatte, la classe lavoratrice, sarebbe una vera tragedia, anticipando così il problema ben concreto delle diserzioni di massa caratteristiche della Prima guerra mondiale.

Per Jaurès non è una idea banale quella di creare un esercito di massa ma segue l’idea che:

Quand ils auront bien reconnu que la force de l'armée,

[Quando avranno riconosciuto chiaramente che la forza dell’esercito,]

comme institution de défense, est dans son union étroite avec la nation productrice,

[come istituzione di difesa, è in stretto rapporto con la nazione produttrice, ]

avec le peuple travailleur, avec la force idéaliste et enthousiaste du prolétariat,

[con il popolo lavoratore, con la forza idealista e entusiasta del proletariato,]

ils comprendront aussi l'excellence du système d'organisation militaire que propose le socialisme

[comprenderanno anche l’eccellenza del sistema di organizzazione militare che propone il socialismo]

et qui a pour objet de confondre vraiment la nation et l'armée.

[e che mira a confondere davvero la nazione e l’esercito.]

Infatti, la Francia non avrebbe un esercito ma sarebbe un esercito. Un esercito di milizia popolare.

A chi questo possa sembrare eccessivo Jaurès risponde: “tutto ciò che la Francia farà per aumentare la sua potenza difensiva aumenterà la possibilità di pace” e “tutto ciò che la Francia farà per organizzare legalmente la pace e basarla immutabilmente sull’arbitrato e il diritto aumenterà il suo potere difensivo”.

Jaurès critica apertamente l’idea di un esercito che all’apparenza è molto armato, ma in effetti lo è in modo poco efficace; per questo critica il servizio di leva obbligatoria del suo tempo. Un servizio di leva lungo, di due anni, i quali erano stati tre, e che lo torneranno ad essere nel 1913. Jaurès fa notare che questo sistema crea un esercito attivo di due anni, quindi una riserva di undici anni, e un esercito territoriale di sei anni e una riserva di altri sei anni. Jaurès nota che la vera forza dell’esercito è quindi nella sua riserva. Ma che necessariamente questa riserva sarebbe risultata vecchia, poco allenata e poco numerosa. Jaurès propone di guardare al caso svizzero dove invece di due anni, l’addestramento dura tre mesi. Infatti, continua, se l’addestramento venisse preso seriamente e non solo come un parcheggio che obbliga i cittadini a stare fermi nelle caserme per anni, ci si renderebbe conto che tre mesi sono più che sufficienti. Jaurès nota il paradosso nel quale incorrono i militari francesi che da un lato ripongono la forza dell’esercito nelle riserve e dall’altro prevedono un esercito di riservisti molto limitato.

Ben conscio dell’ammirazione nostalgica per Napoleone Bonaparte non solo da parte degli ufficiali francesi, ma anche di quelli tedeschi, Jaurès mette in guardia contro il pericolo di tornare al bonapartismo. Lo stesso militarismo tedesco era bonapartista. L’esercito popolare francese, quindi, doveva essere qualcosa di diverso. Jaurès prevede che quella di domani, e scrive nel 1911, sarebbe stata una guerra offensiva da parte della Germania. Jaurès riporta l’analisi del feldmaresciallo tedesco Helmuth von Moltke, il quale prevedeva che con il progresso fatto nel campo delle armi da fuoco una guerra difensiva avrebbe avuto un gran vantaggio su quella offensiva e che già nel 1870 i prussiani avevano tratto vantaggio solo dalla poca coesione dell’esercito francese, se questo si fosse riorganizzato efficientemente avrebbe avuto il vantaggio della difesa. Questo ovviamente anticipava quello che sarebbe successo nell’estate e nell’autunno del 1914. Dopo le sconfitte di Morhange e Virton, Bellafontaine e Rossignol nell’agosto 1914, l’esercito francese si sarebbe riorganizzato e, imparando dai suoi stessi errori e dalla tecnica tedesca del trinceramento, in settembre avrebbe bloccato l’avanzata tedesca in una guerra di posizione che sarebbe durata ben quattro sanguinosissimi anni. Nonostante i rischi di una guerra difensiva Jaurès si aspettava che la Germania si sarebbe buttata in una guerra offensiva per guadagnare un vantaggio schiacciante in pochissimo tempo: una manovra avvolgente che non avrebbe dato il tempo alla Francia di organizzare la guerra difensiva. Insomma, la famosa idea della guerra lampo, quello che poi sarà il piano Schlieffen. Quindi, concludeva Jaurès, una guerra che avrebbe necessitato di una grande quantità di uomini.

La milizia popolare è un concetto non nuovo per la Francia e Jaurès è un esperto della Grande rivoluzione e infatti è da lì che prende ispirazione. Per Jaurès l’educazione dei quadri è cruciale. Gli ufficiali dovranno fare l’università e solo un terzo di loro dovranno essere professionisti. I rimanenti due terzi degli ufficiali civili dovranno avere un diploma di studi militari. Le associazioni operaie di tutti gli ordini, sindacali, mutualistiche, cooperative saranno autorizzate a subentrare, per la preparazione del grado di ufficiale. Il programma di Jaurès è incentrato sull’educazione della popolazione; i bambini e gli adolescenti, dai 10 ai 20 anni, dovranno avere una educazione preparatoria, che comprenda la ginnastica, le marce militari e l’esercitazione di tiro. La componente attiva dell’esercito dovrà essere costituita da tutti i cittadini abili, dai 20 ai 34 anni. La riserva sarà costituita da tutti gli uomini abili dai 35 ai 40 e quelli dai 40 ai 45 avrebbero costituito l’esercito territoriale. Per la componente dell’esercito non attiva Jaurès prevedeva delle convocazioni, brevi ma periodiche, di qualche giorno. Il servizio militare alla svizzera sarebbe durato tre mesi.

Il Ministro della Guerra prenderà le disposizioni necessarie per l’utilizzo integrale dell’esercito attivo come esercito di prima linea. Ma l’esercito siffatto avrà l’obbiettivo esclusivo di proteggere contro un’aggressione all’indipendenza e al suolo del paese. Scrive Jaurès: “Tutte le guerre sono criminali se non sono ovviamente difensive; ed è chiaramente e certamente difensiva solo se il governo del paese propone al governo straniero con cui è in conflitto di risolvere il conflitto mediante arbitrato”.



Commenti e critiche dell’epoca

Riporta la Madeleine Rebérioux che il giornale guesdista Le Socialisme non aveva accolto il lavoro di Jaurès con entusiasmo, nascondendosi dietro il fatto di non essere esperti di esercito, ma non negando che questo lavoro contenesse qualche indicazione utile per il Ministro della Guerra. Di interessante entusiasmo era stata invece la ricezione degli antimiltaristi della Yonne Le Pioupiou, ai quali piaceva l’idea di milizia popolare13. Di poco entusiasmo era stata anche l’accoglienza degli antimilitaristi sindacalisti attorno a La Bataille, e ovviamente di Hervé, che nel 1911 stava sì covando la transizione, ma rimaneva critico dell’idea di Jaurès.



A pochissima distanza dalla pubblicazione dell’edizione del 1911 Rosa Luxemburg pubblica il suo commento critico sul Leipziger Volkszeitung14. La Luxemburg specifica come la stessa problematica della costituzione di una milizia popolare sia presente anche in Germania e discussa dalla Socialdemocrazia tedesca. Il primo tratto distintivo che Luxemburg nota è l’idea di Jaurès di integrare il “militarismo” in tutta la vita sociale. Le università che avrebbero cattedre specialistiche, le ore di ginnastica-militare, le ore di tiro, il ruolo centrale dei sindacati e delle cooperative nella formazione degli ufficiali. Secondo Luxemburg questo adempimento del dovere patriottico distrarrebbe il proletariato dai suoi obiettivi di classe e paradossalmente il programma di Jaurès avrebbe l’effetto di aumentare il tempo dedicato alla preparazione militare, invece di diminuirlo. Secondo Luxemburg un esercito popolare deve prevedere la dotazione di un’arma in ogni casa di ogni cittadino, mentre Jaurès prevede la consegna delle armi da parte dei dipartimenti della Legione dell’Est, ovvero sul confine franco-tedesco, in caso di necessità. Altro punto fondamentale per Luxemburg è l’affidamento della decisione sulla guerra e pace alla rappresentanza popolare. Mentre secondo lei Jaurès lascia la parola ancora alla diplomazia di Stato, borghese, osservando che uno Stato che vuole la guerra può inventarsi qualsiasi stratagemma tramite la sua diplomazia, portando il famoso esempio di Bismarck nel 1870, quando indusse la Francia a dichiarare guerra alla Prussia.

La Luxemburg considera quello di Jaurès fanatismo legale ovvero la fiducia che Jaurès ha nell’arbitrato e il dovere costituzionale e nazionale dei cittadini di insorgere nel caso in cui il governo dichiari guerra senza aver proposto una soluzione diplomatica. La Luxemburg, quindi, deride l’idea proposta da Jaurès di rivolgersi alla Corte dell'Aia per i trattati di arbitrato, “tanto rumore per una frittata” commenta ironica. In conclusione, per Luxemburg abbandonarsi all’illusione che formule giuridiche possano prevalere sugli interessi capitalistici che spingono alla guerra è una via dannosa per il proletariato15.

Andrea Geuna ha analizzato la reazione in Italia e in particolare di Critica Sociale, la rivista guida del socialismo riformista italiano, a L’Armée Nouvelle16. Geuna denuncia un certo ritardo nella accoglienza del lavoro di Jaurés da parte del socialismo italiano. Nota che il primo articolo esce il 1913 scritto da una figura secondaria, ovvero Silvano Fasulo in: “Può esistere un esercito socialista? La geniale utopia di Giovanni Jaurés”. In realtà già nel maggio del 1911, poco dopo l’uscita del libro in Francia, Critica Sociale aveva commentato l’uscita del libro di Jaurés con Giovanni Merloni. L’articolo di Merloni è evasivo, elogia il tentativo di Jaures di immaginarsi una società nuova, mentre, commenta, L’Armée Nouvelle sembra più dettato dalla necessità del conflitto tra interessi capitalistici e contro i lavoratori, ma pacatamene si esprime a favore del disarmo. Infatti, al dunque il Merloni scrive: “non è possibile dare oggi un giudizio sui soli brani del suo libro, che sono stati pubblicati dai giornali francesi, e sul suo progetto di esercito nazionale, fondato sopra il principio della semplice difesa nazionale, innestato in quello della nazione armata con servizio di soli sei mesi e con disposizioni che rivoluzionano l’organizzazione attuale degli eserciti”. Una cosa però la fa, ovvero, va a toccare quella che secondo lui è la causa del militarismo, e che spinge le masse a sacrificarsi per lo sforzo militare, ovvero, la difesa della patria. Egli non accetta completamente la tesi che eserciti potenti non si arrischino ad attaccarsi l’un l’altro e riversa una profonda fiducia nella capacità tampone proprio delle masse operaie che, unite nell’internazionalismo grazie ad una eventuale vittoria riformista in un paese, trascineranno come un effetto domino anche le altre verso l’esperimento socialista17.

Per quanto riguarda l’articolo di Fasulo del 1913 18, citato da Geuna, questo è effettivamente un breve sommario della proposta di legge praticamente senza commenti, se non fosse per una insinuazione finale: “Né gli furono molto più miti le avanguardie sovversive, che non credono oggimai più possibili, sotto l'impero del capitalismo internazionale, le aggressioni per conquiste territoriali reciproche fra gli Stati civili, e nella millantata ‘difesa nazionale’ del patriottismo borghese veggono l’alibi che mai dissimula le cupidigie mercantili e colonialiste e la parassitica dominazione di classe. Hanno torto? ...”. Il Fasulo, sindacalista rivoluzionario partenopeo, ovviamente non ci sfugge, è lo stesso direttore de La Propaganda contro il quale si scagliava il giovanissimo Bordiga, denunciandone la posizione ipocrita e opportunista, protestando contro il rientro del gruppo di sindacalisti rivoluzionari, del quale Fasulo faceva parte, nella Sezione napoletana del Partito. Il Fasulo, come Bordiga e i suoi compagni ebbero ad esporre, nonostante volesse mostrare il contrario era velatamente pro-tripolino, nonostante il suo giornale si potesse fregiare della posizione fortemente antimilitarista di Sylva Viviani; quindi, proprio nel 1913, quando scrive sulla Critica mantiene una posizione ambigua all’interno dell’Unione socialista napoletana, all’apparenza contro il blocco elettorale, per le elezioni amministrative, ma in pratica a favore, sostenendo il tripolino e suo mentore, Arturo Labriola. Ancora una volta Bordiga aveva letto bene Fasulo, cercando disperatamente il supporto della Direzione del Partito contro queste tendenze bloccarde. Fasulo ovviamente diventerà un fervente interventista nel 1914 e avrà la sua fase fascista, non breve. Insomma, la scelta di Fasulo di commentare due anni dopo la sua uscita L’Armée Nouvelle è a dir poco curiosa. Si sbaglia però Geuna a ritenerlo una figura secondaria. Fasulo era l’anello di congiunzione tra Arturo Labriola e il PSI, ad ogni modo il suo commento a Jaurès rimane poca cosa. L’ammirazione di un altro anarco-sindacalista, quindi rivoluzionario, quindi interventista, quindi leader del Fascismo per Jaurès e il suo L’Armée Nouvelle è da riportare qui. Nel 1917 Mussolini pubblica Socialismo e difesa armata della Patria nel pensiero di Giovanni Jaurès, edito dalla Unione generale degli insegnati italiani. Usa ovviamente le tesi di Jaurès per giustificare la sua posizione di interventista di sinistra, lo stesso uso strumentale lo aveva fatto Hervé. È però inquietante notare come l’inquadramento della gioventù da parte del regime fascista con l’Opera Nazionale Balilla non possa non far tornare alla mente l’idea di milizia popolare che parte dalla scuola di Jaurès.



Considerazioni

Jaurès non si fa problemi particolari a prendere ad esempio un modello di esercito esistente, quello svizzero. La Svizzera aveva ed ha tuttora come principio imprescindibile, quello della neutralità. Tutt’oggi la Svizzera non può entrare nella NATO perché dovrebbe venir meno a questo principio. Nonostante ciò, la situazione dell’esercito svizzero è mutata rispetto a quella alla quale si ispirava Jaurès e il modello svizzero è in crisi da tempo. Ancora negli anni ‘80 si poteva parlare de “Il formidabile esercito svizzero19, ovvero la nazione milizia che poteva mobilitarsi rapidamente in caso di minaccia. Il cosiddetto modello a riccio. Il principio di avere una nazione esercito pronta a chiudersi a riccio in caso di minaccia non sembra più funzionare nel mondo post-guerra fredda. Negli ultimi anni l’esercito svizzero ha accusato un calo numerico data la sua facoltatività. Solo con la recente invasione dell’Ucraina da parte della Russia questa tendenza vuole essere invertita dal Governo svizzero. Sempre per via del principio di deterrenza che è alla base della struttura militare svizzera, negli anni della guerra fredda la Svizzera aveva ventilato l’idea di munirsi dell’atomica, così da abbattere i costi militari che fino alla fine degli anni Ottanta erano comunque importanti. Quello della deterrenza nucleare è un altro tema controverso. Se è vero che è logico che due paesi con la bomba atomica ci penserebbero a lungo prima di attaccarsi per paura della loro eliminazione e dell’eliminazione della vita sulla Terra, è anche vero che non convince il fatto che fino ad ora sia stato un deterrente assoluto conto le guerre20. Le guerre sono scoppiate comunque. Anche la Luxemburg si pose il problema della consegna delle armi, dato che tradizionalmente in Svizzera le armi possono essere tenute dai cittadini dopo aver fatto il servizio militare. Ancora nel 2019 oltre 2 milioni e mezzo di fucili e pistole erano in circolazione nelle case svizzere21. Ma questa tendenza ha subito un calo, molti cittadini svizzeri optano per non trattenere l’arma. Se il principio di milizia popolare è in crisi anche nel paese che per definizione lo ha “inventato” e usato per così tanti anni, ha senso oggi riparlare di milizia popolare sempre a scopi di deterrenza come pensava Jaurès per una Repubblica socialista? E come si potrebbe pensare oggi?

Un altro paese che per altri motivi, più che di deterrenza, di sopravvivenza ha attuato nella pratica il modello di milizia popolare è Israele. Oggi c'è in corso una violenta e criminale repressione da parte di questo esercito nei confronti dei palestinesi, che loro non riconoscendo come etnia chiamano genericamente “arabi”. Israele però non è sempre stato governato dalla frangia della estrema destra sionista, eppure ha sempre dovuto essere pronta a difendere quello che per tutti i paesi arabi confinanti è considerato un corpo estraneo. L’idea è che l’esercito israeliano sia un esercito popolare. Questo non sembra essere più vero: oltre ai due segmenti della popolazione tradizionalmente esenti dal servizio militare, ovvero gli ultraortodossi e gli arabi israeliani, vi è una sempre più larga quota di israeliani, il 65% di chi è tenuto a prestare servizio, che lo evade senza incorrere nelle pene previste. Oltre alla riduzione degli effettivi un’altra conseguenza di questa elusione è la divisione ideologica tra chi entra e fa parte dell’esercito e chi trova ogni tipo di sistema per evitarlo22.

Il caso curdo mostra che un popolo povero e oppresso si può armare e difendere le proprie case, come nel caso del Yekîneyên Parastina Gel (YPG) ovvero Unità di difesa popolare, e del fantomatico Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), ovvero, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ma mostra anche come eserciti professionali di paesi ricchi come gli Stati Uniti, la Turchia e la Russia siano irresistibilmente superiori per via della loro maggiore disponibilità economica e, quindi, di mezzi e tecnologia. Il problema stesso degli armamenti per tali piccoli eserciti popolari locali mostra quando questi non abbiano speranza contro un esercito di una qualsiasi potenza capitalistica.

Un altro fattore di analisi è la direzione che hanno preso gli eserciti delle grandi potenze economiche. Ci si è reso conto soprattutto verso la fine della guerra fredda che grandi eserciti con leva obbligatoria, che era poi quello che criticava Jaurès, non erano né efficaci né efficienti. Si è optato quindi per eserciti di volontari, professionisti. Questo ha permesso di avere meno costi dovuti al mantenimento di un servizio di leva nazionale generalizzato e ha permesso di formare veri e propri professionisti della guerra. Il grado di tecnologia impiegato della difesa oramai richiede un addestramento considerevole e formare intere classi di età in modo adeguato e moderno sarebbe impensabile. Il potenziale distruttivo per soldato è aumentato enormemente, quindi pochi ma ben addestrati e motivati soldati sono di gran lunga più efficaci di moltissimi male addestrati e in larga parte non interessati alla difesa della patria. Problema che sta vivendo anche la Russia di Putin in Ucraina.

Jaurès analizzava una situazione che aveva senso nel 1911 e già per quanto riguarda la Seconda guerra mondiale la deterrenza tramite l’esercito popolare avrebbe avuto forti problemi a causa dello sviluppo tecnologico, come l’uso del bombardamento aereo a tappeto. I tedeschi prima, e gli alleati poi, hanno mostrato come si potesse fiaccare il nemico senza necessariamente mettere piede sul campo di battaglia. Questo divenne sempre più lo stile della guerra moderna, dove la tecnologia balistica e aeronautica è diventata la chiave. Questa si interpone tra il soldato e il nemico ed è volta a massimizzare il danno arrecato minimizzando il rischio. Ciò non toglie che anche nelle guerre odierne per diverse ragioni se debba far uso anche di forze di terra e per ragioni varie non prediligano solo l’idea di radere al suolo il territorio nemico, ma nel caso di mali estremi l’esercito con a disposizioni forze aree e missilistiche maggiori avrebbe la meglio.

Il discepolo di Jaurès, Leon Blum, si trovò anche lui a dover affrontare la questione guerra, egli optò inizialmente per il disarmo, poi vedendo che questo necessitava di una collaborazione internazionale coerente che non c’era, dovette tornale alla militarizzazione. Come è noto, l’esercito francese durante le prime fasi della Seconda guerra mondiale non fu sopraffatto da quello tedesco per via della sua inferiorità di arsenale e di organico, ma per errori strategico-militari importanti, alcune volte non completamente involontari. Quindi oggi come oggi, a più di un secolo dal lavoro di Jaurès, possiamo dire che la costituzione di un esercito nuovo di milizia popolare non è la risposta alla tendenza del capitalismo di risolvere le sue contraddizioni anche con la guerra e la distruzione di parte del capitale stesso. Ma Jaurès non aveva per nulla torto nel pensare che il Governo che decide di far entrare in guerra i suoi cittadini deve essere sovvertito dalla forza popolare. Tale forza popolare deve necessariamente essere organizzata organicamente e strutturalmente in Partito, che deve sedere in Parlamento nonostante che questo sia un organo borghese pieno di tranelli e insidie. Tale Partito dei Lavoratori deve chiaramente dichiararsi contro la guerra e deve essere evidente che solo quando l’esercito, nella concezione odierna di professionisti con a disposizione arsenali super-tecnologici, sarà controllato dalla maggioranza dei lavoratori organizzatasi in Partito allora si avrà un vero deterrente contro la guerra. Nelle dovute proporzioni una casistica simile ci fu durante il primo governo Blum23. Purtroppo, questo fu un governo di coalizione che non aveva né la possibilità né l’aspirazione a rivoluzionare il sistema, ma poté far in qualche modo intravedere il forte potenziale di un governo puramente socialista. Blum, forte promotore del disarmo, come è noto, dovette fare un doloroso cambio verso la militarizzazione. Fu poi, ingiustamente processato per aver portato la Francia al conflitto totalmente impreparata militarmente, ma questa è un’altra storia.

Forse Jaurès non apprezzò completamente l’insidia che si nascondeva dietro al concetto della "guerra difensiva", e ritenendo noi il “far nullaimmobilista la strategia più becera, pensiamo che l’attenzione debba oggi per forza di cose ricadere sull’attacco democratico alproprio” Governo nazionale il quale deve essere sostituito da quello della classe dei lavoratori organizzatasi in partito.


CESCO

 

4Madeleine Rebérioux (1969)

5Cesco, Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista, luglio 2021.


6Samuel Bernstein. Jean Jaurés and the Problem of War. Science & Society, Vol. 4 No. 3, pp. 127-164, 1940.

7Idem.

8Frase di Jaurés tratta dall’Armee Nuovelle da Samuel Bernstein. Jean Jaurés and the Problem of War. Science & Society, Vol. 4 No. 3, pp. 127-164, 1940.

9Samuel Bernstein. Jean Jaurés and the Problem of War. Science & Society, Vol. 4 No. 3, pp. 127-164, 1940.

10Idem.

11Idem.

12Idem.

13Madeleine Rebérioux (1969)

14Rosa Luxemburg. L’Armée nouvelle de Jean Jaurès. Leipziger Volkszeitung. 9 giugno 1911. Dalla traduzione francese di Daniel Guérin, 1971. https://www.marxists.org/francais/luxembur/works/1911/06/armee.htm

15Rosa Luxemburg. L’Armée nouvelle de Jean Jaurès. Leipziger Volkszeitung. 9 giugno 1911. Dalla traduzione francese di Daniel Guérin, 1971. https://www.marxists.org/francais/luxembur/works/1911/06/armee.htm

16Andrea Geuna. La Réception manquée de l’Armée Nouvelle par le mouvement ouvrier italien. Le cas de la Revue Critica Sociale. Société d’études jaurésienne. N 207-208, pp 103-114, 2013.

17Giovanni Merloni. “L’Armée Nouvelle”. Critica Sociale, anno 21, n 9, maggio 1911.

18Silvano Fasulo. Può esistere un esercito socialista? La geniale utopia di Giovanni Jaurés. Critica Sociale, anno 23, n 2-3 gennaio-febbraio, 1913.

19John McPhee. Il formidabile esercito svizzero. La Place de la Concorde Suisse. Piccola Biblioteca Adelphi, 1999.

20David P Barash. Nuclear deterrence is a myth. And a lethal one at that. The Guardian. 14/01/2018

21Guido Capizzi. Svizzera, il paese che non ha esercito, è esercito. La città futura. 26/01/2019.

22Avi Jager. The myth of compuslory military service in Israel. The Jerusalem Post, 18 ottobre 2018.

23Cesco, LÉON BLUM: UN SOCIALISTA “PRIGIONIERO” DELLA REPUBBLICA - PARTE II- (TRATTO PRINCIPALMENTE DA “LÉON BLUM: HUMANIST IN POLITICS” DI JOEL COLTON). Adattamento Socialista, agosto 2023.

Comments

  1. Ottimo articolo, breve ma denso, sul grande socialista francese Jaurès!
    In effetti le conclusioni del lavoro sono totalmente condivisibili relativamente al concetto di "guerra difensiva", tornato tragicamente d'attualità con il conflitto russo-ucraino. Jaurès, forse, non aveva ben compreso, a differenza di Rosa Luxemburg, che nell'epoca dell'imperialismo la "difesa della patria", apparentemente un'idea pura ed eticamente inappuntabile, l'unica condivisa sia dai comunardi che dai versagliesi nel lontano 1871, rischiava di diventare una sorta di frutto avvelenato. Il punto cruciale era la formazione di grossi blocchi imperialisti contrapposti (del tipo di Triplice Intesa vs. Triplice Alleanza nel 1914-'18, o Asse vs. Alleati nel 1939-'45), per cui la brutale invasione di una nazione piccola e apparentemente pacifica da parte di una grande e aggressiva (p.e. Germania contro Belgio ecc.) risultava incomprensibile se non vista nell'ambito geopolitico generale. In questo senso Jaurès sembra ancora molto legato alle idee neo-kantiane del diritto internazionale che privilegiano l'aspetto etico-formale rispetto a quello politico-militare. Certo, forse Karl Liebknecht andò un po' troppo oltre quando disse che in guerra "il nemico principale [di ciascun proletariato] si trova nel proprio paese", ma non aveva tutti i torti!

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