LÉON BLUM: UN SOCIALISTA “PRIGIONIERO” DELLA REPUBBLICA - PARTE II- (TRATTO PRINCIPALMENTE DA “LÉON BLUM: HUMANIST IN POLITICS” DI JOEL COLTON)


 

Fine del Primo governo Blum, 1937

Le critiche da sinistra al governo erano già arrivate alla fine del 1936 e il partito comunista era stato critico sulla svalutazione del franco: “il programma di raccolta popolare precede altre misure”. In maggio il movimento del Jeunes équipes unies pour une nouvelle économie sociale [1] (JEUNES) pubblicò una lettera aperta a Blum. All’interno della SFIO Marceau Pivert si dimise dall’incarico presso la presidenza del Consiglio, dove era responsabile della stampa, della radio e del cinema, dichiarando: “non accetto di capitolare davanti al capitalismo e alle banche. Non acconsento alla pace sociale, né all’Unione sacra[2]. Il 1937 si apriva con la combinazione di una difficile situazione internazionale e l’aggravarsi della crisi finanziaria. Il 13 giugno Vincent Auriol depositò la domanda dei pieni poteri in materia finanziaria a partire dal 31 luglio, la Camera approvò con 346 voti e 247 voti contrari, ma il Senato si oppose con 168 voti contrari e 96 favorevoli[3]. Il 15 giugno, quindi, fu indetta una riunione straordinaria alla Camera per trovare delle misure straordinarie. Le Populaire parlava di complotto dell’alta finanza per far cessare il governo del Fronte popolare, mentre per l’opposizione questa diserzione di capitali era giustificata dall’incertezza che il governo Blum aveva portato alla Francia. La frazione di sinistra premeva su Blum affinché si appellasse allo spirito del 12 febbraio, ma il Senato fu inamovibile nel rigettare il piano e Blum si trovò nelle condizioni di doversi dimettere e così fece il 21 giugno 1937. Il 22 giugno Blum chiese al Consiglio nazionale della SFIO di ratificare la sua decisione ed accettare la partecipazione ad un nuovo governo del Fronte popolare guidato dai Socialisti radicali di Camille Chautemps. La sinistra era però furiosa con Blum per non aver combattuto abbastanza il Senato, ma per questi la misura era oramai colma. Osserva correttamente, a nostro avviso, Joel Colton che l’esercizio del potere in quel contesto finanziario, rispettando gli accordi con la classe media nel Fronte popolare, conservando la pace, lavorando per l’unità nazionale e dimostrando l’affidabilità dei socialisti, limitarono di molto la libertà d’azione di Blum.

Se è vero che la popolarità del governo Blum perse punti con la politica di non intervento, l’elemento principale che ne determinò la prematura fine fu la crisi finanziaria. Al suo insediamento il governo aveva trovato le casse vuote, il franco doveva essere svalutato, i circoli finanziari erano ovviamente ostili a Blum e l’emorragia di capitali non gli dette tregua, tutto ciò mentre Blum aveva iniziato un ciclo di riforme sociali molto importanti. Per Blum la responsabilità del fallimento andava non solo data alla audacia delle riforme, che secondo i suoi detrattori non permisero la ripresa, ma anche alle deficienze dell’apparato produttivo. Come scrisse Weill-Raynal, a quel tempo si aveva l’idea che la macchina economica francese stesse bene e che fosse principalmente un problema di distribuzione della ricchezza. Considerando la forte ostilità del Senato, della burocrazia e della Banca di Francia, a ragione Blum poteva sostenere che l’esercizio del potere era stato “une sorte de mensonge politique”. La successione di Camille Chautemps a Blum, con Blum comunque vicepremier, non fu priva di problemi: i socialisti conservavano diversi ministeri ma quelli chiave come Finanze e Lavori Pubblici andarono a radicali ostili. In più il conflitto col Senato non era stato risolto e fu proprio Chautemps a convincere i senatori a ottenere la fiducia dichiarando: “Ogni volta che una questione importante emergeva, come la guerra in Spagna, o i problemi del lavoro, ho trovato in Léon Blum chiarezza e senso del dovere nazionale ai quali devo rendere omaggio”. Il governo Chautemps svalutò nuovamente il franco, aumentò le tasse e ridusse la spesa, contrastando il progetto principale del governo Blum di aumentare il potere d’acquisto, ma, di contro, il governo Chautemps nazionalizzò le ferrovie.

Nonostante gli attacchi da sinistra, come quelli di Zyromski e dei comunisti, Blum difese il suo appoggio all’attuale governo in virtù del fatto che riforme, come le 40 ore, non sarebbero state toccate. Blum ammise, pochi anni dopo, che difese il Programma Chautemps-Bonnet senza approvarlo. Blum sentiva che, date le condizioni, i socialisti non avevano altra alternativa che cercar di far sopravvivere il Fronte popolare. Ci preme riportare l’analisi di Douglas Johnson sui motivi della fine del governo del Fronte popolare, poiché la condividiamo largamente. Johnson pensa che il governo Blum si poggiava su un equilibrio di fattori molto fragile e atipico e per questo, con la fine del suo primo esperimento di governo, più che una mancata rivoluzione si può parlare di un ritorno allo status quo. In primo luogo, Johnson rivaluta l’effetto che l’ondata di scioperi ebbe sul governo Blum. Johnson considera che gli scioperi furono di matrice politica, economica e culturale e di fatto aiutarono Blum a strappare accordi e avviare una serie di riforme molto favorevoli. Johnson insiste che Matignon fu una grande opportunità piuttosto che un grande disastro. Non è quindi da ricercare nelle politiche economiche e finanziarie, e sul fatto che Blum e Auriol fossero meno al corrente dell’entità della crisi finanziaria, la caduta del governo. Johnson ritiene che il primo governo Blum fosse scaturito da almeno quattro fattori: i. la mancanza di una maggioranza forte alla Camera dalle elezioni del 1932; ii. l’ascesa di Hitler in Germania e la conseguente atmosfera di minaccia; iii. l’effetto ritardato della crisi economica del ‘29 in Francia; iv. la violenza del 6 febbraio del 1934. Questi fattori avevano temporaneamente permesso la formazione di un governo di coalizione altrimenti atipico, ma che si basava su un equilibrio instabile[4]. Ci viene da aggiungere a questa, comunque, valida analisi che relativamente alle quattro condizioni individuate da Johnson, il governo Blum avrebbe potuto far fronte solo alla prima, in parte, e all’ultima, non avendo controllo sulle altre due.

 

Secondo governo Blum, 1938

Nel settembre 1937 due gruppi di estrema destra i Cagoulards (gli incappucciati) e il Comité Secret d’Action Révolutionnaire furono sospettati un attentato dinamitardo vicino Place de l’Étoile; mentre, dall’altro lato, ricominciarono gli scioperi dei lavoratori di diverse categorie. La relazione tra il governo Chautemps e i sindacati così come con i comunisti degenerò nel gennaio del 1938 quando il leader radicale dichiarò che se non avesse avuto i voti dei comunisti ne avrebbe fatto a meno, mettendo in crisi uno dei cardini del Fronte popolare. I socialisti e Blum dovettero dimettersi dal governo Chautemps e il Gabinetto cadde il 15 gennaio 1938. Il Presidente della Repubblica Leburn chiese a George Bonnet[5] di formare un altro governo, ma senza successo, quindi Leburn si rivolse a Blum. Ma comunisti e radicali non erano disposti a collaborare. Proprio in quel frangente la seconda moglie di Blum, Thérèse, morì qualche giorno dopo aver subito una operazione chirurgica[6]. Blum quindi si ritirò dalla vita politica per un mese e in marzo tornò ad essere il direttore politico de Le Populaire. Il 10 di marzo il secondo governo Chautemps finì con le dimissioni di Chautemps stesso. L’11 marzo 1938 le truppe di Hitler avevano già valicato il confine austriaco e il 12 entrarono a Vienna. Leburn si rivolse ancora a Blum e le circostanze estere favorirono un governo di “Union Sacrée” per garantire stabilità di fronte ad una Germania così aggressiva. Questo secondo governo Blum avrebbe dovuto includere comunisti, socialisti radicali e nazionalisti. Nella SFIO il gruppo di Pivert e Paul Faure si oppose, ma il Consiglio Nazionale del partito diede la maggioranza a Blum, il quale era dell’idea che non si sarebbe potuto salvare la Nazione senza la collaborazione di tutti. Il 12 marzo, quindi, nella Salle Colbet del Palais Bourbon, Blum cercò di convincere i deputati dell’opposizione circa la necessità di un governo di unità, ma il suo tentativo fallì. Il 13 marzo, Blum formò comunque un nuovo governo non così ampio come auspicato, che tutti immaginarono avere vita breve, e durò infatti fino all’8 aprile.

Nonostante la politica del non-intervento fosse stata molto rilassata, era ufficialmente ancora in vigore e i nuovi scioperi tra i metalmeccanici non vennero questa volta mitigati dai comunisti i quali volevano un intervento aperto del governo francese in Spagna. Intanto la manovra finanziaria pianificata in quei giorni da Blum avrebbe richiesto nove miliardi di franchi, ma ancora una volta il Senato non si mostrò disposto ad approvarla. Il programma economico di Blum era molto ambizioso e lui stesso lo definì: “qualcosa che andava oltre un programma di armamenti e aveva caratteri analoghi al Piano quinquennale russo e al Piano Göring”. Era un piano keynesiano che combinava l’industria bellica ad altri tipi di industria produttiva. Nonostante i suoi tratti “patriottici”, la sua proposta ebbe una maggioranza risicata alla Camera, ma il Senato, ad ogni modo contrario anche al secondo governo Blum, oppose resistenza. Il partito censurò le dimostrazioni di protesta interne ad esso contro un tale programma bellicista sempre in virtù del principio di difesa nazionale, ma quando il Senato, come prevedibile, respinse la proposta di legge, Blum si dimise per una seconda volta da Primo ministro. È plausibile che le sue facili dimissioni furono dettate dal fatto che egli non voleva forzare un programma necessario per la difesa contro la Germania ma, allo stesso tempo, così lontano dagli ideali socialisti. Il noto leader radicale Édouard Daladier formò quindi nuovo governo, ultimo del Fronte popolare. Blum, ora sessantaseienne, avrebbe potuto ritirarsi, come gli consigliava amichevolmente Churchill. Ma le circostanze vollero altrimenti, e Blum e la SFIO si trovarono nella situazione di dover sostenere il governo Daladier senza “gioia”.

Al Congresso della SFIO di Royan nel giugno del 1938 Blum fu attaccato dalla corrente pacifista del partito guidata da Paul Faure. Daladier e Bonnet intanto avevano ristabilito il blocco rigoroso sulla frontiera franco-spagnola, facendo infuriare Blum che reputava questo come un atto di ipocrisia, vista l’aperta violazione di Germania e Italia. Già in agosto Daladier dichiarò di voler rivedere la legge sulle 40 ore, vero e proprio caposaldo del programma del Fronte popolare. Blum, quindi, protestò per questo affronto, ma lui e i socialisti avevano in qualche modo le mani legate per via della tesissima situazione estera, con la crisi nei Sudeti. Per loro il Fronte popolare era ancora troppo prezioso data la situazione estera e le minacce dell’estrema destra.

Il 2 di settembre Blum chiese dalle pagine di Le Populaire che la Francia onorasse il patto di mutua assistenza stipulato con la Cecoslovacchia e fu profondamente scosso dal cedimento di Inghilterra e Francia di fronte alle continue rivendicazioni tedesche. Il primo ministro Chamberlain si recò a Berchtesgaden per la questione dei Sudeti, dove si convinse che Hitler si sarebbe accontentato delle concessioni pattuite. Quindi, al suo ritorno, Daladier e Bonnet volarono a Londra mentre Blum ricevette il leader socialista ceco Jaromír Nečas[7], dal quale ebbe una mappa (apparentemente su commissione di Beneš[8]) delle concessioni finali che il governo ceco era disposto a tollerare. Blum la fece recapitare a Daladier in partenza per Londra, con questo intendimento, ma le concessioni pattuite dagli anglofrancesi furono ancora più drastiche di quelle visibili sulla mappa di Nečas. Nonostante la buona fede, venne imputato a Blum di aver ridotto la possibilità di negoziazione da parte di Daladier che, avendo visto le larghe concessioni disposte da Beneš, aveva ben poco da opporre a Chamberlain. Chamberlain volò alla volta di Godesberg dove incontrò un Hitler ancora più esigente. Mentre Roosevelt chiedeva una riunione su territorio neutrale, fu annunciato un meeting a Monaco, tra Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia. Questa riunione fu ricevuta come una “barriera nella corsa alla guerra “. Ma Blum fu tutt’altro che tranquillizzato dagli accordi di Monaco e le concessioni alla Germania gli facevano orrore. L’ala pacifista della SFIO era altresì soddisfatta dell’incontro di Monaco mentre per Blum il prezzo da pagare per i cecoslovacchi era stato troppo alto. Blum fu addirittura accusato da un leader della CGT, Ludovic Zoretti, che la sua fermezza in difesa dei Sudeti fosse mossa dal suo essere ebreo e che: “I Francesi non volevano vedere la morte di milioni di uomini e la civiltà distrutta per rendere la vita più facile a 100.000 Ebrei della Sudetenland”. Blum non commentò neppure questa provocazione antisemita e restò semplicemente convinto che le concessioni che la Francia aveva fatto a Hitler andavano a costituire un precedente pericoloso. Nel novembre 1938 un nuovo attacco alle 40 ore e l’esclusione dei comunisti dal Fronte popolare da parte dei radicali provocò scioperi e proteste. Insieme al decreto Daladier-Reynaud che attaccava le 40 ore, Daladier e Chamberlain avevano, a Monaco, escluso l’URSS provocando la conseguente rottura con i comunisti francesi. Il governo Daladier fece sgomberare, per mezzo di gas lacrimogeni, un grande sciopero organizzato dai metalmeccanici della Renault in occasione la visita di Chamberlain e Halifax a Parigi. Blum e i socialisti chiesero le dimissioni di Daladier, ormai apertamente accusando i radicali di aver tradito il patto del 14 luglio 1935. La CGT indisse lo sciopero generale per il 30 novembre che fu però contrastato efficacemente dal governo minacciando di licenziare i dipendenti pubblici che vi avessero preso parte. Agli inizi di dicembre quindi il Fronte popolare non esisteva più e Daladier si assicurò la maggioranza alla Camera grazie ad un blocco nazionale che comprendeva, ora, forze di centro destra.

Il 6 dicembre 1938 vi fu l’accordo d’amicizia Bonnet-Ribbentrop che doveva scongiurare un conflitto tra le due nazioni, ma dalle parole di Hitler si evinceva un’altra realtà. E ancora, nel febbraio del 1939, quello che sulla carta avrebbe dovuto essere ancora un governo del Fronte popolare riconobbe il governo del generalissimo Franco. Il 15 marzo 1939 il vero valore degli accordi di Monaco si palesò quando Hitler invase la Cecoslovacchia. Nonostante Gran Bretagna e Francia si dichiararono in difesa delle piccole nazioni a rischio, come Polonia, Romania e Grecia, di fatto, non avevano mostrato grande convinzione, o peggio, non sembravano in grado di onorare la loro dichiarazione. Diventò palese che un grave errore era stato quello di escludere l’URSS da Monaco. La corrente pacifista integrale stava dividendo il partito: Blum ammise che ogni socialista è per indole pacifista, ma non era per la pace ad ogni costo. Blum voleva mostrare il realismo che Paul Faure non sembrava avere quando gli diceva: “l’Europa in cui viviamo non è nostra, non è l’Europa che volevamo”, mentre Faure voleva la pace e la convivenza tra i popoli europei dimenticandosi che molti di questi paesi erano sotto governi totalitari. In maggio Blum volò a Londra dove incontrò Chamberlain e Halifax. Mentre il 23 agosto 1939 una vera e propria doccia fredda gli arrivò quando il patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione tra Germania e URSS venne siglato. Blum non credeva ai propri occhi, ma, capì subito la portata drammatica di questo accordo che liberava Hitler da un grande vincolo ovvero l’intervento dell’URSS in caso di invasione della Polonia. Blum aveva anche già capito che la non aggressione della Germania nazista nei confronti dell’Unione Sovietica si sarebbe rivelata una mera illusione, perché quando Hitler sarebbe stato in grado avrebbe aggredito anche la Russia sovietica, e in questo fu profetico.

 

Scoppio della Seconda Guerra Mondiale, 1939

Il 1° settembre 1939 Hitler fece bombardare Varsavia e il 2 settembre Blum prese parte al voto della Camera sull’approvazione dei crediti di guerra. Daladier in risposta al patto Molotov-Ribbentrop aveva bandito i due giornali comunisti L’Humanité e il Ce Soir, mentre i comunisti francesi erano decisamente in affanno nel cercar di difendere le ragioni del patto e Blum, seppur rimanendo molto critico nei loro confronti, era contrario a quel tipo di censura. Blum chiedeva ai comunisti francesi di emanciparsi dal dogma dell’infallibilità sovietica. Intanto nel periodo che andò dal patto di Monaco alla firma dei crediti di guerra si accentuò l’attacco da parte dell’opinione pubblica fomentata dalla destra nazionalista francese contro Blum. Questa era particolarmente antisemita e accusava Blum di non essere che un traditore nato a Vidin in Bulgaria, di essere la causa dell’indebolimento della Francia, e di non aver appositamente trovato un accordo con Germania e Italia. Questa campagna d’odio diventò sempre più feroce quasi da emulare quella che culminò con l’assassinio di Jaurès nel ‘14. Blum venne attaccato anche dai socialisti pacifisti stretti attorno a Faure che dal nuovo Le Pays Socialiste accusava Blum di aver promosso un’altra “Unione sacra”. L’altro pacifista di spicco, Zonetti, dopo aver apertamente accusato Blum di incitare alla carneficina collettiva per non essersi apertamente opposto al governo Daladier, venne espulso dal Partito e la spaccatura che ne risultò nel partito fu profonda. Dopodiché in dicembre vi fu l’attacco russo alla Finlandia, attacco che per Blum confermava le mire espansionistiche di Stalin, ma, ammoniva Blum: “È possibile che per diversi anni il pericolo Hitler ha celato all’Europa il pericolo russo. Stiamo in guardia che il pericolo russo non distolga il nostro sguardo dal pericolo Hitler!”. Il governo Daladier sempre a causa dell’accordo tra Germania e Russia e la dichiarazione di guerra alla Germania, dichiarò il partito comunista fuorilegge e i deputati comunisti furono espulsi dalla Camera. Blum, che pure era critico del servilismo e delle posizioni assunte dai comunisti, vedeva queste misure repressive come un allontanamento dalla Repubblica democratica; quindi, si oppose al voto della legge che voleva espellere i deputati comunisti, ma il gruppo parlamentare socialista votò a favore. Nell’aprile del 1940 gli ex deputati comunisti furono portati a processo davanti ad un tribunale militare e condannati a pene dai due ai cinque anni e fu condannato in contumacia anche Thorez rifugiatosi in Russia. Thorez ora considerava Blum una iena che aveva partecipato alla persecuzione dei deputati comunisti, in realtà Blum constatava che il partito comunista francese fosse il partito di uno Stato nazionale straniero ovvero dell’URSS e che, come tale, andasse trattato. La Francia, che pure sarebbe dovuta intervenire in soccorso della Finlandia, con problemi interni non indifferenti precipitò in una nuova crisi di governo. Con la crisi finlandese cadde il governo Daladier il 21 marzo del 1940 e venne rimpiazzato da quello di Reynaud. Il suo governo comprendeva tre ministri socialisti e tre sottosegretari, ma per non perdere il consenso della destra non offrì nessun incarico ufficiale a Blum. Nonostante ciò, diversi deputati parlarono di intrigo tra Reynaud e Blum per rimpiazzare Daladier, il quale in realtà rimaneva nell’esecutivo come ministro della Difesa. Blum venne comunque riconosciuto come un esponente autorevole che appoggiava il governo Reynaud e se questo da un lato era vero, dall’altro Blum considerò quello un momento molto basso per la Repubblica francese. Dopo la Finlandia, toccò alla Danimarca e la Norvegia in aprile mentre in maggio la Germania passò all’attacco dei Paesi Bassi, del Belgio e del Lussemburgo.

Mentre la Germania di Hitler invadeva i Paesi Bassi, Blum si recò in Inghilterra per il Congresso del Partito Laburista inglese. Clement Attlee e Arthur Greenwood, leader laburisti britannici, erano stati chiamati nel Gabinetto di guerra di Churchill che era subentrato a Chamberlain. Blum giustificò al Congresso il bisogno delle leggi anticomuniste in Francia, le quali si erano rivelate necessarie per via del patto tra Germania e Unione Sovietica in quanto il Parlamento non avrebbe altrimenti potuto discutere strategie di guerra segrete. Mentre ancora a Londra, Attlee lo informò che i tedeschi avevano, il 15 di maggio, varcato il confine francese[9]. Blum fu raggiunto subito dopo da due telegrammi uno di Georges Monnet e l’altro di Marx Dormoy[10] che gli chiedevano di rientrare immediatamente. Le truppe tedesche erano già a poco più di 10 km da Parigi. Il governo stava già evacuando la città, solo alla notizia dell’arresto dell’avanzata tedesca Reynaud annunciò alla radio che il governo non avrebbe evacuato e che Parigi sarebbe stata difesa. Blum tornò quindi il 17 di maggio; il giorno dopo Reynaud aveva già disposto dei cambi strategici, la rimozione del generale Maurice Gamelin per il generale Weygand, l’assunzione personale dei ministeri della Difesa e della Guerra, mandando Daladier agli Esteri, quindi, assegnò agli Interni Georges Mandel[11] e chiese l’eroe di Verdun il maresciallo Philippe Pétain[12] come vicepremier. Al tempo Pétain era visto ancora come un eroe nazionale anche da buona parte della sinistra, lo stesso Blum ne aveva parlato bene quando poco tempo prima in primavera era stato nominato ambasciatore in Spagna. L’avanzata delle truppe corazzate tedesche, nel frattempo, si era diretta verso Fiandre e Belgio per ultimarne l’invasione. Le truppe inglesi e francesi sbaragliate dovettero rovinosamente fuggire da Dunkerque. Quindi il 5 giugno l’avanzata tedesca si era riconcentrata su Parigi. Reynaud nominò Charles de Gaulle[13] come suo sottosegretario. Blum disapprovava la politica di Reynaud di concentrare tutto nelle sue mani ma per non disturbare l’unità nazionale non fece dichiarazioni pubbliche.

L’8 giugno fu ordinato ai ministri di evacuare Parigi e i compagni di partito spinsero Blum di fare altrettanto. Ciò nonostante, Blum fece evacuare sua nuora e nipotina, ma rimase a Parigi e quando il governo lasciò la città il 10 di giugno, si rifiutò di fare altrettanto. Al contrario di quanto aveva promesso Reynaud, Parigi non fu organizzata per la sua difesa. Blum rimase scioccato dal fatto che Parigi fosse stata dichiarata città aperta e che non venisse neanche tentata una qualche difesa. È comprensibile che la mancata difesa di Parigi evitò la sua distruzione e la morte di molti parigini, ma sembra esserci stato un collegamento tra questa decisione e la resa ai tedeschi. Come è noto il 10 giugno l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna per cercare di capitalizzare sulle vittorie tedesche. L’11 giugno Blum convinse Marx Dormoy a tornare a Parigi, ma i due si scontrarono con l’esodo di massa: a Parigi erano rimasti in pochi e una volta faticosamente arrivati, i due parlarono con il Prefetto di polizia, lasciato con istruzioni ambigue sul da farsi, con il generale Héring e l’ambasciatore statunitense William Bullitt. Lo stesso giorno di fronte a quella scena di abbandono decisero di lasciare a loro volta Parigi, ritrovandosi nella fiumana di persone in esodo verso sud. Blum e Dormoy tornarono a Montluçon da dove erano partiti, mentre il governo si era trasferito ancora più a sud, a Tours e quindi a Bordeaux. Le truppe naziste entrarono a Parigi il 14 giugno 1940. Georges Mandel, ancora parte del governo, chiamò Blum per pregarlo di recarsi a Tours; quindi, Blum arrivò finalmente a Bordeaux il 15 di giugno. Lì comprese che Pétain e Weygand erano convinti che la situazione fosse disperata e avrebbero voluto chiedere l’armistizio. Blum ricordò che solo in marzo dello stesso anno Reynaud aveva firmato un accordo con il governo britannico che escludeva una pace separata. Jules Jeanneney, presidente del Senato, e Édouard Herriot, presidente della Camera, furono inizialmente fermamente contro l’armistizio. Quindi iniziò a circolare l’idea di non arrendersi ma di riorganizzare la resistenza militare in nord Africa. Una terza via fu proposta dal vicepresidente Camille Chautemps e da L. O. Frossard che prevedeva di chiedere alla Germania le condizioni dell’armistizio, le quali sarebbero state inaccettabili; quindi, con questa giustificazione, riprendere le ostilità dal nord Africa. Il 15 giugno si discussero queste tre strategie e Mandel, Monnet, Marin, e Reynaud si opposero alla risoluzione Chautemps. Reynaud era per la resistenza ma, considerando di non avere la maggioranza, diede le dimissioni al Presidente Lebrun che nominò al suo posto il maresciallo Pétain. Ovviamente la portata delle dimissioni di Reynaud in quel momento critico fu decisiva in quanto Pétain divenne il promotore dell’armistizio incondizionato. Per Blum la risoluzione Chautemps-Frossard aveva distratto il Gabinetto dalla vera discussione e aveva generato la divisione che risultò nelle dimissioni di Reynaud; insomma, questa risoluzione aveva determinato un vero e proprio suicidio. Il 16 giugno il maresciallo Pétain formò il nuovo governo, e tra i suoi ministri designò, apparentemente in modo sorprendente, il socialista Paul Faure come ministro del Lavoro. Difronte al giustificabile stupore di Leburn per la nomina del noto pacifista socialista, oppositore di Blum, Pétain rispose: “Ah, on m’avait dit que cela embêterait Léon Blum[14]. In merito sul da farsi si stava andando a determinare una spaccatura tra i socialisti, dato che un socialista nel governo, Albert Sérol, si era espresso i giorni precedenti in favore dell’armistizio. Anche Albert Rivière fu invitato a prendere parte al nuovo governo e questi prima di accettare si consultò con Blum decidendo per la sua partecipazione con l’aggiunta di André Février. Il primo atto del governo Pétain fu quello di chiedere tramite l’ambasciatore spagnolo le condizioni dell’armistizio alla Germania; quindi, annunciò alla radio che si stava negoziando l’armistizio.

Il 18 giugno si tenne una riunione di circa 60 deputati dove Blum partecipò e ascoltò per la prima volta l’ipotesi di una pace separata senza tentare la resistenza in nord Africa. Questa posizione fu difesa da Charles Spianasse, Gaston Bergery e Adrien Marquet, ma Blum pensava che questa fosse ancora una minoranza. Il 19 giugno Blum parlò con Chautemps al quale dichiarò di aver intenzione di seguire il governo in nord Africa, mentre Chautemps lo metteva in guardia, avvisando di aver sentore che l’atmosfera fosse cambiata e che Blum avrebbe rischiato ad esporsi in quanto non era ben voluto da tutti. Mentre alcuni delegati del governo si prepararono a salpare per Casablanca, Blum si diresse a Port-Vendres, da dove l’incrociatore Massalia sarebbe dovuto partire; quindi, fece una breve sosta a Tolosa dove si erano rifugiate la nuora e la nipotina. Lì sopraggiunse la notizia che l’incrociatore sarebbe salpato da Bordeaux. Quindi si precipitò a Bordeaux, ma il Massalia era già salpato e molti deputati erano già partiti per Casablanca. In rapida successione, mentre l’incrociatore era ancora in viaggio, venne deciso che il governo non avrebbe lasciato la Francia. Si fece passare la versione che i deputati sul Massilia fossero fuggiti, e a Bordeaux fu consigliato a Blum di non dare nell’occhio in quanto il clima era decisamente cambiato e non si poteva garantire per la sua incolumità. Quindi, Blum decise di andare a Tolosa dove apprese dal Dépêche de Toulouse dell’armistizio. Le condizioni dell’armistizio furono pesanti ma considerando le circostanze probabilmente non le peggiori possibili. La Francia doveva smobilitare la flotta, la parte non occupata sarebbe rimasta sotto il controllo francese con capitale a Vichy. Non sarebbe stato toccato il nord Africa, cosa non da poco se si considerano le future manovre alleate. Blum rischiava molto nel rimanere nella Francia di Vichy in quanto Pétain e la sua cerchia non lo vedevano di buon occhio, decise però che sarebbe stato un atto di codardia quello di lasciare la Francia e rimase a Tolosa con la famiglia e con gli Auriol, nonostante fosse ben conscio del rischio che correva come leader socialista ed ebreo a rimanere.

Già dai primi giorni di Bordeaux, Pierre Laval[15] concentrò un gruppo di parlamentari su posizioni pro-armistizio e quando il gruppo di deputati si era imbarcato per Casablanca, da dove la resistenza avrebbe dovuto continuare, egli fu uno dei loro diffamatori, screditandoli come presunti fuggiaschi. Una volta firmato l’armistizio a Vichy, Laval aveva ormai fatto la sua scalata fino alla carica di vicepremier. Blum era convinto che sarebbe stato ancora peggio ritirarsi a vita privata e che aveva un obbligo morale; quindi, contro tutti gli avvisi di amici e cari si recò a Vichy dove arrivò il 4 di luglio. In una delle sessioni informali Laval fece intendere che fu per colpa di una certa classe dirigente francese, che aveva voluto quella guerra criminale, se ora si era a quel punto e che tra questi responsabili vi fosse Blum. L’8 luglio la Camera e il Senato si riunirono per valutare se vi fossero le condizioni per riunirsi in una Assemblea Nazionale per cambiare la costituzione che, secondo la proposta di Laval, doveva dare al Maresciallo Pétain poteri costituzionali. Blum, ovviamente contrario, anche se non deteneva nessun incarico ufficiale, si incontrò con Vincent Auriol, Georges Monnet, Marx Dormoy e Jules Moch. Con molta sorpresa apprese che i suoi compagni erano in favore di cambiare la vecchia costituzione, risalente al 1875, ma consideravano che il Parlamento dovesse esserne parte in causa. Blum, vedendosi in minoranza anche tra i suoi amici più vicini, decise di non partecipare al comitato elettorale socialista. Ma la maggioranza dei socialisti si espresse in difesa dei principi repubblicani e Albert Rivière promise di proporre la mozione Taurines contro la proposta di Laval. I socialisti erano, quindi, in maggioranza contro la proposta Laval, e i presidenti di Camera e Senato promisero di convincere Pétain di sostenere la proposta Taurines. Quello che successe in realtà fu diverso: l’unità di partito si disintegrò e il 9 di luglio, quando Charles Spinasse, ex ministro del primo governo Blum, parlò a favore della proposta Laval e dell’armistizio, in accordo con l’estremista destra di Xavier Vallat, quello della celebre frase antisemita contro Blum, ventidue socialisti su sessantotto firmarono la dichiarazione di Bergery che voleva dare pieni poteri a Pétain. Blum ricordò la tristezza di quel giorno dicendo: “come ho sperato di poterlo dimenticare”; soprattutto perché regnava un clima di terrore, i tedeschi erano a pochi chilometri, Laval, e non solo lui, insisteva che solo un uomo forte come Pétain avrebbe potuto salvare la Francia. Auriol si chiedeva che fine avessero fatto i 175 deputati socialisti. Alcuni come Paul Faure, non erano potuti accorrere perché bloccati nella Francia occupata, ma molti altri dove erano finiti?

Ma anche Herriot e Jeanneney che avevano promesso di difendere la repubblica il 9 luglio diedero il loro supporto a Pétain. La Camera votò compatta 396 voti a favore 3 contro, al Senato solo 1 voto contro i poteri costituzionali a Pétain. Blum si astenne, per rimanere con il gruppo socialista. Uno dei tre voti contrari fu del socialista Jean Biondi che in qualche modo giustificava la sua posizione con l’argomento mosso anche da Blum, la costituzione ha bisogno di essere riformata, ma non in questo modo. Quindi il 10 di luglio Laval riuscì abilmente a dribblare la proposta Taurines. Sempre alla seduta mattutina del 10 luglio si verificò un incidente tra Laval e Blum: Laval accusò Blum di aver rifiutato l’intercessione dell’ambasciatore italiano nel gennaio del 1937 presso il generale Franco, ma Blum non degnò Laval di una risposta. L’atmosfera nella sessione pomeridiana fu ancora peggiore, Laval oramai dichiarava: “Nessuno sarà eleggibile a Deputato se non francese da molte generazioni”, la sua proposta passò con 569 voti favorevoli, 80 contrari, 17 astenuti; degli 80 contrari 35 erano socialisti, tra questi Blum, mentre, cosa scioccante, dei 569 favorevoli, ben 90 erano socialisti, infine dei 17 astenuti, 6 erano socialisti. Dimessosi, l’11 luglio Blum partì per Tolosa, suo figlio era stato fatto prigioniero di guerra; nonostante fosse profondamente amareggiato del voto di Vichy, Blum difese sempre il fatto che quello non fu un voto libero, dato che le circostanze lo avevano condizionato. Una conseguenza importante di questa riforma costituzionale però fu che uno dei nuovi articoli, art. 5, adottato il 30 luglio 1940, prevedeva che la Corte Suprema potesse giudicare ministri o ex-ministri che avessero tradito le loro funzioni con atti che avevano contribuito al passaggio dalla pace alla guerra. Quindi in settembre i processi iniziarono contro Pierre Cot, Guy La Chambre, che si erano rifugiati negli Stati Uniti, e custodie cautelari furono emanate per Daladier, Reynaud, Mandel e il generale Gamelin. La colpa della disfatta di giugno fu attribuita esclusivamente al Fronte popolare del quale Blum era stato il simbolo. Auriol lo avvisò del suo possibile arresto, e questo arrivò puntualmente il 15 di settembre; Blum venne condotto allo Château de Chazeron dove stette per due mesi.

 

Il Processo di Riom, 1940-41

L’8 ottobre 1940 gli fu indicato che sarebbe stato processato dalla Corte di Riom con l’accusa di aver tradito i doveri imposti dal suo ufficio come Primo ministro e vice primo ministro. Fu riempito di carte processuali e chiese aiuto ad un giovane avvocato socialista, Samuel Spanien, per preparare la sua difesa. Si immerse nelle carte come se dovesse preparare la difesa per un altro imputato e nel novembre del 1940 fu trasferito dal Castello di Chazeron, dove era agli arresti da settembre ma comunque nel comfort, a una tenuta di campagna, mal ridotta, a Bourassol, una cittadina a quattro chilometri da Riom; qui furono trasferiti anche Daladier, il generale Gamelin, e Guy La Chambre e poco dopo arrivò anche Robert Jacomet controllore-generale dell’esercito nel 1936, mentre Reynaud e Mandel vennero tenuti in un’altra località. La tenuta di Bourassol si addiceva di più alla prigionia: era squallida e cadente. La prigionia e lo stress per il processo gli causarono uno stato di depressione. La depressione era causata anche dal fatto che passò molto tempo tra l’interrogatorio e il processo stesso e questo periodo di incertezza senza la possibilità di potersi difendere lo depressero alquanto. Durante questo periodo trovò conforto nel rapporto epistolare con Marx Dormoy, il quale però venne assassinato mentre agli arresti domiciliari nella sua casa di Montélimar il 25 luglio da una bomba piazzata da dei fascisti per vendicarsi della sua repressione come Ministro degli Interni nel 1937-38. Per Blum fu un colpo durissimo: “ho perso molto” dichiarò con tristezza.

La pubblica accusa sosteneva che le sue decisioni da capo del governo avevano permesso la compromissione del sistema di difesa nazionale, Blum si difendeva sostenendo che il programma che lui si era impegnato ad eseguire era stato approvato dall’elettorato, che egli agì sempre nella legalità, e che la disfatta francese era dovuta agli errori del Comando Supremo. Blum vide con soddisfazione l’attacco di Hitler alla Russia perché dimostrava che Hitler non era più sicuro di vincere. Per il suo sessantanovesimo compleanno ricevette un telegramma di auguri firmato da più di cento statunitensi, tra i quali scrittori, artisti e la signora Roosevelt. Mentre verso l’inverno del 1941 un’altra modifica costituzionale, art. 7, dava al Maresciallo Pétain il diritto di perseguire e punire direttamente Blum, con la pena massima della detenzione a vita in una prigione militare. In dicembre 1941 Blum finì un suo libro di considerazioni personali: “À l’échelle humanie”. In questo libro Blum non poté che constatare come la sua generazione avesse fallito, ma più che aver fallito nel credere nel principio democratico della repubblica, del quale indicava i limiti del legame tra esecutivo e legislativo e del sistema parlamentare stesso, la colpa stava nel non aver riconosciuto la minaccia di Hitler abbastanza in tempo. La classe dirigente borghese poi aveva determinato lo stato di tracollo finanziario. Dal punto di vista dei socialisti, essi avevano fallito nel trasferire l’autorità dalla borghesia alla classe lavoratrice.  Blum criticava anche quel pacifismo dei socialisti che era determinato più dall’esigenza di salvare la pelle che da fattori morali.

Solo nel febbraio del 1941, Pierre-Étienne Flandin, succeduto a Laval nel decembre del 1940, e la cui nomina aveva adirato i tedeschi facendo altresì temere una ulteriore invasione dei nazisti nella Francia di Vichy, fu rimpiazzato dall’ammiraglio François Darlan, proprio per compiacere i nazisti. Nell’agosto 1941 finalmente il maresciallo Pétain dichiarò che avrebbe giudicato i responsabili della grande disfatta e in settembre nominò un Consiglio di Giustizia Politica che deliberò il 15 ottobre 1941. Il 16 di ottobre il maresciallo Pétain, in un’altra trasmissione radiofonica, comunicò che il Consiglio di Giustizia Politica aveva raccomandato all’unanimità la pena più severa, ovvero detenzione a vita in una prigione militare per Édouard Daladier, Léon Blum, e il generale Gamelin, e che questi sarebbero stati trasportati alla fortezza di Le Portalet sui Pirenei. In più Pétain spiegava che il tribunale di Riom avrebbe continuato la sua procedura giudiziaria indipendentemente da quanto deliberato dal Consiglio di Giustizia Politica. È molto probabile che la messa in scena del Consiglio Politico fu approntata per dare ai nazisti un colpevole e negoziare la grazia dalla pena capitale per 120 guardie franche (ossia, marinai nel loro turno di riposo) che durante la primavera del 1940 avevano resistito contro l’invasione tedesca. Se la Francia, anche quella di Vichy, non poteva ammettere di aver voluto la guerra poteva però indicare i colpevoli della sua disfatta per la “mancanza di preparazione”.  Nella lettera che Blum preparò il 20 ottobre in risposta a questa deliberazione scrisse alla Corte di Giustizia di Riom: “E’ come uomo già condannato e condannato per lo stesso crimine che voi mi invitate a rispondere alle accuse del Procuratore Generale”, insomma come poteva la corte di Riom andare contro la sentenza di Pétain? Il 28 ottobre la Corte di Riom deliberò gli atti di accusa da dibattere nel processo; questi si riferivano al 3 settembre 1939 quando la Francia entrò in guerra con la Germania e all’impreparazione delle forze armate di terra e di aria. Agli imputati era ascritto di non aver preparato le condizioni per la difesa del Paese già a partire dal giugno del 1936, ovviamente “coincidenza vuole” che questa fosse proprio la data di insediamento del governo Blum. Secondo l’accusa Blum aveva compromesso la difesa nazionale a causa della sua legge del lavoro, che non permetteva gli straordinari e aveva avviato la nazionalizzazione dell’industre degli armamenti e indebolito, permettendo gli scioperi, la produttività. Inoltre, la Corte di Riom indicava che le responsabilità militari, quindi del generale Gamelin, erano al di fuori dei poteri della Corte stessa. La Corte non attribuiva agli imputati le responsabilità di aver causato la guerra. Con ironia si notava, e notava anche Blum, come la responsabilità del governo fosse retrodatata fino al giugno del 1936 e non prima, quando, per esempio, nel 1934 il maresciallo Pétain stesso era stato Ministro della Guerra, durante il governo Doumergue.     

Il 22 novembre 1941 Blum fu trasferito alla fortezza di Le Portalet, dove rimase sei settimane. Questa fortezza nei Pirenei era di difficile accesso con un clima molto rigido. Gli avvocati difensori lamentarono il difficile accesso ai propri assistiti; quindi, il governo dovette fare marcia indietro e riportare gli imputati, Blum, Daladier e il generale Gamelin a Bourassol, mentre Reynaud e Mandel rimasero lì fino al 1943. Al suo ritorno a Bourassol, nel dicembre del 1941, Blum cadde malato e in depressione, mentre anche il secondo figlio, René, era stato fatto prigioniero. Il processo di Riom iniziò finalmente il 19 febbraio 1942, da subito il generale Gamelin rifiutò di partecipare attivamente al processo, trasformandolo in un processo puramente di responsabilità politiche, mentre secondo Blum e nei fatti vi erano state anche responsabilità militari. Blum da subito fece notare il paradosso, nonostante capisse che il tribunale aveva deciso di non avere giurisdizione militare, che il generale Gamelin aveva il diritto di non partecipare, essendo un militare, e così si sarebbe dibattuta solo responsabilità della sconfitta senza che l’argomento della guerra fosse direttamente presente al dibattito. Blum insisteva che andavano giudicati gli errori del Comando Supremo, il quale aveva avuto idee obsolete su come funzionasse la guerra moderna, invece, escludendo le responsabilità militari si sarebbe fatto il processo al regime repubblicano. La seconda mostruosità giudiziaria secondo Blum, era che loro, gli imputati, dovevano apparire davanti alla Corte come già colpevoli, questo non era accettabile per uomini di legge che dovevano difendere la loro libertà di giudizio. Molti testimoni oculari riportarono che Blum, nonostante avesse la Corte ostile, riuscì a fare un discorso molto toccante in difesa della Repubblica. Per Blum e i suoi difensori lo schema accusatorio era semplice, l’attenzione veniva solo riposta sull’ impreparazione determinata durante il periodo 1936-40 e non, cosa più importante, sull’assenza di armi indispensabili alla guerra moderna.

La linea difensiva di Daladier estendeva le responsabilità ai ministri della guerra prima del giugno 1936, Pétain incluso, i quali non avevano modernizzato l’esercito: era stato proprio lui, Daladier, durante il suo ministero a invertire questa tendenza. Blum colpiva a fondo nel sostenere che molto prima del giugno 1936: “le dottrine di frontiere invulnerabili, fede assoluta nelle fortificazioni e strategie difensive, denigrazione per i mezzi corazzati e per le forze d’aria in combattimento” avevano determinato l’impreparazione militare e non ammettere questo voleva dire essere dei giudici politici. Nonostante ciò, la pubblica accusa e la Corte andarono avanti punto per punto, ignorando questi appelli e attenendosi all’impianto accusatorio. Il 27 febbraio per tre giorni vi fu l’interrogatorio a Daladier che si difese in modo fermo, puntuale e dettagliato. Daladier dimostrò che durante il suo mandato aveva fatto molto di più dei ministri del ‘34 e ‘35, quando la Germania aveva già rivelato la sua natura aggressiva. La sconfitta andava attribuita all’incapacità tattico-strategica del Comando Supremo e Daladier ricordava che Pétain aveva detto nel 1934: “Le foreste delle Ardenne sono impenetrabili”. L’interrogatorio di Blum ebbe luogo il 10 e l’11 marzo 1942. Blum si difese in modo genuino, mostrò che il suo essere socialista lo aveva reso fedele e devoto servitore del paese in quanto la Francia era una Repubblica. Difese le scelte del Fronte popolare di attuare riforme sociali che avevano aumentato l’amore dei lavoratori per la Repubblica. Blum spiegò alla Corte che non vi era corpo giuridico che potesse giudicare le decisioni e azioni di un uomo politico nell’adempimento delle sue funzioni: l’uomo politico deve agire secondo il suo senso di responsabilità e la sua coscienza, e deve rispondere solo al Parlamento o alla gente. È per questo che rifiutò di usare la forza per sgomberare le fabbriche nel 1936. Poi spiegò che il suo governo aveva avuto l’obbligo di applicare il programma del Fronte popolare per il quale era stato eletto. Ricordò che egli si rifiutò di appellarsi alla “strada” quando il Senato nel giugno del 1937 e nell’aprile del 1938 fece cadere i suoi governi. Blum ricordò che si impegnò nel 1938 a formare un governo di unità nazionale e il programma finanziario del suo secondo governo, atto a consolidare l’economia del paese, fu rigettato dal Senato. Blum fece notare anche, che dovette convincere il suo partito alla politica di interesse nazionale senza cedere alle pressioni dei comunisti, per esempio avendo negoziato con Schacht. L’accusa si concentrò sulle “nefaste” conseguenze della legge delle 40 ore settimanali. Blum si difese che quella delle 40 ore settimanali andava giudicata nel suo contesto ed era pur sempre per i lavoratori: “il loro contributo per l’avanzamento della civiltà e progresso per tutti gli uomini”. Per quanto riguarda la nazionalizzazione dell’industria bellica, Blum fece notare che questa non era stata una posizione peculiare del Fronte popolare, ma, attuata anche da altri governi del dopoguerra, era passata con pochissima opposizione. Ad ogni modo le nazionalizzazioni erano state applicate scarsamente e dove lo erano state la produttività era cresciuta. In merito al disarmo Blum ammise che inizialmente egli si era espresso a favore, in quanto pensava fosse l’unico modo per assicurare la pace, ma poi, vedendo le altre nazioni violare gli accordi, fu promotore del riarmo per questioni di sicurezza nazionale anche in opposizione al suo stesso partito. Ricordiamo che il forte riarmo del governo Blum fu uno dei motivi dei mancati aiuti statunitensi. Il processo di Riom però non stava andando come i tedeschi speravano e in marzo 1942 Hitler in persona protestò del fatto che si discuteva solo delle responsabilità dell’impreparazione francese mentre si sarebbe dovuto perseguire chi aveva provocato la guerra. I tedeschi, quindi, chiesero la sospensione del processo che stava diventando, come voluto da Blum e Daladier, un atto d’accusa da parte della difesa al Comando Supremo. Sotto la minaccia tedesca, con il ritorno di Laval, il processo fu sospeso il 14 aprile 1942. Si prospettava la necessità di estendere le finalità del processo anche alle responsabilità del passaggio dallo stato di pace a quello di guerra. Insomma, avrebbe dovuto accontentare prontamente le richieste di Hitler di attribuire la colpa della guerra con la Germania alla Francia e alla classe politica del Fronte popolare. Se Daladier in qualche modo perdonava la Corte di Riom per non aver esteso il processo alla questione dell’ingresso in guerra addossando quindi la responsabilità alla Francia, per Blum, invece, era imperdonabile che la Corte avesse accettato di processare imputati già giudicati colpevoli da Pétain. Il vecchio Pétain a guerra finita, sotto processo a sua volta, ammise di aver sbagliato ad interpretare i suoi poteri costituzionali addirittura aggiungendo che fra tutti gli accusati, Blum era suo “amico”, ma nel 1947 il maresciallo Pétain novantunenne non sembrava più avere buona memoria…

 

Deportazione in Germania, 1943-45

Nonostante la sospensione del processo, la precedente condanna, secondo l’art. 7, avrebbe dovuto far tornare gli imputati alla fortezza di Le Portalet, ma in realtà rimasero agli arresti a Bourassol fino alla fine di marzo 1943. Da qui Blum riusciva a tenere contatti con la famiglia e la rete clandestina di socialisti, e riuscì anche ad esprimere il suo supporto a de Gaulle. Nel novembre 1943 i tedeschi presero il controllo della parte di Francia sotto la giurisdizione di Vichy. Le condizioni della sua prigionia divennero più aspre. Già il figlio di Blum, René, era stato deportato nel ’42 e morirà ad Auschwitz. L’amico André Blumel fu arrestato sempre dai nazisti senza un apparente motivo se non la sua relazione con Blum. Prima di essere deportato in Germania Blum riuscì a scrivere a de Gaulle in merito al movimento di resistenza e dei comunisti: da un lato fu a favore di continuare compatti, d’altro canto si risentì del ruolo dato ai comunisti. Blum, Daladier, il generale Gamelin, Reynaud e Mandel furono tutti deportati in Germania per evitare che cadessero in mano alleata. Addirittura, Laval protestò per queste deportazioni eccellenti e i tedeschi assicurarono che i prigionieri sarebbero stati trattati con tutti i riguardi. Blum fu trasferito a Buchenwald, con Mandel. Fu effettivamente trattato con tutti i riguardi e rimase a Buchenwald fino all’aprile del 1945. Jeanne Adèle (“Janot”) ebbe il permesso di unirsi a Blum nel giugno del 1943. Non fu in realtà facile farsi incarcerare insieme a Blum, ma la sua persistenza venne “premiata”. Nel maggio 1944 l’ambasciatore tedesco a Parigi, Otto Abetz, aveva suggerito di giustiziare personalità francesi importanti come rappresaglia in caso di fucilazione di soldati francesi collaborazionisti e nazisti catturati in Algeri. Hitler diede il suo consenso per l’esecuzione di Blum, Mandel e Reynaud. L’assassinio del falangista Philippe Henriot il 28 giugno 1944 fece precipitare gli eventi. Nel luglio del 1944 la Gestapo prelevò Mandel, il quale viveva con Blum e Janot, e lo trasferì a Parigi. Mandel fu quindi assassinato dalle guardie francesi che lo avevano preso in custodia, il 7 luglio. Secondo Pierre Laval le sue proteste riuscirono a fermare il piano di eliminare i tre prigionieri eccellenti, anche se troppo tardi per salvare Mandel. Laval riportò questo episodio nella sua ultima nota nell’ottobre del 1945 prima di essere fucilato dopo la condanna a morte espressa dal tribunale degli Alleati.

Blum fu evacuato il 3 aprile 1945 con Janot, la quale era divenuta la sua terza moglie durante la detenzione tedesca, e furono portati a Flossenbürg al confine tra la Baviera e la Boemia. Quindi furono trasferiti a Ratisbona, da qui in un villaggio, Schönberg, nella foresta boema; infine, il 17 aprile arrivarono a Dachau. Anche in quel campo di morte Blum e Janot furono messi in una sezione separata per i prigionieri speciali. Lì incontrò il dottor Schacht, ex presidente della Reichsbank e ministro dell’Economia durante la repubblica di Weimar, con il quale aveva negoziato nell’agosto del 1936, incontrò anche il leader nazionalista austriaco Kurt Schuschnigg e altri ufficiali tedeschi implicati nel complotto per uccidere Hitler del 20 luglio 1944. Il 25 aprile gli Alleati arrivarono a 40 km da Dachau e i prigionieri furono evacuati nuovamente il giorno dopo e trasferiti a Innsbruck. Il 30 aprile una compagnia della Wehrmacht disarmò le S.S. che avevano in custodia i prigionieri speciali assicurando loro di essere ora sotto la protezione dell’onore militare dell’esercito tedesco. I prigionieri vennero trasferiti dalla parte italiana del Brennero in un hotel dove il 4 maggio alcuni partigiani italiani e soldati americani della quinta armata li trovarono. Furono trasportati in macchina a Verona e in aereo a Napoli. Il 14 maggio 1945 volarono a Parigi. In modo molto nobile anche quando fu al corrente del massacro che i nazisti avevano compiuto ai danni degli ebrei, Blum scrisse: “Non credo in razze decadute e condannate. Non lo credo tanto per i tedeschi quanto per gli ebrei. […] Davvero il minimo cambio di circostanze è in grado di scatenare la bestia che è nell’uomo - in tutti gli uomini.”

 

Ritorno a Parigi 1945

Due giorni dopo il suo ritorno a Parigi riprese il suo editoriale su Le Populaire. Da un lato sembrava che la Resistenza avesse riportato il socialismo alla ribalta, dall’altro Blum fu deluso delle reali condizioni del Paese. Allo stesso modo riconosceva in de Gaulle il ruolo di leader della liberazione, ma non pensava che questo gli assicurasse il diritto di governare: la sovranità era del popolo. De Gaulle offrì a Blum un posto da Ministro nel governo provvisorio, ma Blum rifiutò per volersi dedicare a Le Populaire. Al Congresso della SFIO nell’agosto 1945 Blum rigettò una riunificazione con i comunisti, comunisti che alla fine della guerra avevano proposto la riunificazione ai socialisti in un Parti ouvrier français. Il referendum per decidere di rinnovare la costituzione del 1875 ebbe luogo nell’ottobre del 1945 e fu un plebiscito con il 96,4% in favore. Le elezioni per l’Assemblea costituente videro la vittoria dei comunisti e del Mouvement Républicain Populaire, MRP (un movimento democratico cristiano), terza la SFIO. De Gaulle non voleva però cedere ministeri chiave per la sicurezza nazionale ai comunisti, che reclamavano la Difesa, gli Interni o gli Esteri, così Blum e Auriol suggerirono che i socialisti avessero questi ministeri. De Gaulle insoddisfatto della instabilità confidò a Blum di volersi ritirare e di considerare Blum come la personalità giusta a prendere il suo posto. Blum però fu perentorio: “sono stato così a lungo disonorato e denunciato da una parte dell’opinione pubblica che trovo ripugnante l’idea di esercitare il potere” e suggerì quindi Félix Gouin come un possibile Attlee francese. De Gaulle, in rotta con l’Assemblea costituente, diede le dimissioni il 21 gennaio 1946. Quindi prevedibilmente il socialista Gouin divenne capo del governo tripartitico. Ancora più considerevole fu il fatto che un vecchio amico, Vincent Auriol, divenne Presidente dell’Assemblea costituente. Blum divenne ambasciatore speciale della Francia negli Stati Uniti. Intraprese un viaggio a Washington dove incontrò il Presidente Truman presenziando alla prima commemorazione della morte del Presidente Roosevelt. Firmò l’accordo Blum-Byrnes il 28 maggio del 1946 in cui i debiti dovuti al prestito USA furono ridotti a patto che i francesi comprassero prodotti americani. Al suo ritorno in Francia un nuovo referendum aveva bocciato la bozza costituzionale che dava tutto il potere ad una Camera legislativa, bozza sostenuta dai comunisti e socialisti, mentre la MRP si era opposta. Fu necessario eleggere una nuova Assemblea costituente e le elezioni si tennero il 2 giugno 1946. Nonostante un’ulteriore perdita di voti i socialisti ebbero un ruolo di mediazione anche nella nuova Assemblea costituente, della quale Auriol fu eletto nuovamente Presidente. Nella SFIO si stava facendo largo una componente neo-guesdista guidata da Guy Mollet[16], a questo Blum rispondeva con una posizione tradizionalmente jaurèsista: “la democrazia politica e democrazia sociale sono inseparabili”, poiché la realtà aveva mostrato che non si poteva pensare che la socialdemocrazia potesse svilupparsi a prescindere dall’ambiente politico.

Per Blum: “L’obiettivo rivoluzionario non era solo quello di liberare l’uomo dallo sfruttamento economico e sociale [...], ma assicurargli in una società collettiva i pieni e fondamentali diritti e il suo potenziale personale […]. Il nostro vero obiettivo nella società futura è di rendere la persona umana non solo più utile ma più felice e migliore […] è in quel senso che il nostro socialismo è umano, e non è meno rivoluzionario per questo”. Insomma, il Partito socialista non doveva per forza precludersi la possibilità di piacere alla classe media perché doveva piacere alla classe operaia. La frazione di Blum, che nel 1945 aveva il controllo del Partito, nel 1946 fu attaccata dalla frazione di Mollet per una linea più “marxista” ovvero più votata all’intransigenza antirevisionista e per l’azione di massa dove lo scopo non era quello di esercitare il potere all’interno del regime borghese ma quello di sopprimere tale regime. Blum comprendeva la critica in quanto lui stesso era stato chiaro su cosa intendeva con l’esercizio del potere (si veda il dibattito del 1926), ma l’azione di classe necessitava di un’azione politica e l’azione politica voleva dire fari i conti con le responsabilità di governo, in particolare quando i principi democratici della Repubblica erano messi in pericolo. Guy Mollet ottenne la maggioranza e divenne il nuovo segretario. La critica che si muove a Mollet è che nei fatti non cambiò la politica di responsabilità nei confronti della repubblica come improntata da Blum e così i più “ortodossi” passarono quindi nelle file comuniste. Tra le altre cose, nell’agosto del 1946 Blum fu eletto presidente dell’Assemblea dell’UNESCO.

La seconda bozza della costituzione dava poteri limitati alla Seconda Camera. De Gaulle tornato alla ribalta propose un referendum per l’ottobre 1946 tra l’opzione bicamerale proposta dalla seconda bozza e il sistema presidenziale che egli aveva proposto già nel 1945. Blum si espresse contro il presidenzialismo. Il referendum dell’ottobre 1946 approvò la seconda bozza per un piccolo margine di preferenze. La Costituzione della Quarta Repubblica permetteva ora l’elezione dell’Assemblea Nazionale formata dal Consiglio della Repubblica e la Presidenza della Repubblica, mentre de Gaulle si ritirava nuovamente a vita privata. Nel novembre del 1946 si tennero le elezioni dell’Assemblea Nazionale. I socialisti persero nuovamente, ma gli attriti tra l’MRP e i comunisti, li riportarono in una posizione di comando. Il 12 dicembre 1946 Vincent Auriol, Presidente dell’Assemblea Nazionale, chiese a Blum di formare un governo. Questi per cinque giorni provò senza successo a formare un governo di coalizione, ma alla fine riuscì a formare un governo temporaneo di soli socialisti che sarebbe dovuto durare fino alle elezioni del Presidente della Repubblica previste per il gennaio del 1947: paradossalmente, ora che i socialisti non avevano la maggioranza dei seggi, erano riusciti ad avere un governo di soli socialisti.  In questo breve periodo a disposizione, Blum annunciò la riduzione dei prezzi, per ridurre l’inflazione, ma bloccando i salari, cosa su cui i comunisti lo attaccarono subito. Allo stesso tempo andò a regime il Piano Monnet di investimenti americani per il rilancio dell’industria francese. Solo due giorni dopo l’inizio del suo nuovo governo scoppiò la crisi in Indocina. Blum si era espresso in passato in termini amichevoli nei riguardi delle colonie. Ora era chiamato a ristabilire l’ordine, Blum intendeva il sistema coloniale come qualcosa del passato e che i popoli dele colonie dovevano essere messi in grado di vivere in modo indipendente.  Blum volò a Londra, in veste di Ministro degli Esteri, in gennaio, dove incontrò Attlee ed Ernest Bevin preparando il trattato di amicizia firmato a Dunkerque nel marzo del 1947.  In gennaio finalmente fu eletto Presidente della Repubblica Vincent Auriol mettendo fine al governo provvisorio Blum. Nonostante la sua breve durata, questo fu un governo molto apprezzato. Blum tornò a dedicarsi al suo Le Populaire.

Nonostante avesse buoni rapporti con gli Stati Uniti già dai tempi del Fronte popolare, Blum diventò critico del ruolo che gli States si stavano ritagliando a sceriffo del mondo: “La pace non sarà e non può essere un atto di potere di un singolo Stato – anche se è lo Stato più forte, più ricco e il più idealisticamente pacifico del mondo”.  Intanto al governo provvisorio Blum successe il governo di coalizione guidato dal social-riformista Paul Ramadier con la partecipazione dei comunisti. In aprile scoppiarono gli scioperi alla Renault guidati dai sindacati comunisti. La crisi di governo si protrasse fino al voto di sfiducia del 2 maggio 1947 da parte dei comunisti. Blum, al contrario di Mollet, era dell’idea che il governo Ramadier dovesse continuare a governare senza i comunisti e ottenne la maggioranza nella SFIO. I comunisti, passati all’opposizione, attaccavano apertamente il Piano Marshall che ai loro occhi era un espediente per spostare la Francia sotto l’influenza americana. Vedendo la debolezza del governo e gli attacchi dei comunisti, de Gaulle organizzò un suo schieramento il Rassemblement du Peuple Française (R.P.F.), dove, per chi ricorda la storia francese, il parallelismo con i boulangisti è d’obbligo. Per Blum questo era un campanello d’allarme. La situazione degli scioperi però stava peggiorando e ora il ministro (socialista) degli Interni Jules Moch era chiamato a sedarli, cosa che fece chiedendo l’intervento dell’esercito, e questo fece cadere il governo Ramadier.  Il 21 novembre 1947 Blum, nel cercare di ottenere l’appoggio dei repubblicani, tenne il suo ultimo discorso al Palazzo Bourbon. Dal suo discorso si evinceva quanto loro, i repubblicani e i socialisti, fossero bloccati tra l’incudine e il martello, ovvero tra i comunisti e i gaullisti. I repubblicani però non credevano de Gaulle fosse una vera minaccia. Blum tornò a una carica di vicepremier nel luglio del 1948 nel governo di coalizione tra radicali e MRP, che durò solo un mese. Blum ora incominciava, sfiduciato, a vedere come queste coalizioni fossero un succedersi di vani tentativi di stabilizzare la situazione e aveva scritto in merito nel novembre del 1947: “Quindi passiamo da governo a governo, in teoria, liberi ogni volta nella nostra decisione ma, di fatto, obbligati dalla gravità delle circostanze e dei pericoli, prigionieri dei nostri doveri, che sarebbe poi il semplice dovere repubblicano”. Nel 1949 la salute di Blum si deteriorò obbligandolo ad una pausa anche dal suo Le Populaire. Solo nel febbraio del 1950 i socialisti passarono all’opposizione quando il governo Bidault rifiutò un aumento ai lavoratori ministeriali a basso salario. Il 29 marzo del 1950 apparve il suo ultimo editoriale su Le Populaire. Il 30 marzo verso le tre e trenta del pomeriggio fu colpito da un arresto cardiaco e le sue ultime parole furono per Janot: “Non è nulla, non ti preoccupare”. Il 2 aprile si tennero i funerali di Stato, con in testa il Presidente della Repubblica e amico Vincent Auriol.

Conclusioni

Forse è giusto chiudere questa carrellata su Léon Blum tornando alla frase provocatoria di Lev Trockij il quale, nel suo: “L’agonia del capitalismo e I compiti della IV Internazionale. Programma di Transizione” del 1938, affermava che la socialdemocrazia “di socialismo parlava solo nei giorni di festa”. Torna così perentoriamente quello che scrivevamo nel titolo e nell’introduzione: Blum come Jaurès così “distratti”, o addirittura “prigionieri” nella difesa della Repubblica borghese da relegare il socialismo ai “giorni di festa”? Il sarcasmo di Trockij è, ovviamente, sprezzante, in quanto egli presume che la socialdemocrazia non abbia alcun interesse reale nel transire al socialismo. Il nodo invece è proprio questo; si è di fronte a due concezioni diverse di transizione al socialismo, come spiegava chiaramente Blum a Tours nel 1920. Quella bolscevica unisce definitivamente due storture al marxismo, ovvero: la gerarchizzazione eseguita col centralismo e la concezione rivoluzionaria della conquista del potere come fine. Potremmo aggiungere che Blanqui avrebbe potuto reclamare la paternità di entrambe le storture, ma si priverebbe Lenin di un pragmatismo che gli va riconosciuto, nel bene e nel male, il quale va oltre a formule preconcette.  Non accettiamo quindi la critica di Trockij che un socialdemocratico come Blum avesse relegato il socialismo ai “giorni di festa”; per Blum la via maestra verso il socialismo era fatta di “modificazioni insensibili della società capitalistica”, ma era ben cosciente che una “rottura di continuità” sarebbe stata necessaria non escludendo l’uso, da parte del Partito[17], della impersonale e temporanea dittatura, “basandosi sulla volontà e la libertà popolare”, dittatura che però Blum non ammetteva come forma di governo per il controllo del potere. Abbiamo anche visto come, in più punti, nel 1924-26 con il dibattito sull’esercizio del potere e finalmente nel 1936-38 con il Fronte popolare, Blum fosse stato sempre chiaro nel separare la conquista del potere dalla necessità di governo o addirittura co-governo in difesa della Repubblica. È comprensibile come questo cozzi con la visione rivoluzionaria neo-giacobina dei troskisti, ma allo stesso tempo cozzi anche con quella degli intransigenti neo-guesdisti che in Francia non mancavano.   

Secondo noi, quanto espresso da Blum a Tours combacia con le considerazioni politiche contenute in più lavori su Adattamento Socialista, in primo luogo “la necessità di dover ricorrere alla violenza è la prova ultima dell’immaturità di quella che vuole definirsi classe lavoratrice, e altro non è che una espressione settaria dei socialisti di varie sfaccettature”. In quanto è solo tramite: “l’assimilazione di una mentalità veramente democratica [che si può pensare alla] costituzione di una società autenticamente socialista”[18]. Proprio per coerenza Blum, e prima di lui Jaurès, hanno ritenuto opportuno “difendere” la Repubblica. Blum ammetteva che in Russia la rivoluzione andava fatta, questo lo ammettevano tutti, da Martov a Kautsky a Turati, ma tutti loro si opponevano all’idea di terrore imposto da una dittatura di pochi come normalità di governo, quindi, al voler forzare il socialismo dove ancora le condizioni erano fragili anche per il capitalismo imprenditoriale. Lenin, spesso, viene “assolto” per via del fatto di aver riconosciuto questo errore e aver fatto un passo indietro verso la NEP, una sorta di economia mista, di non essere colpevole della Grande Svolta, staliniana[19] e, soprattutto, di non aver parlato apertamente di “socialismo in un paese solo”. Lenin non visse abbastanza a lungo per ribadire come la NEP non fosse stata concepita come via “lenta ma praticabile[20] verso il socialismo nella sola Unione Sovietica. Via lenta e praticabile alla quale sembrò credere Bucharin, concetto simile, ma non uguale, a quello espresso da Blum di “modificazioni insensibili” del capitalismo verso il socialismo. Bucharin però salvaguardava il suo bolscevismo giustificando il sistema di governo della dittatura del proletariato come elemento distintivo. Ma Blum non ammetteva una transizione naturale del sistema capitalista in uno socialista e di certo non concepiva l’instaurazione del socialismo in un Paese solo. E allora si capisce perché ci si trova di fronte ad un paradosso quando il Fronte popolare prende il potere in Francia. Blum chiarisce subito con forza che questo non è un governo rivoluzionario ed è cosciente che si deve difendere la Repubblica dal fascismo per non regredire, ma ciò non vuol dire neanche fare salti rivoluzionari. Singolarmente i filosovietici da un lato sono il cardine del Fronte popolare, dall’altro non possono entrare nel governo perché l’Unione Sovietica è in pieno approdo verso il socialismo reale e quindi non le resta che aizzare e sedare i lavoratori all’occorrenza. Ai comunisti dissidenti à la Trockij non rimane che invocare la spallata. I vari Lev Trockij Daniel Guérin, ma anche socialisti come Marceau Pivert e Jean Zyromski non potevano intendere il lavoro di Blum come puramente socialista, poiché nella loro concezione la spallata era possibile nel ‘36 e sarebbe stata la chiave della rivoluzione sociale. La concezione stessa dell’entrismo di Trockij è quella di forzare un movimento politico, al meglio progressista, in uno strumento catalizzatore. Nel 1936 le condizioni per la rivoluzione sociale non c’erano; questa è la triste realtà, e una spallata avrebbe rigettato il movimento dei lavoratori nella sua preistoria. Le coraggiose riforme, che oggigiorno sembrano delle ovvietà, come: la settimana di 40 ore, due settimane di vacanze pagate, i contratti di categoria, non furono un mero capriccio socialdemocratico. Ne è la prova la politica neoliberale che dagli anni ‘70 del XX secolo ad oggi ha cercato di spazzar via ogni tipo di progresso delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori. Noi socialisti marxisti dobbiamo essere fieri anche di queste vittorie che non si fanno con colpi di mano e regimi di presunto “terrore proletario”.

A nostro avviso Blum aveva ragione anche quando parlava di esercizio del potere attuato da un governo di transizione, ma questo, lo ribadiamo, avrebbe presupposto un forte movimento internazionale, come avrebbe potuto esserlo la Seconda Internazionale pre-1914. L’esercizio del potere in Gran Bretagna, in Francia, in Germania, nei Paesi Scandinavi, negli Stati Uniti e possibilmente in altri paesi dei cinque continenti, nel secondo dopoguerra avrebbe potuto gettare le basi per una transizione. Abbiamo invece avuto una forte regressione e una progressiva dissociazione dei lavoratori dal Partito. Secondo noi è un passaggio fondamentale che spiega la crisi del socialismo: la transizione da un Partito di membri attivi ad un partito di elettori passivi. Blum era fortemente convinto che la vera forza dei socialisti era la loro unità. È evidente che l’unità di classe fosse per Blum più importante della sua purezza di pensiero, qui l’insegnamento di Jaurès si sente, e la tolleranza di tutte le sfumature diventa un elemento di forza come: “La rappresentanza proporzionale [è] la garanzia materiale della libertà di pensiero”. Questo fu un problema che non attraversò solo il socialismo francese. Si ebbe negli Stati Uniti tra i puristi del Socialist Labor Party e i riformisti del Social Democratic Party, in Gran Bretagna con la nascita del piccolo Socialist Party of Great Britain, si ebbe notoriamente in Russia tra i bolscevichi e i menscevichi, e in Italia tra i riformisti e gli intransigenti.

Ed è questo, secondo il nostro modesto parere, il lascito di Jaurès e Blum: non chiudersi in piccoli ascetismi, non aspettare che la rivoluzione si presenti, ma sporcarsi le mani, quotidianamente, diventare esperti del sistema di governo, riconoscere che questo dovrà essere sovvertito ma dalla maggioranza. Una partecipazione di governo non potrà che essere una misura straordinaria e non ordinaria, ma la classe dei lavoratori e i suoi rappresentanti devono essere presenti e far sentire la loro voce. Ciò vuol dire far parte del Partito e non esprimere solo una preferenza elettorale, questo lo lasciamo alle classi più o meno piccolo-borghesi. Libertà, del resto, è partecipazione.

Cesco

 

 



[1] Jeunes équipes unies pour une nouvelle économie sociale : « Giovani squadre unite per una nuova economia sociale ».

[2] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016

[3] Ibidem.

[4] Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front. Lecture given to the Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11th April 1969.

[5] George Étienne Bonnet (1889-1973): leader dei socialisti-radicali eletto alla Camera dei deputati nel 1924 e nel 1929 e ad altre cariche per tutti agli anni ‘30. Nel 1936 fu nominato ambasciatore di Francia negli Stati Uniti. Nel 1937 fu nominato ministro delle Finanze nel governo Chautempes; quindi, sotto il governo Daladier divenne ministro degli Esteri e fece quindi parte della delegazione che trattò il Patto di Monaco. Nel 1939 venne spostato al ministero della Giustizia. Fu un forte sostenitore dell’armistizio con la Germania e del Regime di Vichy del quale fu un consigliere nazionale. Abbandonò la Francia prima della liberazione alleata rifugiandosi in Svizzera. Tornato dopo essersi assicurato di non rischiare nessuna condanna per collaborazionismo, rientrò in politica (https://www.britannica.com/).

[6]  La prima moglie, Lise, era morta nel 1931.

[7] Jaromír Nečas (1888-1945): ingegnere civile e rappresentante del partito socialdemocratico ceco, ebbe diverse cariche nell’Assemblea Nazionale e fu ministro della Previdenza sociale. Durante l’occupazione si unì alla resistenza, quindi, fece parte del governo in esilio a Londra. Malato, morì in Galles mentre la moglie e figlia costrette a lasciare la Gran Bretagna morirono ad Auschwitz.

[8] Edvard Beneš (1884-1948): ministro degli Esteri dal 1918 al 1935, divenne presidente della Repubblica sempre nel 1935. Cerò di creare un Piccola Intesa per arginare l’espansionismo tedesco, si dimise dopo i Patti di Monaco ed espatriò a Londra dove costituì un governo in esilio nel 1940. Firmò un trattato con Unione Sovietica nel 1943 e al suo rientro nel 1946 fu travolto dalla guerra fredda e dal colpo di stato comunista (da: https://www.treccani.it/).

[9] Sulla disfatta francese è noto che furono compiuti diversi errori tattico-strategici da parte degli Alleati. Vi fu la lunga fase della “bore war” o “phoney war”, ovvero otto mesi di pochissima attività, dove non si organizzò una difesa adeguata su territorio francese. La poca collaborazione del Belgio in questa fase non è da sottovalutare. Quindi vi fu la fase della repentina avanzata tedesca attesa principalmente sulle Fiandre e sul Belgio centrale e sicuramene non attraverso le Ardenne e dunque i vari gravi errori, come, ma non solo, quelli commessi dal generale d’armata Charles Huntziger nella difesa del fronte di Sedan. Vi sono altresì prove della adeguatezza degli armamenti corazzati, che fermano l’avanzata dei panzer tedeschi nella battaglia di Hannut dal 12 al 14 di maggio, infliggendo la perdita di 163 o 165 panzer contro 105 o 121 carrarmati francesi nonostante l’inferiorità aerea.

[10] Marx Dormoy (1888-1941): figlio del guesdiano Jean Dormoy, alla predita del quale dovette interrompere gli studi liceali. Lavorò come operaio quindi come impiegato al Municipio di Montluçon fino al servizio militare durante il quale in Algeria fondò il gruppo dei Jeunesses socialistes e il giornale La Lutte sociale. Fu richiamato nel genio durante la Prima guerra mondiale, alla fine della quale tornò a Montluçon a organizzare un gruppo socialista. Al Congresso di Tours firmò la risoluzione Blum. Venne eletto nel 1925 alle lezioni municipali e nel 1931 alla morte del capolista socialista Paul Constans venne eletto al suo posto entrando alla Camera. Nel 1934 presiedette la prima manifestazione congiunta dei comunisti e i socialisti dove parlarono i rispettivi leader Jacques Duclos e Léon Blum. Con il primo governo Blum, Dormoy divenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio partecipando agli accordi di Maignon. Quindi succedette a Salengro al ministero degli Interni al quale rimase anche durante il governo Chautemps e il secondo governo Blum. Nel novembre del 1937 smantellò una organizzazione fascista chiamata Cagoule. Nel ‘38 venne eletto senatore per il suo distretto di Allier. Scettico sugli accordi di Monaco rifiutò di entrare del governo Reynaud nel 1940. Si recò con Blum a Montluçon, quindi, accompagnò Blum a Bordeaux. A Vichy votò contro la concessione dei pieni poteri a Pétain, quindi tornò a Montluçon. Il 25 settembre 1940 fu arrestato e solo nel marzo del 1941 fu posto agli arresti domiciliari a Montluçon, ma il 26 luglio 1941 degli estremisti di destra fecero esplodere la parte dell’albergo dove risiedeva Dormoy, i colpevoli seppur individuati non furono mai processati e vennero rilasciati (da: https://maitron.fr/).

[11] Georges Mandel (1885-1944): collaboratore, o meglio vero e proprio braccio destro, di Clemenceau durante il suo governo di guerra. Deputato dal 1928 al 1938 per il blocco nazionale. Ministro delle Poste nei governi Flandin, Bouisson, Imval e Sarraut. Tornò al governo con Daladier nel 1930 come ministro delle Colonie e con Reynaud, nel maggio 1940, che lo trasferì agli Interni. Si oppose all’armistizio, fu quindi processato a Riom, chiuso nel forte del Portalet e consegnato ai tedeschi nel novembre del 1941, condividendo l’appartamento con Blum a Buchenwald. Dopo l'assassinio di F. Henriot, venne consegnato dai tedeschi ai collaborazionisti di Vichy e venne ucciso dai miliziani di Darnand, il 7 luglio 1944 nella foresta di Fontainebleau (da: https://www.treccani.it/).

[12] Henri-Philippe-Omer Pétain (1856-1951): ufficiale di fanteria, è colonello all’inizio della Prima guerra mondiale. È promosso generale di divisione e quindi di Corpo d’Armata nel 1915. Fu al comando della difesa di Verdun che gli valse la nomina a comandate delle armate del centro. Nel maggio del 1917 divenne comandate in capo dell’esercito. A guerra finita Pétain, vero e proprio eroe nazionale, venne nominato maresciallo di Francia. Fu in Marocco per reprimere la rivolta di Abd el-Krīm nel 1925-26, quindi fu nominato ministro della Guerra nel 1934 nel governo Doumergue. Divenne ambasciatore in Spagna nel 1939. Nel maggio del 1940 fu nominato vicepresidente di Gabinetto. Dopo le dimissioni di Reynaud, Pétain divenne capo dell’esecutivo. Chiese l’armistizio ai tedeschi il 10 luglio 1940, dando vita al regime di Vichy. L’Assemblea Nazionale gli conferì i pieni poteri. Nonostante non volesse cedere ad una completa collaborazione, rimuovendo Laval nel dicembre del 1940, lo dovette richiamare per compiacere i tedeschi nell’aprile del 1942. Una volta sconfitti i tedeschi dagli Alleati, Pétain si costituì alle autorità francesi. Fu condannato a morte il 5 agosto 1945 col la pena commutata in detenzione perpetua (da: https://www.treccani.it/).

[13]Charles-André-Joseph-Marie de Gaulle (1890-1970): una delle personalità più importanti della Francia del XX secolo. Partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale e venne fatto prigioniero nel 1916. Nel 1921 fu nominato ufficiale dello Stato Maggiore e nel 1929 ufficiale dell’Armata del Levante a Beirut. Dal 1932 al ‘36 rivestì la carica di segretario del Consiglio supremo di difesa. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, con grado di colonello, fu uno dei pochi ufficiali, nel maggio, a ottenere delle vittorie sul campo, con una improvvisata divisione corazzata, e venne quindi promosso al grado di generale. Fu quindi sottosegretario del governo Reynaud dal giugno poi, recatosi a Londra il 18 giugno, lanciò da lì già il suo prima appello alla popolazione francese alla resistenza. Diventò il simbolo della resistenza e capo del Comitato francese di liberazione nazionale. Quindi con la cacciata dei tedeschi il 15 maggio 1944 diventò capo del governo provvisorio. Nel gennaio del 1946 abbandonò il governo e circa un anno dopo fondò il Rassemblement du Peuple Français. Abbandonò nuovamente la politica, ma nel 1957 con la crisi di Suez e dell’Algeria, accetto di guidare il governo. Nel 1958 fu eletto Presidente della Repubblica francese e con la riforma costituzionale del 1962 la repubblica prese una forma presidenziale. Fu al centro delle contestazioni del movimento studentesco francese del 1968. Con la sconfitta del referendum sulle riforme volute da lui, nel 1969 si dimise e si ritirò a vita privata per una terza e ultima volta (da: https://www.treccani.it/).

[14] “Ah, on m’avait dit que cela embêterait Léon Blum” = Ah, mi hanno detto che questo farà arrabbiare Léon Blum.

[15] Pierre Laval (1883-1945): di semplici origini, iniziò gli studi tardi dopo aver lavorato fino a sedici anni, divenne quindi avvocato. Già nel 1911 è candidato tra le file socialiste e venne eletto deputato per la prima volta nel 1914. Durante la guerra fu a favore della difesa nazionale, ma ostile alla partecipazione dei socialisti al governo.  Nel primo dopoguerra diventa sindaco di Aubervilliers, nel ‘23 è deputato e ancora nel ‘24 ma come socialista indipendente. Poi divenne un uomo delle istituzioni lontano dalla visone socialista: fu ministro dei Lavori Pubblici col governo Painlevé nel 1925, sottosegretario agli Esteri nel governo Briand sempre nel 1925 e ministro della Giustizia nel successivo gabinetto Briand, ministro del Lavori Pubblici nel governo Tardieu, primo ministro nel 1931, quindi ancora ministro del Lavoro nel 1932 e delle Colonie nel gabinetto Doumergue nel 1934, quindi ministro degli Esteri nello stesso governo e in quello successivo di Flandin. In tal veste si rese partecipe degli accordi con il governo Mussolini nel 1935 che culminarono con gli accordi di Stresa. Dal giugno del 1935 tornò ad essere Primo Ministro. Cercò di avvicinare l’Italia e l’Inghilterra. Con i patti Laval-Stalin nel 1936 dovette dare le dimissioni. Per mezzo della disfatta nel maggio del 1940 riuscì a tornare in auge. Divenne vicepresidente del consiglio nel gabinetto Pétain, preparò nell’ottobre del 1940 un incontro tra Pétain e Hitler. Pétain, non vedendo di buon occhio il suo eccessivo collaborazionismo, lo allontanò dal governo, ma per volere dei tedeschi fu ristabilito al potere nell’aprile del 1942. Con lo sbarco degli alleati in Normandia cercò di cambiare rotta ma si dovette rifugiare in Germania nell’agosto del 1944; quindi si recò in Spagna dove, non bene accetto dal generalissimo Franco, si consegnò il 10 agosto del 1945 alle autorità francesi. Venne fucilato il 15 ottobre del 1945 (da: https://www.treccani.it/).

[16] Guy Mollet (1905-1975): di famiglia modesta, padre socialista, Guy, il quale aveva forti problemi di vista, acquisì le nozioni scolastiche pressoché per via uditiva. Il padre, Pierre, dopo essere mobilitato nel 1914, vittima dei gas, morì solo nel 1931 dopo una lunghissima agonia e questo rese Mollet tendenzialmente pacifista. Dopo l’incontro con Ludovic Zoretti entrò nella SFIO nel 1923 e intraprese la sua militanza sindacale. Avendo continuato a studiare ottenne la laurea in Lettere nel 1931. Lavorò come pion (tutore) per la difficoltà di trovare un posto come professore. Si avvicinò al gruppo di Bataille socialiste. Con il patto Laval-Stalin e la rottura tra Zyromski e Marceau Pivert, Mollet propese per le posizioni di Pivert. Fu quindi mobilitato nel 1939 e fatto prigioniero il 17 maggio del 1940, durante la disfatta dell’esercito alleato, rilasciato e quindi arrestato e poi rifugiato. Venne eletto deputato la prima volta nel 1945, nel 1946 divenne segretario della SFIO, quindi ministro nel breve governo Blum, e nel governo Pleven. Nel 1956 fu Primo Ministro di un governo di coalizione radical-socialista, che cadde già nel 1957.Fu tra i 44 deputati che votarono i pieni potere a de Gaulle nel 1958 (da: https://maitron.fr/).

[17] Partito per Blum è marxianamente inteso come la classe intera dei lavoratori.

[18] Cesco. Il “Gruppo Socialista Internazionalista” sullo scopo e la modalità del suo attivismo politico. Adattamento Socialista. 16 settembre 2022 e Dan Kolog. Karl Kautsky e il riformismo: riflessioni su un rapporto molto complesso. Adattamento Socialista. Dicembre, 2021.

[19] Dan Kolog. LA NASCITA DELLA “NUOVA POLITICA ECONOMICA” NELLA RUSSIA POST-RIVOLUZIONARIA. Adattamento Socialista. Marzo 2021.

[20] Dan Kolog. LA NASCITA DELLA “NUOVA POLITICA ECONOMICA” NELLA RUSSIA POST-RIVOLUZIONARIA. Adattamento Socialista. Marzo 2021.

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