LÉON BLUM: UN SOCIALISTA “PRIGIONIERO” DELLA REPUBBLICA - PARTE II- (TRATTO PRINCIPALMENTE DA “LÉON BLUM: HUMANIST IN POLITICS” DI JOEL COLTON)
Fine del Primo governo Blum,
1937
Le critiche da sinistra al governo erano già arrivate alla fine del 1936 e il
partito comunista era stato critico sulla svalutazione del franco: “il
programma di raccolta popolare precede altre misure”. In maggio il movimento del Jeunes équipes unies
pour une nouvelle économie sociale [1] (JEUNES) pubblicò una lettera aperta a
Blum. All’interno della SFIO
Marceau Pivert si dimise dall’incarico presso la presidenza del Consiglio, dove
era responsabile della stampa, della radio e del cinema, dichiarando: “non
accetto di capitolare davanti al capitalismo e alle banche. Non acconsento alla
pace sociale, né all’Unione sacra”[2].
Il 1937 si apriva con la combinazione di una difficile situazione
internazionale e l’aggravarsi della crisi finanziaria. Il 13 giugno Vincent
Auriol depositò la domanda dei pieni poteri in materia finanziaria a partire
dal 31 luglio, la Camera approvò con 346 voti e 247 voti contrari, ma il Senato
si oppose con 168 voti contrari e 96 favorevoli[3].
Il 15 giugno, quindi, fu indetta una riunione straordinaria alla Camera per
trovare delle misure straordinarie. Le Populaire parlava di complotto
dell’alta finanza per far cessare il governo del Fronte popolare, mentre per
l’opposizione questa diserzione di capitali era giustificata dall’incertezza
che il governo Blum aveva portato alla Francia. La frazione di sinistra premeva
su Blum affinché si appellasse allo spirito del 12 febbraio, ma il Senato fu
inamovibile nel rigettare il piano e Blum si trovò nelle condizioni di doversi
dimettere e così fece il 21 giugno 1937. Il 22 giugno Blum chiese al Consiglio nazionale
della SFIO di ratificare la sua decisione ed accettare la partecipazione ad un
nuovo governo del Fronte popolare guidato dai Socialisti radicali di Camille
Chautemps. La sinistra era però furiosa con Blum per non aver combattuto
abbastanza il Senato, ma per questi la misura era oramai colma. Osserva
correttamente, a nostro avviso, Joel Colton che l’esercizio del potere in quel
contesto finanziario, rispettando gli accordi con la classe media nel Fronte popolare,
conservando la pace, lavorando per l’unità nazionale e dimostrando
l’affidabilità dei socialisti, limitarono di molto la libertà d’azione di Blum.
Se è vero che la popolarità del governo Blum perse punti con la politica di
non intervento, l’elemento principale che ne determinò la prematura fine fu la
crisi finanziaria. Al suo insediamento il governo aveva trovato le casse vuote,
il franco doveva essere svalutato, i circoli finanziari erano ovviamente
ostili a Blum e l’emorragia di capitali non gli dette tregua, tutto ciò mentre
Blum aveva iniziato un ciclo di riforme sociali molto importanti. Per Blum la
responsabilità del fallimento andava non solo data alla audacia delle riforme,
che secondo i suoi detrattori non permisero la ripresa, ma anche alle
deficienze dell’apparato produttivo. Come scrisse Weill-Raynal, a quel tempo si
aveva l’idea che la macchina economica francese stesse bene e che fosse
principalmente un problema di distribuzione della ricchezza. Considerando la
forte ostilità del Senato, della burocrazia e della Banca di Francia, a ragione
Blum poteva sostenere che l’esercizio del potere era stato “une sorte de
mensonge politique”. La successione di Camille Chautemps a Blum, con Blum
comunque vicepremier, non fu priva di problemi: i socialisti conservavano
diversi ministeri ma quelli chiave come Finanze e Lavori Pubblici andarono a
radicali ostili. In più il conflitto col Senato non era stato risolto e fu
proprio Chautemps a convincere i senatori a ottenere la fiducia dichiarando: “Ogni
volta che una questione importante emergeva, come la guerra in Spagna, o i
problemi del lavoro, ho trovato in Léon Blum chiarezza e senso del dovere
nazionale ai quali devo rendere omaggio”. Il governo Chautemps svalutò
nuovamente il franco, aumentò le tasse e ridusse la spesa, contrastando
il progetto principale del governo Blum di aumentare il potere d’acquisto, ma, di
contro, il governo Chautemps nazionalizzò le ferrovie.
Nonostante gli attacchi da sinistra, come quelli di Zyromski e dei
comunisti, Blum difese il suo appoggio all’attuale governo in virtù del fatto
che riforme, come le 40 ore, non sarebbero state toccate. Blum ammise, pochi
anni dopo, che difese il Programma Chautemps-Bonnet senza approvarlo. Blum
sentiva che, date le condizioni, i socialisti non avevano altra alternativa che
cercar di far sopravvivere il Fronte popolare. Ci preme riportare l’analisi di
Douglas Johnson sui motivi della fine del governo del Fronte popolare, poiché
la condividiamo largamente. Johnson pensa che il governo Blum si poggiava su un
equilibrio di fattori molto fragile e atipico e per questo, con la fine del suo
primo esperimento di governo, più che una mancata rivoluzione si può parlare di
un ritorno allo status quo. In primo luogo, Johnson rivaluta l’effetto
che l’ondata di scioperi ebbe sul governo Blum. Johnson considera che gli
scioperi furono di matrice politica, economica e culturale e di fatto aiutarono
Blum a strappare accordi e avviare una serie di riforme molto favorevoli.
Johnson insiste che Matignon fu una grande opportunità piuttosto che un grande
disastro. Non è quindi da ricercare nelle politiche economiche e finanziarie, e
sul fatto che Blum e Auriol fossero meno al corrente dell’entità della crisi
finanziaria, la caduta del governo. Johnson ritiene che il primo governo Blum fosse
scaturito da almeno quattro fattori: i. la mancanza di una maggioranza forte
alla Camera dalle elezioni del 1932; ii. l’ascesa di Hitler in Germania e la conseguente
atmosfera di minaccia; iii. l’effetto ritardato della crisi economica del ‘29
in Francia; iv. la violenza del 6 febbraio del 1934. Questi fattori avevano
temporaneamente permesso la formazione di un governo di coalizione altrimenti
atipico, ma che si basava su un equilibrio instabile[4].
Ci viene da aggiungere a questa, comunque, valida analisi che relativamente alle
quattro condizioni individuate da Johnson, il governo Blum avrebbe potuto far
fronte solo alla prima, in parte, e all’ultima, non avendo controllo sulle
altre due.
Secondo
governo Blum, 1938
Nel settembre 1937 due gruppi di estrema destra i Cagoulards (gli
incappucciati) e il Comité Secret d’Action Révolutionnaire furono sospettati
un attentato dinamitardo vicino Place de l’Étoile; mentre, dall’altro lato,
ricominciarono gli scioperi dei lavoratori di diverse categorie. La relazione
tra il governo Chautemps e i sindacati così come con i comunisti degenerò nel
gennaio del 1938 quando il leader radicale dichiarò che se non avesse avuto i
voti dei comunisti ne avrebbe fatto a meno, mettendo in crisi uno dei cardini
del Fronte popolare. I socialisti e Blum dovettero dimettersi dal governo
Chautemps e il Gabinetto cadde il 15 gennaio 1938. Il Presidente della
Repubblica Leburn chiese a George Bonnet[5]
di formare un altro governo, ma senza successo, quindi Leburn si rivolse a
Blum. Ma comunisti e radicali non erano disposti a collaborare. Proprio in quel
frangente la seconda moglie di Blum, Thérèse, morì qualche giorno dopo aver
subito una operazione chirurgica[6].
Blum quindi si ritirò dalla vita politica per un mese e in marzo tornò ad
essere il direttore politico de Le Populaire. Il 10 di marzo il secondo governo
Chautemps finì con le dimissioni di Chautemps stesso. L’11 marzo 1938 le truppe
di Hitler avevano già valicato il confine austriaco e il 12 entrarono a Vienna.
Leburn si rivolse ancora a Blum e le circostanze estere favorirono un governo
di “Union Sacrée” per garantire stabilità di fronte ad una Germania così
aggressiva. Questo secondo governo Blum avrebbe dovuto includere comunisti,
socialisti radicali e nazionalisti. Nella SFIO il gruppo di Pivert e Paul Faure
si oppose, ma il Consiglio Nazionale del partito diede la maggioranza a Blum,
il quale era dell’idea che non si sarebbe potuto salvare la Nazione senza la
collaborazione di tutti. Il 12 marzo, quindi, nella Salle Colbet del Palais
Bourbon, Blum cercò di convincere i deputati dell’opposizione circa la necessità
di un governo di unità, ma il suo tentativo fallì. Il 13 marzo, Blum formò
comunque un nuovo governo non così ampio come auspicato, che tutti immaginarono
avere vita breve, e durò infatti fino all’8 aprile.
Nonostante la politica del non-intervento fosse stata molto rilassata, era
ufficialmente ancora in vigore e i nuovi scioperi tra i metalmeccanici non vennero
questa volta mitigati dai comunisti i quali volevano un intervento aperto del governo
francese in Spagna. Intanto la manovra finanziaria pianificata in quei giorni
da Blum avrebbe richiesto nove miliardi di franchi, ma ancora una volta il
Senato non si mostrò disposto ad approvarla. Il programma economico di Blum era
molto ambizioso e lui stesso lo definì: “qualcosa che andava oltre un
programma di armamenti e aveva caratteri analoghi al Piano quinquennale russo e
al Piano Göring”. Era un piano keynesiano che combinava l’industria bellica
ad altri tipi di industria produttiva. Nonostante i suoi tratti “patriottici”,
la sua proposta ebbe una maggioranza risicata alla Camera, ma il Senato, ad
ogni modo contrario anche al secondo governo Blum, oppose resistenza. Il
partito censurò le dimostrazioni di protesta interne ad esso contro un tale
programma bellicista sempre in virtù del principio di difesa nazionale, ma
quando il Senato, come prevedibile, respinse la proposta di legge, Blum si
dimise per una seconda volta da Primo ministro. È plausibile che le sue facili
dimissioni furono dettate dal fatto che egli non voleva forzare un programma
necessario per la difesa contro la Germania ma, allo stesso tempo, così lontano
dagli ideali socialisti. Il noto leader radicale Édouard Daladier formò quindi
nuovo governo, ultimo del Fronte popolare. Blum, ora sessantaseienne, avrebbe
potuto ritirarsi, come gli consigliava amichevolmente Churchill. Ma le
circostanze vollero altrimenti, e Blum e la SFIO si trovarono nella situazione
di dover sostenere il governo Daladier senza “gioia”.
Al Congresso della SFIO di Royan nel giugno del 1938 Blum fu attaccato
dalla corrente pacifista del partito guidata da Paul Faure. Daladier e Bonnet
intanto avevano ristabilito il blocco rigoroso sulla frontiera franco-spagnola,
facendo infuriare Blum che reputava questo come un atto di ipocrisia, vista
l’aperta violazione di Germania e Italia. Già in agosto Daladier dichiarò di voler
rivedere la legge sulle 40 ore, vero e proprio caposaldo del programma del Fronte
popolare. Blum, quindi, protestò per questo affronto, ma lui e i socialisti
avevano in qualche modo le mani legate per via della tesissima situazione
estera, con la crisi nei Sudeti. Per loro il Fronte popolare era ancora troppo
prezioso data la situazione estera e le minacce dell’estrema destra.
Il 2 di settembre Blum chiese dalle pagine di Le Populaire che la
Francia onorasse il patto di mutua assistenza stipulato con la Cecoslovacchia e
fu profondamente scosso dal cedimento di Inghilterra e Francia di fronte alle
continue rivendicazioni tedesche. Il primo ministro Chamberlain si recò a
Berchtesgaden per la questione dei Sudeti, dove si convinse che Hitler si
sarebbe accontentato delle concessioni pattuite. Quindi, al suo ritorno,
Daladier e Bonnet volarono a Londra mentre Blum ricevette il leader socialista
ceco Jaromír Nečas[7], dal
quale ebbe una mappa (apparentemente su commissione di Beneš[8])
delle concessioni finali che il governo ceco era disposto a tollerare. Blum la
fece recapitare a Daladier in partenza per Londra, con questo intendimento, ma
le concessioni pattuite dagli anglofrancesi furono ancora più drastiche di
quelle visibili sulla mappa di Nečas. Nonostante la buona fede, venne imputato
a Blum di aver ridotto la possibilità di negoziazione da parte di Daladier che,
avendo visto le larghe concessioni disposte da Beneš, aveva ben poco da opporre
a Chamberlain. Chamberlain volò alla volta di Godesberg dove incontrò un Hitler
ancora più esigente. Mentre Roosevelt chiedeva una riunione su territorio
neutrale, fu annunciato un meeting a Monaco, tra Germania, Italia, Gran
Bretagna e Francia. Questa riunione fu ricevuta come una “barriera nella
corsa alla guerra “. Ma Blum fu tutt’altro che tranquillizzato dagli
accordi di Monaco e le concessioni alla Germania gli facevano orrore. L’ala
pacifista della SFIO era altresì soddisfatta dell’incontro di Monaco mentre per
Blum il prezzo da pagare per i cecoslovacchi era stato troppo alto. Blum fu addirittura
accusato da un leader della CGT, Ludovic Zoretti, che la sua fermezza in difesa
dei Sudeti fosse mossa dal suo essere ebreo e che: “I Francesi non volevano
vedere la morte di milioni di uomini e la civiltà distrutta per rendere la vita
più facile a 100.000 Ebrei della Sudetenland”. Blum non commentò neppure questa
provocazione antisemita e restò semplicemente convinto che le concessioni che
la Francia aveva fatto a Hitler andavano a costituire un precedente pericoloso.
Nel novembre 1938 un nuovo attacco alle 40 ore e l’esclusione dei comunisti dal
Fronte popolare da parte dei radicali provocò scioperi e proteste. Insieme al
decreto Daladier-Reynaud che attaccava le 40 ore, Daladier e Chamberlain
avevano, a Monaco, escluso l’URSS provocando la conseguente rottura con i comunisti
francesi. Il governo Daladier fece sgomberare, per mezzo di gas lacrimogeni, un
grande sciopero organizzato dai metalmeccanici della Renault in occasione la
visita di Chamberlain e Halifax a Parigi. Blum e i socialisti chiesero le
dimissioni di Daladier, ormai apertamente accusando i radicali di aver tradito
il patto del 14 luglio 1935. La CGT indisse lo sciopero generale per il 30
novembre che fu però contrastato efficacemente dal governo minacciando di
licenziare i dipendenti pubblici che vi avessero preso parte. Agli inizi di
dicembre quindi il Fronte popolare non esisteva più e Daladier si assicurò la
maggioranza alla Camera grazie ad un blocco nazionale che comprendeva, ora, forze
di centro destra.
Il 6 dicembre 1938 vi fu l’accordo d’amicizia Bonnet-Ribbentrop che doveva
scongiurare un conflitto tra le due nazioni, ma dalle parole di Hitler si
evinceva un’altra realtà. E ancora, nel febbraio del 1939, quello che sulla
carta avrebbe dovuto essere ancora un governo del Fronte popolare riconobbe il governo
del generalissimo Franco. Il 15 marzo 1939 il vero valore degli accordi di
Monaco si palesò quando Hitler invase la Cecoslovacchia. Nonostante Gran
Bretagna e Francia si dichiararono in difesa delle piccole nazioni a rischio,
come Polonia, Romania e Grecia, di fatto, non avevano mostrato grande
convinzione, o peggio, non sembravano in grado di onorare la loro dichiarazione.
Diventò palese che un grave errore era stato quello di escludere l’URSS da
Monaco. La corrente pacifista integrale stava dividendo il partito: Blum ammise
che ogni socialista è per indole pacifista, ma non era per la pace ad ogni
costo. Blum voleva mostrare il realismo che Paul Faure non sembrava avere
quando gli diceva: “l’Europa in cui viviamo non è nostra, non è l’Europa che
volevamo”, mentre Faure voleva la pace e la convivenza tra i popoli europei
dimenticandosi che molti di questi paesi erano sotto governi totalitari. In
maggio Blum volò a Londra dove incontrò Chamberlain e Halifax. Mentre il 23
agosto 1939 una vera e propria doccia fredda gli arrivò quando il patto Molotov-Ribbentrop
di non aggressione tra Germania e URSS venne siglato. Blum non credeva ai
propri occhi, ma, capì subito la portata drammatica di questo accordo che
liberava Hitler da un grande vincolo ovvero l’intervento dell’URSS in caso di
invasione della Polonia. Blum aveva anche già capito che la non aggressione
della Germania nazista nei confronti dell’Unione Sovietica si sarebbe rivelata
una mera illusione, perché quando Hitler sarebbe stato in grado avrebbe
aggredito anche la Russia sovietica, e in questo fu profetico.
Scoppio
della Seconda Guerra Mondiale, 1939
Il 1° settembre 1939 Hitler fece bombardare Varsavia e il 2
settembre Blum prese parte al voto della Camera sull’approvazione dei crediti
di guerra. Daladier in risposta al patto Molotov-Ribbentrop aveva bandito i due
giornali comunisti L’Humanité e il Ce Soir, mentre i comunisti
francesi erano decisamente in affanno nel cercar di difendere le ragioni del
patto e Blum, seppur rimanendo molto critico nei loro confronti, era contrario
a quel tipo di censura. Blum chiedeva ai comunisti francesi di emanciparsi dal dogma
dell’infallibilità sovietica. Intanto nel periodo che andò dal patto di Monaco
alla firma dei crediti di guerra si accentuò l’attacco da parte dell’opinione
pubblica fomentata dalla destra nazionalista francese contro Blum. Questa era
particolarmente antisemita e accusava Blum di non essere che un traditore nato a
Vidin in Bulgaria, di essere la causa dell’indebolimento della Francia, e di
non aver appositamente trovato un accordo con Germania e Italia. Questa
campagna d’odio diventò sempre più feroce quasi da emulare quella che culminò
con l’assassinio di Jaurès nel ‘14. Blum venne attaccato anche dai socialisti
pacifisti stretti attorno a Faure che dal nuovo Le Pays Socialiste
accusava Blum di aver promosso un’altra “Unione sacra”. L’altro
pacifista di spicco, Zonetti, dopo aver apertamente accusato Blum di incitare alla
carneficina collettiva per non essersi apertamente opposto al governo Daladier,
venne espulso dal Partito e la spaccatura che ne risultò nel partito fu
profonda. Dopodiché in dicembre vi fu l’attacco russo alla Finlandia, attacco
che per Blum confermava le mire espansionistiche di Stalin, ma, ammoniva Blum:
“È possibile che per diversi anni il pericolo Hitler ha celato all’Europa il
pericolo russo. Stiamo in guardia che il pericolo russo non distolga il nostro
sguardo dal pericolo Hitler!”. Il governo Daladier sempre a causa
dell’accordo tra Germania e Russia e la dichiarazione di guerra alla Germania, dichiarò
il partito comunista fuorilegge e i deputati comunisti furono espulsi dalla
Camera. Blum, che pure era critico del servilismo e delle posizioni assunte dai
comunisti, vedeva queste misure repressive come un allontanamento dalla Repubblica
democratica; quindi, si oppose al voto della legge che voleva espellere i
deputati comunisti, ma il gruppo parlamentare socialista votò a favore.
Nell’aprile del 1940 gli ex deputati comunisti furono portati a processo
davanti ad un tribunale militare e condannati a pene dai due ai cinque anni e fu
condannato in contumacia anche Thorez rifugiatosi in Russia. Thorez ora considerava
Blum una iena che aveva partecipato alla persecuzione dei deputati comunisti,
in realtà Blum constatava che il partito comunista francese fosse il partito di
uno Stato nazionale straniero ovvero dell’URSS e che, come tale, andasse
trattato. La Francia, che pure sarebbe dovuta intervenire in soccorso della
Finlandia, con problemi interni non indifferenti precipitò in una nuova crisi
di governo. Con la crisi finlandese cadde il governo Daladier il 21 marzo del
1940 e venne rimpiazzato da quello di Reynaud. Il suo governo comprendeva tre
ministri socialisti e tre sottosegretari, ma per non perdere il consenso della
destra non offrì nessun incarico ufficiale a Blum. Nonostante ciò, diversi
deputati parlarono di intrigo tra Reynaud e Blum per rimpiazzare Daladier, il
quale in realtà rimaneva nell’esecutivo come ministro della Difesa. Blum venne
comunque riconosciuto come un esponente autorevole che appoggiava il governo
Reynaud e se questo da un lato era vero, dall’altro Blum considerò quello un
momento molto basso per la Repubblica francese. Dopo la Finlandia, toccò alla
Danimarca e la Norvegia in aprile mentre in maggio la Germania passò
all’attacco dei Paesi Bassi, del Belgio e del Lussemburgo.
Mentre la Germania di Hitler invadeva i Paesi Bassi, Blum si recò in
Inghilterra per il Congresso del Partito Laburista inglese. Clement Attlee e Arthur
Greenwood, leader laburisti britannici, erano stati chiamati nel Gabinetto di
guerra di Churchill che era subentrato a Chamberlain. Blum giustificò al Congresso
il bisogno delle leggi anticomuniste in Francia, le quali si erano rivelate
necessarie per via del patto tra Germania e Unione Sovietica in quanto il
Parlamento non avrebbe altrimenti potuto discutere strategie di guerra segrete.
Mentre ancora a Londra, Attlee lo informò che i tedeschi avevano, il 15 di
maggio, varcato il confine francese[9].
Blum fu raggiunto subito dopo da due telegrammi uno di Georges Monnet e l’altro
di Marx Dormoy[10] che gli
chiedevano di rientrare immediatamente. Le truppe tedesche erano già a poco più
di 10 km da Parigi. Il governo stava già evacuando la città, solo alla notizia
dell’arresto dell’avanzata tedesca Reynaud annunciò alla radio che il governo
non avrebbe evacuato e che Parigi sarebbe stata difesa. Blum tornò quindi il 17
di maggio; il giorno dopo Reynaud aveva già disposto dei cambi strategici, la
rimozione del generale Maurice Gamelin per il generale Weygand, l’assunzione
personale dei ministeri della Difesa e della Guerra, mandando Daladier agli
Esteri, quindi, assegnò agli Interni Georges Mandel[11]
e chiese l’eroe di Verdun il maresciallo Philippe Pétain[12]
come vicepremier. Al tempo Pétain era visto ancora come un eroe nazionale anche
da buona parte della sinistra, lo stesso Blum ne aveva parlato bene quando poco
tempo prima in primavera era stato nominato ambasciatore in Spagna. L’avanzata
delle truppe corazzate tedesche, nel frattempo, si era diretta verso Fiandre e
Belgio per ultimarne l’invasione. Le truppe inglesi e francesi sbaragliate dovettero
rovinosamente fuggire da Dunkerque. Quindi il 5 giugno l’avanzata tedesca si
era riconcentrata su Parigi. Reynaud nominò Charles de Gaulle[13]
come suo sottosegretario. Blum disapprovava la politica di Reynaud di
concentrare tutto nelle sue mani ma per non disturbare l’unità nazionale non fece
dichiarazioni pubbliche.
L’8 giugno fu ordinato ai ministri di evacuare Parigi e i compagni di
partito spinsero Blum di fare altrettanto. Ciò nonostante, Blum fece evacuare
sua nuora e nipotina, ma rimase a Parigi e quando il governo lasciò la città il
10 di giugno, si rifiutò di fare altrettanto. Al contrario di quanto aveva
promesso Reynaud, Parigi non fu organizzata per la sua difesa. Blum rimase
scioccato dal fatto che Parigi fosse stata dichiarata città aperta e che non
venisse neanche tentata una qualche difesa. È comprensibile che la mancata difesa
di Parigi evitò la sua distruzione e la morte di molti parigini, ma sembra esserci
stato un collegamento tra questa decisione e la resa ai tedeschi. Come è noto
il 10 giugno l’Italia dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna per
cercare di capitalizzare sulle vittorie tedesche. L’11 giugno Blum convinse
Marx Dormoy a tornare a Parigi, ma i due si scontrarono con l’esodo di massa: a
Parigi erano rimasti in pochi e una volta faticosamente arrivati, i due parlarono
con il Prefetto di polizia, lasciato con istruzioni ambigue sul da farsi, con il
generale Héring e l’ambasciatore statunitense William Bullitt. Lo stesso giorno
di fronte a quella scena di abbandono decisero di lasciare a loro volta Parigi,
ritrovandosi nella fiumana di persone in esodo verso sud. Blum e Dormoy
tornarono a Montluçon da dove erano partiti, mentre il governo si era
trasferito ancora più a sud, a Tours e quindi a Bordeaux. Le truppe naziste
entrarono a Parigi il 14 giugno 1940. Georges Mandel, ancora parte del governo,
chiamò Blum per pregarlo di recarsi a Tours; quindi, Blum arrivò finalmente a Bordeaux
il 15 di giugno. Lì comprese che Pétain e Weygand erano convinti che la
situazione fosse disperata e avrebbero voluto chiedere l’armistizio. Blum
ricordò che solo in marzo dello stesso anno Reynaud aveva firmato un accordo
con il governo britannico che escludeva una pace separata. Jules Jeanneney,
presidente del Senato, e Édouard Herriot, presidente della Camera, furono
inizialmente fermamente contro l’armistizio. Quindi iniziò a circolare l’idea
di non arrendersi ma di riorganizzare la resistenza militare in nord Africa.
Una terza via fu proposta dal vicepresidente Camille Chautemps e da L. O. Frossard
che prevedeva di chiedere alla Germania le condizioni dell’armistizio, le quali
sarebbero state inaccettabili; quindi, con questa giustificazione, riprendere
le ostilità dal nord Africa. Il 15 giugno si discussero queste tre strategie e
Mandel, Monnet, Marin, e Reynaud si opposero alla risoluzione Chautemps.
Reynaud era per la resistenza ma, considerando di non avere la maggioranza,
diede le dimissioni al Presidente Lebrun che nominò al suo posto il maresciallo
Pétain. Ovviamente la portata delle dimissioni di Reynaud in quel momento
critico fu decisiva in quanto Pétain divenne il promotore dell’armistizio
incondizionato. Per Blum la risoluzione Chautemps-Frossard aveva distratto il
Gabinetto dalla vera discussione e aveva generato la divisione che risultò
nelle dimissioni di Reynaud; insomma, questa risoluzione aveva determinato un
vero e proprio suicidio. Il 16 giugno il maresciallo Pétain formò il nuovo governo,
e tra i suoi ministri designò, apparentemente in modo sorprendente, il
socialista Paul Faure come ministro del Lavoro. Difronte al giustificabile
stupore di Leburn per la nomina del noto pacifista socialista, oppositore di
Blum, Pétain rispose: “Ah, on m’avait dit que cela
embêterait Léon Blum”[14]. In merito sul da farsi si stava andando
a determinare una spaccatura tra i socialisti, dato che un socialista nel governo,
Albert Sérol, si era espresso i giorni precedenti in favore dell’armistizio.
Anche Albert Rivière fu invitato a prendere parte al nuovo governo e questi
prima di accettare si consultò con Blum decidendo per la sua partecipazione con
l’aggiunta di André Février. Il primo atto del governo Pétain fu quello di
chiedere tramite l’ambasciatore spagnolo le condizioni dell’armistizio alla
Germania; quindi, annunciò alla radio che si stava negoziando l’armistizio.
Il 18 giugno si tenne una riunione di circa 60 deputati dove Blum partecipò
e ascoltò per la prima volta l’ipotesi di una pace separata senza tentare la
resistenza in nord Africa. Questa posizione fu difesa da Charles Spianasse,
Gaston Bergery e Adrien Marquet, ma Blum pensava che questa fosse ancora una
minoranza. Il 19 giugno Blum parlò con Chautemps al quale dichiarò di aver
intenzione di seguire il governo in nord Africa, mentre Chautemps lo metteva in
guardia, avvisando di aver sentore che l’atmosfera fosse cambiata e che Blum
avrebbe rischiato ad esporsi in quanto non era ben voluto da tutti. Mentre
alcuni delegati del governo si prepararono a salpare per Casablanca, Blum si
diresse a Port-Vendres, da dove l’incrociatore Massalia sarebbe dovuto partire;
quindi, fece una breve sosta a Tolosa dove si erano rifugiate la nuora e la nipotina.
Lì sopraggiunse la notizia che l’incrociatore sarebbe salpato da Bordeaux. Quindi
si precipitò a Bordeaux, ma il Massalia era già salpato e molti deputati
erano già partiti per Casablanca. In rapida successione, mentre l’incrociatore
era ancora in viaggio, venne deciso che il governo non avrebbe lasciato
la Francia. Si fece passare la versione che i deputati sul Massilia fossero
fuggiti, e a Bordeaux fu consigliato a Blum di non dare nell’occhio in quanto
il clima era decisamente cambiato e non si poteva garantire per la sua
incolumità. Quindi, Blum decise di andare a Tolosa dove apprese dal Dépêche
de Toulouse dell’armistizio. Le condizioni dell’armistizio furono pesanti
ma considerando le circostanze probabilmente non le peggiori possibili. La
Francia doveva smobilitare la flotta, la parte non occupata sarebbe rimasta
sotto il controllo francese con capitale a Vichy. Non sarebbe stato toccato il
nord Africa, cosa non da poco se si considerano le future manovre alleate. Blum
rischiava molto nel rimanere nella Francia di Vichy in quanto Pétain e la sua
cerchia non lo vedevano di buon occhio, decise però che sarebbe stato un atto
di codardia quello di lasciare la Francia e rimase a Tolosa con la famiglia e
con gli Auriol, nonostante fosse ben conscio del rischio che correva come
leader socialista ed ebreo a rimanere.
Già dai primi giorni di Bordeaux, Pierre Laval[15]
concentrò un gruppo di parlamentari su posizioni pro-armistizio e quando il
gruppo di deputati si era imbarcato per Casablanca, da dove la resistenza
avrebbe dovuto continuare, egli fu uno dei loro diffamatori, screditandoli come
presunti fuggiaschi. Una volta firmato l’armistizio a Vichy, Laval aveva ormai
fatto la sua scalata fino alla carica di vicepremier. Blum era convinto che
sarebbe stato ancora peggio ritirarsi a vita privata e che aveva un obbligo
morale; quindi, contro tutti gli avvisi di amici e cari si recò a Vichy dove
arrivò il 4 di luglio. In una delle sessioni informali Laval fece intendere che
fu per colpa di una certa classe dirigente francese, che aveva voluto quella
guerra criminale, se ora si era a quel punto e che tra questi responsabili vi
fosse Blum. L’8 luglio la Camera e il Senato si riunirono per valutare se vi
fossero le condizioni per riunirsi in una Assemblea Nazionale per cambiare la
costituzione che, secondo la proposta di Laval, doveva dare al Maresciallo
Pétain poteri costituzionali. Blum, ovviamente contrario, anche se non deteneva
nessun incarico ufficiale, si incontrò con Vincent Auriol, Georges Monnet, Marx
Dormoy e Jules Moch. Con molta sorpresa apprese che i suoi compagni erano in
favore di cambiare la vecchia costituzione, risalente al 1875, ma consideravano
che il Parlamento dovesse esserne parte in causa. Blum, vedendosi in minoranza anche
tra i suoi amici più vicini, decise di non partecipare al comitato elettorale
socialista. Ma la maggioranza dei socialisti si espresse in difesa dei principi
repubblicani e Albert Rivière promise di proporre la mozione Taurines contro la
proposta di Laval. I socialisti erano, quindi, in maggioranza contro la
proposta Laval, e i presidenti di Camera e Senato promisero di convincere
Pétain di sostenere la proposta Taurines. Quello che successe in realtà fu
diverso: l’unità di partito si disintegrò e il 9 di luglio, quando Charles
Spinasse, ex ministro del primo governo Blum, parlò a favore della proposta
Laval e dell’armistizio, in accordo con l’estremista destra di Xavier Vallat,
quello della celebre frase antisemita contro Blum, ventidue socialisti su
sessantotto firmarono la dichiarazione di Bergery che voleva dare pieni poteri
a Pétain. Blum ricordò la tristezza di quel giorno dicendo: “come ho sperato
di poterlo dimenticare”; soprattutto perché regnava un clima di terrore, i
tedeschi erano a pochi chilometri, Laval, e non solo lui, insisteva che solo un
uomo forte come Pétain avrebbe potuto salvare la Francia. Auriol si chiedeva
che fine avessero fatto i 175 deputati socialisti. Alcuni come Paul Faure, non
erano potuti accorrere perché bloccati nella Francia occupata, ma molti altri dove
erano finiti?
Ma anche Herriot e Jeanneney che avevano promesso di difendere la
repubblica il 9 luglio diedero il loro supporto a Pétain. La Camera votò
compatta 396 voti a favore 3 contro, al Senato solo 1 voto contro i poteri
costituzionali a Pétain. Blum si astenne, per rimanere con il gruppo
socialista. Uno dei tre voti contrari fu del socialista Jean Biondi che in
qualche modo giustificava la sua posizione con l’argomento mosso anche da Blum,
la costituzione ha bisogno di essere riformata, ma non in questo modo. Quindi
il 10 di luglio Laval riuscì abilmente a dribblare la proposta Taurines. Sempre
alla seduta mattutina del 10 luglio si verificò un incidente tra Laval e Blum:
Laval accusò Blum di aver rifiutato l’intercessione dell’ambasciatore italiano
nel gennaio del 1937 presso il generale Franco, ma Blum non degnò Laval di una
risposta. L’atmosfera nella sessione pomeridiana fu ancora peggiore, Laval
oramai dichiarava: “Nessuno sarà eleggibile a Deputato se non francese da
molte generazioni”, la sua proposta passò con 569 voti favorevoli, 80
contrari, 17 astenuti; degli 80 contrari 35 erano socialisti, tra questi Blum,
mentre, cosa scioccante, dei 569 favorevoli, ben 90 erano socialisti, infine
dei 17 astenuti, 6 erano socialisti. Dimessosi, l’11 luglio Blum partì per Tolosa,
suo figlio era stato fatto prigioniero di guerra; nonostante fosse profondamente
amareggiato del voto di Vichy, Blum difese sempre il fatto che quello non fu un
voto libero, dato che le circostanze lo avevano condizionato. Una conseguenza
importante di questa riforma costituzionale però fu che uno dei nuovi articoli,
art. 5, adottato il 30 luglio 1940, prevedeva che la Corte Suprema potesse
giudicare ministri o ex-ministri che avessero tradito le loro funzioni con atti
che avevano contribuito al passaggio dalla pace alla guerra. Quindi in
settembre i processi iniziarono contro Pierre Cot, Guy La Chambre, che si erano
rifugiati negli Stati Uniti, e custodie cautelari furono emanate per Daladier,
Reynaud, Mandel e il generale Gamelin. La colpa della disfatta di giugno fu
attribuita esclusivamente al Fronte popolare del quale Blum era stato il
simbolo. Auriol lo avvisò del suo possibile arresto, e questo arrivò
puntualmente il 15 di settembre; Blum venne condotto allo Château de Chazeron
dove stette per due mesi.
Il
Processo di Riom, 1940-41
L’8 ottobre 1940 gli fu indicato che sarebbe stato processato dalla Corte
di Riom con l’accusa di aver tradito i doveri imposti dal suo ufficio come
Primo ministro e vice primo ministro. Fu riempito di carte processuali e chiese
aiuto ad un giovane avvocato socialista, Samuel Spanien, per preparare la sua
difesa. Si immerse nelle carte come se dovesse preparare la difesa per un altro
imputato e nel novembre del 1940 fu trasferito dal Castello di Chazeron, dove
era agli arresti da settembre ma comunque nel comfort, a una tenuta di campagna,
mal ridotta, a Bourassol, una cittadina a quattro chilometri da Riom; qui
furono trasferiti anche Daladier, il generale Gamelin, e Guy La Chambre e poco
dopo arrivò anche Robert Jacomet controllore-generale dell’esercito nel 1936,
mentre Reynaud e Mandel vennero tenuti in un’altra località. La tenuta di
Bourassol si addiceva di più alla prigionia: era squallida e cadente. La prigionia
e lo stress per il processo gli causarono uno stato di depressione. La
depressione era causata anche dal fatto che passò molto tempo tra l’interrogatorio
e il processo stesso e questo periodo di incertezza senza la possibilità di
potersi difendere lo depressero alquanto. Durante questo periodo trovò conforto
nel rapporto epistolare con Marx Dormoy, il quale però venne assassinato mentre
agli arresti domiciliari nella sua casa di Montélimar il 25 luglio da una bomba
piazzata da dei fascisti per vendicarsi della sua repressione come Ministro
degli Interni nel 1937-38. Per Blum fu un colpo durissimo: “ho perso molto”
dichiarò con tristezza.
La pubblica accusa sosteneva che le sue decisioni da capo del governo
avevano permesso la compromissione del sistema di difesa nazionale, Blum si
difendeva sostenendo che il programma che lui si era impegnato ad eseguire era
stato approvato dall’elettorato, che egli agì sempre nella legalità, e che la
disfatta francese era dovuta agli errori del Comando Supremo. Blum vide con
soddisfazione l’attacco di Hitler alla Russia perché dimostrava che Hitler non
era più sicuro di vincere. Per il suo sessantanovesimo compleanno ricevette un
telegramma di auguri firmato da più di cento statunitensi, tra i quali
scrittori, artisti e la signora Roosevelt. Mentre verso l’inverno del 1941 un’altra
modifica costituzionale, art. 7, dava al Maresciallo Pétain il diritto di
perseguire e punire direttamente Blum, con la pena massima della detenzione a
vita in una prigione militare. In dicembre 1941 Blum finì un suo libro di
considerazioni personali: “À l’échelle humanie”. In questo libro Blum
non poté che constatare come la sua generazione avesse fallito, ma più che aver
fallito nel credere nel principio democratico della repubblica, del quale
indicava i limiti del legame tra esecutivo e legislativo e del sistema
parlamentare stesso, la colpa stava nel non aver riconosciuto la minaccia di
Hitler abbastanza in tempo. La classe dirigente borghese poi aveva determinato
lo stato di tracollo finanziario. Dal punto di vista dei socialisti, essi avevano
fallito nel trasferire l’autorità dalla borghesia alla classe lavoratrice. Blum criticava anche quel pacifismo dei
socialisti che era determinato più dall’esigenza di salvare la pelle che da
fattori morali.
Solo nel febbraio del 1941, Pierre-Étienne Flandin, succeduto a Laval nel
decembre del 1940, e la cui nomina aveva adirato i tedeschi facendo altresì
temere una ulteriore invasione dei nazisti nella Francia di Vichy, fu
rimpiazzato dall’ammiraglio François Darlan, proprio per compiacere i nazisti. Nell’agosto
1941 finalmente il maresciallo Pétain dichiarò che avrebbe giudicato i
responsabili della grande disfatta e in settembre nominò un Consiglio di
Giustizia Politica che deliberò il 15 ottobre 1941. Il 16 di ottobre il maresciallo
Pétain, in un’altra trasmissione radiofonica, comunicò che il Consiglio di
Giustizia Politica aveva raccomandato all’unanimità la pena più severa, ovvero
detenzione a vita in una prigione militare per Édouard Daladier, Léon Blum, e
il generale Gamelin, e che questi sarebbero stati trasportati alla fortezza di
Le Portalet sui Pirenei. In più Pétain spiegava che il tribunale di Riom
avrebbe continuato la sua procedura giudiziaria indipendentemente da quanto
deliberato dal Consiglio di Giustizia Politica. È molto probabile che la messa in
scena del Consiglio Politico fu approntata per dare ai nazisti un colpevole e
negoziare la grazia dalla pena capitale per 120 guardie franche (ossia, marinai
nel loro turno di riposo) che durante la primavera del 1940 avevano resistito
contro l’invasione tedesca. Se la Francia, anche quella di Vichy, non poteva
ammettere di aver voluto la guerra poteva però indicare i colpevoli della sua
disfatta per la “mancanza di preparazione”. Nella lettera che Blum preparò il 20 ottobre
in risposta a questa deliberazione scrisse alla Corte di Giustizia di Riom: “E’
come uomo già condannato e condannato per lo stesso crimine che voi mi invitate
a rispondere alle accuse del Procuratore Generale”, insomma come poteva la
corte di Riom andare contro la sentenza di Pétain? Il 28 ottobre la Corte di
Riom deliberò gli atti di accusa da dibattere nel processo; questi si
riferivano al 3 settembre 1939 quando la Francia entrò in guerra con la
Germania e all’impreparazione delle forze armate di terra e di aria. Agli
imputati era ascritto di non aver preparato le condizioni per la difesa del
Paese già a partire dal giugno del 1936, ovviamente “coincidenza vuole” che
questa fosse proprio la data di insediamento del governo Blum. Secondo l’accusa
Blum aveva compromesso la difesa nazionale a causa della sua legge del lavoro,
che non permetteva gli straordinari e aveva avviato la nazionalizzazione dell’industre
degli armamenti e indebolito, permettendo gli scioperi, la produttività. Inoltre,
la Corte di Riom indicava che le responsabilità militari, quindi del generale
Gamelin, erano al di fuori dei poteri della Corte stessa. La Corte non
attribuiva agli imputati le responsabilità di aver causato la guerra. Con
ironia si notava, e notava anche Blum, come la responsabilità del governo fosse
retrodatata fino al giugno del 1936 e non prima, quando, per esempio, nel 1934
il maresciallo Pétain stesso era stato Ministro della Guerra, durante il governo
Doumergue.
Il 22 novembre 1941 Blum fu trasferito alla fortezza di Le Portalet,
dove rimase sei settimane. Questa fortezza nei Pirenei era di difficile accesso
con un clima molto rigido. Gli avvocati difensori lamentarono il difficile
accesso ai propri assistiti; quindi, il governo dovette fare marcia indietro e
riportare gli imputati, Blum, Daladier e il generale Gamelin a Bourassol,
mentre Reynaud e Mandel rimasero lì fino al 1943. Al suo ritorno a Bourassol,
nel dicembre del 1941, Blum cadde malato e in depressione, mentre anche il
secondo figlio, René, era stato fatto prigioniero. Il processo di Riom iniziò
finalmente il 19 febbraio 1942, da subito il generale Gamelin rifiutò di
partecipare attivamente al processo, trasformandolo in un processo puramente di
responsabilità politiche, mentre secondo Blum e nei fatti vi erano state anche
responsabilità militari. Blum da subito fece notare il paradosso, nonostante capisse
che il tribunale aveva deciso di non avere giurisdizione militare, che il
generale Gamelin aveva il diritto di non partecipare, essendo un militare, e così
si sarebbe dibattuta solo responsabilità della sconfitta senza che l’argomento
della guerra fosse direttamente presente al dibattito. Blum insisteva che
andavano giudicati gli errori del Comando Supremo, il quale aveva avuto idee
obsolete su come funzionasse la guerra moderna, invece, escludendo le
responsabilità militari si sarebbe fatto il processo al regime repubblicano. La
seconda mostruosità giudiziaria secondo Blum, era che loro, gli imputati,
dovevano apparire davanti alla Corte come già colpevoli, questo non era accettabile
per uomini di legge che dovevano difendere la loro libertà di giudizio. Molti
testimoni oculari riportarono che Blum, nonostante avesse la Corte ostile,
riuscì a fare un discorso molto toccante in difesa della Repubblica. Per Blum e
i suoi difensori lo schema accusatorio era semplice, l’attenzione veniva solo
riposta sull’ impreparazione determinata durante il periodo 1936-40 e non, cosa
più importante, sull’assenza di armi indispensabili alla guerra moderna.
La linea difensiva di Daladier estendeva le responsabilità ai ministri
della guerra prima del giugno 1936, Pétain incluso, i quali non avevano
modernizzato l’esercito: era stato proprio lui, Daladier, durante il suo
ministero a invertire questa tendenza. Blum colpiva a fondo nel sostenere che
molto prima del giugno 1936: “le dottrine di frontiere invulnerabili, fede
assoluta nelle fortificazioni e strategie difensive, denigrazione per i mezzi
corazzati e per le forze d’aria in combattimento” avevano determinato
l’impreparazione militare e non ammettere questo voleva dire essere dei giudici
politici. Nonostante ciò, la pubblica accusa e la Corte andarono avanti punto per
punto, ignorando questi appelli e attenendosi all’impianto accusatorio. Il 27
febbraio per tre giorni vi fu l’interrogatorio a Daladier che si difese in modo
fermo, puntuale e dettagliato. Daladier dimostrò che durante il suo mandato
aveva fatto molto di più dei ministri del ‘34 e ‘35, quando la Germania aveva
già rivelato la sua natura aggressiva. La sconfitta andava attribuita
all’incapacità tattico-strategica del Comando Supremo e Daladier ricordava che
Pétain aveva detto nel 1934: “Le foreste delle Ardenne sono impenetrabili”.
L’interrogatorio di Blum ebbe luogo il 10 e l’11 marzo 1942. Blum si difese in
modo genuino, mostrò che il suo essere socialista lo aveva reso fedele e devoto
servitore del paese in quanto la Francia era una Repubblica. Difese le scelte
del Fronte popolare di attuare riforme sociali che avevano aumentato l’amore
dei lavoratori per la Repubblica. Blum spiegò alla Corte che non vi era corpo
giuridico che potesse giudicare le decisioni e azioni di un uomo politico nell’adempimento
delle sue funzioni: l’uomo politico deve agire secondo il suo senso di
responsabilità e la sua coscienza, e deve rispondere solo al Parlamento o alla
gente. È per questo che rifiutò di usare la forza per sgomberare le fabbriche
nel 1936. Poi spiegò che il suo governo aveva avuto l’obbligo di applicare il
programma del Fronte popolare per il quale era stato eletto. Ricordò che egli
si rifiutò di appellarsi alla “strada” quando il Senato nel giugno del
1937 e nell’aprile del 1938 fece cadere i suoi governi. Blum ricordò che si
impegnò nel 1938 a formare un governo di unità nazionale e il programma
finanziario del suo secondo governo, atto a consolidare l’economia del paese,
fu rigettato dal Senato. Blum fece notare anche, che dovette convincere il suo
partito alla politica di interesse nazionale senza cedere alle pressioni dei
comunisti, per esempio avendo negoziato con Schacht. L’accusa si concentrò
sulle “nefaste” conseguenze della legge delle 40 ore settimanali. Blum si difese
che quella delle 40 ore settimanali andava giudicata nel suo contesto ed era
pur sempre per i lavoratori: “il loro contributo per l’avanzamento della
civiltà e progresso per tutti gli uomini”. Per quanto riguarda la
nazionalizzazione dell’industria bellica, Blum fece notare che questa non era
stata una posizione peculiare del Fronte popolare, ma, attuata anche da altri governi
del dopoguerra, era passata con pochissima opposizione. Ad ogni modo le
nazionalizzazioni erano state applicate scarsamente e dove lo erano state la
produttività era cresciuta. In merito al disarmo Blum ammise che inizialmente egli
si era espresso a favore, in quanto pensava fosse l’unico modo per assicurare
la pace, ma poi, vedendo le altre nazioni violare gli accordi, fu promotore del
riarmo per questioni di sicurezza nazionale anche in opposizione al suo stesso partito.
Ricordiamo che il forte riarmo del governo Blum fu uno dei motivi dei mancati
aiuti statunitensi. Il processo di Riom però non stava andando come i tedeschi
speravano e in marzo 1942 Hitler in persona protestò del fatto che si discuteva
solo delle responsabilità dell’impreparazione francese mentre si sarebbe dovuto
perseguire chi aveva provocato la guerra. I tedeschi, quindi, chiesero la
sospensione del processo che stava diventando, come voluto da Blum e Daladier,
un atto d’accusa da parte della difesa al Comando Supremo. Sotto la minaccia
tedesca, con il ritorno di Laval, il processo fu sospeso il 14 aprile 1942. Si
prospettava la necessità di estendere le finalità del processo anche alle
responsabilità del passaggio dallo stato di pace a quello di guerra. Insomma, avrebbe
dovuto accontentare prontamente le richieste di Hitler di attribuire la colpa
della guerra con la Germania alla Francia e alla classe politica del Fronte popolare.
Se Daladier in qualche modo perdonava la Corte di Riom per non aver esteso il
processo alla questione dell’ingresso in guerra addossando quindi la
responsabilità alla Francia, per Blum, invece, era imperdonabile che la Corte
avesse accettato di processare imputati già giudicati colpevoli da Pétain. Il
vecchio Pétain a guerra finita, sotto processo a sua volta, ammise di aver
sbagliato ad interpretare i suoi poteri costituzionali addirittura aggiungendo
che fra tutti gli accusati, Blum era suo “amico”, ma nel 1947 il
maresciallo Pétain novantunenne non sembrava più avere buona memoria…
Deportazione
in Germania, 1943-45
Nonostante la sospensione del processo, la precedente condanna, secondo
l’art. 7, avrebbe dovuto far tornare gli imputati alla fortezza di Le Portalet,
ma in realtà rimasero agli arresti a Bourassol fino alla fine di marzo 1943. Da
qui Blum riusciva a tenere contatti con la famiglia e la rete clandestina di
socialisti, e riuscì anche ad esprimere il suo supporto a de Gaulle. Nel
novembre 1943 i tedeschi presero il controllo della parte di Francia sotto la
giurisdizione di Vichy. Le condizioni della sua prigionia divennero più aspre.
Già il figlio di Blum, René, era stato deportato nel ’42 e morirà ad Auschwitz.
L’amico André Blumel fu arrestato sempre dai nazisti senza un apparente motivo
se non la sua relazione con Blum. Prima di essere deportato in Germania Blum riuscì
a scrivere a de Gaulle in merito al movimento di resistenza e dei comunisti: da
un lato fu a favore di continuare compatti, d’altro canto si risentì del ruolo
dato ai comunisti. Blum, Daladier, il generale Gamelin, Reynaud e Mandel furono
tutti deportati in Germania per evitare che cadessero in mano alleata.
Addirittura, Laval protestò per queste deportazioni eccellenti e i tedeschi
assicurarono che i prigionieri sarebbero stati trattati con tutti i riguardi.
Blum fu trasferito a Buchenwald, con Mandel. Fu effettivamente trattato con
tutti i riguardi e rimase a Buchenwald fino all’aprile del 1945. Jeanne Adèle (“Janot”)
ebbe il permesso di unirsi a Blum nel giugno del 1943. Non fu in realtà facile
farsi incarcerare insieme a Blum, ma la sua persistenza venne “premiata”. Nel
maggio 1944 l’ambasciatore tedesco a Parigi, Otto Abetz, aveva suggerito di
giustiziare personalità francesi importanti come rappresaglia in caso di
fucilazione di soldati francesi collaborazionisti e nazisti catturati in
Algeri. Hitler diede il suo consenso per l’esecuzione di Blum, Mandel e
Reynaud. L’assassinio del falangista Philippe Henriot il 28 giugno 1944 fece
precipitare gli eventi. Nel luglio del 1944 la Gestapo prelevò Mandel, il quale
viveva con Blum e Janot, e lo trasferì a Parigi. Mandel fu quindi assassinato
dalle guardie francesi che lo avevano preso in custodia, il 7 luglio. Secondo
Pierre Laval le sue proteste riuscirono a fermare il piano di eliminare i tre
prigionieri eccellenti, anche se troppo tardi per salvare Mandel. Laval riportò
questo episodio nella sua ultima nota nell’ottobre del 1945 prima di essere
fucilato dopo la condanna a morte espressa dal tribunale degli Alleati.
Blum fu evacuato il 3 aprile 1945 con Janot, la quale era divenuta la sua
terza moglie durante la detenzione tedesca, e furono portati a Flossenbürg al
confine tra la Baviera e la Boemia. Quindi furono trasferiti a Ratisbona, da
qui in un villaggio, Schönberg, nella foresta boema; infine, il 17 aprile
arrivarono a Dachau. Anche in quel campo di morte Blum e Janot furono messi in
una sezione separata per i prigionieri speciali. Lì incontrò il dottor Schacht,
ex presidente della Reichsbank e ministro dell’Economia durante la repubblica
di Weimar, con il quale aveva negoziato nell’agosto del 1936, incontrò anche il
leader nazionalista austriaco Kurt Schuschnigg e altri ufficiali tedeschi
implicati nel complotto per uccidere Hitler del 20 luglio 1944. Il 25 aprile
gli Alleati arrivarono a 40 km da Dachau e i prigionieri furono evacuati
nuovamente il giorno dopo e trasferiti a Innsbruck. Il 30 aprile una compagnia
della Wehrmacht disarmò le S.S. che avevano in custodia i prigionieri speciali
assicurando loro di essere ora sotto la protezione dell’onore militare
dell’esercito tedesco. I prigionieri vennero trasferiti dalla parte italiana
del Brennero in un hotel dove il 4 maggio alcuni partigiani italiani e soldati
americani della quinta armata li trovarono. Furono trasportati in macchina a Verona
e in aereo a Napoli. Il 14 maggio 1945 volarono a Parigi. In modo molto nobile
anche quando fu al corrente del massacro che i nazisti avevano compiuto ai
danni degli ebrei, Blum scrisse: “Non credo in razze decadute e condannate.
Non lo credo tanto per i tedeschi quanto per gli ebrei. […] Davvero il minimo
cambio di circostanze è in grado di scatenare la bestia che è nell’uomo - in
tutti gli uomini.”
Ritorno
a Parigi 1945
Due giorni dopo il suo ritorno a Parigi riprese il suo editoriale su Le
Populaire. Da un lato sembrava che la Resistenza avesse riportato il
socialismo alla ribalta, dall’altro Blum fu deluso delle reali condizioni del Paese.
Allo stesso modo riconosceva in de Gaulle il ruolo di leader della liberazione,
ma non pensava che questo gli assicurasse il diritto di governare: la sovranità
era del popolo. De Gaulle offrì a Blum un posto da Ministro nel governo
provvisorio, ma Blum rifiutò per volersi dedicare a Le Populaire. Al
Congresso della SFIO nell’agosto 1945 Blum rigettò una riunificazione con i
comunisti, comunisti che alla fine della guerra avevano proposto la
riunificazione ai socialisti in un Parti ouvrier français. Il referendum
per decidere di rinnovare la costituzione del 1875 ebbe luogo nell’ottobre del
1945 e fu un plebiscito con il 96,4% in favore. Le elezioni per l’Assemblea
costituente videro la vittoria dei comunisti e del Mouvement Républicain
Populaire, MRP (un movimento democratico cristiano), terza la SFIO. De
Gaulle non voleva però cedere ministeri chiave per la sicurezza nazionale ai
comunisti, che reclamavano la Difesa, gli Interni o gli Esteri, così Blum e
Auriol suggerirono che i socialisti avessero questi ministeri. De Gaulle
insoddisfatto della instabilità confidò a Blum di volersi ritirare e di
considerare Blum come la personalità giusta a prendere il suo posto. Blum però
fu perentorio: “sono stato così a lungo disonorato e denunciato da una parte
dell’opinione pubblica che trovo ripugnante l’idea di esercitare il potere”
e suggerì quindi Félix Gouin come un possibile Attlee francese. De Gaulle, in
rotta con l’Assemblea costituente, diede le dimissioni il 21 gennaio 1946.
Quindi prevedibilmente il socialista Gouin divenne capo del governo
tripartitico. Ancora più considerevole fu il fatto che un vecchio amico,
Vincent Auriol, divenne Presidente dell’Assemblea costituente. Blum divenne
ambasciatore speciale della Francia negli Stati Uniti. Intraprese un viaggio a
Washington dove incontrò il Presidente Truman presenziando alla prima
commemorazione della morte del Presidente Roosevelt. Firmò l’accordo
Blum-Byrnes il 28 maggio del 1946 in cui i debiti dovuti al prestito USA furono
ridotti a patto che i francesi comprassero prodotti americani. Al suo ritorno
in Francia un nuovo referendum aveva bocciato la bozza costituzionale che dava
tutto il potere ad una Camera legislativa, bozza sostenuta dai comunisti e
socialisti, mentre la MRP si era opposta. Fu necessario eleggere una nuova Assemblea
costituente e le elezioni si tennero il 2 giugno 1946. Nonostante un’ulteriore
perdita di voti i socialisti ebbero un ruolo di mediazione anche nella nuova Assemblea
costituente, della quale Auriol fu eletto nuovamente Presidente. Nella SFIO si
stava facendo largo una componente neo-guesdista guidata da Guy Mollet[16],
a questo Blum rispondeva con una posizione tradizionalmente jaurèsista: “la
democrazia politica e democrazia sociale sono inseparabili”, poiché la
realtà aveva mostrato che non si poteva pensare che la socialdemocrazia potesse
svilupparsi a prescindere dall’ambiente politico.
Per Blum: “L’obiettivo rivoluzionario non era solo quello di liberare l’uomo
dallo sfruttamento economico e sociale [...], ma assicurargli in una società collettiva
i pieni e fondamentali diritti e il suo potenziale personale […]. Il nostro
vero obiettivo nella società futura è di rendere la persona umana non solo più
utile ma più felice e migliore […] è in quel senso che il nostro socialismo è
umano, e non è meno rivoluzionario per questo”. Insomma, il Partito
socialista non doveva per forza precludersi la possibilità di piacere alla
classe media perché doveva piacere alla classe operaia. La frazione di Blum,
che nel 1945 aveva il controllo del Partito, nel 1946 fu attaccata dalla
frazione di Mollet per una linea più “marxista” ovvero più votata
all’intransigenza antirevisionista e per l’azione di massa dove lo scopo non
era quello di esercitare il potere all’interno del regime borghese ma quello di
sopprimere tale regime. Blum comprendeva la critica in quanto lui stesso era
stato chiaro su cosa intendeva con l’esercizio del potere (si veda il
dibattito del 1926), ma l’azione di classe necessitava di un’azione politica e
l’azione politica voleva dire fari i conti con le responsabilità di governo, in
particolare quando i principi democratici della Repubblica erano messi in
pericolo. Guy Mollet ottenne la maggioranza e divenne il nuovo segretario. La
critica che si muove a Mollet è che nei fatti non cambiò la politica di
responsabilità nei confronti della repubblica come improntata da Blum e così i
più “ortodossi” passarono quindi nelle file comuniste. Tra le
altre cose, nell’agosto del 1946 Blum fu eletto presidente dell’Assemblea
dell’UNESCO.
La seconda bozza della costituzione dava poteri limitati alla Seconda
Camera. De Gaulle tornato alla ribalta propose un referendum per l’ottobre 1946
tra l’opzione bicamerale proposta dalla seconda bozza e il sistema
presidenziale che egli aveva proposto già nel 1945. Blum si espresse contro il
presidenzialismo. Il referendum dell’ottobre 1946 approvò la seconda bozza per
un piccolo margine di preferenze. La Costituzione della Quarta Repubblica
permetteva ora l’elezione dell’Assemblea Nazionale formata dal Consiglio della
Repubblica e la Presidenza della Repubblica, mentre de Gaulle si ritirava
nuovamente a vita privata. Nel novembre del 1946 si tennero le elezioni
dell’Assemblea Nazionale. I socialisti persero nuovamente, ma gli attriti tra l’MRP
e i comunisti, li riportarono in una posizione di comando. Il 12 dicembre 1946
Vincent Auriol, Presidente dell’Assemblea Nazionale, chiese a Blum di formare
un governo. Questi per cinque giorni provò senza successo a formare un governo
di coalizione, ma alla fine riuscì a formare un governo temporaneo di soli
socialisti che sarebbe dovuto durare fino alle elezioni del Presidente della
Repubblica previste per il gennaio del 1947: paradossalmente, ora che i socialisti
non avevano la maggioranza dei seggi, erano riusciti ad avere un governo di
soli socialisti. In questo breve periodo
a disposizione, Blum annunciò la riduzione dei prezzi, per ridurre
l’inflazione, ma bloccando i salari, cosa su cui i comunisti lo attaccarono
subito. Allo stesso tempo andò a regime il Piano Monnet di investimenti
americani per il rilancio dell’industria francese. Solo due giorni dopo
l’inizio del suo nuovo governo scoppiò la crisi in Indocina. Blum si era
espresso in passato in termini amichevoli nei riguardi delle colonie. Ora era
chiamato a ristabilire l’ordine, Blum intendeva il sistema coloniale come
qualcosa del passato e che i popoli dele colonie dovevano essere messi in grado
di vivere in modo indipendente. Blum
volò a Londra, in veste di Ministro degli Esteri, in gennaio, dove incontrò
Attlee ed Ernest Bevin preparando il trattato di amicizia firmato a Dunkerque nel
marzo del 1947. In gennaio finalmente fu
eletto Presidente della Repubblica Vincent Auriol mettendo fine al governo
provvisorio Blum. Nonostante la sua breve durata, questo fu un governo molto
apprezzato. Blum tornò a dedicarsi al suo Le Populaire.
Nonostante avesse buoni rapporti con gli Stati Uniti già dai tempi del
Fronte popolare, Blum diventò critico del ruolo che gli States si stavano
ritagliando a sceriffo del mondo: “La pace non sarà e non può essere un atto
di potere di un singolo Stato – anche se è lo Stato più forte, più ricco e il più
idealisticamente pacifico del mondo”. Intanto al governo provvisorio Blum successe
il governo di coalizione guidato dal social-riformista Paul Ramadier con la
partecipazione dei comunisti. In aprile scoppiarono gli scioperi alla Renault
guidati dai sindacati comunisti. La crisi di governo si protrasse fino al voto
di sfiducia del 2 maggio 1947 da parte dei comunisti. Blum, al contrario di
Mollet, era dell’idea che il governo Ramadier dovesse continuare a governare
senza i comunisti e ottenne la maggioranza nella SFIO. I comunisti, passati
all’opposizione, attaccavano apertamente il Piano Marshall che ai loro occhi
era un espediente per spostare la Francia sotto l’influenza americana. Vedendo
la debolezza del governo e gli attacchi dei comunisti, de Gaulle organizzò un
suo schieramento il Rassemblement du Peuple Française (R.P.F.), dove,
per chi ricorda la storia francese, il parallelismo con i boulangisti è
d’obbligo. Per Blum questo era un campanello d’allarme. La situazione degli
scioperi però stava peggiorando e ora il ministro (socialista) degli Interni
Jules Moch era chiamato a sedarli, cosa che fece chiedendo l’intervento
dell’esercito, e questo fece cadere il governo Ramadier. Il 21 novembre 1947 Blum, nel cercare di
ottenere l’appoggio dei repubblicani, tenne il suo ultimo discorso al Palazzo
Bourbon. Dal suo discorso si evinceva quanto loro, i repubblicani e i
socialisti, fossero bloccati tra l’incudine e il martello, ovvero tra i
comunisti e i gaullisti. I repubblicani però non credevano de Gaulle fosse una
vera minaccia. Blum tornò a una carica di vicepremier nel luglio del 1948 nel governo
di coalizione tra radicali e MRP, che durò solo un mese. Blum ora incominciava,
sfiduciato, a vedere come queste coalizioni fossero un succedersi di vani
tentativi di stabilizzare la situazione e aveva scritto in merito nel novembre
del 1947: “Quindi passiamo da governo a governo, in teoria, liberi ogni
volta nella nostra decisione ma, di fatto, obbligati dalla gravità delle
circostanze e dei pericoli, prigionieri dei nostri doveri, che sarebbe poi il
semplice dovere repubblicano”. Nel 1949 la salute di Blum si deteriorò
obbligandolo ad una pausa anche dal suo Le Populaire. Solo nel febbraio
del 1950 i socialisti passarono all’opposizione quando il governo Bidault
rifiutò un aumento ai lavoratori ministeriali a basso salario. Il 29 marzo del
1950 apparve il suo ultimo editoriale su Le Populaire. Il 30 marzo verso
le tre e trenta del pomeriggio fu colpito da un arresto cardiaco e le sue
ultime parole furono per Janot: “Non è nulla, non ti preoccupare”. Il 2
aprile si tennero i funerali di Stato, con in testa il Presidente della
Repubblica e amico Vincent Auriol.
Conclusioni
Forse è giusto chiudere questa carrellata su Léon Blum tornando alla frase
provocatoria di Lev Trockij il quale, nel suo: “L’agonia
del capitalismo e I compiti della IV Internazionale. Programma di Transizione”
del 1938, affermava che la socialdemocrazia “di socialismo parlava solo nei
giorni di festa”. Torna così perentoriamente quello che scrivevamo nel
titolo e nell’introduzione: Blum come Jaurès così “distratti”, o
addirittura “prigionieri” nella difesa della Repubblica borghese da relegare
il socialismo ai “giorni di festa”? Il sarcasmo di Trockij è,
ovviamente, sprezzante, in quanto egli presume che la socialdemocrazia non
abbia alcun interesse reale nel transire al socialismo. Il nodo invece è
proprio questo; si è di fronte a due concezioni diverse di transizione al
socialismo, come spiegava chiaramente Blum a Tours nel 1920. Quella bolscevica unisce
definitivamente due storture al marxismo, ovvero: la gerarchizzazione eseguita col
centralismo e la concezione rivoluzionaria della conquista del potere
come fine. Potremmo aggiungere che Blanqui avrebbe potuto reclamare la
paternità di entrambe le storture, ma si priverebbe Lenin di un pragmatismo che
gli va riconosciuto, nel bene e nel male, il quale va oltre a formule
preconcette. Non accettiamo quindi la
critica di Trockij che un socialdemocratico come Blum avesse relegato il
socialismo ai “giorni di festa”; per Blum la via maestra verso il
socialismo era fatta di “modificazioni insensibili della società
capitalistica”, ma era ben cosciente che una “rottura di continuità”
sarebbe stata necessaria non escludendo l’uso, da parte del Partito[17],
della impersonale e temporanea dittatura, “basandosi sulla volontà e la
libertà popolare”, dittatura che però Blum non ammetteva come forma di
governo per il controllo del potere. Abbiamo anche visto come, in più punti,
nel 1924-26 con il dibattito sull’esercizio del potere e finalmente nel
1936-38 con il Fronte popolare, Blum fosse stato sempre chiaro nel separare la conquista
del potere dalla necessità di governo o addirittura co-governo in difesa
della Repubblica. È comprensibile come questo cozzi con la visione
rivoluzionaria neo-giacobina dei troskisti, ma allo stesso tempo cozzi anche
con quella degli intransigenti neo-guesdisti che in Francia non mancavano.
Secondo noi, quanto espresso da Blum a Tours combacia con le considerazioni
politiche contenute in più lavori su Adattamento Socialista, in primo
luogo “la necessità di dover ricorrere alla violenza è la prova ultima
dell’immaturità di quella che vuole definirsi classe lavoratrice, e altro non è
che una espressione settaria dei socialisti di varie sfaccettature”. In
quanto è solo tramite: “l’assimilazione di una mentalità veramente
democratica [che si può pensare alla] costituzione di una società
autenticamente socialista”[18].
Proprio per coerenza Blum, e prima di lui Jaurès, hanno ritenuto opportuno “difendere”
la Repubblica. Blum ammetteva che in Russia la rivoluzione andava fatta, questo
lo ammettevano tutti, da Martov a Kautsky a Turati, ma tutti loro si opponevano
all’idea di terrore imposto da una dittatura di pochi come normalità di
governo, quindi, al voler forzare il socialismo dove ancora le condizioni erano
fragili anche per il capitalismo imprenditoriale. Lenin, spesso, viene “assolto”
per via del fatto di aver riconosciuto questo errore e aver fatto un passo
indietro verso la NEP, una sorta di economia mista, di non essere colpevole
della Grande Svolta, staliniana[19]
e, soprattutto, di non aver parlato apertamente di “socialismo in un paese solo”.
Lenin non visse abbastanza a lungo per ribadire come la NEP non fosse stata
concepita come via “lenta ma praticabile”[20]
verso il socialismo nella sola Unione Sovietica. Via lenta e praticabile alla
quale sembrò credere Bucharin, concetto simile, ma non uguale, a quello
espresso da Blum di “modificazioni insensibili” del capitalismo verso il
socialismo. Bucharin però salvaguardava il suo bolscevismo giustificando il
sistema di governo della dittatura del proletariato come elemento distintivo. Ma
Blum non ammetteva una transizione naturale del sistema capitalista in uno
socialista e di certo non concepiva l’instaurazione del socialismo in un Paese
solo. E allora si capisce perché ci si trova di fronte ad un paradosso quando
il Fronte popolare prende il potere in Francia. Blum chiarisce subito con forza
che questo non è un governo rivoluzionario ed è cosciente che si deve difendere
la Repubblica dal fascismo per non regredire, ma ciò non vuol dire neanche fare
salti rivoluzionari. Singolarmente i filosovietici da un lato sono il cardine
del Fronte popolare, dall’altro non possono entrare nel governo perché l’Unione
Sovietica è in pieno approdo verso il socialismo reale e quindi non le
resta che aizzare e sedare i lavoratori all’occorrenza. Ai comunisti dissidenti
à la Trockij non rimane che invocare la spallata. I vari Lev Trockij
Daniel Guérin, ma anche socialisti come Marceau Pivert e Jean Zyromski non potevano
intendere il lavoro di Blum come puramente socialista, poiché nella loro
concezione la spallata era possibile nel ‘36 e sarebbe stata la chiave
della rivoluzione sociale. La concezione stessa dell’entrismo di Trockij è
quella di forzare un movimento politico, al meglio progressista, in uno
strumento catalizzatore. Nel 1936 le condizioni per la rivoluzione sociale non
c’erano; questa è la triste realtà, e una spallata avrebbe rigettato il
movimento dei lavoratori nella sua preistoria. Le coraggiose riforme, che
oggigiorno sembrano delle ovvietà, come: la settimana di 40 ore, due settimane
di vacanze pagate, i contratti di categoria, non furono un mero capriccio
socialdemocratico. Ne è la prova la politica neoliberale che dagli anni ‘70 del
XX secolo ad oggi ha cercato di spazzar via ogni tipo di progresso delle
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori. Noi socialisti marxisti dobbiamo
essere fieri anche di queste vittorie che non si fanno con colpi di mano e
regimi di presunto “terrore proletario”.
A nostro avviso Blum aveva ragione anche quando parlava di esercizio del
potere attuato da un governo di transizione, ma questo, lo ribadiamo, avrebbe
presupposto un forte movimento internazionale, come avrebbe potuto esserlo la
Seconda Internazionale pre-1914. L’esercizio del potere in Gran Bretagna, in
Francia, in Germania, nei Paesi Scandinavi, negli Stati Uniti e possibilmente
in altri paesi dei cinque continenti, nel secondo dopoguerra avrebbe potuto
gettare le basi per una transizione. Abbiamo invece avuto una forte regressione
e una progressiva dissociazione dei lavoratori dal Partito. Secondo noi è un
passaggio fondamentale che spiega la crisi del socialismo: la transizione da un
Partito di membri attivi ad un partito di elettori passivi. Blum
era fortemente convinto che la vera forza dei socialisti era la loro unità. È
evidente che l’unità di classe fosse per Blum più importante della sua purezza
di pensiero, qui l’insegnamento di Jaurès si sente, e la tolleranza di tutte le
sfumature diventa un elemento di forza come: “La rappresentanza proporzionale
[è] la garanzia materiale della libertà di pensiero”. Questo fu un problema
che non attraversò solo il socialismo francese. Si ebbe negli Stati Uniti tra i
puristi del Socialist Labor Party e i riformisti del Social
Democratic Party, in Gran Bretagna con la nascita del piccolo Socialist
Party of Great Britain, si ebbe notoriamente in Russia tra i bolscevichi e
i menscevichi, e in Italia tra i riformisti e gli intransigenti.
Ed è questo, secondo il nostro modesto parere, il lascito di Jaurès e Blum:
non chiudersi in piccoli ascetismi, non aspettare che la rivoluzione si
presenti, ma sporcarsi le mani, quotidianamente, diventare esperti del sistema
di governo, riconoscere che questo dovrà essere sovvertito ma dalla
maggioranza. Una partecipazione di governo non potrà che essere una misura
straordinaria e non ordinaria, ma la classe dei lavoratori e i suoi rappresentanti
devono essere presenti e far sentire la loro voce. Ciò vuol dire far parte del
Partito e non esprimere solo una preferenza elettorale, questo lo lasciamo alle
classi più o meno piccolo-borghesi. Libertà, del resto, è partecipazione.
Cesco
[1] Jeunes équipes unies pour une nouvelle
économie sociale : « Giovani squadre unite per una nuova
economia sociale ».
[2] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016
[3] Ibidem.
[4]
Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front. Lecture given to the
Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11th April
1969.
[5] George Étienne Bonnet (1889-1973): leader
dei socialisti-radicali eletto alla Camera dei deputati nel 1924 e nel 1929 e ad
altre cariche per tutti agli anni ‘30. Nel 1936 fu nominato ambasciatore di
Francia negli Stati Uniti. Nel 1937 fu nominato ministro delle Finanze nel
governo Chautempes; quindi, sotto il governo Daladier divenne ministro degli Esteri
e fece quindi parte della delegazione che trattò il Patto di Monaco. Nel 1939
venne spostato al ministero della Giustizia. Fu un forte sostenitore
dell’armistizio con la Germania e del Regime di Vichy del quale fu un
consigliere nazionale. Abbandonò la Francia prima della liberazione alleata
rifugiandosi in Svizzera. Tornato dopo essersi assicurato di non rischiare
nessuna condanna per collaborazionismo, rientrò in politica (https://www.britannica.com/).
[6] La prima moglie,
Lise, era morta nel 1931.
[7] Jaromír Nečas (1888-1945):
ingegnere civile e rappresentante del partito socialdemocratico ceco, ebbe
diverse cariche nell’Assemblea Nazionale e fu ministro della Previdenza sociale.
Durante l’occupazione si unì alla resistenza, quindi, fece parte del governo in
esilio a Londra. Malato, morì in Galles mentre la moglie e figlia costrette a
lasciare la Gran Bretagna morirono ad Auschwitz.
[8] Edvard Beneš (1884-1948): ministro degli Esteri dal 1918 al 1935, divenne
presidente della Repubblica sempre nel 1935. Cerò di creare un Piccola
Intesa per arginare l’espansionismo tedesco, si dimise dopo i Patti di
Monaco ed espatriò a Londra dove costituì un governo in esilio nel 1940. Firmò
un trattato con Unione Sovietica nel 1943 e al suo rientro nel 1946 fu travolto
dalla guerra fredda e dal colpo di stato comunista (da: https://www.treccani.it/).
[9] Sulla disfatta francese è noto che furono
compiuti diversi errori tattico-strategici da parte degli Alleati. Vi fu la
lunga fase della “bore war” o “phoney war”, ovvero otto mesi di
pochissima attività, dove non si organizzò una difesa adeguata su territorio
francese. La poca collaborazione del Belgio in questa fase non è da
sottovalutare. Quindi vi fu la fase della repentina avanzata tedesca attesa principalmente
sulle Fiandre e sul Belgio centrale e sicuramene non attraverso le Ardenne e
dunque i vari gravi errori, come, ma non solo, quelli commessi dal generale
d’armata Charles Huntziger nella difesa del fronte di Sedan. Vi sono altresì
prove della adeguatezza degli armamenti corazzati, che fermano l’avanzata dei
panzer tedeschi nella battaglia di Hannut dal 12 al 14 di maggio, infliggendo
la perdita di 163 o 165 panzer contro 105 o 121 carrarmati francesi nonostante
l’inferiorità aerea.
[10] Marx Dormoy (1888-1941): figlio del guesdiano Jean Dormoy, alla predita del
quale dovette interrompere gli studi liceali. Lavorò come operaio quindi come
impiegato al Municipio di Montluçon fino al servizio militare durante il quale
in Algeria fondò il gruppo dei Jeunesses socialistes e il giornale La
Lutte sociale. Fu richiamato nel genio durante la Prima guerra mondiale,
alla fine della quale tornò a Montluçon a organizzare un gruppo socialista. Al Congresso
di Tours firmò la risoluzione Blum. Venne eletto nel 1925 alle lezioni
municipali e nel 1931 alla morte del capolista socialista Paul Constans venne
eletto al suo posto entrando alla Camera. Nel 1934 presiedette la prima
manifestazione congiunta dei comunisti e i socialisti dove parlarono i
rispettivi leader Jacques Duclos e Léon Blum. Con il primo governo Blum, Dormoy
divenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio partecipando agli accordi
di Maignon. Quindi succedette a Salengro al ministero degli Interni al quale
rimase anche durante il governo Chautemps e il secondo governo Blum. Nel
novembre del 1937 smantellò una organizzazione fascista chiamata Cagoule.
Nel ‘38 venne eletto senatore per il suo distretto di Allier. Scettico sugli
accordi di Monaco rifiutò di entrare del governo Reynaud nel 1940. Si recò con
Blum a Montluçon, quindi, accompagnò Blum a Bordeaux. A Vichy votò contro la
concessione dei pieni poteri a Pétain, quindi tornò a Montluçon. Il 25
settembre 1940 fu arrestato e solo nel marzo del 1941 fu posto agli arresti
domiciliari a Montluçon, ma il 26 luglio 1941 degli estremisti di destra fecero
esplodere la parte dell’albergo dove risiedeva Dormoy, i colpevoli seppur
individuati non furono mai processati e vennero rilasciati (da: https://maitron.fr/).
[11] Georges Mandel (1885-1944): collaboratore, o meglio vero
e proprio braccio destro, di Clemenceau durante il suo governo di guerra.
Deputato dal 1928 al 1938 per il blocco nazionale. Ministro delle Poste nei
governi Flandin, Bouisson, Imval e Sarraut. Tornò al governo con Daladier nel
1930 come ministro delle Colonie e con Reynaud, nel maggio 1940, che lo trasferì
agli Interni. Si oppose all’armistizio, fu quindi processato a Riom, chiuso nel
forte del Portalet e consegnato ai tedeschi nel novembre del 1941, condividendo
l’appartamento con Blum a Buchenwald. Dopo l'assassinio di F. Henriot, venne
consegnato dai tedeschi ai collaborazionisti di Vichy e venne ucciso dai
miliziani di Darnand, il 7 luglio 1944 nella foresta di Fontainebleau (da: https://www.treccani.it/).
[12] Henri-Philippe-Omer Pétain (1856-1951):
ufficiale di fanteria, è colonello all’inizio della Prima guerra mondiale. È
promosso generale di divisione e quindi di Corpo d’Armata nel 1915. Fu al
comando della difesa di Verdun che gli valse la nomina a comandate delle armate
del centro. Nel maggio del 1917 divenne comandate in capo dell’esercito. A
guerra finita Pétain, vero e proprio eroe nazionale, venne nominato maresciallo
di Francia. Fu in Marocco per reprimere la rivolta di Abd el-Krīm nel 1925-26,
quindi fu nominato ministro della Guerra nel 1934 nel governo Doumergue. Divenne
ambasciatore in Spagna nel 1939. Nel maggio del 1940 fu nominato vicepresidente
di Gabinetto. Dopo le dimissioni di Reynaud, Pétain divenne capo
dell’esecutivo. Chiese l’armistizio ai tedeschi il 10 luglio 1940, dando vita
al regime di Vichy. L’Assemblea Nazionale gli conferì i pieni poteri.
Nonostante non volesse cedere ad una completa collaborazione, rimuovendo Laval
nel dicembre del 1940, lo dovette richiamare per compiacere i tedeschi
nell’aprile del 1942. Una volta sconfitti i tedeschi dagli Alleati, Pétain si
costituì alle autorità francesi. Fu condannato a morte il 5 agosto 1945 col la pena
commutata in detenzione perpetua (da: https://www.treccani.it/).
[13]Charles-André-Joseph-Marie de Gaulle
(1890-1970): una delle personalità più importanti della Francia del XX secolo.
Partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale e venne fatto prigioniero
nel 1916. Nel 1921 fu nominato ufficiale dello Stato Maggiore e nel 1929
ufficiale dell’Armata del Levante a Beirut. Dal 1932 al ‘36 rivestì la carica
di segretario del Consiglio supremo di difesa. Allo scoppio della Seconda
guerra mondiale, con grado di colonello, fu uno dei pochi ufficiali, nel
maggio, a ottenere delle vittorie sul campo, con una improvvisata divisione
corazzata, e venne quindi promosso al grado di generale. Fu quindi
sottosegretario del governo Reynaud dal giugno poi, recatosi a Londra il 18 giugno,
lanciò da lì già il suo prima appello alla popolazione francese alla
resistenza. Diventò il simbolo della resistenza e capo del Comitato francese di
liberazione nazionale. Quindi con la cacciata dei tedeschi il 15 maggio 1944 diventò
capo del governo provvisorio. Nel gennaio del 1946 abbandonò il governo e circa
un anno dopo fondò il Rassemblement du Peuple Français. Abbandonò
nuovamente la politica, ma nel 1957 con la crisi di Suez e dell’Algeria,
accetto di guidare il governo. Nel 1958 fu eletto Presidente della Repubblica
francese e con la riforma costituzionale del 1962 la repubblica prese una forma
presidenziale. Fu al centro delle contestazioni del movimento studentesco
francese del 1968. Con la sconfitta del referendum sulle riforme volute da lui,
nel 1969 si dimise e si ritirò a vita privata per una terza e ultima volta (da:
https://www.treccani.it/).
[14] “Ah, on m’avait dit que cela embêterait Léon Blum” = Ah, mi hanno detto
che questo farà arrabbiare Léon Blum.
[15] Pierre Laval (1883-1945): di semplici origini,
iniziò gli studi tardi dopo aver lavorato fino a sedici anni, divenne quindi avvocato.
Già nel 1911 è candidato tra le file socialiste e venne eletto deputato per la
prima volta nel 1914. Durante la guerra fu a favore della difesa nazionale, ma
ostile alla partecipazione dei socialisti al governo. Nel primo dopoguerra diventa sindaco di Aubervilliers,
nel ‘23 è deputato e ancora nel ‘24 ma come socialista indipendente. Poi divenne
un uomo delle istituzioni lontano dalla visone socialista: fu ministro dei
Lavori Pubblici col governo Painlevé nel 1925, sottosegretario agli Esteri nel
governo Briand sempre nel 1925 e ministro della Giustizia nel successivo
gabinetto Briand, ministro del Lavori Pubblici nel governo Tardieu, primo
ministro nel 1931, quindi ancora ministro del Lavoro nel 1932 e delle Colonie
nel gabinetto Doumergue nel 1934, quindi ministro degli Esteri nello stesso
governo e in quello successivo di Flandin. In tal veste si rese partecipe degli
accordi con il governo Mussolini nel 1935 che culminarono con gli accordi di
Stresa. Dal giugno del 1935 tornò ad essere Primo Ministro. Cercò di avvicinare
l’Italia e l’Inghilterra. Con i patti Laval-Stalin nel 1936 dovette dare le
dimissioni. Per mezzo della disfatta nel maggio del 1940 riuscì a tornare in
auge. Divenne vicepresidente del consiglio nel gabinetto Pétain, preparò
nell’ottobre del 1940 un incontro tra Pétain e Hitler. Pétain, non vedendo di
buon occhio il suo eccessivo collaborazionismo, lo allontanò dal governo, ma
per volere dei tedeschi fu ristabilito al potere nell’aprile del 1942. Con lo
sbarco degli alleati in Normandia cercò di cambiare rotta ma si dovette
rifugiare in Germania nell’agosto del 1944; quindi si recò in Spagna dove, non
bene accetto dal generalissimo Franco, si consegnò il 10 agosto del 1945 alle autorità
francesi. Venne fucilato il 15 ottobre del 1945 (da: https://www.treccani.it/).
[16] Guy Mollet (1905-1975): di famiglia
modesta, padre socialista, Guy, il quale aveva forti problemi di vista, acquisì
le nozioni scolastiche pressoché per via uditiva. Il padre, Pierre, dopo essere
mobilitato nel 1914, vittima dei gas, morì solo nel 1931 dopo una lunghissima
agonia e questo rese Mollet tendenzialmente pacifista. Dopo l’incontro con Ludovic
Zoretti entrò nella SFIO nel 1923 e intraprese la sua militanza sindacale. Avendo
continuato a studiare ottenne la laurea in Lettere nel 1931. Lavorò come pion
(tutore) per la difficoltà di trovare un posto come professore. Si avvicinò al
gruppo di Bataille socialiste. Con il patto Laval-Stalin e la rottura tra
Zyromski e Marceau Pivert, Mollet propese per le posizioni di Pivert. Fu quindi
mobilitato nel 1939 e fatto prigioniero il 17 maggio del 1940, durante la
disfatta dell’esercito alleato, rilasciato e quindi arrestato e poi rifugiato.
Venne eletto deputato la prima volta nel 1945, nel 1946 divenne segretario
della SFIO, quindi ministro nel breve governo Blum, e nel governo Pleven. Nel
1956 fu Primo Ministro di un governo di coalizione radical-socialista, che
cadde già nel 1957.Fu tra i 44 deputati che votarono i pieni potere a de Gaulle
nel 1958 (da: https://maitron.fr/).
[17] Partito per Blum è marxianamente inteso
come la classe intera dei lavoratori.
[18] Cesco. Il “Gruppo Socialista Internazionalista” sullo
scopo e la modalità del suo attivismo politico. Adattamento Socialista. 16 settembre
2022 e Dan Kolog. Karl Kautsky e il riformismo: riflessioni su un rapporto
molto complesso. Adattamento Socialista. Dicembre, 2021.
[19] Dan Kolog. LA NASCITA DELLA “NUOVA POLITICA ECONOMICA” NELLA
RUSSIA POST-RIVOLUZIONARIA. Adattamento Socialista. Marzo 2021.
[20] Dan Kolog. LA NASCITA
DELLA “NUOVA POLITICA ECONOMICA” NELLA RUSSIA POST-RIVOLUZIONARIA.
Adattamento Socialista. Marzo 2021.
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