Léon Blum: un socialista “prigioniero” della Repubblica - Parte I - (tratto principalmente da “Léon Blum: humanist in politics” di Joel Colton)



Introduzione

Questo breve saggio vuole raccontare le vicende di un grande socialista francese, Léon Blum. Dopo aver scritto su Jean Jaurès e Gustave Hervé e aver trattato della Rivoluzione francese, di Filippo Buonarroti e della Comune di Parigi, affrontare Blum ci è sembrato un passo obbligato. È ovvio che il socialismo francese ha prodotto molto di più (non è nostra intenzione sostenere che con i nostri saggi il lettore riceva una visione completa e approfondita del socialismo francese), ad ogni modo riteniamo, seppur riconoscendone i limiti, di poter dare almeno una visione di insieme. Quindi, trattare di Blum ci permette in qualche modo di portare questa visione d’insieme fino al secondo dopoguerra. 

Ma perché studiare proprio Blum? Le ragioni possono essere molteplici. Quella che vogliamo sottolineare qui è probabilmente del tutto francese, trovando una certa tradizione nel possibilismo, ma è, a torto, spesso non riconosciuta al marxismo stesso: si tratta dell’idea di non abbandonare la lotta politica quotidiana nonostante si sia coscienti che questa non porti direttamente e brevemente alla rivoluzione sociale. Oggigiorno si incomincia ad intravedere anche tra le file marxiste una sorta di “disintossicazione” dallo schematismo marxista-leninista della rottura della macchina statale; si incomincia a riconoscere anche in Marx e in Engels una sensibilità politica più sottile. Nonostante si rinfacci spesso l’eccessivo ottimismo ai due padri della dottrina marxista, questi hanno largamente difeso l’importanza dell’istituzione repubblicana e del suo principio democratico.

Ecco, studiare Blum fa riscoprire quanto costante questo contrasto tra lotta per il socialismo e lotta per la Repubblica sia stato. Il suo primo governo, quello che andò dal giugno del 1936 al giugno del 1937, Blum lo aveva detto in tutti i modi, non era un governo socialista, non era l’inizio della rivoluzione socialista, era un governo di coalizione ed ebbe l’Italia di Mussolini, la Spagna repubblicana attaccata da Franco, la Germania di Hitler, per non menzionare l’Unione Sovietica di Stalin, “contro”; ebbe, altresì, i vincoli finanziari di Stati Uniti e Gran Bretagna, eppure mostrò un potenziale di riforme e miglioramenti delle condizioni di vita e lavorative, che fa venire i brividi. Ora, il fatto di essere costantemente “distratti” dal compito di dover salvare la Repubblica dal baratro fascista, può essere visto infatti come un grosso freno verso la socializzazione della società francese. Di fatto il governo Blum ebbe un forte appoggio della classe meno avvezza a drastici cambiamenti sociali, ovvero la classe media, o meglio una parte di questa, con forte senso repubblicano. Benjamin Tolosa Jr. riportando il caso Blum e Jaurès alla situazione delle Filippine degli anni ‘80, nota che: “Entrambi erano fermamente convinti che un impegno socialista genuino richiedesse la piena partecipazione nella vita della Repubblica (borghese) che significava anche la sua attiva difesa in tempi di crisi[1]. E questa è una buona sintesi della storia politica di Blum e probabilmente di Jaurès. Secondo chi scrive, Blum ha insegnato molto al socialismo, e aggiungerei senza problemi al socialismo marxista, e andrebbe rivalutato come molti altri marxisti che sono stati coperti per anni dalla cortina pro-bolscevizzante. 

Questo saggio è largamente tratto da Léon Blum: humanist in politics di Joel Colton. Il professor Joel Colton (1918-2011) insegnò storia alla Duke University dal 1947 fino al 1989. Quello su Blum fu il suo secondo libro; venne pubblicato la prima volta nel 1966 e tradotto in francese nel 1968. Colton è anche celebre per aver partecipato con Robert Palmer alla “A History of the Modern World”, libro di testo tradotto in diverse lingue. Il libro di Colton su Blum è alla stessa stregua del libro di Harvey Goldberg su Jaurès: un “must read”. Colton non si perde troppo su questioni come l’appartenenza religiosa o politica di Blum, ma si attiene spesso ai fatti. Ha ovviamente un occhio di riguardo per le relazioni di Blum con i paesi anglofoni, Stati Uniti e Gran Bretagna, e per il periodo relativo alla Seconda guerra mondiale, alla quale Colton partecipò come ufficiale proprio in Europa. Nell’anno della sua pubblicazione, il 1966, questo libro riportò diversi materiali inediti raccolti tra le carte di André Blumel[2], Robert Blum e la terza moglie Janot. Colton, però, è stato criticato per non aver dato adeguato spazio alla vita di Blum prima che egli scendesse in politica e di essersi concentrato troppo sulla parte post-Fronte popolare[3]. La nostra impressione è che Colton punti molto sull’effetto deleterio della politica delle 40 ore settimanali sulle vicende finanziare e quindi belliche della Francia, in qualche modo dando ragione a quanti ritenevano Blum fosse al meglio: “un grand homme mal informé[4] come fa passare l’analisi di Albert Sauvy[5]. Diversi storici hanno messo in discussione l’elemento dell’insuccesso delle politiche economiche riformiste del governo Blum come ragione della sua caduta[6],[7]. Colton ammette che con più tempo a disposizione le politiche keynesiane, messe in moto da Blum, avrebbero avuto l’effetto, positivo, come già visto per il New Deal americano. 

 

         

Famiglia e educazione, 1872-94

 

André Léon Blum era il secondo di sei figli maschi di una famiglia di negozianti ebrei-francesi, di origine alsaziana, e sulla sua presunta origine “non” francese si ebbe a che spettegolare quando divenne una personalità politica di primo piano. Blum nacque l’11 aprile del 1872 da Abraham Blum e Adèle Marie Alice Picart, nel secondo arrondissement di Parigi. Il padre Abraham si era trasferito a Parigi, con i suoi due fratelli, in cerca di fortuna negli anni ‘40 mentre la madre era nata a Parigi anch’ella da genitori alsaziani. Il padre di Léon era riuscito a fare una certa scalata sociale grazie alla sua attività commerciale, come ogni buona famiglia borghese che si rispettava erano riusciti ad acquistare una casa per le vacanze a Enghien-les-Bains, e frequentavano la sinagoga non senza un certo conformismo[8]. La famiglia Blum viveva in condizioni agiate ma non nel lusso. A quel tempo, il successo degli ebrei-francesi non era visto di buon occhio in certi strati della popolazione francese.

Il giovane Blum praticava la religione ebraica e conosceva bene i suoi riti. In riferimento alla sua idea della religione ebraica, Blum nel Novelles Conversations de Goethe avec Eckermann (in La Revue blanche nel 1909) espresse il seguente concetto: “L’ebreo ha la religione della Giustizia […]. Solo l’idea della inevitabile giustizia ha sostenuto gli Ebrei nelle loro tribolazioni. Il Messia non è nulla più che un simbolo di giustizia eterna che può abbandonare il mondo per secoli ma che non può fallire nel regnare un giorno. […]. Se Cristo predicava carità, Jehovah desiderava giustizia”. Per spiegare meglio il rapporto che Blum aveva con la sua appartenenza alla religione ebraica è utile riportare un’altra frase che scrisse, molto tempo dopo, nel 1950, ovvero, pochi mesi prima di morire: “Ci si chiede spesso […] se esiste una razza ebraica. Gli studiosi rispondono no. Ma Hitler diede una definizione incontestabile. La razza ebraica include le donne, i bambini, gli uomini che Hitler ha condannato allo sterminio totale”. Blum non si vergognava e non ripudiava certo delle sue origini ebraiche, anche quando queste gli provocarono parecchie molestie, ed è noto di come fu un sostenitore della creazione dello Stato di Israele, però si sbaglierebbe a pensare Blum come un attivista religioso, il suo attivismo fu politico e fu socialista. 

La nonna materna Henriette Cerf-Picart aveva una cartolibreria dove vendeva libri di giurisprudenza dietro al palazzo di giustizia; veniva ricordata da Léon per il suo fervente interesse per la politica. Si dice fosse stata attiva nelle insurrezioni del 48 e della Comune di Parigi del 71. Il senso di giustizia, però, Léon dichiarava di averlo acquisito dalla madre, non coinvolta come la nonna in politica ma con un forte senso morale. A dieci anni Blum iniziò gli studi al Lycée Charlemagne fino al 1889. Nel 1889 si diplomò al Lycée Henri IV, lo stesso frequentato da Gustave Hervé[9], dove conobbe André Gide e Pierre Louÿs, e incominciò a scrivere nel marzo sulla rivista La Conque fondata da Gide. Preparò il concorso d’ammissione alla École normale supérieure alla quale fu ammesso nel luglio del 1890, a soli diciotto anni. Dopodiché Blum, indeciso sul suo futuro, si iscrisse alla facoltà di Legge e a quella di Lettere alla Sorbonne. Al suo contributo letterario su La Conque unì la sua partecipazione a Le Banquet, rivista fondata da Fernand Gregh. Nacque in questo periodo tra i suoi amici il soprannome di Bob, ovvero il protagonista di un romanzo di Gide, dove Bob era un intelligente enfant terrible dalle buone maniere e di buona famiglia, questo fu il soprannome più longevo che ebbe[10].

Nel 1892 ottenne anche la laurea in lettere alla Sorbonne; quindi, si mise a studiare scienze politiche, studiando sempre legge nella quale si laureò nel 1894. Mentre per quanto concerneva la sua attività letteraria cominciò a collaborare con La Revue blanche a partire dal 1892. La Revue blanche era la rivista più importante dell’avanguardia letteraria del tempo, lì conobbe Maurice Barrès[11], una figura carismatica, simile a quella di Gabriele D’Annunzio per l’Italia. Barrès attirava, tra le altre cose, Blum per la loro passione comune per Stendhal. Blum considera Barrès il suo mentore e gli dedica nel 1892: “Les progrès de l’apolitique en France”, dove, Blum, espone il limite del socialismo nella giustizia distributiva che si scontra con l’impossibilità di mettere in comune, di sottomettere ad un principio di unità, il pensiero e la volontà individuale, mentre l’anarchismo è concreto perché si basa sulla volontà individuale. Barrès è l’ispiratore di questo modo di pensare; in quell’anno era infatti uscito l’ultimo volume della sua trilogia: “Le culte du moi”.[12] Più tardi, Blum, dichiarò ricordando quel periodo: “si deve considerare quanto fossero seduttrici le dottrine individualiste per un ragazzo molto giovane”.

Quello delle recensioni è un’attività letteraria comune in quel periodo, e Blum concilia questa attività con i suoi studi universitari[13]. Così fece conoscenza con l’avanguardia della letteratura francese. Non è un caso che i suoi primi scritti politici siano i “nuovi” dialoghi tra Goethe ed Eckermann, dove Blum si immagina questa conversazione tra il grande letterato illuminista e il bibliotecario di Weimar. Nel 1894 conseguì contemporaneamente le lauree in Legge e in Letteratura. Preparò subito l’esame di ammissione al Conseil d’État (Consiglio di Stato)[14] che passò al secondo tentativo. Quindi nel 1895 fu nominato auditeur. Divenne nel 1910 commissaire du gouvernement del Conseil d’État. Nel 1896 sposò Lise Bloch, anch’ella ebrea parigina, con la quale ebbe un figlio Robert nel 1902. Con il lavoro al Consiglio di Stato la coppia raggiunse un’ottima sicurezza economica. Per dare un’idea, Blum guadagnava pressappoco cinque volte più di un minatore. Ma la dote di matrimonio di Lise Bloch, e il contributo della sua famiglia gli permettevano di condurre una vita borghese [15]. I coniugi Blum, quindi, avevano una vita agiata, frequentavano il teatro, e i circoli intellettuali, facevano le vacanze fuori città e vivevano a pieno la belle époque[16].

 

Tra socialismo, l’affaire Dreyfus, e il Conseil d’État, 1893-1914

 

L’interesse per la politica inizia nel periodo che va dal 1894 al 1896 e culmina nel suo coinvolgimento nell’affaire Dreyfus, ovvero dal 1898 al 1905, quando, nel 1905, nonostante la nascita della Section Française de l'Internationale Ouvrière (SFIO) Blum non ha più una vera ragione di coinvolgimento attivo in politica. Continua altresì in questo periodo la sua attività di critico letterario e di autore[17]. Blum racconta che il suo primo incontro con le idee socialiste lo ebbe a quattordici anni, leggendo Les Effrontés di Emile Augier, soprattutto quando l’autore toccava il tema del principio democratico basato sul merito; si può quindi pensare che in base a ciò Blum sviluppò una idea di socialismo nel senso di pari opportunità.

In merito al coinvolgimento di Blum nell’affaire Dreyfus è noto il ruolo chiave che ebbe il bibliotecario della École Normale, Lucien Herr[18], il quale nel settembre del 1897 si recò a Enghien, per persuade Blum dell’innocenza del capitano Dreyfus. Blum convinto da Herr cercò quindi di racimolare le firme per una petizione di protesta e fu in procinto di ottenere l’adesione di Barrès quando questi si confessò del campo opposto; Blum, allora, raffreddò la sua profonda ammirazione per Barrès il quale si mostrò su posizioni patriottiche e antirepubblicane [19]. Come per Jean Jaurès[20] anche per Blum l’influenza del direttore della biblioteca della École Normale, Lucien Herr, fu determinante non solo per innescare il suo attivismo nell’affaire Dreyfus, ma anche nell’avvicinarlo al socialismo. Lo incontrò in realtà anni dopo la sua frequentazione della École, e, grazie a Herr, Blum entrò in contatto proprio con Jean Jaurès alla fine del 1897. È chiaro che l’influenza di Jaurès su Blum fu massima. Blum disse, anni dopo la scomparsa dell’eminente maestro: “In momenti difficili è sempre dalla sua memoria e i suoi insegnamenti che prendo ispirazione per le mie azioni. Non mi chiedo: cosa avrebbe fatto al mio posto? - Non ho mai avuto la presunzione di sostituirmi a lui nemmeno nel pensiero - ma mi chiedo: cosa avrebbe voluto facessi, per come sono?”.

Fu l’affaire Dreyfus a proiettare Blum nell’agone politico. Dapprima vi era stata una certa reticenza da parte sua, come di altri, di farsi coinvolgere nel caso dell’ufficiale ebreo accusato di alto tradimento, in quanto questo caso riservava non pochi appigli per l’antisemitismo, che in Francia era molto presente. Jaurès diventò ben presto la bandiera di questo movimento. Blum riporta che dal 1897 fino alla grazia concessa a Dreyfus, nel 1899, le sue energie furono totalmente dedicate a questo caso. Il 1° febbraio 1898 poco dopo il J’accuse di Émile Zola[21], Lucien Herr scrisse un articolo su La Revue blanche, non firmato, dove denunciava l’antisemitismo e il nazionalismo dietro la persecuzione di Dreyfus. Barrès lo stesso giorno sul Journal considerava lo schierarsi degli intellettuali dreyfusardi come: “uno spreco fatale nel tentativo della società di creare un'élite”[22]. Il celebre articolo di Zola, “J’accuse”, determinò però una vera svolta in favore di Dreyfus. Blum entrò a far parte della squadra legale per la difesa proprio di Zola guidata da Fernand Labori. Zola fu condannato, ma, il processo stesso servì a fare luce sui lati oscuri del caso Dreyfus. È altrettanto noto del passo falso fatto dal Ministro della Guerra Godefroy Cavaignac[23] nel negare un nuovo processo a Dreyfus, passo falso riconosciuto subito da Jaurès come lo scacco matto agli accusatori, poiché l’opinione di Cavaignac si basava su documenti falsi[24]; il governo si vide costretto a riaprire il caso e, dopo varie vicissitudini, Dreyfus fu graziato. Questo caso mostrò alla luce del giorno come la Francia stesse attraversando un’ondata di aperto nazionalismo antisemita, proprio quello che la comunità ebraica temeva. Nel febbraio 1899 Paul Déroulède e la sua La Ligue des Patriotes tentarono un colpo di Stato e il neopresidente Émile Loubet fu fisicamente assalito sempre dagli antidreyfussardi. Blum prese parte alle dimostrazioni di protesta contro questa ondata nazionalista antisemita e antirepubblicana messa in piedi dalla Action Française, dai Camelots du Roi e dalla già citata Ligue des Patriotes. La difesa di Dreyfus divenne così la difesa della Repubblica, e questo unì socialisti e repubblicani ma solo temporaneamente. Questo fatto ricorda, ovviamente, quello che succederà anni dopo con il Fronte popolare.

Nel 1899 Blum si unì al gruppo dell’Unità Socialista e i socialisti passarono dall’affaire Dreyfus all’affaire Millerand. Come è noto, Alexandre Millerand[25] decise, anche contro il consiglio di Jaurès, di partecipare al governo Waldeck-Rousseau dove sedeva il cosiddetto “macellaio” della Comune, il generale de Gallifet. Questo suscitò un gran clamore, ed è nota la ripercussione che questo affare ebbe all’interno della Seconda Internazionale culminando nella risoluzione Kautsky la quale sintetizzava in qualche modo le due posizioni estreme francesi, l’incompatibilità tra Partito Socialista e governo, sostenuta da Jules Guesde[26], e la tolleranza di tale collaborazione dettata dall’eccezionalità del caso, avvocata da Jaurès. Sempre nel 1899 Blum prese parte alla fondazione di una società editoriale, partecipando con 50 azioni per un totale di 750, dove vi erano principalmente coinvolti Herr e Charles Péguy[27]. La società produsse due riviste, la Revue socialiste, che era stata fondata inizialmente da Benoît Malon, e il Mouvement socialiste di Hubert Lagardelle[28] e Jean Longuet[29]. Pubblicò la serie della Bibliothèque socialiste per la Société nouvelle de Librairie et d’éditions. Blum scrive Les congrès ouvriers et socialiste française tra il 1900 e il 1901.

In questi anni, lo scenario socialista francese è diviso tra guesdisti ovvero intransigenti; blanquisti, guidati dal comunardo Édouard Vaillant[30], ovvero rivoluzionari; sindacalisti rivoluzionari guidati da Jean Allemane[31]; i possibilisti della Fédération des travailleurs socialistes de France di Paul Brousse[32]; infine, i socialisti vicino a Jaurès con i quali si ritrova Blum [33].

Nel 1903 inizia la sua collaborazione con la rivista Gil Blas, dove scrive un articolo a settimana e pubblica anche su un’altra rivista, La Renaissance latine, qualche critica letteraria. Nel 1904 Blum fu tra i promotori dell’apertura del nuovo giornale di Jaurès L’Humanité. Blum e Lucien Lévy-Bruhl[34] aiutarono Jaurès a trovare i fondi per l’apertura del giornale, e data la loro origine ebraica, vi fu anche una polemica iniziata dalla destra antisemita sui fondi “sospettosamente” legati alla comunità ebraica che avevano permesso la nascita de L’Humanité. I fondi per L’Humanité ammontavano a 850.000 franchi. Blum deteneva 50 azioni ed era membro del consiglio di amministrazione. Su L’Humanité scriveva la rubrica “La vie littéraire[35]. In questo periodo, nonostante le pressioni di Jaurès per far candidare Blum alla Camera, questi ne rimase fuori, assorto come era nel suo lavoro al Conseil d’État, senza contare il suo attivo impegno come critico letterario. Al Consiglio di Stato Blum fortifica la sua idea di Stato repubblicano basato sugli ideali della Rivoluzione francese e la sua idea della relazione dello Stato con il cittadino. Vede nel sistema della scuola un sistema meritocratico che permette anche a minoranze delle classi meno abbienti di rivestire cariche chiave nella macchina statale[36]. Nel 1906 uscì una raccolta delle sue critiche sotto il titolo En lisant e nel 1907 il suo lavoro Du mariage. Nel saggio Du mariage Blum mette in risalto le ipocrisie della morale borghese che vuole il matrimonio monogamico, sposarsi vergini e la disparità fra i due sessi. Ovviamente oltre a fare scandalo questo libro è attaccato perché mette in discussione la morale cattolica. Nel 1907 inizia a contribuire come critico letterario alla Grande revue. Dal 1908, come affermato critico, inizia a collaborare con la Comœdia. Nel 1911 inizierà a collaborare con il celebre quotidiano Le Matin, dove vi pubblicherà fino al 1914 più di 100 articoli. Blum frequenterà anche compositori conosciuti grazie a sua moglie Lise, come Maurice Ravel e Gabriel Fauré, il quale dedicherà una composizione a Lise Blum-Bloch. È proprio in questo ambiente di intellettuali e musicisti che i Blum incontrano Thérèse Pereyra, moglie di Edmond Mayrargues, agente di cambio e musicista. Tra Léon e Thérèse nascerà presto una relazione sentimentale: Thérèse divorzierà da Edmond e sarà un’attivista della SFIO.  L’11 ottobre del 1912 si riporta del duello tra Blum e Pierre Weber[37]: Weber era rimasto contrariato per la presenza del critico letterario e teatrale Blum alle prove del suo spettacolo e nel duello Weber venne ferito lievemente al terzo assalto. Nel luglio del 1914, pochi giorni prima dello scoppio della guerra, Blum pubblicò Stendhal et le beylisme [38]. Come riassume Joel Colton “La prima guerra mondiale e l’assassinio di Jaurès frantumarono la sua tranquillità e lo spinsero nel vortice della politica”.

Prima Guerra Mondiale, Rivoluzione bolscevica e ingresso in Parlamento, 1914-1919

Jean Jaurès fu assassinato da un esaltato nazionalista il 31 luglio 1914, alle 21:40, mentre cenava con altri socialisti al Café du Croissant. Era appena tornato da Bruxelles dove aveva tenuto un discorso per la pace alla riunione straordinaria del Bureau della Seconda Internazionale. Il 4 agosto, giorno del suo funerale, i deputati socialisti votarono, con tutta la Camera, i crediti di guerra. Le reazioni a caldo di Blum sull’uccisione di Jaurès e sulla mobilitazione del giorno seguente non sono note. È noto che il partito socialista si dichiarò favorevole alla difesa nazionale, ma contro la sua partecipazione al governo, e molti sostennero e si giustificarono dicendo che Jaurès avrebbe pensato e fatto altrettanto, ma già con la carneficina di Charleroi a fine agosto, 27.000 morti in un giorno, il partito socialista richiese di avere almeno due ministri nel governo di guerra, mentre una parte guidata da Jean Longuet e Adrien Pressemane[39] si dichiarò pacifista [40].

Tre settimane dopo, nel nome della Union sacrée, due socialisti storici entravano a far parte della coalizione di governo. Questi erano Jules Guesde il quale divenne Ministro senza portafoglio e Marcel Sembat[41], Ministro dei Lavori Pubblici del governo di Guerra guidato da René Viviani[42], ovvero il secondo governo Viviani, che durò dal 26 agosto 1914 al 29 ottobre 1915. Fu a questo punto che Sembat chiese a Blum di diventare il suo direttore di Gabinetto. Alla caduta del governo Viviani, Sembat e Guesde saranno presenti anche nel governo successivo guidato da Aristide Briand[43] fino al dicembre del 1916, con l’aggiunta di Albert Thomas[44] anche se Sembat si lamenta dell’assenza pratica di Guesde. I due non presero parte al successivo governo Briand che durò solo tre mesi. Più tardi il Partito spinse Thomas a ritirarsi.

Quindi fu il guesdista Sembat, che invitando Léon Blum a diventare il suo assistente personale, lo fece entrare ufficialmente in politica. Come anticipato, mentre all’apparenza i socialisti francesi si schierarono in blocco per la difesa nazionale, ovvero per l’Union sacrée, crebbe una minoranza, guidata da Jean Longuet e Paul Faure[45] e, come abbiamo visto Pressemane, che si espresse contro la collaborazione dei socialisti col governo di guerra. Con il prolungarsi della guerra e lo scoppio della Rivoluzione russa questa minoranza incominciò a diventare più forte. Blum rimase fedele all’Union sacrée, non vedendo in questo nessuna contraddizione, e credeva genuinamente che Jaurès avrebbe fatto lo stesso, ma allo stesso tempo non si riconosceva nella destra del partito guidata da Pierre Renaudel[46] e Albert Thomas. L’impegno di Blum nel partito si intensificò alla fine del 1916, e già nel dicembre del 1915 era entrato nella società creata da L’Humanité, degli Amici di Jaurès assieme ad Albert Thomas, Émile Durkheim, Jules Guesde, Lucien Lévy-Bruhl, Marius Moutet, Pierre Renaudel e Marcel Sembat. I critici videro questo come un modo di appropriarsi della memoria di Jaurès per giustificare la loro adesione all’Union sacrée[47]. Nel dicembre del 1916 Sembat dovette lasciare il governo a causa di una crisi ministeriale e così Blum tornò al suo posto al Conseil d’État. Il 31 luglio 1917, Blum pronunciò un discorso in memoria della morte di Jaurès dove lo si può già intravedere come possibile successore di Jaurès; entrò quindi in un gruppo centrista formato da Vincent Auriol[48], Albert Bedouce, Henri Sellier e Adrien Pressemane che spinse Albert Thomas ad uscire dal governo, e, allo stesso tempo, limitava l’influenza della minoranza di sinistra favorevole alle risoluzioni di Zimmerwald e Kiental.

Su La Revue de Paris nel dicembre 1917 e ancora nel gennaio 1918, escono tre lettere di Blum sulla riforma del governo, non firmate. Blum analizza l’esperienza fatta durante il mandato di Sembat. Per Blum la governabilità deve essere migliorata, lo specialista deve sapere leggere una legge finanziaria, stabilire una tariffa doganale e saper redigere un testo penale. Blum si dichiarava per un governo parlamentare con più potere per il capo del governo nello scegliere i ministri, organizzare il Gabinetto, e limitare l’azione di procrastinazione del Senato. Alla fine del 1917, con la Rivoluzione bolscevica, mentre Albert Thomas sembrava propendere per la posizione del presidente degli Stati Uniti, Wilson, piuttosto che per Lenin, Blum rispondeva: “Non scelgo nessuno dei due. Scelgo Jaurès. […] Rimaniamo socialisti rivoluzionari senza essere contaminati minimamente dal mondo bolscevico.” Blum si affermò quindi nella posizione centrista della SFIO, posizione che lui sapeva sarebbe stata quella di Jaurès.

Con la formazione del governo Clemenceau, i socialisti passano all’opposizione ma, il partito è frazionato, e la sinistra guidata da L. O. Frossard[49], segretario, con Longuet e Marcel Cachin[50], ebbe una lieve maggioranza, al Congresso del 1918. Cachin, infatti, al Congresso dell’ottobre, prese il posto di Renaudel alla direzione de L’Humanité. Allo stesso tempo vi fu la rottura tra Blum e la destra del partito guidata da Albert Thomas, il quale considerava il bolscevismo l’opposto del socialismo che deve essere invece solo riformista. Per Blum il socialismo è rivoluzionario anche se si impegna nelle riforme [51]. Blum era convinto che il suo rientro nella politica di partito era dettato dalla necessità di continuare il ruolo unitario che aveva rivestito Jaurès. Nell‘ottobre del 1918 quindi presiedette a una commissione di 52 rappresentanti di Partito con il compito di scrivere un nuovo programma “d’azione”. Fu celebre anche il suo intervento al Congresso di Parigi dell’aprile del 1919 dove espose il nuovo programma e si espresse nuovamente per la riconciliazione. Il programma conteneva la prospettiva rivoluzionaria così come valorizzava le riforme del lavoro, ma i critici denunciavano che quello operato da Blum era un tentativo di conciliare due correnti opposte. Allo stesso Congresso si decise di ricostruire la Seconda Internazionale mentre cresceva nel Partito una tendenza pro-Terza Internazionale. In autunno Blum pubblicò, per l’editore de L’Humanité, un opuscolo Pour être socialiste, il quale era una presentazione didattica della dottrina marxista e di interpretazioni personali, scrive Blum: “il socialismo è quindi una morale e quasi una religione, più che una dottrina[52]. In questo opuscolo Blum raccoglie anche l’esperienza fatta al ministero durante la guerra. La SFIO si presentò alle elezioni del novembre del 1919 sorprendentemente unita, per necessità, ma anche grazie al programma d’azione al quale Blum aveva contribuito. La SFIO però non si coalizzò con i radicali e la vittoria andò al blocco nazionale. I socialisti, che in termini assoluti avevano preso trecento mila voti in più del 1914, riportavano solo 68 seggi contro i 102 delle passate elezioni. La Prima guerra mondiale determinò un avvicinamento della CGT alla SFIO; il sindacato confederale abbandonava così le idee sindacaliste rivoluzionarie, anche la Federazione Nazionale delle cooperative di Consumo (FNCC) si avvicinò la SFIO. Queste tre organizzazioni, quindi, parteciparono ad un Comitato d’Azione che si prefiggeva di contrastare l’inflazione.[53]

Alle già citate elezioni del 1919 Blum si era candidato, come terzo nome, in una lista di dodici nomi presentati dal Partito nel secondo settore elettorale del dipartimento della Senna. Nella sua campagna attacca Barrès candidato dell’opposizione nel blocco nazionale. Dei dodici solo tre saranno eletti, incluso Blum, eletto, quindi, nel dipartimento della Seine entrando per la prima volta in parlamento all’età di 47 anni. La sua capacità oratoria era molto vicina a quella del compianto Jaurès, e diventò presto il segretario del Gruppo Parlamentare socialista. A causa della sua elezione in parlamento dovette però lasciare il Conseil d’État e incominciò ad arrotondare il compenso parlamentare, con la pratica privata di avvocato. Inoltre, dovette abbandonare la carriera di critico letterario intraprendendo quella di giornalista.

La Seconda Internazionale fu però abbandonata al Congresso di Strasburgo nel febbraio del 1920 e una delegazione fu mandata a Mosca nonostante che non fosse stata raggiunta la maggioranza in favore dell’ingresso della SFIO nella Terza Internazionale. Marcel Cachin e Ludovic Frossard si recarono a Mosca e parteciparono come osservatori al Secondo Congresso della Terza Internazionale dove furono approvati i ventuno punti di ammissione. Avendo analizzato la scissione di Livorno del gennaio del 1921 si possono notare diverse similitudini ma anche molte differenze [54]. Per esempio, il Partito Socialista Italiano aveva ufficialmente già aderito alla Terza Internazionale, infatti i suoi membri come Serrati e Bordiga vi potevano partecipare attivamente. I Socialisti Italiani avevano riportato una clamorosa vittoria nelle elezioni del 1919 nonostante questo non gli desse la maggioranza al governo. Il gruppo riformista italiano era ben identificabile e Mosca aveva chiesto la “testa” di Turati e compagni, mentre per i francesi la richiesta di Zinov’ev delle teste di Longuet e Paul Faure arriva a Congresso in corso. Si ricordi che la SFIO era apparsa unita in ragione delle elezioni della fine del 1919, ma le ventuno condizioni catalizzarono spaccature già presenti al suo interno. Da un lato gli entusiasti come Frossard e Cachin che accettavano le condizioni perché i bolscevichi avevano tutti i diritti, come trionfatori, di determinare la forma della nuova internazionale. Poi vi erano quelli che prevedevano che accettare i ventun punti avrebbe significato subordinare la SFIO ai bolscevichi, e quelli come Longuet e Paul Faure, che avrebbero voluto aderire con riserva, il che era proprio quello che i ventun punti volevano evitare. Infine, vi erano quelli che non volevano aderire. Blum si schierò dalla parte di questi ultimi. Ammetteva che l’ingresso avrebbe comportato la completa accettazione delle condizioni dettate da Mosca e che questo avrebbe snaturato la SFIO bolscevizzandola.

 

 

Congresso di Tours, 1920

 

Blum presenta assieme a Bracke[55] (Alexandre Desrousseaux), Barthélémy Mayéras e Dominique Paoli, ma anche Sembat e Renaudel, una mozione a nome del Comitato di resistenza socialista, l’11 novembre 1920. Con questa mozione si vuol difendere la rappresentanza delle minoranze in seno all’organo dirigente, rifiutare la componente clandestina, rispettare l’autonomia del movimento sindacale, distinguere la presa del potere politico dalla rivoluzione, la quale necessita di un cambiamento globale della società. Il quarto punto condanna la violenza del terrore in nome della dittatura del proletariato, inoltre la mozione vuole evitare le guerre di razza cercando di mitigare le politiche coloniali. L’ultimo punto sulla questione agraria riconosce il ruolo della piccola proprietà contadina. Ma questa mozione non riceve molti voti[56] e la mozione di “resistenza socialista” Blum-Paoli non fu messa ai voti al Congresso di Tours. Meriggi spiega che vi sono due movimenti che spingono per l’adesione alla Terza Internazionale, uno guidato da Fernand Loriot[57], sindacalista degli insegnanti e Pierre Monatte vicino al vecchio sindacalismo rivoluzionario e l’altro guidato da Jean Longuet[58].  Blum parlò il 27 dicembre come portavoce del suo gruppo. La posizione di Blum era molto vicina ai cosiddetti riformisti italiani di Turati, così come ai centristi tedeschi di Kautsky o ai menscevichi russi di Martov, per la difesa del socialismo democratico contro il centralismo dittatoriale del comitato centrale, per la rivoluzione anche accettando un periodo di dittatura di classe ma solo quando il capitalismo avesse raggiunto lo stadio di sviluppo che avrebbe consentito tale trasformazione. Per Blum i bolscevichi credevano nell’insurrezione nella migliore tradizione blanquista confondendo la presa del potere con la rivoluzione sociale. Blum era cosciente che: “Mosca non crede per nulla che le condizioni per una totale trasformazione rivoluzionaria si sono realizzate in Russia. Conta sulla dittatura del proletariato che guidi una sorta di maturazione forzata nonostante il precedente stato di evoluzione economica”. Per Blum quindi i bolscevichi concepivano il terrore, non come ultima risorsa, ma come un mezzo di governo. Blum non nascose l’imbarazzante argomento della difesa nazionale, difendeva la scelta di difesa nazionale anche in un contesto socialista e infine ammoniva che questo era uno spartiacque che avrebbe messo in discussione la sopravvivenza del socialismo stesso.

Il discorso di Tours 27 dicembre 1919 pubblicato il 28 sull’Humanité:

Blum inizia il suo discorso ammettendo l’insolita e ingrata posizione di dover difendere una causa che è già ufficialmente persa. Quindi continua facendo notare che il socialismo portato avanti dalla Terza Internazionale è qualcosa di nuovo, che, spiega Blum, “si fonda su idee erronee e contrarie ai principi essenziali e invariabili del socialismo marxista.”. In primis generalizza, su campo internazionale, l’esperienza russa. Blum va subito al sodo, gli statuti della SFIO dicono chiaramente che la sua direzione appartiene al Partito stesso, ovvero, è espressione della volontà dei militanti. “Si parla di capi. Ma non c’erano capi. Non c’erano capi nel Partito socialista. Su quelli che erano chiamati capi si esercitava o poteva esercitarsi il controllo. Far agire le disposizioni statutarie su questo punto dipendeva - e dipende ancora - dai militanti.[59] Blum spiega l’essenza del Partito come intesa da Marx ed Engels, ovvero essa è la classe operaia intera; quindi il partito deve unire con formule semplici: chi è per la sostituzione del capitalismo con un altro sistema e vuole attuarla è socialista e il Partito deve tollerare tutte le sfumature di pensiero, poiché il fine del partito è “l’unione di tutti i proletari di tutti i Paesi.”. Quindi: “La rappresentanza proporzionale era la garanzia materiale della libertà di pensiero”. Per Blum la gerarchizzazione, ovvero la centralizzazione, “è una pura e semplice eresia.”. Blum lega a questo anche la richiesta della Terza Internazionale di avere una organizzazione clandestina, che porterebbe il controllo direttamente nelle mani del Comitato Esecutivo della Terza Internazionale. Stesso problema si pone per la questione sindacale. “La questione sindacale dipende dalla stessa mentalità di disciplina e omogeneità, anche a scapito del numero.” Blum sostiene che un sistema socialista si giudica: “in base alla sua concezione della rivoluzione” e non conosce “in Francia” un socialismo che non sia rivoluzionario, dove rivoluzione significa: “trasformazione di un regime economico fondato sulla proprietà privata in un regime fondato sulla proprietà collettiva [e] non sarà il risultato di una serie di riforme giustapposte le une alle altre […]. La trasformazione sarà dunque necessariamente preparata dalle modificazioni insensibili della società capitalistica […] quando si sarà arrivati alla questione essenziale […] ci vorrà una rottura di continuità, un cambiamento assoluto, categorico […] questa rottura […] ha come condizione necessaria ma non sufficiente la conquista del potere politico. […] Con tutti i mezzi, compresi quelli legali […] concezione rivoluzionaria […] che era quella di Jaurès, di Vaillant, di Guesde […]”. Oltre all’errore riformista Blum sottolinea l’errore bolscevico secondo lui essenzialmente anarchico. Ovvero “pensare che la conquista dei pubblici poteri è un fine in sé stesso mentre è solo un mezzo, solo una condizione, che sia l’opera mentre ne è solo il prologo”. Spesso ricordato per non essere un teorico marxista, Blum dimostra come le tesi di Lenin siano di matrice anarchica. “Lenin pensa che fino a quando il dominio della classe capitalista sulla classe operaia non sarà spezzato con la violenza ogni sforzo per unificare, educare è organizzare resterà vano. Ne deriva l’imposizione imperativa della presa del potere, subito […]. Concepisco questa posizione […] quando […] non era stata fatta nessuna propaganda efficace. […] Ma nei nostri Paesi occidentali, la situazione è davvero la stessa?”.  Blum, quindi, fa notare che questa tattica della conquista del potere e dell’organizzazione d’avanguardia è una tattica blanquista che in Francia non ha portato “nemmeno […] a occupare una caserma dei pompieri sui boulevard de la Villette”. Ancora più argutamente Blum fa notare il ruolo delle masse inorganiche che un giorno seguono Boulanger e un altro Clemenceau. Blum infine tocca uno dei nodi principali affermando che “noi” ovvero quelli contro l’adesione alla Terza Internazionale: “Non abbiamo dunque paura né della parola [dittatura] né della cosa. […]. Aggiungo che, personalmente, non penso - anche se l’hanno scritto Marx e più di recente Morris Hillquit - che la dittatura del proletariato sia tenuta a conservare una forma democratica. […]. La dittatura è il libero potere concesso a uno o più uomini di prendere tutte le misure che una determinata situazione comporta. […] non è assolutamente possibile determinare in anticipo quale forma assumerà”. Con questo, Blum, si spinge a dire che per lui non è neanche un problema che si esprima come la dittatura di un partito come accade in Russia, contro la credenza che voleva fosse esercitata dai Soviet. “Dittatura di partito sì, ma di partito organizzato come il nostro e non come il vostro. […] Una dittatura esercitata basandosi sulla volontà e la libertà popolare, sulla volontà delle masse e quindi dittatura impersonale del proletariato. Non una dittatura esercitata da un partito centralizzato dove l’autorità sale di livello in livello e finisce per concentrarsi fra le mani di un comitato palese o occulto.” Blum sottolinea la natura impersonale, temporanea e provvisoria della dittatura. Mentre Blum ammonisce che la dittatura che i bolscevichi hanno in mente non è temporanea ma è il sistema di governo normale; “voi concepite il terrore non solo come un’estrema risorsa, come una misura di salute pubblica imposta dalle resistenze della borghesia, come una necessità vitale per la Rivoluzione, ma come uno strumento di governo.” In ultimo non si esime di chiarire che internazionalismo non significa non rinunciare alla difesa nazionale che vede come dice la parola stessa in difesa ad una aggressione. “Io non so se sono o non sono un capo del Partito socialista. Non me ne rendo conto. So che vi occupo un posto che comporta responsabilità […], i capi sono solo delle voci che servono a parlare più forte in nome delle masse; sono solo delle braccia che servono ad agire più direttamente in nome della folla. Tuttavia, hanno un diritto e un dovere. Sono al servizio della volontà collettiva. Ma questa volontà essi hanno il diritto di cercare di riconoscerla e di interpretarla.”[60].

Ironicamente per Longuet e Faure, che propendevano per l’ingresso nell’Internazionale, un telegramma da Mosca firmato da Zinov’ev e altri membri dell’Esecutivo ordinava l’esclusione di Longuet e Faure stessi e del loro gruppo. Infine, la mozione Loriot, Souvarine, Cachin e Frossard ottenne 3.208 voti, ovvero il 68%, l’emendamento Leroy l’1%, la mozione Longuet ottenne 1.022 voti, ovvero 22%, la mozione Pressemane 1%, e l’8% furono gli astenuti[61]. La vittoria della risoluzione Loriot, Souvarine, Cachin e Frossard, che poi passò alla storia come la risoluzione Cachin-Frossard, risultò nella scissione di Tours, mettendo fine al partito unitario di Jaurès. La risoluzione Blum fu ritirata. Il Partito Comunista Francese membro della Terza Internazionale in quanto maggioranza di partito ereditò L’Humanité. Sembat commentò: “Il Congresso di Tours fu il secondo assassinio di Jaurès”, questo avveniva circa 15 giorni prima della scissione di Livorno.

Malgrado più della metà dei membri della SFIO andarono nel nuovo Partito Comunista le cariche ufficiali erano principalmente rimaste nella SFIO, ovvero cinquantacinque deputati, molti amministratori locali e molti leader delle sezioni federali. La SFIO però non assunse una politica puramente riformista e sottolineò la sua matrice rivoluzionaria. La SFIO stava ancora facendo i conti con la collaborazione di classe che aveva adottato durante la guerra con l’Union Sacrée. Il segretario della SFIO divenne il neo-guesdista Paul Faure che assieme a Jean Longuet contrastavano la frazione riformista, molto presente tra il gruppo parlamentare e guidata da Pierre Renaudel, Albert Thomas e Joseph Paul-Boncour. Sia gli intransigenti che i riformisti non avrebbero rappresentato tutto il partito. Blum, nonostante il suo aspetto e modi sofisticati, la sua condizione economica, per alcuni troppo agiata, era l’unico vero erede di Jaurès e la sua conoscenza, cultura, e la sua onestà intellettuale lo proiettavano verso quel ruolo così difficile. Nonostante che Blum non cercò di colmare il vuoto lasciato da Jaurès fu il vuoto stesso che si indirizzò verso di lui. Avendo il Partito Comunista ereditato L’Humanité di Jaurès, Blum e altri membri della SFIO fondarono Le Populaire nell’aprile del 1921. Questo giornale ebbe però vita difficile per la cronica mancanza di fondi. Per diversi anni Le Populaire veniva acquistato per l’editoriale di Blum in prima pagina e per gli annunci delle riunioni delle sezioni sull’ultima pagina. Altra conseguenza di Tours fu che nel 1921 si determinò la scissione della CGT, dando vita alla CGT comunista, ovvero la CGTU. La CGTU riprendeva alcuni temi del sindacalismo rivoluzionario anteguerra[62].

Esercizio del potere? Dal 1923 al 1934

 

In parlamento Blum costituiva l’esempio della opposizione costruttiva e non di principio e questo gli veniva riconosciuto anche da personalità prominenti come Raymond Poincaré[63]. Quando, nel 1923, a causa della bancarotta tedesca e dell’impossibilità di pagare i debiti di guerra Poincaré decise l’occupazione della Ruhr, Blum si oppose fermamente ammonendo il buon gioco che ne avrebbero fatto gli elementi nazionalisti e fanatici tedeschi. Fu però additato come “agente dei Boches”. L’Internazionale operaia socialista nasceva ad Amburgo nel 1923, la SFIO ne fu un partito costituente, Bracke è nel bureau della Internazionale socialista e Longuet nel Comitato Esecutivo. Al Congresso di Marsiglia del 1924 il partito sceglie quale delle tre strategie elettorali seguire: entrare nel Cartel des gauches con i radicali e i repubblicani-socialisti, rimanere autonomi, o allearsi con comunisti dissidenti.[64] Blum, come Faure e Longuet, era dell’idea di non mischiarsi troppo con i radicali, come avrebbero invece voluto i riformisti, chiedendo un programma minimo comune, e di coalizzarsi solo per un mero calcolo elettorale. Venne a formarsi il Cartel des gauches. Le elezioni sono vinte per numero di seggi dalla coalizione del Cartel des gauches anche se per numero di voti la destra ne aveva ottenuti di più. Il partito socialista guadagna 104 seggi (dai 55 rimasti), i radicali 140, i repubblicani-socialisti 44 e i comunisti 26. Il leader radicale Édouard Herriot[65] cercò in Blum un collaboratore per formare il nuovo governo, ma dopo le consultazioni con il gruppo dirigente socialista non si trovò, o non si volle trovare un accordo, non per responsabilità di Herriot, e i socialisti della SFIO rimasero fuori dal governo. Molti elettori del Cartel non avevano apprezzato questa “marcia indietro” anche giudicando il fatto che l’anti-ministerialismo era oramai una politica pre-1914, ma Blum difese questa scelta in virtù dell’unità di Partito, dove la corrente neo-guesdista era ancora molto forte, e dell’idea che una collaborazione col governo radicale dall’esterno, da parte di un partito unito, sarebbe stata più efficace. Questo periodo può essere visto, e fu visto, con ironia dallo stesso Blum negli ultimi anni della sua vita, proprio per la partecipazione negli anni successivi ai numerosi governi di coalizione.

Inizialmente la SFIO appoggiò il governo radicale per forzare le dimissioni del Presidente della Repubblica Alexandre Millerand, diventato oramai decisamente di destra. Lo appoggiò anche nella campagna anticlericale e nel suo sostegno alla Lega delle Nazioni e quindi nella sottoscrizione del protocollo di Ginevra e del trattato di Locarno del 1925. Ma sulla politica finanziaria portata avanti dai radicali di Étienne Clémentel, i socialisti non si potevano trovare d’accordo. Al Congresso di Parigi nella Salle Bellevilloise nel gennaio del 1926 fu ridiscussa la nuova proposta di Herriot ai socialisti di partecipazione al governo. Blum, ora, pur ammettendo che il fine massimo, per i socialisti, rimaneva la conquista del potere e la rivoluzione sociale, ammetteva che si sarebbe potuto allo stesso tempo “esercitare il potere” in un contesto borghese e che in certe circostanze ciò diventasse inevitabile, come quando il partito fosse diventato maggioritario. Uno dei rischi più grandi di andare al governo, però, sosteneva Blum, era che la classe lavoratrice avrebbe potuto confondere “l’esercizio del potere” con la “conquista del potere”, e, l’altro rischio, sarebbe stato quello di accettare responsabilità per la società capitalista e il suo sistema economico, di fatto avversi alla natura socialista del Partito. Per Blum: “L’esercizio del potere all’interno delle istituzioni capitaliste è e sarà sempre una esperienza particolarmente dolorosa e difficile per i partiti Socialisti”. La sola ricompensa di prendere parte al governo sarebbe stata l’accelerazione delle riforme e l’occasione di dimostrare di essere diversi dagli altri partiti. Nel caso in cui i socialisti avessero preso parte al governo in un ruolo minoritario però il rischio sarebbe stato anche quello di doversi difendere. Aggiungeva Blum profeticamente: “Lo faremo domani ugualmente se i pericoli del fascismo, o della controrivoluzione, diventassero improvvisamente allarmanti.”. Ma per Blum l’esercizio del potere in queste circostanze parlamentari non avrebbe significato cette espèce d’escroquerie[66] da trasformarsi nella conquista del potere. La risoluzione Blum uscì vittoriosa dal Congresso socialista e prevedeva la possibilità per la SFIO di formare un governo sì ma di non partecipare in uno assieme ad altri partiti, cosa che scontentava i riformisti di Renaudel. Alle elezioni generali del 1928 Blum perse il seggio del ventesimo arrondissement a vantaggio di Jacques Duclos, candidato comunista.  Quindi il 3 marzo 1929 Blum annunciò ai socialisti di Narbonne (in Occitania) la sua candidatura alla elezione legislativa parziale per la dipartita del deputato socialista Yvan Pelissier. I comunisti presentarono un candidato sostenuto direttamente da Cachin. Ma Blum, che ora per i comunisti è l’avvocato “social-fascista”, vince con 3651 voti a favore contro 304 [67]. Un’osservazione importante riportata da Joel Colton è che nel 1929 si era creata una discrepanza tra il numero di membri della SFIO e il numero di elettori, rapporto di 1 a 5; cosa atipica se paragonato ad altri paesi come il Belgio, l’Austria e la Germania.

Nell’ottobre del 1929 il leader radicale Édouard Daladier[68] offrì metà dei ministeri ai socialisti, e, questa volta, il gruppo parlamentare socialista votò a favore, mentre Blum aveva dichiarato: “il potere è qualcosa che non si condivide” e il Comitato Esecutivo del Partito, guidato da Paul Faure, aveva votato contro la decisione dei deputati. Fu indetto un Congresso nazionale speciale nel gennaio del 1930. I riformisti Pierre Renaudel e Marcel Déat[69] erano a capo della corrente collaborazionista. Déat sosteneva che l’esercizio del potere di Blum era solo una scusa per mantenere i borghesi al potere. Déat sosteneva che, partecipando, il Partito avrebbe effettivamente provato a stabilire il socialismo. Blum e Faure rimasero sulla posizione più pura di esercizio del potere, ovvero, o da soli o in posizione maggioritaria dentro una coalizione di sinistra, eccezion fatta se vi fossero state “circostanze eccezionali” appunto, e la loro posizione prevalse al Congresso, con 2.066 voti contro 1.057. Questo voto determinò anche la fine del Cartel.

Nelle elezioni generali del 1932, probabilmente anche in reazione della grande depressione, i due maggiori partiti di sinistra ebbero un’importante vittoria, i radicali con 160 seggi e i socialisti con 131. Blum fu rieletto facilmente. Questa volta però i radicali non si mostrarono più aperti ad una coalizione. Paradossalmente, date le circostanze di crisi e crescente estremismo di destra, erano i socialisti a cercare la partecipazione. Blum spiegava che questa volta c’erano le famose circostanze eccezionali. La SFIO annunciò ufficialmente un programma di nove punti, i “cahiers de Huyghens”, dal Congresso del giugno 1932, nel quale si affermava che il Partito avrebbe collaborato con i radicali di Herriot. Ma il programma era troppo estremo per i radicali e Herriot lo rigettò. Il governo Herriot di soli radicali ricevette un breve sostegno dai socialisti e nel dicembre cadde. La decisione politica di non sostenere Herriot sulla questione del prestito di guerra statunitense fu una decisione che afflisse Blum anche sul lato personale. Nel gennaio del 1933 Daladier offrì di condividere il Gabinetto con i socialisti. Il Gruppo parlamentare socialista votò a favore, mentre contrario fu Blum sempre in virtù del programma dei cahiers de Huyghens. Il Gruppo Socialista chiedeva a Daladier di rispettare almeno lo spirito del programma di Huyghens, ma ricevette un rifiuto. Di conseguenza i socialisti non accettarono per l’ennesima volta di partecipare al governo. In questo periodo le tre correnti dominanti nella SFIO erano quella dei rivoluzionari di Jean Zyromski[70] e Marceau Pivert[71], i centristi di Paul Faure e Blum, la destra riformista di Pierre Renaudel. Blum voleva mantenere una identità rivoluzionaria per il Partito, non un Partito di riforme ma neanche un partito di opposizione sistematica. Nel 1933 quando Hitler era ormai salito al potere in Germania, e la SFIO rifiutava ancora la partecipazione al governo, Blum spiegava che il Partito doveva essere per: “la pace e il disarmo[72], nonostante ammettesse che nel regime capitalista il concetto di difesa nazionale fosse concepibile, sosteneva altresì che si doveva dare un esempio di antimilitarismo e internazionalismo. Blum vedeva nel riarmo francese il rischio dell’aggravarsi della “psicosi di guerra”. L’unico modo per prevenire la guerra era disarmare. Questa posizione del 1933 gli fu rinfacciata nel 1940 quando la Germania invase con successo la Francia. Ma già al Congresso di Avignon nell’aprile del 1933, Blum promosse una risoluzione di compromesso che cercava di difendere i principi antimilitaristi (quindi pro-disarmo) ma permetteva della flessibilità. Inoltre, la corrente di Renaudel votò la legge finanziaria del governo Daladier che includeva il riarmo ampliando la spaccatura nel Partito.

Al Congresso di luglio Adrien Marquet[73] attaccava la posizione internazionalista e pacifista di Blum sostenendo che per contrastare il fascismo dilagante bisognava accettare “la nuova realtà della nazione”. Blum rispondeva che era spaventato da questo discorso è che gli sembrava proporre un programma “nazional socialista” ammonendo: “Devo mettervi in guardia contro i pericoli dell’affermazione di Marquet […] il pericolo che nella nostra opposizione al fascismo finiamo per adottare il suoi metodi e addirittura la sua ideologia”. Déat e Marquet principali oppositori di Blum in questo periodo, durante l’occupazione tedesca, diventeranno collaboratori dei nazisti. Blum era dell’idea che prendere il potere per una sorta di colpo di stato difensivo contro il fascismo fosse sbagliato come fosse illusorio che tale pretesto avrebbe portato al socialismo. Nell’ottobre del 1933 il governo Daladier aveva introdotto una proposta di legge di taglio dei salari e delle pensioni per gli impiegati statali ricevendo il voto contrario dei socialisti, nonostante la frazione di Renaudel avesse votato a favore. Il governo cadde ma 28 deputati e 7 senatori dissidenti furono espulsi dal Partito. Questo fece perdere circa 20.000 membri alla SFIO.

 

Il 6 febbraio 1934

 

Pochi mesi dopo la scissione di novembre, nel gennaio del 1934, il radicale Camille Chautemps[74] rimase vittima dello scandalo Stavisky[75] e questo facilitò la rivolta del 6 febbraio quando Daladier rimosse un ufficiale di polizia simpatizzante per le forze di destra. Le forze di destra presero d’assalto il Palazzo Bourbon e gli scontri con la polizia provocarono 14 vittime tra i rivoltosi e una tra le forze dell’ordine. Daladier si dimise il 7 di febbraio, e ricorderà che solo Blum gli diede supporto nelle ore successive alla sommossa del 6, quando il 7 mattina Blum chiedeva a Daladier di rimanere in carica e che avrebbe potuto contare sul supporto socialista anche al Gabinetto. Daladier non voleva instaurare la legge marziale e per questo preferì dimettersi, Blum insistette che la legge marziale andava imposta e controllata dal parlamento, perché era dovere del Gabinetto repubblicano difendere l’assemblea rappresentativa. A Daladier succedette Gaston Doumergue che andò a formare un Gabinetto di “Unione nazionale”, ma i socialisti di Blum rifiutarono e passarono all’opposizione. Però la rivolta del 6 febbraio aveva impressionato Blum che ora pensava possibile l’ipotesi che le forze fasciste avessero la potenza e l’organizzazione per diventare una minaccia concreta. I comunisti, che all’inizio delle dimostrazioni del 6 erano scesi in piazza contro il governo Daladier e contro i socialisti, il 9 avevano organizzato una dimostrazione contro gli eventi eversivi delle forze di destra. La CGT indisse uno sciopero generale per il 12 di febbraio. Vi furono dimostrazioni in tutta Francia, addirittura, comunisti e socialisti unirono i cortei. È celebre l’apparizione di Blum al corteo dove a tutta voce gridava:

Citoyens la preuve est faite ! La province soulevée tout entière, Paris rassemblé dans cette manifestation signifient aux hommes du fascisme et du royalisme qu’ils ne passeront pas ! La réaction ne passera pas ! Vive la République des travailleurs ! Vive la liberté ! Vive l’unité prolétarienne sans laquelle aucune victoire n’est possible. Vive le peuple ouvrier de Paris !”.[76]

Ad ogni modo la convivenza tra comunisti e socialisti risultava molto difficile, dato che Blum e Faure vedevano i comitati antifascisti comunisti come un modo per indebolire la dirigenza della SFIO. Nonostante gli sforzi di convergenza che costarono l’espulsione a Jacques Doroit, i due partiti rimasero distanti. Però in Germania con la stretta nazista sui comunisti, come in Austria con la sconfitta dei socialdemocratici, la situazione sembrava gridare a gran voce a favore dell’unità con i comunisti, che rimasero distanti fin quando dall’Unione Sovietica non arrivò un messaggio chiaro in favore del “patto di unità d’azione” con i socialisti. Doumergue propose di dare il potere al Presidente della Repubblica di sciogliere la Camera in caso del voto di sfiducia, Blum si oppose denunciando questo come un chiaro attacco alla repubblica e tale proposta fu abbandonata. Nonostante lo scetticismo di Blum nei confronti dell’avvicinamento dei comunisti, la Federazione della Senna decise il 2 luglio di unirsi in una dimostrazione con i comunisti, a favore della liberazione di Ernst Thälmann[77] dalle prigioni naziste. Blum paragonava i comunisti ad “une douche écossaise” una volta troppo calda una volta troppo fredda, ovvero difficile da gestire. L’Unione Sovietica era pronta ad entrare nella Lega delle Nazioni con l’intento di proteggersi dalla minaccia nazista e in questo schema era da vedere, secondo Blum, l’improvviso avvicinamento dei comunisti su ordine sovietico. Blum non era il solo tra i socialisti a diffidare della buona fede dei comunisti; ma nonostante la diffidenza che non nascondeva anni di acerrima opposizione, il 27 luglio 1934 fu stipulato il “patto di unità d’azione” contro il fascismo e contro la guerra. Il ventesimo anniversario della morte di Jaurès fu celebrato con l’unità.

Da quando anche i radicali stavano lasciando il governo Doumergue la coalizione comunista-socialista pensava di allargare il “fronte unico” in un “Assembramento Popolare”. Nell’ottobre del 1934 Maurice Thorez[78] parlò di “fronte comune” contro il fascismo, “Fronte popolare del lavoro, libertà e pace”. Paradossalmente i comunisti di Thorez proponevano un programma di misure minime, ovvero di dissolvimento delle leghe armate, di protezione di salari e pensioni, di disarmo e pace. Per i socialisti di Blum mancavano le riforme più strutturali come la nazionalizzazione delle banche e di industrie chiave. La politica populista dei comunisti sembrava troppo interessata, e i leader socialisti come Faure e Blum rimanevano scettici, se da un lato non volevano far cadere il patto, dall’altro non potevano non sollevare le loro riserve.

Nella primavera del 1935 venne firmato il Patto Franco-Sovietico, ora Stalin preferiva una Francia militarmente forte, quindi, solo due mesi dopo il discorso di Thorez alla Camera contro il riarmo, i comunisti erano per il riarmo e la difesa nazionale. Blum rispose: “Senza negare il dovere di difesa del suolo nazionale contro l’invasore, rifiutiamo di identificarci con i piani e le organizzazioni militari della borghesia”. Ma la manovra dei comunisti frazionò i socialisti dai quali emerse la Gauche Révolutionnaire di Marceau Pivert. Questa situazione aveva determinato delle spaccature anche nel Partito radicale. I radicali di Herriot erano rimasti in un governo oramai di destra e una frazione di loro “i giovani radicali” nel maggio del 1934 si erano staccati, fiancheggiati da Daladier. Quindi già nel maggio del 1934 i comunisti, i socialisti e una parte dei radicali si incominciavano a riunire per delle azioni coordinate in Parlamento. I giovani radicali parteciparono a una dimostrazione antifascista il 28 giugno e il 14 luglio, per il giorno della presa della Bastiglia, si unirono agli altri partiti di sinistra. I radicali rifiutavano di mettere sullo stesso piano il pericolo fascista con quello comunista aprendo così la possibilità ad un Fronte popolare. Si formò quindi il Rassemblement Populaire. Ben nove organizzazioni si erano riunite nel Rassemblement Populaire: i socialisti, i comunisti, i radicali, l’Unione repubblicana socialista, la CGT, la CGTU, la Lega dei Diritti dell’Uomo, il Comitato di Vigilanza degli intellettuali antifascisti, e il Comitato di Amsterdam-Pleyel contro guerra e fascismo. Queste organizzazioni scesero unite per la dimostrazione del 14 luglio.

 

Il Fronte popolare e la sua vittoria elettorale, 1935-36

 

Per Blum il Fronte popolare significava la difesa della Repubblica francese, anche se il vero promotore fu il comunista Thorez il quale, al Congresso del Comintern nell’agosto del 1935, fece adottare la linea del Fronte popolare come linea ufficiale. Blum insisteva sulla linea delle riforme strutturali e delle nazionalizzazioni che sapeva non avrebbero portato al socialismo ma avrebbero determinato un passo avanti verso la sovranità popolare. Blum trovava le resistenze maggiori proprio da parte dei comunisti che non volevano alienarsi il favore dei radicali e delle classi medie. Solo nel gennaio del 1936 venne pubblicato il programma del Fronte popolare; i tratti più importanti di questo programma risiedevano nella volontà di preservare la “difesa della libertà”, ovvero la dissoluzione delle leghe fasciste e i loro controllo sui media, l’accesso eguale alle radio, il rispetto dei diritti dei sindacati, la riduzione dell’interferenza della Chiesa nella scuola, quindi la “difesa della pace”, ovvero una collaborazione internazionale all’interno della Lega delle Nazioni, e le sanzioni in caso di aggressione. Dal punto di vista economico il programma si prefiggeva di restaurare il potere d’acquisto crollato a causa della grande depressione. Queste misure comprendevano una riduzione della settimana lavorativa a parità di stipendio, ovvero le 40 ore settimanali, un adeguamento delle pensioni, l’assegno di disoccupazione, le opere pubbliche, la rimozione degli intermediari agricoli ed un controllo più serrato nei riguardi delle banche. Nonostante la mancanza di riforme strutturali e il limite di alcune riforme, l’esistenza di un programma del Fronte popolare fu un motivo di credibilità e di successo. Se per Blum il Fronte popolare significava uno strumento parlamentare per bloccare l’ascesa fascista, quindi si era espresso in favore alla partecipazione dei socialisti ad un eventuale governo formato da tale coalizione, per i comunisti il Fronte popolare significava l’organizzazione delle masse, e Blum venne così accusato di neo-millerandismo. Anche la sinistra della SFIO rappresentata da Zyromski e Pivert della Federazione della Senna vedeva il Fronte popolare come qualcosa di più di una mera coalizione elettorale. I comunisti verso la fine del 1935 incominciarono a proporre o riproporre la “carta dell’unità”, per richiamarsi a quella del 1905. Blum la condannò come la carta del Partito Comunista. In questa atmosfera di riappacificazione, la parte dei sindacati confederali che si era staccata dalla CGT per seguire la linea bolscevica, ovvero la CGTU, si riunì alla CGT nel marzo del 1936. Nel febbraio del 1936 il Patto Franco-Sovietico del maggio del 1935 era stato ratificato.

Qualche giorno prima, ovvero il 13 febbraio 1936, Leon Blum venne aggredito da studenti monarchici. La vettura, guidata da Georges Monnet[79], su cui stava viaggiando in compagnia della moglie di Monnet, venne fermata da un corteo al seguito del funerale dello storico monarchico Jacques Bainville. Il corteo era formato da giovani dell’Action Française e dei Camelots du Roi: Blum fu riconosciuto e un gruppo di loro assalì l’auto rompendo i finestrini e spingendo Blum fuori dalla vettura. Venne quindi malmenato brutalmente a sangue e solo grazie ad un gruppo di lavoratori e due agenti di polizia accorsi venne salvato. Venne quindi portato all’ospedale in condizioni serie ma non gravi. Ovviamente le foto di Blum ferito fecero il giro di Francia e il 16 febbraio del 1936, ovvero circa due anni dopo la grande dimostrazione dello sciopero generale del 12 di febbraio 1934 in risposta alla sommossa del 6, le piazze si ri-riempirono. Il Gabinetto fece passare la legge sulla dissoluzione delle leghe fasciste. Charles Maurras che su l’Action Française aveva scritto il 13 febbraio di accoltellare i 140 deputati che avevano approvato le sanzioni contro l’Italia di Mussolini, per la sua aggressione all’Etiopia, fu arrestato per incitamento all’assassinio. Blum intanto aveva lasciato Parigi per la sua convalescenza recandosi dall’amico Vincent Auriol nel sud della Francia.     

Il 7 marzo 1936 la Germania di Hitler fece marciare le sue truppe in Renania violando i patti di Versailles e di Locarno. La reazione francese non fu convinta: il Primo ministro Sarraut condannò l’occupazione ma rifiutò un intervento senza il sostegno britannico.  I socialisti pregavano di mantenere la calma. Blum ancora convalescente era allineato con questa posizione pacifista, ossia di non rispondere alla provocazione.  Poco dopo iniziò la campagna elettorale per le elezioni generali e il Fronte popolare aveva una seria opportunità di vincere. La risposta del Fronte popolare alla situazione presente era rappresentata dalle parole di Blum, il quale affermava che: i) la società era scossa dal rischio del fascismo in Francia; ii) dalla depressione economica e sociale; iii) dalla situazione internazionale, con la campagna di Etiopia di Mussolini e l’occupazione renana di Hitler. I socialisti avrebbero dovuto contrastare questa situazione con: i) la loro lotta contro il fascismo, anche quello mascherato di Doumergue e Tardieu, e contro le leghe fasciste; ii) una politica che aumentasse il consumo e non diminuisse la produzione, ossia contro la politica deflazionistica del governo di destra attuale; iii) il perseverare nella pace, continuando a credere nella Lega delle Nazioni, alla mutua assistenza delle varie regioni e al disarmo. Blum non dimenticò di citare cause “puramente” socialiste, come la nazionalizzazione delle industrie chiave, e che i socialisti si sarebbero concentrati sulla ridistribuzione della ricchezza, riconoscendo, comunque, le imperfezioni e le carenze nel programma di compromesso del Fronte popolare, compromesso fatto per contrastare il fascismo dilagante.

Blum iniziò la sua campagna elettorale il 14 aprile 1936 e un’innovazione dell’epoca fu l’utilizzo della radio per diffondere i comizi elettorali. I radicali e i comunisti non avrebbero opposto nessun candidato nella sua circoscrizione, contro Blum si presentò un candidato della destra liberale e un autoproclamato socialista-antisemita. Nonostante in leggero calo di preferenze (6163 contro 6226 del 1932) comunque Blum fu eletto e alla prima tornata fu già evidente la vittoria socialista, mentre alla seconda tornata di scrutini, il 3 maggio, questa tendenza si vide amplificata[80]. Le elezioni del 26 aprile e del 3 maggio segnarono una vittoria schiacciante per il Fronte Popolare, proprio per il fatto che le maggiori forze di sinistra e centro-sinistra si erano coalizzate. I radicali ebbero 1.955.000 preferenze, ovvero una deflazione dalle precedenti elezioni, i comunisti ebbero 1.469.000 voti, in larga crescita, i socialisti raccolsero 1.997.000 preferenze, pagando, in parte, lo scotto della scissione dei neosocialisti. Alla fine i socialisti della SFIO ottennero, primo partito, 149 seggi; i radicali, ovvero il Gruppo Radical-Socialista e Radical-Repubblicano, seconda forza, 110 seggi, il gruppo dei Comunisti ebbe 72 seggi, il Parti de l'Unité Prolétarienne, ovvero comunisti e socialisti dissidenti, 6 seggi, l'Union Socialiste et Républicaine, 29 seggi, formata dai neosocialisti che avevano abbandonato la SFIO nel 1933, e la Sinistra Indipendente, 20 seggi; così il Fronte Popolare poteva contare su un totale di 386 seggi; mentre l’opposizione poteva contare su 225 seggi.

 

Come primo partito della coalizione la SFIO aveva il diritto di prendere la guida del governo, anche agli occhi di Blum vi erano ora le condizioni tanto attese di esercitare il potere. Ma era già evidente che il governo del Fronte Popolare, guidato dai socialisti, avrebbe ereditato i profondi problemi economici e di politica estera. Durante il periodo di transizione dalla vittoria delle elezioni del 4 maggio fino all’insediamento il 4 giugno, vi fu un profondo crollo della borsa e una fuga di capitali. La Banca di Francia perse 2,5 miliardi di franchi dalle sue riserve auree. Blum, non ancora insediatosi come capo del governo, dovette tranquillizzare i mercati, spiegando che il Fronte popolare non avrebbe rappresentato per loro una minaccia: il Fronte popolare non aveva un carattere rivoluzionario e avrebbe cercato di risanare l’economia del Paese. Dall’altro lato la sinistra della SFIO, rappresentata da La Gauche Revolutionnaire, guidata da Marceau Pivert, spingeva Blum nella direzione opposta, prendere il potere e spazzare via il fascismo in tre giorni, in tre settimane aiutare le vittime della depressione economica, in tre mesi attuare il programma del Fronte popolare e in tre anni assicurare il benessere ai lavoratori. Anche Jean Zyromski della Batallie Socialiste chiedeva una più stretta collaborazione con i comunisti, senza curarsi troppo della componente borghese del Fronte popolare. L’opposizione a Blum da parte dell’estrema sinistra del suo partito rappresentata da Pivert e Zyromski e la reazione dei mercati fu ovviamente oggetto di facili ironie da parte della stampa. Blum, però, aveva deciso di seguire il corso legale del suo insediamento, non volendo dare nessun pretesto all’opposizione. Nonostante ciò, Blum apprezzava la spinta da sinistra come un buon metro del suo operato. Aveva assunto a pieno titolo e responsabilmente la carica di leader ma sapeva di dover ascoltare le critiche interne.

Il 24 maggio 1936 alla commemorazione dei morti della Comune di Parigi al cimitero di Père-Lachaise accorsero più di 600.000 persone. Blum parlò alla folla: “[…] l’idea repubblicana e la passione rivoluzionaria […]. La manifestazione popolare contro la minaccia fascista, la vittoria elettorale del 26 aprile e del 3 maggio sono dovute alla combinazione di queste due forze. Abbiamo il diritto d’invocare oggi i gloriosi morti e dicendo loro: ‘la nostra vittoria è la vostra’. Viva la Comune! Viva il Fronte popolare! […][81].

Blum poteva contare sulla partecipazione al governo dei radicali-socialisti e dei repubblicani ma i comunisti già a priori avevano dichiarato di non poter partecipare al governo. Blum li pregò di riconsiderare questa strategia, ma questi non vi presero parte. Questa decisione dava la libertà ai comunisti di guardare dall’esterno l’operato del Fronte popolare del quale erano i principali fautori. Blum invitò anche esponenti della CGT che, come da tradizione, rifiutò, assicurando però il suo sostegno. Dieci giorni soli dopo la vittoria elettorale, mentre Blum era ancora alle prese con i preparativi per il nuovo governo, scoppiarono una serie di scioperi a Parigi: i metalmeccanici entrarono in sciopero per migliorare le loro condizioni di lavoro, con un aumento di salario e vacanze pagate. Seguirono il loro esempio altri operai nei sobborghi della Senna, poi ancora il 26 maggio scioperi scoppiarono alla Renault. La vittoria del Fronte popolare aveva iniettato una grande dose di coraggio nei lavoratori i quali oramai pensavano fosse giunto il momento di capitalizzare, senza dover aspettare l’instaurazione formale del governo. È a questo punto che Pivert scrisse su Le PopulaireTutto è possibile”, ma d’altra opinione erano Blum, leader della maggioranza socialista, Thorez, leader dei comunisti, e Jouhaux[82], il leader della CGT, che vedevano questa prematura catena di eventi come un possibile pretesto per la componente della classe media radicale di venir meno al patto di unità. I comunisti chiarirono la loro posizione con l’articolo di Marcel Gitton su L’Humanité: “Tutto non è possibile”, spiegando che data la situazione internazionale e la minaccia di Hitler era impossibile sostenere una politica che mettesse a rischio la Francia e indebolisse il maggiore alleato della Russia sovietica.  Jouhaux e i sindacati confederali, che non erano dietro a questa ondata di scioperi, da un lato su Le Peuple non potevano che festeggiare questa ondata di scioperi e conquiste sindacali, ma dall’altro cercavano di limitarli in quanto timorosi della fine del Fronte popolare, la conseguente ascesa del fascismo e quindi la fine dei sindacati. Infine Blum il 31 maggio al XXXIII Congresso nazionale della SFIO spiegò in modo più bilanciato che questa dei lavoratori era stata una reazione comprensibile data la vittoria elettorale e che il governo che si andava ad instaurare avrebbe vinto la loro fiducia “con un’azione rapida e energica”. Ancora una volta però raccomandò di non confondere la vittoria elettorale con la conquista rivoluzionaria del potere: questa era pur sempre la vittoria di una coalizione di forze anche della classe media non socialista. Blum ricordava che in questo contesto il mandato dei socialisti era di eseguire il programma del Fronte popolare. I socialisti avrebbero dovuto cercare di estrarre il più possibile da un regime, quello capitalista, contraddittorio ed ingiusto, ma questa era anche l’occasione di preparare la gente per il cambiamento di società. “E’ una insinuazione comune nei giornali reazionari parlare dei Kerensky che preparano il letto ai Lenin […]. Certamente spero che il governo che il Partito Socialista formerà non sarà un governo di Kerensky. Ma anche se fosse, vi assicuro che in Francia oggi non ci sarebbe un Lenin a succedergli”.  Blum al Congresso mostrò di avere il Partito dalla sua parte.  

In tutto questo gli scioperi, invece di terminare, si erano estesi al resto del Paese. Il governo uscente di Sarraut, che nulla aveva potuto contro gli scioperi, pregò Blum di far insediare i propri ministri degli Interni e del Lavoro immediatamente il 4 giugno senza aspettare il giorno dopo, ovvero quando sarebbero stati ufficialmente annunciati. Blum capendo la situazione accettò e chiese a Roger Salengro[83] e Jean Lebas di prendere immediatamente servizio. Il Presidente della Repubblica Leburn, un conservatore, chiese allarmato a Blum, quando poteva riunire il Parlamento. Blum rispose che non sarebbe stato fisicamente possibile farlo riunire prima di due giorni, ovvero sabato 6 giugno. Lebrun chiese allora a Blum di parlare alla radio l’indomani, venerdì 5 giugno, e comunicare che il governo accetterà le condizioni degli scioperanti: “le crederanno [diceva Lebrun], avranno fiducia in lei, e questa agitazione potrà cessare”. Blum che in quanto a conoscenza legislativa non era secondo a nessuno, fece notare al Presidente Leburn che tecnicamente non era ancora Premier prima di presentarsi davanti al Gabinetto e ricevere il voto di fiducia, ma che avrebbe obbedito. Quindi alle 12 del 5 giugno Blum parlò alla radio.  Blum assicurò i lavoratori in sciopero che il governo che si andava a formare avrebbe agito rapidamente e avrebbe richiesto le riforme, ovvero: la settimana di 40 ore lavorative senza riduzione di salario, l’istituzione di due settimane di ferie pagate, la creazione di contratti collettivi[84]. Il discorso di Blum non ebbe l’effetto sperato e il 6 giugno oltre mezzo milione di lavoratori erano ancora in sciopero.

Il governo Blum era formato da 18 tra ministri e sottosegretari socialisti, 13 radicali, 4 dell’unione socialista repubblicana.  Ai radicali andò il ministero della Difesa presieduto da Daladier, quello degli esteri con Yvon Delbos e dell’Educazione con Jean Zay, mentre ai socialisti andarono gli Interni con Roger Salengro, le Finanze con Vincent Auriol, l’Economia con Charles Spinasse[85], il Lavoro con Jean Lebas, i Lavori Pubblici con Albert Bedouce, l’Agricoltura con Georges Monnet e le Colonie con Marius Moutet. Per la prima volta nella storia della Repubblica francese tre sottosegretariati erano andati a tre donne: Irène Joliot-Curie[86] alla Ricerca Scientifica, Suzanne Lacore all’Assistenza all’Infanzia, e Cécile-Léon Burnschvicg all’Educazione. Blum dopo essere entrato in politica all’età di 47 anni diventava Primo ministro all’età di 64 anni[87].

Oltre all’effetto limitativo che i Radicali attuavano sul governo Blum va aggiunto il ruolo conservatore del Senato. Non si fecero attendere anche gli attacchi antisemiti a Blum e agli altri ministri e sottosegretari ebrei. Xavier Vallat già nel giorno dell’insediamento, il 6 giugno, faceva notare di quanto fosse “inadeguato” avere un Primo Ministro ebreo, subito censurato dal nuovo Presidente della Camera, Herriot. Il governo Blum però non aveva tempo da perdere: introdusse subito, come promesso, una proposta di legge sulle 40 ore settimanali, i contratti collettivi e le vacanze pagate. Inoltre proponeva di introdurre misure di lavori pubblici, nazionalizzazione delle industrie militari, l’istituzione di un ufficio che stabilizzasse i prezzi agricoli, l’estensione della scuola dell’obbligo, una riforma di governo della Banca di Francia, l’abrogazione di decreti restrittivi che coinvolgevano gli impiegati pubblici e i veterani.

Paul Reynaud[88] insisteva nella svalutazione del franco senza la quale le riforme non sarebbero state sostenibili, ma Blum si oppose, inizialmente, a questa opzione. Blum allo stesso modo si oppose all’uso della forza per far cessare le dimostrazioni, come avrebbero voluto l’opposizione e diversi radicali. Per Blum c’erano tre priorità. La Camera doveva far passare le riforme sul lavoro, il governo doveva prendere misure di emergenza per assicurare i servizi pubblici e di prima necessità e, terzo, il governo doveva mediare le richieste dei lavoratori. I dirigenti d’industria dopo le molteplici ondate di scioperi aprono un tavolo di trattativa con il nuovo governo e i leader sindacali. I negoziati iniziano il 7 di giugno all’hotel Matignon. Alla Conferenza di Matignon dalla Confederazione Generale della Produzione Francese (CGPF) e dalla CGT Blum ricevette un voto di fiducia. Questo dimostrava una apertura da parte della classe padronale, paradossalmente con la speranza che tali concessioni rilegittimassero la CGT tra i lavoratori. Le concessioni furono storiche: la settimana di 40 ore e le due settimane di ferie pagate. Vengono concessi aumenti del 15% dei salari più bassi e del 7% di quelli più elevati, contratti collettivi e il diritto dei lavoratori ad aderire e iscriversi ai sindacati[89].

La stampa conservatrice ammoniva che queste concessioni non sarebbero state sostenibili e lo stesso Reynaud ricordava che l’accordo era stato preso con i grandi industriali ma che le piccole imprese non avrebbero retto. La cosa notevole però è che neanche la vittoria di Matignon fece cessare gli scioperi. Tanto che Trotskij, ora costretto in Norvegia, vedeva questa disobbedienza come l’inizio della Rivoluzione Comunista Francese. Già il 9 giugno il governo deposita alla Camera la proposta di quattro misure: l’amnistia e le tre misure annunciate alla radio. Il 12 si vota già per la diminuzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali e la legge passa con 385 voti a favore e 175 contrari, intanto, gli scioperi raggiungono il picco proprio l’11 giugno con 1.160.000 lavoratori. Il Senato discusse la legge delle riforme il 17 di giugno, la approvò il 18 con 176 voti a favore e 80 contrari[90]. Quindi il 18 giugno il governo si concentrava sulla nazionalizzazione delle industrie di armamenti, la riforma della Banca di Francia, il prolungamento della scuola dell’obbligo da 13 a 14 anni e l’Office du blé, ufficio del grano. Nota Pierre Rosanvallon che la nuova politica economica del governo Blum si rifà a idee che Blum aveva introdotto nelle Letters sur la réforme gouvernementale del 1918[91].

Dopo 12 giorni dal suo insediamento il governo Blum aveva ottenuto ciò che aveva promesso durante il proclama del 5 giugno. Vedendo che neanche questo faceva cessare le agitazioni di piazza, i leader del Fronte popolare e della CGT incominciarono a mettere in guardia sulla presenza di agitatori di destra, Croix de Feu, o di estrema sinistra, trotskisti. Fu infine il leader dei comunisti francesi Thorez che ammonì i metalmeccanici che il tempo della rivoluzione non era ancora giunto e così facendo gli scioperanti avrebbero solo messo a rischio il Fronte popolare. La risposta della piazza fu immediata e i lavoratori tornarono al lavoro. Era chiaro, ancora una volta, che erano i comunisti che tenevano in piedi il Fronte popolare. In questa atmosfera vittoriosa si tenne la festa del 14 luglio. Quando, anni dopo, fu processato dal governo di Vichy per non aver agito contro gli scioperanti con la forza, Blum, orgogliosamente, rispose di aver avuto il tempo di rifletterci in quegli anni e no di non essere stato nel torto, la cosa giusta, secondo lui non era reprimere le agitazioni. Risolta l’emergenza scioperi il governo Blum doveva concentrarsi sulla depressione economica. La sua strategia era quella di rilanciare il potere d’acquisto, senza mascherare il fatto di prendere ispirazione dal New Deal americano. Con incredibile rapidità il governo Blum aveva adottato un programma di spesa pubblica di 20 miliardi di franchi, rivisto lo Statuto di amministrazione della Banca di Francia, messo in piedi un ufficio del grano (Office du blé), esteso la scuola dell’obbligo a 14 anni, concesso prestiti alle piccole e medie imprese, iniziato la nazionalizzazione delle industrie delle munizioni e sanzionato il rialzo illecito di prezzi, dissolto le leghe fasciste, assegnato un nuovo direttore generale alla Polizia di Parigi. La bellezza di 133 leggi erano passate in 73 giorni. Blum si era anche recato a Ginevra per riaffermare le alleanze e rafforzare la Lega delle Nazioni.

Per la prima volta nella storia, nell’agosto del 1936 centinaia di migliaia di lavoratori partirono in massa per le vacanze estive. Questo era di sicuro anche un modo di mostrare al resto del mondo, compresi i regimi autoritari, cosa poteva ottenere in meno di un mese un governo social-democratico. Ma ancora più importante fu la conquista dei contratti collettivi che diedero molto più potere ai lavoratori di tutte le industrie.  Nell’autunno del 1936 però la CGPF tornò alla controffensiva, cambiando il suo vertice e cercando di far rivedere gli accordi di giugno. Vi fu una lunga polemica sulla legge delle 40 ore e sulla sua applicazione repentina: se da un lato Blum stesso riconobbe che fu applicata in modo più rapido di quanto egli stesso auspicasse, dall’altro sapeva che i lavoratori non avrebbero accettato mezze misure e sotto accusa fu quindi il crollo delle ore di lavoro a parità di salario e la difficoltà di fare straordinari per un limite di ore oltre il quale serviva una richiesta speciale. Si affermò il modello di distribuzione delle 8 ore con due giorni di riposo, ovvero il fine settimana. Nonostante le molte critiche alla poca flessibilità e alla produttività di tale modello, la disoccupazione diminuì durante il governo del Fronte popolare. All’accusa mossa della caduta in produttività dovuta alla legge delle 40 ore, Blum rispondeva che le 40 ore di per sé avrebbero permesso un aumento di produttività e che la causa andava cercata piuttosto nella insufficiente modernizzazione dei macchinari e dei metodi di produzione. Colton fa notare che la politica di Blum metteva inizialmente l’economia francese in affanno, date le condizioni di partenza molto sfavorevoli, ma se avesse avuto il tempo di andare a regime la politica di riforme, la situazione economica francese avrebbe potuto risollevarsi. Però il governo Blum non ebbe tempo.

La legge delle 40 ore venne adottata il 21 giugno del 1936, ma divenne operativa nel novembre del 1936. Si può apprezzare come in media l’indice mensile della produzione industriale non calò nel periodo che va dall’inizio del 1936 alla fine del 1938. La Francia entrò in recessione nell’autunno del 1937 per via della crisi economica che si era già abbattuta a livello mondiale dagli Stati Uniti alla Germania nel 1929. I dati parlano chiaro : "L'introduction de la semaine de 40 heures ne s'est pas traduite par une baisse globale de la production" [L’introduzione della settimana lavorativa di 40 ore non determinò un calo della produzione]. Nel marzo del 1937 il ministro dell’Economia Charles Spinasse dichiarò che: “I benefici della settimana di 40 ore verrebbero vanificati prima che si possano manifestare, se contribuissero a limitare o ridurre la produzione proprio quando la domanda diventasse più pressante e ampia.” “Il sistema delle 40 ore potrebbe quindi essere compatibile con un aumento sufficiente della produzione solo se, in tutti i settori, il trasferimento fosse effettuato in modo soddisfacente.” Jean-Charles Asselin fa notare che la Francia attraversa un’ondata di aumento della disoccupazione che va dal 1932 al 1936.  “Il probabile effetto della riforma delle 40 ore sulla disoccupazione ha suscitato, al momento della sua adozione, abbondanti controversie”. L’Aumento dell'occupazione probabilmente dovuto alla riduzione dell'orario di lavoro è stimato del 4.2%, ma il periodo del 1936-37 si caratterizzò con una disoccupazione residua elevata e un’insufficiente offerta di occupazione. Asselin conclude che la riforma della settimana di 40 ore è stata forse condannata su un doppio errore di base, ovvero sull'importanza numerica della disoccupazione e sulla sua natura. Non ci si può dimenticare, secondo Asselin, che le 40 ore determinarono: “una prodigiosa aggiunta di tempo libero che ha trasformato la vita quotidiana e concesso la garanzia di una vera e propria rivoluzione della condizione della classe operaia”. Ricorda anche che: “i partigiani della riforma hanno energicamente rifiutato di lasciare che i suoi risultati fossero giudicati su un periodo di tempo troppo breve.[92]

Già in luglio, del 1936, era scoppiata la guerra civile in Spagna, mentre Hitler in Germania premeva il piede sull’acceleratore dell’industria bellica. Da un lato il governo Blum voleva seguire l’esempio americano di fare debito pubblico per incentivare l’economia, ma dall’altro non voleva spaventare i grandi investitori, che fino ad allora avevano determinato una importante fuga di capitale all’estero. L’emorragia di capitale e di riserve auree, già in corso da almeno due anni, spingeva verso la svalutazione del franco. Il Ministro delle Finanze una volta preso servizio dichiarò di aver trovato le casse vuote.  In autunno Blum doveva ammettere di non essere riuscito nell’impresa disperata di riattrarre capitali in Francia.  Nel discorso di fine anno Blum apertamente dichiarava che non vi era più ragione da parte della borghesia di temere il governo del Fronte popolare, il quale aveva attuato una politica liberale e che chiaramente non era un governo socialista, in quanto non si proponeva di instaurare il socialismo. Il governo Blum voleva frenare la fuga di capitali più sul piano morale che coercitivo anche per non mettere in pericolo il Fronte Popolare e il suo appoggio internazionale, riferendosi agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Questa soggezione nei confronti delle altre due democrazie liberali era anche dovuta alla minaccia che Hitler poneva per la Francia. La Banca di Francia, ente privato che regolava il cambio e il tasso di sconto, aveva il potere effettivo di far cadere qualsiasi governo, ed era noto infatti come questa rispecchiasse gli interessi delle 200 famiglie più ricche di Francia, facendo credito, non a caso, solo alle grandi industrie. Nel Fronte Popolare c’era chi, come i sindacati, avevano proposto di nazionalizzare la Banca di Francia, ma questo non trovò di comune accordo i radicali e i comunisti. Anche il Ministro delle Finanze Auriol cercò di limitare lo strapotere della Banca, ma sempre per timore di far crollare l’accordo con i radicali e i comunisti, Blum rifiutò di avallare qualsiasi azione potesse sembrare un esproprio della Banca. Quello che fu approvato nel luglio del 1936 fu un compromesso, che riorganizzava la struttura interna della Banca facendo entrare il Governo nella sua amministrazione. Purtroppo questa riforma non ebbe l’impatto prepostosi e non servì a far rientrare il credito privato in circolo.

Oramai, in settembre, Blum doveva riconoscere come la svalutazione del franco fosse inevitabile. L’annuncio della proposta di riarmo però determinò una ulteriore fuga di capitali all’estero. Blum riuscì ad assicurare un accordo valutario tripartisan con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, mostrando non solo buoni progressi in politica estera, ma anche che la svalutazione del franco era stata accolta bene dai principali alleati commerciali. La svalutazione del franco, del 30%, veniva quindi accolta come un riallineamento valutario nei confronti del dollaro e della sterlina. La rivalorizzazione produsse 17 miliardi di franchi, dei quali 10 erano stati depositati nel Fondo di Stabilità degli Scambi, e in modo molto ingenuo il governo usò i rimanenti 7 miliardi per rimborsare la Banca di Francia, per i prestiti fatti al governo in carica e a quelli precedenti. Con questo eccesso di zelo il governo annullò i proventi della svalutazione. In più l’oro non rientrò a causa di una penale per prevenire speculazioni finanziarie, ma, ci vollero un paio di mesi per rendersi conto di ciò e annullare la penale. Sempre in settembre riiniziarono scioperi che il governo però questa volta contrastò facendo evacuare le fabbriche. In novembre si consumò anche una tragedia provocata dall’estrema destra. Il Ministro degli Interni Roger Salengro fu accusato di diserzione durante la Prima guerra mondiale. Un’inchiesta provò che Salengro era stato già precedentemente assolto da questa accusa. Blum inoltrò questa informazione alla Camera il 13 novembre, ma il 17 Salengro probabilmente ancora scosso dalla vicenda si suicidò. Un’altra marcia indietro che il governo Blum dovette fare fu sul riarmo. Hitler, infatti, in Germania aveva reintrodotto il servizio di leva di due anni. Nel gennaio del 1937 i prezzi incominciarono a salire, il governo, costretto a fare nuovo debito, ora doveva subire un tasso d’interesse più alto data la mancanza di capitali privati e nel giro di poco i dieci miliardi del Fondo di Stabilità furono esauriti. Il governo Blum trovò dei fondi inglesi che vennero esauriti molto presto, mentre gli Stati Uniti si rifiutarono di aiutare per via della spesa francese nel riarmo decisamente troppo elevata. 

La ripresa economica era insufficiente per contrastare la situazione di crisi finanziaria. Anche se i comunisti riconoscevano i meriti a Blum di aver migliorato le cose, il 13 febbraio 1937 visti tutti i problemi economici che impedivano una ripartenza, Blum dovette annunciare per radio “un temps de pause”, ovvero una temporanea pausa dal progetto di alzare il potere d’acquisto. La determinazione di Blum di utilizzare questa breve pausa per risanare i bilanci e far rientrare i capitali è provata dalla nomina di tre conservatori alla direzione della Banca di Francia, insieme a Émile Labeyrie, ovvero Charles Rist, Paul Baudouin e Jacques Rueff. Intanto il 16 marzo nei sobborghi di Parigi una manifestazione organizzata dal Parti social français, ovvero una organizzazione nella quale la Croix de Feu si era riciclata, fu contrastata da una contro-manifestazione popolare. La polizia aprì il fuoco contro gli oppositori di sinistra, provocando sei morti. Blumel, Capo di Gabinetto, mandato da Blum per calmare la situazione fu ferito. Blum informato mentre all’Opera, si precipitò senza cambiarsi, presentandosi sul posto con il cilindro, esponendolo a facili ironie. Il fatto che Blum fu paragonato dalla sinistra al “sanguinario Noske[93], gli fece considerare seriamente di dare le dimissioni. La CGT indisse lo sciopero generale per il 18 marzo in risposta dell’eccidio.  Ovviamente l’estrema destra antisemita non aveva mai smesso di calunniare e diffamare Blum.

Guerra civile in Spagna, 1936-37                                                 

La situazione internazionale che Blum dovette affrontare fu a dir poco complicata. La Germania stava rimilitarizzando la Renania, il Belgio timoroso di un’invasione voleva allontanarsi dallo schieramento francese, l’Italia aveva iniziato la sua avventura imperiale, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica erano partner molto esigenti. Anche la piccola intesa con Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania si andava indebolendo principalmente a causa della minaccia tedesca.

Ricordando che il governo Blum si era insediato nei primi di giugno del 1936, il 20 luglio Blum ricevette un telegramma dal Primo ministro spagnolo José Giral nel quale questi richiedeva aiuti militari per contrastare la rivolta dei generali. Blum decise con il ministro della Difesa Daladier e quello della Aeronautica Pierre Cot, di inviare aerei, armi, munizioni alla Repubblica spagnola, ma per evitare le ripercussioni della stampa di destra che avrebbe colto l’occasione per dipingere questa come una azione comunista, decisero di agire discretamente. Il 23 luglio L’Écho de Paris uscì con lo scoop dell’aiuto militare del Fronte Popolare francese a quello spagnolo. L’Action Française gridò al tradimento di Blum e Cot. Blum era a Londra con Delbos per discutere dell’occupazione militare della Renania da parte tedesca. Ancora in hotel a Londra fu raggiunto da un giornalista André Géraud che lo interrogava sugli aiuti militari alla Spagna repubblicana e delle conseguenze che questi potevano avere sulle relazioni con la Gran Bretagna. Blum rispondeva “Non importa. Il Governo spagnolo è un governo legittimo e, in più, è un Governo amico”.

Il partito conservatore inglese era chiaramente per la neutralità, da un lato non vedeva l’invischiarsi come una buona politica, dall’altro temeva il trionfo comunista; mentre i laburisti erano in linea di principio in favore di mandare armi al governo repubblicano, ma come per i conservatori vedevano il non-intervento come la cosa più saggia. Durante la visita di Blum l’apprensione dei conservatori britannici nei confronti della sua decisione di aiutare il governo repubblicano spagnolo venne espressa chiaramente. Blum non fece mai ricadere la responsabilità della sua politica in Spagna su pressioni britanniche. A posteriori si considera che la pressione britannica non fu diretta ma pesò comunque sulla decisione di Blum circa il non-intervento. La vera pressione arrivò dalla destra francese e dai radicali. Il timore di scatenare una Seconda guerra mondiale con l’intervento era paventato concretamente. Ancora al suo ritorno a Parigi Blum era convinto di andare fino in fondo con l’invio di armi. Se da un lato la destra dava già, il 25 luglio, la responsabilità di una eventuale reazione da parte di Germania e Italia al governo Blum, dall’altra i comunisti e la C.G.T. erano alle prese con l’organizzazione di dimostrazioni a favore degli aiuti. Infine la maggior parte dei radicali socialisti, tranne pochi, non erano a favore del coinvolgimento con la Spagna. Le principali ragioni erano la sfiducia nel governo repubblicano spagnolo, le possibili ripercussioni in Francia e una ripresa del fascismo. Blum dovette comunicare questa situazione di contrasti interni a Fernando de los Ríos, “Mon âme est déchirée”. Con le sedute del 25 luglio, del 30 luglio e del 1° di agosto, il governo si spostò sulle posizioni di non-intervento. L’invio di armi fu sospeso. Nel frattempo tre aerei italiani destinati a Franco atterrarono per errore in territorio coloniale francese. Blum poteva argomentare che se altre potenze de facto inviavano armi a Franco, il governo francese era in diritto di fare altrettanto per le forze repubblicane. Nei primi di agosto un carico d’armi fu spedito al governo repubblicano spagnolo. Nel frattempo la Francia si impegnava ad abbozzare un testo di non intervento con la Gran Bretagna, l’URSS, la Germania il Portogallo e l’Italia. Maurice Thorez apertamente chiedeva a Blum di mandare aiuti alla Repubblica spagnola per evitare che l’asse Roma-Berlino instaurasse lì una dittatura fascista. In un altro tentativo di Blum di convincere i britannici a schierarsi contro Franco inviò l’Ammiraglio Darlan dagli ammiragli inglesi ma questi non vedevano in Franco una minaccia tale in grado di formare un fronte fascista. Quindi solo i sovietici e il governo ceco erano in favore degli aiuti militari al governo repubblicano.

Sentendosi isolato in Europa, venendo meno l’appoggio britannico e avendo buona parte dei radicali francesi contro, Blum voleva ormai dimettersi, cosa che annunciò apertamente durante la seduta della Camera del 8 agosto. Fernando de los Rìos e Ximenes de Asua si opposero a tale decisione. È chiaro che una volta dissuaso dal dimettersi, Blum si adoperò con convinzione per la politica del non-intervento. Ora la sua convinzione si basava sull’ipotesi che un eventuale aiuto alla Spagna repubblicana da parte dei paesi amici avrebbe innescato un aiuto ancora più forte di Italia e Germania alle truppe di Franco; mentre un accordo di non intervento comprendente anche Italia e Germania avrebbe favorito di più la Spagna repubblicana e l’Europa. Il problema di questa ipotesi si basava sulla affidabilità di Italia e Germania.

De facto solo la Francia si era formalmente impegnata nell’embargo militare e commerciale nei confronti della Spagna, il 9 agosto, nella speranza di spingere all’emulazione, basata sull’onore, le altre nazioni, sovrastimando di gran lunga l’onore di Italia e Germania. Ma l’accordo fu accettato principalmente dalla Gran Bretagna, mentre gioco facile ebbero Italia, Germania e Portogallo che protraendo i negoziati da un lato, mandavano aiuti militari ai ribelli dall’altro. Paradossalmente la Germania di Hitler, timorosa di una reazione francese, firmò il 24 agosto, ma questo risultò in un doppio gioco e il danno era oramai già stato fatto: i nazionalisti grazie agli aiuti italo-tedeschi erano ormai nei Paesi Baschi. L’errore di iniziare l’embargo senza aspettare gli altri paesi si era rivelato come un tradimento da parte del Fronte Popolare degli amici spagnoli.

Il 24 agosto 1936 Hitler aveva annunciato di voler ristabilire il servizio di leva obbligatorio. Questo scosse la Francia e Daladier e Blum si attivarono per un piano di difesa da 14 miliardi di franchi da ripartire su 4 anni. Questo piano di svecchiare l’esercito fu il più importante dagli anni ‘20. Blum non abbandonava le speranze per una soluzione pacifica ricevendo il Ministro dell’Economia tedesca Hjalmar Schacht, critico delle spese di riarmo e a breve rimosso, per dare un messaggio di cooperazione a Hitler. Ma non poteva ignorare la realtà della politica aggressiva del suo vicino. Il piano di riarmo sollevava anche la questione di crisi finanziaria ancora non risolta. Auriol, Ministro delle finanze, faceva notare che le tasse e i prestiti non sarebbero stati sufficienti per finanziare il piano di riarmo. Si doveva svalutare il franco[94].

Se i comunisti avevano apprezzato gli interventi in materia economica, il ripiegamento sul non-intervento ruppe le dinamiche unitarie nel Fronte popolare. Maurice Thorez il 25 agosto chiedeva a gran voce “cannoni e aerei per la Spagna!”. Il 6 settembre Blum fu contestato durante un intervento pubblico dove spiegava che la soluzione del non-intervento rimaneva “l’aiuto più vero”, e che avrebbe prevenuto la conflagrazione generale. Il 5 dicembre alla Camera spiegava: l’Europa era sull’orlo della guerra, ed era per iniziativa francese che questa era stata prevenuta. Il 1° ottobre 1936 il franco venne svalutato perdendo dal 24 al 32% del suo valore. I comunisti contrari alla svalutazione chiesero la rimozione di Blum. Ma il partito radicale, nonostante le discussioni interne, si dimostrò dietro alle scelte del governo Blum, difeso da Daladier al Congresso di partito. In un discorso a Narbona il 25 ottobre Blum ribadisce che il governo è determinato a far passare il progetto annunciato il 6 giugno di fronte alla Camera, ovvero: la creazione di una cassa di assistenza in caso di calamità agricole, un fondo nazionale di disoccupazione, un regime pensionistico migliore, una riforma fiscale, la creazione di una procedura legale di conciliazione e arbitraggio obbligatori nei conflitti del lavoro. Intende istituzionalizzare e regolamentare i negoziati nei conflitti di lavoro, insomma, è per l’istituzione di un nuovo statuto del lavoro.

Nei primi di settembre Blum dovette diverse volte giustificare di fronte ai comunisti e i socialisti francesi il perché di quell’ostinato rigore. Al contrario i sostenitori del Fronte Popolare non avevano nessuna fiducia che Italia e Germania rispettassero il patto di non intervento. Poco dopo la ratifica del patto di non intervento la Spagna protestò formalmente per l’ininterrotto flusso di armi da parte di Italia, Germania e Portogallo ai nazionalisti. Il ministro degli Esteri spagnolo ricordò come Blum fosse genuinamente disperato quando sentiva delle conseguenze nefaste del patto di non-intervento. L’intervento di Italia e Germania era stato così palese che in ottobre l’Unione Sovietica incominciò a mandare carri armati, artiglieria, aeroplani e tecnici al governo repubblicano. In tutta risposta la Francia e la Gran Bretagna promossero un accordo con Italia e Germania per proibire la spedizione di volontari in Spagna. Anche questo accordo non valse a molto. Per Blum e per gli inglesi l’accordo faceva acqua ma era pur sempre una barriera contro il dilagare di un nuovo conflitto. Il governo Blum iniziò con il nuovo anno a chiudere un occhio nei confronti dei volontari repubblicani e di chi contrabbandava armi in loro favore. Di fatto vi sono prove di diversi ministri come Auriol e Cot che attivamente aiutavano la causa repubblicana con il bene placito di Blum. Questi aiuti militari raggiunsero il picco durante il secondo governo Blum. Insomma, per Blum il patto di non intervento era una bugia atta a prevenire la Seconda guerra mondiale ed è probabile che in un paio di occasioni questa fu effettivamente prevenuta. Però è pur vero che, come leader socialista, come leader del Paese vicino, la decisione di Blum di mantenere la politica del non-intervento fu difficile da difendere.

CESCO


[1] Benjamin T. Tolosa Jr. The Socialist Legacy of Jean Jaurès and Léon Blum. Philippine Studies, Second Quarter 1992, Vol. 40, N. 2 pp. 226-239.

[2] André, Albert [Blum] Blumel (1893-1973): Cambiò il suo cognome in Blumel proprio per essere distinto da un omonimo André Blum e di conseguenza è facilmente distinguibile da Léon Blum. Anch’egli come Léon nato a Parigi da una famiglia di origine ebrea alsaziana. Avvicinatosi al socialismo negli anni ‘10 per via della sua ammirazione per Jaurès, entrò presto nella SFIO; lavorò come redattore nei giornali di Hervé, La Guerre Sociale e La Victorie. Fu il segretario di Albert Thomas durante la guerra. Negli anni ‘20 fu nella Internazionale del Lavoro, quindi si diede al giornalismo per L'Europe nouvelle ed altre testate. Nel 1924 entrò ne Le Populaire di Blum, collaborando anche con il Bulletin socialiste.  Entrò a far parte anche de La Vie socialiste di Renaudel. Nei primi anni ‘30 fu direttore del settimanale della SFIO Le Travail. Già legato dalla gioventù a Blum da una profonda amicizia filiale diventò un suo assistente personale durante gli anni del Fronte Popolare. Come noto fu gravemente ferito durante l'incidente di Clichy, nel marzo del 1937, quando si recò con il ministro degli Interni Marx Dormoy sul luogo di una manifestazione contro i nazionalisti degenerata in scontri. Nel 1940 fu mobilitato e dopo la disfatta, una volta smobilitato, si recò a Vichy da Blum. Entrò subito in contatto con la Resistenza e fu arrestato durante un suo viaggio in Portogallo, internato a Bourassol, spese del tempo con Blum. Sempre attivo con la Resistenza, riuscì a sfuggire nel 1944 all’arresto della Gestapo. Tornato a Parigi nel settembre 1944, divenne il direttore del Gabinetto del ministro socialista degli interni Adrien Tixier. Nel dopoguerra riprese la sua pratica da avvocato impiegandosi in numerose cause. Uscì dalla SFIO nel 1948 per divergenze politiche e dopo una breve parentesi uscì nuovamente e definitivamente nel 1959 per andare a confluire nel Partito Socialista Autonomo. Fu molto vicino e attivo nella causa della nascita di Israele (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[3] Annie Kriegel. Leon Blum: Humanist in Politics, by Joel Colton. Commentary. November 1967https://www.commentary.org/articles/annie-kriegel/leon-blum-humanist-in-politics-by-joel-colton/

[4] Douglas Johnson. Léon Blum and the Popular Front. Lecture given to the Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11 april 1969.

[5] Alfred Sauvy.  Histoire économique de la France entre les deux guerres ; de l'armistice à la dévaluation de la livre, 1965. Revue du Nord, Année. 1966  pp. 255-258

[6] Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front. Lecture given to the Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11 April 1969.

[7] Nello stesso libro dello storico francese Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016, si fa riferimento alla fallacità dell’analisi di Alfred Sauvy.

[8] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[9] Cesco. Gustave Hervé: estratto da “From revolutionary theater to reactionary litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the extremes of French Third Republic” di Michael D. Loughlin. Adattamento Socialista. Gennaio 2022.

[10] Frédéric Monier. Léon Blum: la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[11] Maurice Barrès (1862-1923): scrittore e poeta individualista, autore della trilogia: Le culte du moi tra il 1888 e il 1891, diventa un fervente antidreyfussardo ed uno dei simboli del nazionalismo francese.

[12] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[13] Idem.

[14] Il Consiglio di Stato è una istituzione creata da Napoleone nel 1799, con la funzione “di formare i dossier per l’elaborazione delle leggi” da Meriggi in Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.

[15] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[16] Philippe Collin et al. Léon Blum : une vie héroïque. Podcast. Radio France, France Inter, 2022 Léon Blum, une vie héroïque - YouTube

[17] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[18] Lucien Charles Herr (1864-1926): entrò nel 1883 all'École normale supérieure nella sezione di filosofia, tra gli altri vi era anche il suo caro amico Ernest Zyromski, e ottenne l’agrégation nel 1886; viaggiò quindi a Lipsia, Berlino, San Pietroburgo, Mosca, fino a Praga; quindi, visitò l’Algeria e la Costa Azzurra. Alla fine del 1887 diventò bibliotecario dell’École normale supérieure. Entrò a far parte della redazione della Revue de Paris nel 1894 fino al 1904. Nel 1899 Herr raccolse la metà dei fondi necessari per la fondazione della Société nouvelle de Librairie et d'Édition che salvò Péguy dalla sua prima bancarotta. Herr era un socialista marxista e prediligeva l’azione dal basso più che di una élite intellettuale. Fu dapprima nel Parti ouvrier socialiste révolutionnaire di Jean Allemane e dal 1905 nella SFIO. Herr è ricordato per aver avvicinato Jean Jaurès e Blum al socialismo. E fu uno dei primi a credere nell’innocenza di Dreyfus. Consigliò a Jaurès di difendere la partecipazione di Alexandre Millerand al Gabinetto Waldeck-Rousseau (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[19] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[20] Per Jean Jaurès si rimanda il lettore a: Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio 2021.

[21] Émile Zola (1840-1902): scrittore, romanziere naturalista francese, di padre veneziano e madre francese. Vicino al movimento impressionista. L’articolo J'accuse pubblicato sull'Aurore all’inizio del 1898 gli costò una condanna che lo costrinse all’esilio in Inghilterra (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ ).

[22] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[23] Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio 2021.

[24] Idem.

[25] Per approfondire sul caso Millerand si rimanda a: Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio 2021. Alexandre Millerand (1859-1943): Deputato dal 1885 per i radicali, passa al socialismo, diventando nel 1899 il primo deputato socialista al Governo; questo creò il caso Millerand o l’affaire Millerand. Farà parte, oltre del governo Waldeck-Rousseau, anche del governo Briand e Poincaré. Dopo la fine della Prima guerra mondiale passerà su posizioni conservatrici e nel 1920 ordinerà l’occupazione di Francoforte per forzare la Germania ad aderire nei fatti al trattato di Versailles. Lo stesso anno viene eletto Presidente della Repubblica, nel 1924 i socialisti e i radicali lo costringono alle dimissioni (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ ).

[26] Jules Basile, noto come Jules Guesde (1845-1922): vero e proprio pilastro del socialismo rivoluzionario. Non ne è possibile riassumere qui vita e opere, come per Jaurès, Blum, Lafargue, Brousse, Malon, Allemane, Vaillant gli andrebbe dedicato uno spazio a parte. Ad ogni modo, blanquista, dichiarandosi per la Comune fu costretto in esilio, da dove scrisse gli Essai de catéchisme socialiste (1875), in Svizzera dove fece parte degli anarchici della Federazione della Giura, critici del marxismo. Al suo ritorno in Francia fondò l'Ègalité e si avvicinò al marxismo. Fondò con Paul Lafargue il Parti ouvrier français e, come è noto, si recò con quest’ultimo a Londra da Marx ed Engels per ultimarne il Programma. Dopo la franca scissione dagli anarchici la sua intransigenza verso ogni tipo di riformismo, che farà dire la celebre frase a Marx “se questo è marxismo allora non sono marxista”, lo fece scindere da quelli che lui chiama possibilisti. Scettico dei sindacati e dello sciopero generale si oppose coerentemente alla corrente hervéista. Nonostante l’avvicinamento a Jaurès si allontana dall’Unione per via del caso Millerand. Fu uno dei fondatori della SFIO del 1905. Con lo scoppio della guerra entrò nell’Union sacrée e addirittura con Sembant nel Governo di Guerra. Oramai vecchio e malato fu contrario all’ingresso della SFIO nella Terza Internazionale (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[27] Charles Pierre Péguy (1873-1914): figlio di falegname studiò alla École Normale, dove conobbe Lucien Herr grazie al quale arrivò al socialismo. Partecipò alla fondazione della Société nouvelle de Librairie et d'Édition e prese parte al movimento dreyfusardo. Espresse il suo favore alla partecipazione di Millerand al Governo. Nel periodo che va dal 1900 al 1905 ruppe con Herr e con il socialismo. Si avvicinò sempre più su posizioni patriottarde repubblicane invocando nel 1913 addirittura il patibolo per Jaurès che vedeva come agente della Germania. Morì nella battaglia della Marna (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[28] Hubert Lagardelle (1874-1958): operaista vicino al POF di Tolosa fondò nel 1895 La Jeunesse socialiste, poi a Parigi fondò nel 1899 Le Mouvement socialiste, vicino alle tesi di Georges Sorel. Nonostante fosse su posizioni operaiste si espresse favorevolmente alla partecipazione di Millerand al governo borghese, ma ne prese presto le distanze, dato il comportamento di Millerand. Nel 1902 entrò nel Parti socialiste de France anche se fu uno dei teorici del sindacalismo rivoluzionario. Tenne una corrispondenza con Kautsky dal 1900 al 1904 e con altri, come Ervin Szabo. Entrò quindi nella SFIO dove sviluppò la tesi dell’evoluzione dei sindacati operai, ma dal 1911 prese le distanze da Georges Sorel e dal sindacalismo rivoluzionario. Durante la Prima guerra Lagardelle fu delegato al ministero della Guerra; quindi, nei primi anni del dopoguerra, non fu più molto attivo politicamente. Nel 1932 viene però ricevuto da Mussolini in Italia che lo ricordava dal 1912 quando aveva partecipato alle lezioni di Lagardelle sul sindacalismo rivoluzionario. Lagardelle ammise gli errori commessi dal sindacalismo, ma diventò nel 1933 incaricato dell’ambasciatore di Francia in Italia fino al 1937. Mussolini, che ne rimase un ammiratore, lo consultò nel 1933 e 1934 per la stesura della Legge sul corporativismo.  Lagardelle, oramai di nuovo in auge, aiutò anche Laval a mediare con Mussolini nel 1935. Dopo l’armistizio del 1940 tornò in Francia, appoggio il regime di Vichy ed entrò nel secondo governo Laval. Pétain lo promosse nel maggio 1943 come ministro segretario di Stato per il Lavoro, ma Lagardelle darà le dimissioni già nell’agosto. È arrestato nel novembre del 1944 a Parigi e condannato nel 1946 dall’Alta Corte di Giustizia ai lavori forzati a vita, ma viene quindi graziato nel 1949 (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ). 

[29] Jean, Laurent, Frédéric Longuet (1876-1938): figlio di Charles Longuet, marito di Jenny Marx, quindi nipote di Karl Marx. Longuet era nato proprio a Londra e si trasferì a Parigi con la famiglia dopo l’amnistia del 1880. Vicino al Parti ouvrier français, come lo zio Paul Lafargue, scrive anche su La Petite République, quindi attacca l’organizzazione autoritaria del partito, e rompe definitivamente con i guestisti quando entra a far parte dei dreyfusardi. Nel 1899 fonda con Lagardelle Le Mouvement socialiste, che infatti non iniziò come rivista del sindacalismo rivoluzionario. Nel 1900 diviene segretario della rivista Pro Armenia. Nel 1899 e nel 1900 sostenne ai Congressi Jaurès, anche se avanzando delle riserve sulla partecipazione di Millerand al governo, da cui prese esplicitamente le distanze nel 1901. Longuet rimase nel Parti socialiste français ma andò a formare l’ala di sinistra con Pierre Renaudel. Difenderà Jaurès agli occhi dei leader socialisti dell’Internazionale come Kautsky proprio sull’affare Millerand. A Longuet viene accreditato il nome della Section française de l’Internationale [nonostante abbiamo la versione di Hervé che se ne attribuisce la paternità]. Longuet fu attivo in molte altre riviste, tra le quali quelle internazionali come Die Neue Zeit di Kautsky e Il Socialismo di Enrico Ferri. Quindi nel 1904 iniziò a collaborare a L'Humanité. Si trovò al fianco di Jean Jaurès contro le idee di Gustave Hervé e nel maggio del 1914 fu eletto per la prima volta alla Camera dei deputati. Pochi giorni dopo aver partecipato con Karl Liebknecht alla dimostrazione per la pace a Condé-sur-l'Escaut, accompagnò, il 30 luglio, Jaurès nel suo (ultimo) viaggio a Bruxelles e anche all’incontro del 31 luglio con Abel Ferry. Era ancora con Jaurès quando, alle 21:40, al Café du Croissant venne freddato da Villain. Il 2 agosto si dichiarò a favore della difesa nazionale, senza rinunciare a ristabilire contatti internazionali. Diviene infatti l’animatore della fédération de la Haute-Vienne già nel maggio del 1915 con Paul Faure ed Henri Barbusse in difesa del socialismo internazionale.  Alla fine del 1918 la sua frazione prende il controllo della SFIO, ma Longuet non assume nessun incarico ufficiale. Sempre in questo periodo pubblica con Alcan La politique internationale du marxisme, Karl Marx et la France. Nelle elezioni del 1919 è sconfitto nel suo seggio da Pierre Laval. Sostituito da Frossard nel viaggio per Mosca del maggio del 1920 prende parte al dibattito per l’adesione alla Terza Internazionale tenutosi a Tours nel dicembre del 1920, formulando una posizione di compromesso verso i 21 punti dettati da Mosca. Zinoviev però con il suo telegramma condanna Longuet “per il suo ruolo di corruttore del proletariato con idee borghesi” fuori dalla Terza Internazionale. Partecipa nel 1923 al Congresso di Amburgo dove è nel comitato esecutivo della Internazionale Socialista Operaia. Longuet fu particolarmente sensibile alla situazione in Marocco dove avrebbe voluto vedere emergere un Fronte Popolare. Nel 1929 divenne sindaco di Châtenay e si impegnò ad accogliere molti esuli socialdemocratici tedeschi. Blum gli affidò di rappresentare la Francia nella Conferenza Internazionale per i rifugiati a Ginevra. Alle elezioni del 1935 Longuet fu eletto al secondo turno. Nel 1935 divenne preside del sindacato dei giornalisti e presidente dell’Associazione “Jean Jaurès”. Longuet appoggiò il Governo Blum tranne che per la sua decisione di non-intervento in Spagna. Morì prematuramente in un incidente automobilistico nel 1938 (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ). 

[30] Édouard, Marie Vaillant (1840-1915): dottore in scienze e in medicina. Simbolo del socialismo di tradizione blanquista francese.  Partecipò alla Comune di Parigi del 1871 e fu uno dei membri della Comune. Esule a Londra come molti altri comunardi, nel 1880 fu amnistiato. Nel 1884 fu eletto consigliere al Comune di Parigi. Fu direttore del Homme libre. Nel 1893 entrò come deputato alla Camera. Non potendo tollerare la presenza di un deputato socialista, Millerand, al fianco del macellaio della Comune, Gallifet, uscì dall’Unità socialista. Il suo ruolo fu strumentale per raggiungere l’unità e la nascita della SIO nel 1905. Si batté per uno sciopero generale contro la guerra di aggressione. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale fu uno dei celebri nomi dietro l’union sacrée rifacendosi all’esperienza comunarda.

[31] Jean Allemane (1843-1935): di umili origini frequentò la scuola fino ai 10 anni, diventò quindi tipografo a Parigi, fu imprigionato nel 1862 per aver partecipato allo sciopero dei tipografi parigini. Quasi trentenne partecipò alla Comune di Parigi come delegato della Guardia Nazionale. Caduta la Comune fu condannato ai lavori forzati a vita in Nuova Caledonia. Tentò la fuga nel 1876, e il 1879 la condanna fu commutata in esilio, ma venne amnistiato nel 1880. Diventò tipografo a L’Intransigent ed entrò nel Parti ouvrier nato nel 1879, ma rimanendo con i possibilisti nella Fédération des travailleurs socialistes de France, divenne redattore del giornale Le Parti ouvrier. La sua scissione dalla parte possibilista di Paul Brousse diede vita al Parti ouvrier socialiste révolutionnaire. Allemane fu noto per rimanere su posizioni operaiste e antimilitariste e vicino alle posizioni sindacaliste rivoluzionarie. Entrò nel Comité d'entente, ma se ne allontanò a causa del caso Millerand. Nel 1905 entrò nella SFIO. Fu eletto deputato.  Ma dal 1910 la sua rilevanza politica fu del tutto ridimensionata. “Léon Blum, avendolo ascoltato al congresso della Salle Japy nel 1899, non esitò a collocarlo al livello di Guesde e Jaurès (cfr M. Poujade, Les Allemanistes à Paris, de 1890 à 1905, op. cit.)” (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[32] Paul, Louis, Marie, Brousse (1844-1912): laureato in medicina, fu dal 1872 tra le file anarchiche. Dopo la sua permanenza in Spagna si stabilì in Svizzera dove conobbe Bakunin e si sposò con una sua studentessa russa. Fu membro della Federazione della Giura, come Guesde, e fu vicino a Kropotkin e Andrea Costa. Venne arrestato nel 1878 per essersi espresso a favore del regicidio sulle pagine de l’Avant-Garde, e la condanna gli darà ripensamenti circa le tecniche anarchiche. Una volta nel Parti ouvrier formerà la corrente possibilista con Malon al Congresso di Saint-Étienne del 1882. Guidò la Fédération des travailleurs socialistes de France dopo la scissione con Allemane diventando il leader dei possibilisti. Difese la partecipazione di Millerand al Governo e si unì alla SFIO nel 1905. Si schierò apertamente contro Hervé nel 1906. Convinto municipalista fu nel consiglio comunale di Parigi dal 1887 al 1906 (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[33] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[34] Lucien Lévy-Bruhl (1857-1939): sociologo, filosofo e antropologo, amico di Jaurès dai tempi della École normale supérieure, si schierò con i dreyfusardi e fu uno dei fondatori de l’Humanité (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[35] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[36] Philippe Collin et al. Léon Blum : une vie héroïque. Podcast. Radio France, France Inter, 2022 Léon Blum, une vie héroïque - YouTube

[37] Si può addirittura vedere il duello in una registrazione cinematografica: https://youtu.be/KFUpbT8SYUA

[38] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[39] Adrien Pressemane (1879-1829): pittore di porcellane entrò nel sindacato di Limoges giovanissimo. Nel 1902 formò un Cercle d'études sociales che si fuse con il Parti socialiste de France guesdiano ma nel 1905 si pronunciò contro l’unità, anche se infine si unì alla SFIO. Pressemane, nonostante la sua modestia, sapeva parlare agli operai, anche «Léon Blum parlava del "potere lirico di questo grande oratore popolare" (J. Longuet, p. 52)». Fu per questo che rivestì un ruolo primario nel Partito. Nel 1914 entrò in Parlamento. Allo scoppio della guerra fu chiamato al fronte, dove ne visse in prima persona gli orrori, fu quindi richiamato in Parlamento e si schierò per il pacifismo. Nel maggio del 1915 firmò il rapporto della Fédération de la Haute-Vienne, che si opponeva alla Union sacrée, e con questo, secondo Blum, Pressemane diventò il “rappresentante più potente e patetico” di questa minoranza. Nonostante che fu a favore della Rivoluzione di Ottobre, a Tours nel 1920 si oppose alla adesione alla Terza Internazionale perché in disaccordo con alcuni dei 21 punti. Pressemane presentò una risoluzione (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ). 

[40] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[41] Marcel Étienne Sembat (1862-1922): frequentò da giovane la Société républicaine d’Économie sociale e la Revue socialiste, rendendo socialista il celebre giornale La Petite République, e militò nella Ligue des droits de l’Homme et du Citoyen. Nel 1893 venne eletto deputato e fu con i blanquisti di Vaillant, mentre durante la seconda legislatura fu un convinto dreyfusardo, ma non volle che questo movimento compromettesse la linea del partito. Sembat fu anche contro la partecipazione di Millerand nel Governo Waldeck-Rousseau.  Fu una delle figure chiave dell’unione tra blanquisti, guesdisti e jauresisti del 1905 nella SFIO. Diventò quindi assiduo collaboratore de l’Humanité. A guerra iniziata Sembat diventò ministro dei Lavori pubblici il 26 agosto 1914, diede le dimissioni il 12 dicembre 1916. A Tours fu contro l’ingresso della SFIO nella Terza internazionale. Dopo la scissione diventò collaboratore de Le Populaire, morendo prematuramente (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[42] René Raphaël Viviani (1863-1925): Iniziò negli ambienti socialisti, vicino alla causa femminista. Eletto deputato nel 1893, fu direttore de La Petite République e fu un giornalista per L’Humanité di Jaurès, ma non entrò nella SFIO. Nel 1906 fu nominato ministro senza portafoglio del Lavoro nel Governo Clemenceau e rimase in carica fino al 1910. Nel 1913 divenne ministro dell’Istruzione nel governo Doumergue. Nel giungo del 1914 formò il suo primo Governo, quindi fu Presidente del Consiglio durante i primi mesi della Prima Guerra Mondiale e poi ministro della Giustizia nel governo Briand. Si ritirò dalla vita pubblica nel 1922 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ e  Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[43] Aristide Briand (1862-1932): Iniziò come, anarchico, quindi, socialista rivoluzionario, contribuendo a La Petite République. Difensore dello sciopero generale al Congresso di Marsiglia nel 1892. Briand si schierò, come Viviani e lo stesso Jaurès, dalla parte di Millerand, ma al contrario Jaurès passò nel campo dei repubblicani opportunisti. Divenne ministro, ma non più come socialista, dell’Istruzione dal 1906 al 1909. Famosa la sua repressione nel governo Clémenceau dello sciopero dei ferrovieri nel 1910.  Ministro delle Giustizia nel 1912 e nel 1914 fu Primo ministro per ben tre volte incluso il periodo della Prima guerra mondiale dal 1915-17. Contrario alle pesanti sanzioni contro la Germania, viene ricordato per essere un importante fautore del patto di Locarno del 1925, ricevette il premio Nobel per la pace nel 1926 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[44] Albert (Aristide) Thomas (1878-1932): di origine modesta ma non povera, fu uno studente brillante e alla École normale supérieure, come molti altri, entrò in contatto con Lucien Herr. Thomas intraprese la carriera di insegnate. Nel 1904 iniziò la sua collaborazione con L’Humanité e La Petite République. Thomas fu particolarmente impegnato nei sindacati che aveva studiato in Germania e nelle cooperative. Nel 1909 fu eletto nel consiglio di amministrazione della Borsa delle cooperative socialiste. Thomas fu dichiaratamente vicino al revisionismo di Bernstein. Nel 1912 divenne segretario della Fédération nationale des coopératives de consommation (FNCC). Fu anche consigliere comunale e sindaco dal 1912 al 1919. Allo scoppio della Prima guerra mondiale Thomas fu mobilitato, quindi richiamato per gestire il coordinamento tra ministero dei Lavori Pubblici e Stato Maggiore. Nel 1915 divenne sottosegretario di Stato per l’equipaggiamento militare e nel 1916 ministro degli Armamenti fino al marzo del 1917. Quindi si recò a Mosca presso il governo Kerensky. Nel 1919 fu rieletto sindaco di Champigny ma si dimise presto. A Tours nel 1920 fu contrario all’adesione alla Terza Internazionale. Assunse la direzione dell’Ufficio dell’Internazionale del Lavoro di Ginevra (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).

[45] Paul, Emile Faure (1878-1960): iniziò giovanissimo con la sua adesione al socialismo tra le file dei rivoluzionari di Guesde e Lafargue. Nel 1901 fu nella Federazione della Dordogna del POF e rimane attivo nella sua regione anche nella SFIO fino alla Prima guerra mondiale quando venne mobilitato. Fu riluttante di fronte alla union sacrée ma seguì l’esempio del suo leader Guesde. Partecipò già nel maggio del 1915 alla stesura del Manifesto della Fédération de la Haute-Vienne contro la politica bellica della SFIO. Paul Faure rimase attivo nel pacifismo francese scrivendo su Le Populaire che successivamente divenne Le Populaire de Paris. Nel 1918 divenne membro del comitato di amministrazione permanete della SFIO. Al Congresso di Parigi del 1919 con Longuet fece parte della maggioranza del partito, che voleva una nuova Internazionale e un collegamento con Mosca. A Strasburgo nel febbraio del 1920 accettava la nove condizioni emanate da Mosca, mentre al Congresso di Tours del dicembre del 1920 fu critico nei confronti di alcune delle 21 condizioni emanate da Mosca. Ma mosca aveva deciso già che Longuet e Faure dovevano essere epurati. Paul Faure rimase pressoché su posizioni guesdiste di non collaborazione con altri partiti borghesi. Con il riarmo tedesco, riemerse la forte tendenza pacifista di Faure entrando in contrasto con Blum. Fu un sostenitore degli accordi di Monaco e, nonostante dovette riconoscere nel 1939 la necessità di accordi militari, rimase fedele al pacifismo. Durante l’invasione tedesca non lasciò Parigi, ma accettò la nomina di Pétain al Consiglio di Stato, come noto nomina fatta per irritare Blum. Nel 1944 il Partito Socialista espulse Faure (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[46] Pierre Renaudel (1871-1935): iniziò come blanquista, fece parte del partito Socialista Francese e rimase nella sinistra del partito, contro la partecipazione di Millerand al governo chiedendone l’espulsione. Fu uno dei principali fautori della nascita della SFIO, collaboratore de L'Humanité, fu a favore della difesa nazionale durante la guerra e si espresse contro l’ingresso nella Terza Internazionale a Tours nel 1920. Nel 1932 invece si ritrovò a favore della partecipazione parlamentare al governo Daladier, e paradossalmente fu con i deputati neosocialisti nella separazione del 1933. Formò il Parti socialiste de France, si rese conto però della estraneità delle sue idee rispetto a quelle dei neosocialisti.  (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[47] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[48] Vincent Auriol (1884-1966): deputato socialista, amico di Blum, ministro delle Finanze, della Giustizia e del Coordinamento interministeriale del Fronte popolare. Arrestato nel 1940 riuscì a scappare ad Algeri e si unì alla Resistenza. Nel dopoguerra divenne presidente della Costituente quindi primo presidente della IVa Repubblica. Nel 1958 si dimise dalla SFIO (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[49] Ludovic-Oscar Frossard (1889-1946): Conosciuto come L. O. Frossard, studiò alla École normale d'instituteurs de Belfort, entrò attorno al 1905 nella SFIO nella sua regione di Belfort. Fu a favore della difesa nazionale nel 1914 anche se più vicino alla posizione pacifista di Longuet. Al Congresso di Strasburgo fu incaricato con Marcel Cachin di andare in Russia per negoziare le condizioni di adesione alla Terza Internazionale. Influenzato dall’atmosfera rivoluzionaria e da Cachin, promosse l’adesione ai 21 punti di Mosca. Ma già dal giugno del 1921 e quindi nel 1922 si trovò in disaccordo con l’Internazionale Comunista sul fronte unito. Il gennaio del 1923 L. O. Frossard, ricordato come uno dei maggiori attori della scissione di Tours, si dimise da segretario del Partito comunista francese, andò a formare il Partito Comunista Unitario e nel 1924 tornò nella SFIO, progressivamente spostandosi sempre più a destra. Nel 1935 lasciò definitivamente la SFIO, e fu membro dei governi Laval, Sarraut, Chautemps, Daladier e Reynaud. Infine, nel 1940 votò per i pieni poteri a Pétain (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[50] Marcel Cachin (1869-1958): allevato in un ambiente molto religioso, fu un brillante studente di modeste origini. Sentendo Guesde, nel 1892, ad un comizio si convertì al guesdismo. Si laureò in filosofia nel 1893. Cachin creò il Socialiste de la Gironde, fu un forte oppositore di Millerand e si oppose anche a Jaurès scrivendo un opuscolo Le Dîner du Roi. Nel 1905 entrò nella SFIO e ne divenne vicesegretario nel 1912 e 1913. Prese il posto di Paul Lafargue a L'Humanité. Il 31 luglio con Jaurès, Bracke e Longuet si recò da Viviani per cercare di evitare un coinvolgimento della Francia nella guerra. Cachin scrisse quindi su L'Humanité “La dernière démarche de Jaurès était pour la paix”, ma passò al fronte di difesa nazionale. Cachin incontrò i socialisti italiani interventisti incluso Mussolini. Fu lui dietro ai famosi fondi francesi a Mussolini per il Popolo d’Italia: in accordo con Guesde, Cachin prelevò il denaro dalle casse del ministero degli Affari Esteri. Non in favore dello sganciamento russo dalla guerra vide favorevolmente i 14 punti di Wilson. Nella maggioranza di Lounget nel 1918 diventa direttore de L'Humanité. Incaricato di visitare la Russia partecipò al II Congresso dell’Internazionale e si convinse della necessità di adesione della SFIO alla Terza Interazionale. Rimase quindi direttore de L'Humanité quando questa diventò organo del Partito comunista. Fu coinvolto nella vicenda “Poincaré la guerre”, quindi nel 1922 fu coinvolto nel caso Conscript e finì in prigione nel 1923 per aver criticato l’occupazione della Ruhr. Nel 1925 faceva ancora parte dell’esecutivo allargato della Terza Internazionale. Nel 1927 fu nuovamente incarcerato per la sua azione da provocatore. Quindi si recò in Russia per il VI Congresso della Terza Internazionale. Cercò di salvare L'Humanité in difficolta finanziarie. Sostenitore del Fronte Popolare, fu critico del patto Ribbentrop-Molotov del 1939. Durante la prima parte dell’occupazione rimase in Bretagna, arrestato dalla polizia tedesca per un mese e mezzo fu quindi rilasciato probabilmente solo dopo aver scritto contro gli attacchi della resistenza francese ai danni dei soldati tedeschi. Quindi dal 1943 al 1944 rimase attivo nella versione clandestina de L'Humanité e a guerra conclusa riprese il suo lavoro per L'Humanité. Nel 1946 divenne il membro più anziano dell’Assemblea Nazionale. Nel 1949 Cachin fu ancora attivo con articoli contro la guerra in Indocina (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[51] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[52] Idem.

[53]Dalla Prefazione di Michel Dreyfus, in: Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.

[54] Cesco. LA SCISSIONE DI LIVORNO, 1921-2021. Adattamento Socialista. Gennaio 2021.

[55] Bracke, Alexandre, Marie Desrousseaux (1861-1955): Prese come pseudonimo il cognome della madre. Entrò alla École normale supérieure, proseguì i liberi studi alla Sorbona in filologia e storia ellenica e, come parte dei suoi studi di archeologia, visse per un periodo a Roma. Quindi iniziò ad insegnare all’Università. Bracke era un buon germanista e tradusse in francese diverse opere socialiste tedesche e nel 1886 aveva anche letto Il Capitale di Marx. Nel 1900 entrò nel consiglio nazionale del POF. Fu uno dei fautori dell’unità del 1905 e fu membro della sua commissione amministrativa permanete. Fu supplente di Guesde al Bureau international de Bruxelles. Nel 1912 entrò alla Camera e venne rieletto nel 1914, fu per la difesa nazionale e votò per l’ingresso di Guesde nel Governo. Fu uno dei pochi eletti anche nel 1919. Divenne deputato ancora nel 1928 e nel 1932, accettò la vicepresidenza alla Camera nel gennaio del 1936. Al Congresso di Tours si schierò con la minoranza che non volle entrare nella Internazionale. Successivamente fece parte dell’ala sinistra della SFIO vicino a Bataille Socialiste. Quando nel giugno 1936 Blum diventò capo del Governo, Bracke lo sostituì alla guida del Le Populaire. Nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo e quindi rilasciato (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ). 

[56] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[57] Fernand, Isidore Loriot (1870-1932): Aderì al Partito socialista nel 1901. Inizialmente a favore della difesa nazionale, si schierò su posizioni pacifiste ostili alla Union sacrée, nel 1916 entrò a far parte del Comitato pacifista e si schierò su posizioni zimmerwaldiane. Nel 1917 si incontrò a Ginevra diversi rivoluzionari russi che si apprestavano a tornare in Russia, tra i quali Lenin. Già nel maggio del 1919 si schierò dalla parte della neocostituita Terza Internazionale assieme a Monatte e Boris Souvarine. Loriot non poté fisicamente partecipare a Tours perché arrestato, fu assolto nel 1921, anche se la sua mozione vinse. Partecipò al III Congresso della Internazionale Comunista dove incontrò e discusse in privato con Lenin.  Al Primo Congresso del partito comunista, nel dicembre del 1921, si dimise per la non rielezione di Boris Souvarine. Nel Congresso del 1925 denunciò l’esclusione di Monatte, Rosmer, Delgarde e Souvarine e firmò la lettera dei 250 indirizzata all’Internazionale Comunista. Quindi passò con l’opposizione trotskista. Scrisse su la Révolution prolétarienne articoli di analisi della Rivoluzione russa molto importanti (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).   

[58] Meriggi da Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.

[59] Questa è una osservazione molto importante in quanto si potrebbe dire la stessa cosa del PSI che fu per questo vulnerabile a personalità di dubbia formazione socialista e morale e dotati di un profondo senso degli affari, come Enrico Ferri prima e Benito Mussolini poi.

[60] Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.

[61] Meriggi da Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.

[62] Idem.

[63] Raymond Poincaré (1860-1934): vera e propria icona della IIIa Repubblica francese. Avvocato, deputato dal 1887, ministro dal 1893, quindi senatore dal 1903, presidente del Consiglio nel 1912 e presidente della Repubblica nel 1913, divenne ancora Presidente del Consiglio nel 1922. Fra le cose da menzionare fu la sua politica ferrea nel far rispettare il trattato di Versailles e l’occupazione della Ruhr. Fu per una ultima volta presidente del Consiglio dal 1926 al 1929 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[64] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016

[65] Èdouard Herriot (1872-1957): Radicale socialista, fu ministro e presidente del Consiglio nel 1924-25, nel 1926 e nel 1932. Si schierò con la Resistenza, fu deportato in Germania e dal 1947 al 1954 fu presidente dell’Assemblea Nazionale (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[66] Cette espèce d’escroquerie, ovvero “questa specie di truffa”.

[67] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[68] Édouard Daladier (1884-1970): Professore agrégé di storia, eletto deputato per la prima volta nel 1919. Capolista nelle elezioni del 1924 per il Cartel de la gauche, quindi ministro delle Colonie del governo Herriot, poi ministro della Guerra nel governo Painlevé del 1925, e dell'Istruzione pubblica nei gabinetti Briand e Herriot, sempre del 1925. Ancora ministro dei Lavori Pubblici e quindi della Guerra in governi successivi. Dal febbraio del 1933 all’ottobre fu a sua volta capo del governo. Il suo primo governo cadde proprio a causa di un voto di sfiducia dei socialisti contro il progetto di risanamento economico che prevedeva la riduzione degli stipendi dei funzionari statali. Sulla questione della fiducia la minoranza socialista di P. Renaudel, inclusi i neosocialisti, contraria alla sfiducia, uscì dal partito socialista francese. Dopo essere stato ministro della Guerra in altri tre governi formò nel 1934 il suo secondo Governo. Fu ministro della Guerra anche nel governo Blum e nei governi Chautemps e Blum II, fu responsabile del piano di riarmo del 1938, quindi, caduto il secondo governo Blum, formò il suo terzo Governo. Il suo governo fu meno aperto al dialogo con gli operai, più liberista nell’economia e dopo il patto russo-tedesco del 1939, escluse i comunisti dal Governo. Daladier con gli accordi di Monaco cercò insieme a Chamberlain di scongiurare la guerra. Daladier fu conscio delle mire espansionistiche di Hitler, ma lasciò il campo a Chamberlain molto più magnanimo. Dovette dichiarare guerra alla Germania dopo l’invasione da parte di quest’ultima della Polonia. Dimissionario sulla questione finlandese, prima dell’armistizio, fu arrestato in Marocco dove voleva riorganizzare il Governo e venne processato a Riom per la sconfitta della Francia. Venne quindi consegnato ai tedeschi e passò la guerra in detenzione. Nel 1946 tornò nella Camera dei deputati e fu il leader dell’ormai piccolo Partito radicale opponendosi a de Gaulle. Fu sindaco di Avignone dal 1953 al 1958. Quindi si ritirò a vita privata. (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[69] Marcel Déat (1894-1955): membro della SFIO, deputato dal 1926 al 1928 e dal 1932 al 1936. Espulso dalla SFIO nel 1933 insieme agli altri neosocialisti. Dopo l’armistizio con i tedeschi collaborò con il regime nazista e fu ministro nel governo di Vichy nel 1944. Fu condannato a morte nel giugno del 1945 si rifugiò in Italia (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[70] Jean Zyromski (1890-1975): Il padre Ernest Zyromski, professore universitario, amico di Lucien Herr e di Alexandre Bracke, fu dreyfusardo ma non socialista. Jean rimase impressionato da Jaurès durante una campagna elettorale e si avvicinò al socialismo. Studiò la teoria marxista all’università di Tolosa. Si iscrisse alla SFIO nel 1912. Si trovò vicino le posizioni rivoluzionarie di Bracke, Guesde e Lagardelle, creando un connubio tra intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario. Era convinto che la difesa nazionale fosse un dovere socialista e, mobilitato nel 1914, venne ferito nella battaglia della Marna. Durante il conflitto rimase comunque in contatto con il partito e i socialisti. Zyromski vedeva nel bolscevismo una ideologia anarchica ma allo stesso tempo temeva che l’allontanamento dalla Terza Internazionale avrebbe limitato la SFIO ad una politica riformista. Sostenne comunque la frazione della “resistenza” di Blum e Bracke a Tours. Fu segretario della Federazione della Senna e molto attivo nel sindacato confederale. Diventò uno dei leader della sinistra rivoluzionaria del partito socialista francese. Si oppose nel 1924 al Cartel des gauches, e con il centro del partito fece blocco per mettere in minoranza la destra ministerialista. Nel 1926 iniziò la pubblicazione della Correspondance socialiste dalla quale nacque nel 1927 Bataille Socialiste, vera e propria voce della corrente di sinistra della SFIO della quale fu direttore. Nel 1927 contrastò a Lione la risoluzione Blum-Faure sempre per via della difesa dell’indipendenza di classe. Fu un forte promotore dell’espulsione dei neosocialisti nel 1933 e lottò per la riunificazione dei sindacati CGT e CGTU così da meritare l’appellativo coniato da Blum di “fanatico dell’unità sindacale”. Con l’avvento di Hitler, Zyromski si concentrò sull’azione antifascista della SFIO favorendo e promuovendo il patto di unità d'azione del 1934 e sviluppò con Jacques Duclos la “piattaforma di azione comune” nel 1935. Sulla questione della difesa nazionale si scontrò con Marceau Pivert volendone l’espulsione. Zyromski fu uno dei promotori del Fronte popolare nel quale riversò speranze molto più idealiste che realiste, pensando che potesse portare alla conquista del potere. Queste aspettative determinarono diverse fratture, quella causata dalla guerra di Spagna e il non-intervento. Dopo il discorso al Luna Park di Blum diede le dimissioni dal Bataille Socialiste. Una seconda frattura si verificò nel febbraio 1937, quando Blum, per risolvere le difficoltà finanziarie, decise la “pausa”. Nel giugno 1937 fu in disaccordo con Blum, quando questi scelse di dimettersi di fronte al rifiuto da parte del Senato e condannò la partecipazione della SFIO, voluta da Blum, al governo del radicale Camille Chautemps. Tornò però alla Federazione della Senna e alla direzione di Bataille Socialiste. Nel dicembre 1938, il gruppo della Bataille Socialiste votò per la mozione Blum, che si muoveva per la difesa nazionale politica e che legava la Francia ai suoi alleati. Con lo scoppio della guerra si ritirò a vita privata, ma nel 1943 fu arrestato per le sue origini ebree. A guerra conclusa Zyromski aderì al Partito comunista francese. Egli rappresentò il partito comunista alla Camera dal 1946 al 1948. Era d’accordo nella azione di difesa internazionale dell’URSS anche a scapito dell’Ungheria nel 1956: una “necessità rivoluzionaria”, ma giudicava negativamente la rottura di Stalin con la Jugoslavia. Cessò ogni attività politica dopo l'intervento sovietico in Cecoslovacchia (1968) (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ). 

[71] Marceau Pivert (1895-1958): di origini modeste ma non povere, buono studente, nel 1912 fu ammesso all'Ecole normale d'instituteurs de la Seine. Con lo scoppio della guerra non poté finire gli studi e venne mobilitato. Ne fu inizialmente entusiasta ma al fronte si ammalò e passò diversi mesi in ospedale. Riformato nel 1916 e ultimati gli studi, iniziò la sua carriera da insegnante. Conseguirà più tardi anche la laurea in filosofia nel 1925 alla Sorbona. Intanto nel 1919 entrò nella massoneria e nel 1920 entrò nel Partito Socialista francese, ovvero in una frangia alla destra della SFIO; quindi, nel 1924 entrò nella SFIO vera e propria. Nel 1927 aderì a Bataille Socialiste passando anche alla Federazione della Senna, divenendo il vice di Zyromski. Fu a favore dell’unità d’azione con i comunisti. In febbraio 1934 fu membro del Comitato permanente di vigilanza della SFIO, con Léon Blum, Vincent Auriol, Just Evrard, Emile Farinet, Paul Faure, Jean-Baptiste Lebas, Jean Zyromski e Eugène Descourtieux. Pivert si distinse per una autodifesa attiva contro il fascismo. I trotskisti lo avvicinano e Pivert stesso visitò Trosky a Domène nel marzo 1935. Per questo venne considerato troskista, affiliazione nella quale Pivert non si riconosceva. Si allontanò dalle posizioni di Zyromski di difesa nazionale e formò La Gauche révolutionnaire alla quale era vicino anche Daniel Guérin. Pivert fu favorevole al Fronte popolare, coniando la famosa esternazione “Tout est possible”, e per il governo fu il responsabile della radio e del cinema. Vicino al POUM cercò di aiutare i repubblicani spagnoli. Nell’aprile del 1937 si vide costretto a sciogliere la Gauche révolutionnaire (per aver messo sotto accusa il governo socialista) la quale venne sostituita da Les Cahiers rouges. Nel giungo del 1938 rischiò l’espulsione e andò a fondare il Parti socialiste ouvrier et paysan (PSOP) che nel 1939 entrò nel Front ouvrier international contre la guerre (FOI). Cercò di far funzionare la segreteria del FOI e scrisse al generale de Gaulle il 25 giugno 1940 per cercare di contribuire alla Resistenza. Rifugiatosi negli USA, per via di un suo discorso al fianco di Angelica Balabanoff ad una riunione del Partito Socialista Americano, l’amministrazione americana allarmata non gli rinnovò il visto e lui si rifugiò in Messico dove frequentò Gorkin e partecipò ai funerali di Trotskij. Rischiò seriamente di essere assassinato anch’egli dagli stalinisti. Durante il suo esilio messicano fu molto attivo nell’insegnamento. Nel 1946 tornò in Francia, ma non essendoci le condizioni di ricostituire il PSOP tornò nella SFIO e nella Federazione della Senna. Nel 1948 fu eletto nel comitato direttivo della SFIO, fu contro l’unità con i comunisti e fu anche critico dei troskisti, entrando a far parte del Movimento socialista e democratico per gli Stati Uniti d’Europa, assieme tra gli altri a Giuseppe Saragat, dove scriveva e dirigeva Correspondance socialiste internationale.  Fu a favore della demilitarizzazione, dei negoziati tra USA e URSS e della riunificazione della Germania e fu quindi vicino a diversi movimenti pacifisti. Dal 1953 fu molto attivo nei movimenti anticoloniali, entrò a far parte del Mouvement justice et liberté outre-mer. Pivert denunciò le repressioni sovietiche in Ungheria e Polonia, si schierò a favore del popolo algerino, ma, deluso dal comportamento del governo socialista di Mollet, fu estromesso dalla direzione del Partito. Nel 1957 denunciò la stalinizzazione della SFIO ritenendo peraltro che la classe operaia ne fosse ormai sottorappresentata. Cercò di riunire tutte le forze di minoranza antistaliniste raggiugendo al Congresso di Tolosa nel 1957 il 30% (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[72] Questo vedremo in seguito sarebbe stato rilevante per il processo di Riom durante il regime di Vichy, ma ironicamente quello si limitava ai fatti accaduti dopo il 1936.

[73] Adrien, Théodore, Ernest Marquet (1884-1955): aderì al Partito Socialista di Jaurès nel 1903, aderì alla SFIO e divenne segretario della Federazione della Gironda nel 1907. Mobilitato nel 1914, fece tutta la guerra alla fine della quale tornò alla vita politica. Partecipò ai Congressi di Strasburgo e Tours e rimase nella SFIO vicino a Renaudel. Fu eletto nel 1924 e fu anche sindaco di Bordeaux nel 1925 fino al 1944. Fu sempre più un aperto revisionista del marxismo, spostandosi maggiormente su posizioni nazional-stataliste, tanto che nel 1933 al XXX Congresso, Blum lo interruppe con la famosa esternazione “Sono spaventato!”. Fu quindi espulso insieme agli altri neosocialisti. Formò il Partito Socialista di Francia con Marcel Déat, ma in contrasto con quest’ultimo nel 1935 creò il Partito Neo-socialista di Francia. Nel 1940 votò per i pieni poteri a Pétain e divenne ministro di Stato fino al settembre. Venne arrestato nel 1944, detenuto fino al 1947 e condannato a dieci anni di indignité nationale. Una volta amnistiato nel 1954 tornò alla vita politica ma fu stroncato da un infarto proprio durante una riunione politica nel 1955 (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[74] Camille Chautemps (1885-1963): radical-socialista fu varie volete ministro e anche presidente del Consiglio nel 1930, nel 1933 per pochi mesi, e tra i due governi Blum tra il 1937 e il 1938. Fu vicepresidente di Daladier nel 1938 e di Reynaud nel 1940. Fu favorevole all’armistizio con la Germania e fu vicepresidente fino al luglio del 1940. Fu condannato a cinque anni di prigione dopo la liberazione ma rimase negli Stati Uniti (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[75] Alexandre Stavisky era un ebreo ucraino naturalizzato francese, che faceva la bella vita grazie alle sue innumerevoli truffe. Queste però non erano semplici truffe ma falsi buoni del tesoro delle municipalità che coinvolgevano le alte sfere. Quando la polizia si mise sulle sue tracce alla fine del 1933, dopo che il suo schema di buoni del tesoro falsi era stato scoperto a Bayonne, questi si rifugiò a Chamonix dove apparentemente commise suicidio il 9 gennaio 1934. Il fatto che fosse riuscito ad eludere il carcere per così tanto tempo concentrò i sospetti sul pubblico ministero, George Pressard, cognato del presidente del consiglio Camille Chautemps, radicale e massone e, se ciò non bastasse, il fratello di Chautemps era addirittura un legale di una delle imprese di Stavisky. Questo fece scoppiare l’affare Stavisky. Così tutti i gruppi di estrema destra, l’Action Française, i Camelots du Roi, i Jeunesse Patriotes, e la Solidarité Française, organizzarono delle dimostrazioni violente di piazza contro gli ebrei, i radicali, i massoni.  Il 27 gennaio il governo Chautemps aveva rassegnato le dimissioni a seguito dell’invasione da parte di dimostranti guidati da L’Action Française del Palazzo della Concordia. Il Presidente della Repubblica Albert Leburn diede quindi l’incarico ad un altro radicale, Édouard Daladier, di formare il governo e questi licenziò il direttore della Comédie Française che portava avanti una propaganda antigovernativa di estrema destra vicina alle ligues fasciste e trasferì in Marocco il prefetto di polizia Jean Chiappe, il quale rifiutò dimettendosi. A queste mosse del governo contro la destra seguì l’organizzazione di una dimostrazione, per alcuni, un vero e proprio tentativo di colpo di Stato guidato da la Croix-de-Feu, da L’Action Française e da altre leghe fasciste. Il pretesto era la protesta contro la cacciata di Chiappe. Paradossalmente anche i comunisti erano scesi in piazza per protestare contro il governo, la corruzione di uomini come Chiappe, e contro i socialisti. Ma anche i sindacati socialisti e la CGT si tenevano pronti. La polizia dovette schierare le Gardes Républicains, le Gardes mobiles, le Gardes mobiles à cheval, i Gardiens de la paix, e le truppe regolari della Gendarmerie e dei pompieri. Il 6 febbraio quindi, i dimostranti si recarono verso la Camera dei deputati, quando le forze dell’ordine sbarrarono l’accesso al ponte della Concordia. Violenze si verificarono anche al Hôtel-de-Ville. Al sentore delle prime vittime la situazione divenne una vera e propria rivolta, vennero alzate le barricate e vi furono varie cariche della polizia a cavallo. Verso mezzanotte la guardia mobile a difesa del ponte dovette aprire il fuoco per non essere sopraffatta, infine l’ordine fu ripristinato verso le due e trenta del mattino. Vi furono in totale 15 vittime e 1.435 feriti, Daladier rassegnò le dimissioni il 7 febbraio.

 

[76] Il filmato di questo breve appello può essere visto su youtube: https://youtu.be/0iCKGLOHAkk

[77] Ernst Thälmann(1886-1944): operaio, socialdemocratico e sindacalista tedesco. Fece parte del USPD quindi del KPD di cui divenne il presidente nel 1925. Fu arrestato nel 1933 dai nazisti, successivamente condotto a Buchenwald e ucciso (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).  

[78] Maurice Thorez (1900-1964): Nipote di un noto sindcalista, lavorò anche in miniera, come smistatore di pietre. Fece diversi lavori prima e durante la guerra, ma riuscì anche a studiare. Nel 1919 si unì alla CGT e alla SFIO, ma apertamente a favore della Rivoluzione russa e della Terza Internazionale si allontanò politicamente dalle posizioni del nonno. Divenne attivo nel Partito comunista al suo ritorno dal servizio militare nel 1922, e si dimostrò subito un ottimo propagandista. Boris Souvarine lo suggerì per corsi di marxismo in Unione Sovietica. Thorez, da molti poi considerato una banderuola, fu favorevole alla politica dell’Internazionale del fronte unito. Vicino a Souvarine quando questi passò al trotzkismo, Thorez sbandò, ma cercò di far dimenticare la sua posizione pro-Souvarine e nel giungo 1924 si allineò alla bolscevizzazione del partito comunista. Nel 1925 fece finalmente il suo primo viaggio in URSS, passò quindi ai vertici del partito ed entrò nel politburo. Fu incarcerato per l’azione di protesta contro la guerra in Marocco. Quando vi fu il cambio di politica dal fronte unito a quello di classe contro classe si trovò un po’ spiazzato ma si adattò e nel 1928 fece campagna elettorale contro i socialisti. Nel 1929 fu incarcerato nuovamente, quindi andò a Mosca. Con la salita al potere di Hitler in Germania Thorez si riavvicinò ai socialisti, ma l’Internazionale sconfessò questa iniziativa e Thorez sembrò riallinearsi ancora alla strategia della classe contro classe fin quando l’approvazione di Stalin alla politica del fronte unico costrinse Thorez a fare ammenda. Thorez si incontrò con Blum e Zyromski firmando nel luglio del 1934 un patto di unità d’azione. Thorez fu il promotore dell’estensione di questo patto anche alle forze radicali. Il 2 maggio 1935, venne firmato il patto franco-sovietico, Laval-Stalin: Thorez accolse con favore la virata sovietica verso la difesa nazionale, e nel 1936 divenne segretario generale del PCF.  Thorez riuscì a mettere fine agli scioperi del 1936 e guadagnò una grande popolarità, pubblicò in questo periodo anche le sue memorie Fils du peuple. Quando il 23 agosto l’URSS firmò il patto di non aggressione con la Germania nazista, Thorez si dovette precipitare a Parigi, da un lato si affrettò a giustificare ciò per via delle difficolta fatte da Francia e Gran Bretagna, dall’altro ne era rimasto sorpreso. Il PCF iniziò a perdere consensi. Thorez fu fra i deputati comunisti messi sotto arresto dal governo Daladier e partì clandestinamente il 3 ottobre del 1939. Quindi con la mobilitazione Thorez divenne disertore e gli fu tolta la cittadinanza francese mentre si era rifugiato in Unione Sovietica. A guerra finita Thorez tornò in Francia, riprese la segreteria del partito da Jacques Duclos, entrò nel governo de Gaulle e fu vicepresidente del Consiglio nel 1946 per sei mesi. Fu negli anni della guerra fredda molto vicino alle posizioni staliniane anche in virtu’ degli interventi dell’URSS in Polonia, Romania e Jugoslavia. Nel 1950, malato, lasciò la direzione del PCF a Jacques Duclos, si andò a curare in URSS e tornò in Francia solo dopo la morte di Stalin nel 1953. Ancora ancorato alla tradizione staliniana non fu particolarmente favorevole ad ammettere le critiche sollevate da Krusciov nel suo rapporto “segreto” al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico nel 1956 (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).

[79] Georges Monnet (1898-1980): entrò in politica tra i socialisti nel 1928, eletto nel 1932 alla Camera e ancora nel 1936. Ministro dell’Agricoltura nel governo Blum. Contrario all’accordo di Monaco, fu ministro dell’Embargo nel governo Reynaud, contro la decisione dell’armistizio, ma non attivo nella Resistenza. Rivestì cariche ufficiali anche nel dopoguerra, fu nuovamente ministro dell’Agricoltura tra il ‘59 e il ‘61.  

[80] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[81] Frédéric Monier. Léon Blum: la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016

[82] Léon Jouhaux (1879-1954): sindacalista, segretario generale della CGT dal 1909. Fu revocato da ogni carica nel 1938 per il fallito sciopero del 30 novembre. Fu deportato in Germania, riprese dopo la guerra il suo posto alla CGT. Nel 1947 divenne presidente del Consiglio economico della IVa Repubblica, premio Noble per la pace nel 1951 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).  

[83] Roger Salengro (1890-1936): deputato socialista dal 1925 rieletto più volte. Divenne ministro degli Interni nel governo Blum, viene ricordato per l’accordo di Matignon. La stampa di estrema destra lo accusò di aver disertato nel 1915, mentre in realtà era stato fatto prigioniero, ed era stato assolto da questa accusa, Salengro si suicidò. 

[84] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[85] Charles Spinasse (1893-1979): di formazione economica, dichiaratamente non-marxista, si iscrisse alla SFIO, nel 1926 si recò negli Stati Uniti per analizzare il capitalismo più avanzato, tornò convinto che la produzione di massa e il consumo di massa visto negli USA potevano essere esportati in Francia.  Nel 1928 alla Camera aveva già predetto il tracollo del ‘29. Nel 1936 divenne ministro dell’Economia Nazionale cosi come nel 1928 ministro del Bilancio. Rimase in carica anche con Daladier. Quindi Spinasse, favorevole all’armistizio, voto a favore Pétain e Laval. Fu espulso dalla SFIO nel 1944. Rientrò in politica nel 1961 come socialista indipendente.  

[86] Figlia di Pierre Curie e Marie Skłodowska-Curie.

[87] Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front. Lecture given to the Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11 aprile 1969.

[88] Paul Reynaud (1878- 1966): politico di centro-destra, entrò in parlamento nel 1919. Non più rieletto fino agli anni Trenta quando divenne ministro delle Finanze nel 1930 e delle Colonie nel 1931-32. Già dal 1934 auspicava la svalutazione del franco. Nel 1935 fu a favore del piano de Gaulle per la formazione delle forze motorizzate. A favore, con Blum, di un governo di unità nazionale nel 1938. Fu chiamato da Daladier nel suo governo del 1938 e fu ministro delle Finanze. Dopo il Patto di Monaco ruppe con Flandin. Diventò capo del governo nel 1940 e non volendo concedere l’armistizio diede le dimissioni in giugno, fu arrestato e processato a Riom fu quindi internato in Germania. A guerra finita fece parte della costituente del ‘46, fu ministro delle Finanze nel 1948. Ancora ministro, ma senza portafoglio nel 1950 e vicepresidente del governo gabinetto Laniel nel 1953-54. Fu attivo anche nei nuovi organi europei del Consiglio d'Europa e dell'assemblea della CECA.

[89] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[90] Idem.

[91] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

[92] Jean-Charles Asseli. La semaine de 40 heures, le chômage et l’emploi. Le Mouvement social, No. 54, Front Populaire (Jan. - Mar., 1966), pp. 183-204.

[93] Gustav Noske (1868-1946): socialdemocratico tedesco si occupò di questioni militari, nel 1918 fu nominato governatore di Kiel per sedare l’ammutinamento dei marinai. Fu nominato Ministro della Difesa nel 1919 e fu un co-artefice della creazione dei corpi franchi che sedarono la rivolta spartachista nel sangue. Nel 1920 diede le dimissioni perché sospettato di essere coinvolto nel putsch di Kapp. Nel 1944 fu arrestato per aver preso parte a un fallito attentato alla vita di Hitler (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).

[94] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016.

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