Léon Blum: un socialista “prigioniero” della Repubblica - Parte I - (tratto principalmente da “Léon Blum: humanist in politics” di Joel Colton)
Introduzione
Questo breve saggio vuole raccontare le vicende di un grande socialista
francese, Léon Blum. Dopo aver scritto su Jean Jaurès e Gustave Hervé e aver
trattato della Rivoluzione francese, di Filippo Buonarroti e della Comune di
Parigi, affrontare Blum ci è sembrato un passo obbligato. È ovvio che il
socialismo francese ha prodotto molto di più (non è nostra intenzione sostenere
che con i nostri saggi il lettore riceva una visione completa e approfondita
del socialismo francese), ad ogni modo riteniamo, seppur riconoscendone i
limiti, di poter dare almeno una visione di insieme. Quindi, trattare di Blum
ci permette in qualche modo di portare questa visione d’insieme fino al secondo
dopoguerra.
Ma perché studiare proprio Blum? Le ragioni possono essere molteplici.
Quella che vogliamo sottolineare qui è probabilmente del tutto francese, trovando
una certa tradizione nel possibilismo, ma è, a torto, spesso non
riconosciuta al marxismo stesso: si tratta dell’idea di non abbandonare la
lotta politica quotidiana nonostante si sia coscienti che questa non porti
direttamente e brevemente alla rivoluzione sociale. Oggigiorno si incomincia ad
intravedere anche tra le file marxiste una sorta di “disintossicazione” dallo
schematismo marxista-leninista della rottura della macchina statale; si
incomincia a riconoscere anche in Marx e in Engels una sensibilità politica più
sottile. Nonostante si rinfacci spesso l’eccessivo ottimismo ai due padri della
dottrina marxista, questi hanno largamente difeso l’importanza dell’istituzione
repubblicana e del suo principio democratico.
Ecco, studiare Blum fa riscoprire quanto costante questo contrasto tra
lotta per il socialismo e lotta per la Repubblica sia stato. Il suo primo
governo, quello che andò dal giugno del 1936 al giugno del 1937, Blum lo aveva
detto in tutti i modi, non era un governo socialista, non era l’inizio della
rivoluzione socialista, era un governo di coalizione ed ebbe l’Italia di
Mussolini, la Spagna repubblicana attaccata da Franco, la Germania di Hitler,
per non menzionare l’Unione Sovietica di Stalin, “contro”; ebbe,
altresì, i vincoli finanziari di Stati Uniti e Gran Bretagna, eppure mostrò un
potenziale di riforme e miglioramenti delle condizioni di vita e lavorative,
che fa venire i brividi. Ora, il fatto di essere costantemente “distratti” dal
compito di dover salvare la Repubblica dal baratro fascista, può essere visto
infatti come un grosso freno verso la socializzazione della società francese.
Di fatto il governo Blum ebbe un forte appoggio della classe meno avvezza a
drastici cambiamenti sociali, ovvero la classe media, o meglio una parte di
questa, con forte senso repubblicano. Benjamin Tolosa Jr. riportando il caso
Blum e Jaurès alla situazione delle Filippine degli anni ‘80, nota che: “Entrambi
erano fermamente convinti che un impegno socialista genuino richiedesse la
piena partecipazione nella vita della Repubblica (borghese) che significava
anche la sua attiva difesa in tempi di crisi”[1].
E questa è una buona sintesi della storia politica di Blum e probabilmente di
Jaurès. Secondo chi scrive, Blum ha insegnato molto al socialismo, e
aggiungerei senza problemi al socialismo marxista, e andrebbe rivalutato come
molti altri marxisti che sono stati coperti per anni dalla cortina pro-bolscevizzante.
Questo saggio è largamente tratto da Léon Blum: humanist in politics
di Joel Colton. Il professor Joel Colton (1918-2011) insegnò storia alla Duke
University dal 1947 fino al 1989. Quello su Blum fu il suo secondo libro; venne
pubblicato la prima volta nel 1966 e tradotto in francese nel 1968. Colton è
anche celebre per aver partecipato con Robert Palmer alla “A History of the
Modern World”, libro di testo tradotto in diverse lingue. Il libro di
Colton su Blum è alla stessa stregua del libro di Harvey Goldberg su Jaurès: un
“must read”. Colton non si perde troppo su questioni come l’appartenenza
religiosa o politica di Blum, ma si attiene spesso ai fatti. Ha ovviamente un
occhio di riguardo per le relazioni di Blum con i paesi anglofoni, Stati Uniti
e Gran Bretagna, e per il periodo relativo alla Seconda guerra mondiale, alla
quale Colton partecipò come ufficiale proprio in Europa. Nell’anno della sua
pubblicazione, il 1966, questo libro riportò diversi materiali inediti raccolti
tra le carte di André Blumel[2],
Robert Blum e la terza moglie Janot. Colton, però, è stato criticato per
non aver dato adeguato spazio alla vita di Blum prima che egli scendesse in
politica e di essersi concentrato troppo sulla parte post-Fronte popolare[3].
La nostra impressione è che Colton punti molto sull’effetto deleterio della
politica delle 40 ore settimanali sulle vicende finanziare e quindi belliche
della Francia, in qualche modo dando ragione a quanti ritenevano Blum fosse al
meglio: “un grand homme mal informé”[4]
come fa passare l’analisi di Albert Sauvy[5].
Diversi storici hanno messo in discussione l’elemento dell’insuccesso delle
politiche economiche riformiste del governo Blum come ragione della sua caduta[6],[7].
Colton ammette che con più tempo a disposizione le politiche keynesiane, messe
in moto da Blum, avrebbero avuto l’effetto, positivo, come già visto per il New
Deal americano.
Famiglia
e educazione, 1872-94
André Léon Blum era il secondo di sei figli maschi di una famiglia di
negozianti ebrei-francesi, di origine alsaziana, e sulla sua presunta origine
“non” francese si ebbe a che spettegolare quando divenne una personalità politica
di primo piano. Blum nacque l’11 aprile del 1872 da Abraham Blum e Adèle Marie
Alice Picart, nel secondo arrondissement di Parigi. Il padre Abraham si
era trasferito a Parigi, con i suoi due fratelli, in cerca di fortuna negli
anni ‘40 mentre la madre era nata a Parigi anch’ella da genitori alsaziani. Il
padre di Léon era riuscito a fare una certa scalata sociale grazie alla sua
attività commerciale, come ogni buona famiglia borghese che si rispettava erano
riusciti ad acquistare una casa per le vacanze a Enghien-les-Bains, e
frequentavano la sinagoga non senza un certo conformismo[8].
La famiglia Blum viveva in condizioni agiate ma non nel lusso. A quel tempo, il
successo degli ebrei-francesi non era visto di buon occhio in certi strati
della popolazione francese.
Il giovane Blum praticava la religione ebraica e conosceva bene i suoi
riti. In riferimento alla sua idea della religione ebraica, Blum nel Novelles
Conversations de Goethe avec Eckermann (in La Revue blanche nel
1909) espresse il seguente concetto: “L’ebreo ha la religione della
Giustizia […]. Solo l’idea della inevitabile giustizia ha sostenuto gli Ebrei
nelle loro tribolazioni. Il Messia non è nulla più che un simbolo di giustizia
eterna che può abbandonare il mondo per secoli ma che non può fallire nel regnare
un giorno. […]. Se Cristo predicava carità, Jehovah desiderava giustizia”.
Per spiegare meglio il rapporto che Blum aveva con la sua appartenenza alla
religione ebraica è utile riportare un’altra frase che scrisse, molto tempo
dopo, nel 1950, ovvero, pochi mesi prima di morire: “Ci si chiede spesso […]
se esiste una razza ebraica. Gli studiosi rispondono no. Ma Hitler diede una
definizione incontestabile. La razza ebraica include le donne, i bambini, gli
uomini che Hitler ha condannato allo sterminio totale”. Blum non si
vergognava e non ripudiava certo delle sue origini ebraiche, anche quando
queste gli provocarono parecchie molestie, ed è noto di come fu un sostenitore
della creazione dello Stato di Israele, però si sbaglierebbe a pensare Blum
come un attivista religioso, il suo attivismo fu politico e fu socialista.
La nonna materna Henriette Cerf-Picart aveva una cartolibreria dove vendeva
libri di giurisprudenza dietro al palazzo di giustizia; veniva ricordata da
Léon per il suo fervente interesse per la politica. Si dice fosse stata attiva
nelle insurrezioni del 48 e della Comune di Parigi del 71. Il senso di giustizia, però, Léon dichiarava di
averlo acquisito dalla madre, non coinvolta come la nonna in politica ma con un
forte senso morale. A dieci anni Blum iniziò gli studi al Lycée Charlemagne
fino al 1889. Nel 1889 si diplomò al Lycée Henri IV, lo stesso
frequentato da Gustave Hervé[9],
dove conobbe André Gide e Pierre Louÿs, e incominciò a scrivere nel marzo sulla
rivista La Conque fondata da Gide. Preparò il concorso d’ammissione alla
École normale supérieure alla quale fu ammesso nel luglio del 1890, a
soli diciotto anni. Dopodiché Blum, indeciso sul suo futuro, si iscrisse alla
facoltà di Legge e a quella di Lettere alla Sorbonne. Al suo contributo
letterario su La Conque unì la sua partecipazione a Le Banquet,
rivista fondata da Fernand Gregh. Nacque in questo periodo tra i suoi amici il
soprannome di Bob, ovvero il protagonista di un romanzo di Gide, dove Bob era
un intelligente enfant terrible dalle buone maniere e di buona famiglia,
questo fu il soprannome più longevo che ebbe[10].
Nel 1892 ottenne anche la laurea in lettere alla Sorbonne; quindi, si mise
a studiare scienze politiche, studiando sempre legge nella quale si laureò nel
1894. Mentre per quanto concerneva la sua attività letteraria cominciò a
collaborare con La Revue blanche a partire dal 1892. La Revue blanche
era la rivista più importante dell’avanguardia letteraria del tempo, lì conobbe
Maurice Barrès[11], una
figura carismatica, simile a quella di Gabriele D’Annunzio per l’Italia. Barrès
attirava, tra le altre cose, Blum per la loro passione comune per Stendhal.
Blum considera Barrès il suo mentore e gli dedica nel 1892: “Les progrès de
l’apolitique en France”, dove, Blum, espone il limite del socialismo nella
giustizia distributiva che si scontra con l’impossibilità di mettere in comune,
di sottomettere ad un principio di unità, il pensiero e la volontà individuale,
mentre l’anarchismo è concreto perché si basa sulla volontà individuale. Barrès
è l’ispiratore di questo modo di pensare; in quell’anno era infatti uscito
l’ultimo volume della sua trilogia: “Le culte du moi”.[12]
Più tardi, Blum, dichiarò ricordando quel periodo: “si deve considerare
quanto fossero seduttrici le dottrine individualiste per un ragazzo molto
giovane”.
Quello delle
recensioni è un’attività letteraria comune in quel periodo, e Blum concilia
questa attività con i suoi studi universitari[13]. Così fece conoscenza con
l’avanguardia della letteratura francese. Non è un caso che i suoi primi
scritti politici siano i “nuovi” dialoghi tra Goethe ed Eckermann, dove Blum si
immagina questa conversazione tra il grande letterato illuminista e il
bibliotecario di Weimar. Nel 1894 conseguì contemporaneamente le lauree in
Legge e in Letteratura. Preparò subito l’esame di ammissione al Conseil
d’État (Consiglio di Stato)[14] che passò al secondo
tentativo. Quindi nel 1895 fu nominato auditeur. Divenne nel 1910 commissaire
du gouvernement del Conseil d’État. Nel 1896 sposò Lise Bloch, anch’ella
ebrea parigina, con la quale ebbe un figlio Robert nel 1902. Con il lavoro al
Consiglio di Stato la coppia raggiunse un’ottima sicurezza economica. Per dare
un’idea, Blum guadagnava pressappoco cinque volte più di un minatore. Ma la
dote di matrimonio di Lise Bloch, e il contributo della sua famiglia gli
permettevano di condurre una vita borghese [15]. I coniugi Blum, quindi,
avevano una vita agiata, frequentavano il teatro, e i circoli intellettuali,
facevano le vacanze fuori città e vivevano a pieno la belle époque[16].
Tra
socialismo, l’affaire Dreyfus, e il Conseil d’État, 1893-1914
L’interesse per la politica inizia nel periodo che va dal 1894 al 1896 e
culmina nel suo coinvolgimento nell’affaire Dreyfus, ovvero dal 1898 al
1905, quando, nel 1905, nonostante la nascita della Section Française de
l'Internationale Ouvrière (SFIO) Blum non ha più una vera ragione di
coinvolgimento attivo in politica. Continua altresì in questo periodo la sua
attività di critico letterario e di autore[17].
Blum racconta che il suo primo incontro con le idee socialiste lo ebbe a
quattordici anni, leggendo Les Effrontés di Emile Augier, soprattutto
quando l’autore toccava il tema del principio democratico basato sul merito; si
può quindi pensare che in base a ciò Blum sviluppò una idea di socialismo nel
senso di pari opportunità.
In merito al
coinvolgimento di Blum nell’affaire Dreyfus è
noto il ruolo chiave che ebbe il bibliotecario della École Normale,
Lucien Herr[18],
il quale nel settembre del 1897 si recò a Enghien, per persuade Blum
dell’innocenza del capitano Dreyfus. Blum convinto da Herr cercò quindi di
racimolare le firme per una petizione di protesta e fu in procinto di ottenere
l’adesione di Barrès quando questi si confessò del campo opposto; Blum, allora,
raffreddò la sua profonda ammirazione per Barrès il quale si mostrò su
posizioni patriottiche e antirepubblicane [19]. Come
per Jean Jaurès[20]
anche per Blum l’influenza del direttore della biblioteca della École
Normale, Lucien Herr, fu determinante non solo per innescare il suo
attivismo nell’affaire Dreyfus, ma anche nell’avvicinarlo al socialismo.
Lo incontrò in realtà anni dopo la sua frequentazione della École, e,
grazie a Herr, Blum entrò in contatto proprio con Jean Jaurès alla fine del
1897. È chiaro che l’influenza di Jaurès su Blum fu massima. Blum disse, anni
dopo la scomparsa dell’eminente maestro: “In momenti difficili è sempre
dalla sua memoria e i suoi insegnamenti che prendo ispirazione per le mie
azioni. Non mi chiedo: cosa avrebbe fatto al mio posto? - Non ho mai avuto la
presunzione di sostituirmi a lui nemmeno nel pensiero - ma mi chiedo: cosa
avrebbe voluto facessi, per come sono?”.
Fu l’affaire Dreyfus a proiettare Blum nell’agone politico. Dapprima
vi era stata una certa reticenza da parte sua, come di altri, di farsi
coinvolgere nel caso dell’ufficiale ebreo accusato di alto tradimento, in
quanto questo caso riservava non pochi appigli per l’antisemitismo, che in
Francia era molto presente. Jaurès diventò ben presto la bandiera di questo
movimento. Blum riporta che dal 1897 fino alla grazia concessa a Dreyfus, nel
1899, le sue energie furono totalmente dedicate a questo caso. Il 1°
febbraio 1898 poco dopo il J’accuse di Émile Zola[21],
Lucien Herr scrisse un articolo su La Revue blanche, non firmato,
dove denunciava l’antisemitismo e il nazionalismo dietro la persecuzione di
Dreyfus. Barrès lo stesso giorno sul Journal considerava lo schierarsi
degli intellettuali dreyfusardi come: “uno spreco fatale nel tentativo della
società di creare un'élite”[22].
Il celebre articolo di Zola, “J’accuse”, determinò però una vera svolta
in favore di Dreyfus. Blum entrò a far parte della squadra legale per la difesa
proprio di Zola guidata da Fernand Labori. Zola fu condannato, ma, il processo
stesso servì a fare luce sui lati oscuri del caso Dreyfus. È altrettanto noto
del passo falso fatto dal Ministro della Guerra Godefroy Cavaignac[23]
nel negare un nuovo processo a Dreyfus, passo falso riconosciuto subito da
Jaurès come lo scacco matto agli accusatori, poiché l’opinione di Cavaignac si
basava su documenti falsi[24];
il governo si vide costretto a riaprire il caso e, dopo varie vicissitudini,
Dreyfus fu graziato. Questo caso mostrò alla luce del giorno come la Francia
stesse attraversando un’ondata di aperto nazionalismo antisemita, proprio
quello che la comunità ebraica temeva. Nel febbraio 1899 Paul Déroulède e la
sua La Ligue des Patriotes tentarono un colpo di Stato e il
neopresidente Émile Loubet fu fisicamente assalito sempre dagli
antidreyfussardi. Blum prese parte alle dimostrazioni di protesta contro questa
ondata nazionalista antisemita e antirepubblicana messa in piedi dalla Action
Française, dai Camelots du Roi e dalla già citata Ligue des
Patriotes. La difesa di Dreyfus divenne così la difesa della Repubblica, e
questo unì socialisti e repubblicani ma solo temporaneamente. Questo fatto
ricorda, ovviamente, quello che succederà anni dopo con il Fronte popolare.
Nel 1899 Blum si unì al gruppo dell’Unità Socialista e i socialisti
passarono dall’affaire Dreyfus all’affaire Millerand. Come è noto,
Alexandre Millerand[25]
decise, anche contro il consiglio di Jaurès, di partecipare al governo
Waldeck-Rousseau dove sedeva il cosiddetto “macellaio” della Comune, il
generale de Gallifet. Questo suscitò un gran clamore, ed è nota la
ripercussione che questo affare ebbe all’interno della Seconda Internazionale culminando
nella risoluzione Kautsky la quale sintetizzava in qualche modo le due
posizioni estreme francesi, l’incompatibilità tra Partito Socialista e governo,
sostenuta da Jules Guesde[26],
e la tolleranza di tale collaborazione dettata dall’eccezionalità del caso,
avvocata da Jaurès. Sempre nel 1899 Blum prese parte alla fondazione di una
società editoriale, partecipando con 50 azioni per un totale di 750, dove vi
erano principalmente coinvolti Herr e Charles Péguy[27].
La società produsse due riviste, la Revue socialiste, che era stata
fondata inizialmente da Benoît Malon, e il Mouvement socialiste di Hubert Lagardelle[28]
e Jean Longuet[29]. Pubblicò la serie della Bibliothèque
socialiste per la Société nouvelle de Librairie et d’éditions. Blum scrive Les
congrès ouvriers et socialiste française tra il 1900 e il 1901.
In questi anni, lo scenario socialista francese è diviso tra guesdisti
ovvero intransigenti; blanquisti, guidati dal comunardo Édouard Vaillant[30],
ovvero rivoluzionari; sindacalisti rivoluzionari guidati da Jean Allemane[31];
i possibilisti della Fédération des travailleurs socialistes de France
di Paul Brousse[32]; infine,
i socialisti vicino a Jaurès con i quali si ritrova Blum [33].
Nel 1903 inizia la sua collaborazione con la rivista Gil Blas, dove
scrive un articolo a settimana e pubblica anche su un’altra rivista, La
Renaissance latine, qualche critica letteraria. Nel 1904 Blum fu tra i
promotori dell’apertura del nuovo giornale di Jaurès L’Humanité. Blum e
Lucien Lévy-Bruhl[34]
aiutarono Jaurès a trovare i fondi per l’apertura del giornale, e data la loro
origine ebraica, vi fu anche una polemica iniziata dalla destra antisemita sui
fondi “sospettosamente” legati alla comunità ebraica che avevano permesso la
nascita de L’Humanité. I fondi per L’Humanité ammontavano a
850.000 franchi. Blum deteneva 50 azioni ed era membro del consiglio di
amministrazione. Su L’Humanité scriveva la rubrica “La vie littéraire”[35].
In questo periodo, nonostante le pressioni di Jaurès per far candidare Blum
alla Camera, questi ne rimase fuori, assorto come era nel suo lavoro al Conseil
d’État, senza contare il suo attivo impegno come critico letterario. Al
Consiglio di Stato Blum fortifica la sua idea di Stato repubblicano basato
sugli ideali della Rivoluzione francese e la sua idea della relazione dello
Stato con il cittadino. Vede nel sistema della scuola un sistema meritocratico
che permette anche a minoranze delle classi meno abbienti di rivestire cariche
chiave nella macchina statale[36].
Nel 1906 uscì una raccolta delle sue critiche sotto il titolo En lisant
e nel 1907 il suo lavoro Du mariage. Nel saggio Du mariage Blum
mette in risalto le ipocrisie della morale borghese che vuole il matrimonio
monogamico, sposarsi vergini e la disparità fra i due sessi. Ovviamente oltre a
fare scandalo questo libro è attaccato perché mette in discussione la morale
cattolica. Nel 1907 inizia a contribuire come critico letterario alla Grande
revue. Dal 1908, come affermato critico, inizia a collaborare con la Comœdia.
Nel 1911 inizierà a collaborare con il celebre quotidiano Le Matin, dove
vi pubblicherà fino al 1914 più di 100 articoli. Blum frequenterà anche
compositori conosciuti grazie a sua moglie Lise, come Maurice Ravel e Gabriel
Fauré, il quale dedicherà una composizione a Lise Blum-Bloch. È proprio in
questo ambiente di intellettuali e musicisti che i Blum incontrano Thérèse Pereyra,
moglie di Edmond Mayrargues, agente di cambio e musicista. Tra Léon e Thérèse
nascerà presto una relazione sentimentale: Thérèse divorzierà da Edmond e sarà un’attivista
della SFIO. L’11 ottobre del 1912 si
riporta del duello tra Blum e Pierre Weber[37]:
Weber era rimasto contrariato per la presenza del critico letterario e teatrale
Blum alle prove del suo spettacolo e nel duello Weber venne ferito lievemente
al terzo assalto. Nel luglio del 1914, pochi giorni prima dello scoppio della
guerra, Blum pubblicò Stendhal et le beylisme [38].
Come riassume Joel Colton “La prima guerra mondiale e l’assassinio di Jaurès
frantumarono la sua tranquillità e lo spinsero nel vortice della politica”.
Prima
Guerra Mondiale, Rivoluzione bolscevica e ingresso in Parlamento, 1914-1919
Jean Jaurès fu assassinato da un esaltato nazionalista il 31 luglio 1914,
alle 21:40, mentre cenava con altri socialisti al Café du Croissant. Era
appena tornato da Bruxelles dove aveva tenuto un discorso per la pace alla
riunione straordinaria del Bureau della Seconda Internazionale. Il 4 agosto,
giorno del suo funerale, i deputati socialisti votarono, con tutta la Camera, i
crediti di guerra. Le reazioni a caldo di Blum sull’uccisione di Jaurès e sulla
mobilitazione del giorno seguente non sono note. È noto che il partito
socialista si dichiarò favorevole alla difesa nazionale, ma contro la sua
partecipazione al governo, e molti sostennero e si giustificarono dicendo che
Jaurès avrebbe pensato e fatto altrettanto, ma già con la carneficina di
Charleroi a fine agosto, 27.000 morti in un giorno, il partito socialista
richiese di avere almeno due ministri nel governo di guerra, mentre una parte
guidata da Jean Longuet e Adrien Pressemane[39]
si dichiarò pacifista [40].
Tre settimane dopo, nel nome della Union sacrée, due
socialisti storici entravano a far parte della coalizione di governo. Questi
erano Jules Guesde il quale divenne Ministro senza portafoglio e Marcel Sembat[41],
Ministro dei Lavori Pubblici del governo di Guerra guidato da René Viviani[42],
ovvero il secondo governo Viviani, che durò dal 26 agosto 1914 al 29 ottobre
1915. Fu a questo punto che Sembat chiese a Blum di diventare il suo direttore
di Gabinetto. Alla caduta del governo Viviani, Sembat e Guesde saranno presenti
anche nel governo successivo guidato da Aristide Briand[43]
fino al dicembre del 1916, con l’aggiunta di Albert Thomas[44]
anche se Sembat si lamenta dell’assenza pratica di Guesde. I due non presero
parte al successivo governo Briand che durò solo tre mesi. Più tardi il Partito
spinse Thomas a ritirarsi.
Quindi fu il guesdista Sembat, che invitando Léon Blum a diventare il suo
assistente personale, lo fece entrare ufficialmente in politica. Come
anticipato, mentre all’apparenza i socialisti francesi si schierarono in blocco
per la difesa nazionale, ovvero per l’Union sacrée,
crebbe una minoranza, guidata da Jean Longuet e Paul Faure[45]
e, come abbiamo visto Pressemane, che si espresse contro la collaborazione dei
socialisti col governo di guerra. Con il prolungarsi della guerra e lo scoppio
della Rivoluzione russa questa minoranza incominciò a diventare più forte. Blum
rimase fedele all’Union sacrée, non vedendo in questo nessuna
contraddizione, e credeva genuinamente che Jaurès avrebbe fatto lo stesso, ma
allo stesso tempo non si riconosceva nella destra del partito guidata da Pierre
Renaudel[46] e
Albert Thomas. L’impegno di Blum nel partito si intensificò alla fine del 1916,
e già nel dicembre del 1915 era entrato nella società creata da L’Humanité,
degli Amici di Jaurès assieme ad Albert Thomas, Émile Durkheim, Jules
Guesde, Lucien Lévy-Bruhl, Marius Moutet, Pierre Renaudel e Marcel Sembat. I
critici videro questo come un modo di appropriarsi della memoria di Jaurès per
giustificare la loro adesione all’Union sacrée[47].
Nel dicembre del 1916 Sembat dovette lasciare il governo a causa di una crisi
ministeriale e così Blum tornò al suo posto al Conseil d’État. Il 31
luglio 1917, Blum pronunciò un discorso in memoria della morte di Jaurès dove
lo si può già intravedere come possibile successore di Jaurès; entrò quindi in
un gruppo centrista formato da Vincent Auriol[48],
Albert Bedouce, Henri Sellier e Adrien Pressemane che spinse Albert Thomas ad
uscire dal governo, e,
allo stesso tempo, limitava
l’influenza della minoranza di sinistra favorevole alle risoluzioni di
Zimmerwald e Kiental.
Su La Revue de Paris nel dicembre 1917 e ancora nel gennaio 1918,
escono tre lettere di Blum sulla riforma del governo, non firmate. Blum
analizza l’esperienza fatta durante il mandato di Sembat. Per Blum la
governabilità deve essere migliorata, lo specialista deve sapere leggere una
legge finanziaria, stabilire una tariffa doganale e saper redigere un testo
penale. Blum si dichiarava per un governo parlamentare con più potere per il
capo del governo nello scegliere i ministri, organizzare il Gabinetto, e
limitare l’azione di procrastinazione del Senato. Alla fine del 1917, con la
Rivoluzione bolscevica, mentre Albert Thomas sembrava propendere per la
posizione del presidente degli Stati Uniti, Wilson, piuttosto che per Lenin,
Blum rispondeva: “Non scelgo nessuno dei due. Scelgo Jaurès. […] Rimaniamo
socialisti rivoluzionari senza essere contaminati minimamente dal mondo
bolscevico.” Blum si affermò quindi nella posizione centrista della SFIO,
posizione che lui sapeva sarebbe stata quella di Jaurès.
Con la formazione del governo Clemenceau, i socialisti passano
all’opposizione ma, il partito è frazionato, e la sinistra guidata da L. O.
Frossard[49],
segretario, con Longuet e Marcel Cachin[50],
ebbe una lieve maggioranza, al Congresso del 1918. Cachin, infatti, al
Congresso dell’ottobre, prese il posto di Renaudel alla direzione de L’Humanité.
Allo stesso tempo vi fu la rottura tra Blum e la destra del partito guidata da
Albert Thomas, il quale considerava il bolscevismo l’opposto del socialismo che
deve essere invece solo riformista. Per Blum il socialismo è rivoluzionario
anche se si impegna nelle riforme [51]. Blum era convinto che il suo rientro
nella politica di partito era dettato dalla necessità di continuare il ruolo
unitario che aveva rivestito Jaurès. Nell‘ottobre del 1918 quindi presiedette a
una commissione di 52 rappresentanti di Partito con il compito di scrivere un
nuovo programma “d’azione”. Fu celebre anche il suo intervento al Congresso
di Parigi dell’aprile del 1919 dove espose il nuovo programma e si espresse
nuovamente per la riconciliazione. Il programma conteneva la prospettiva
rivoluzionaria così come valorizzava le riforme del lavoro, ma i critici
denunciavano che quello operato da Blum era un tentativo di conciliare due
correnti opposte. Allo stesso Congresso si decise di ricostruire la Seconda
Internazionale mentre cresceva nel Partito una tendenza pro-Terza
Internazionale. In autunno Blum pubblicò, per l’editore de L’Humanité,
un opuscolo Pour être socialiste, il quale era una presentazione
didattica della dottrina marxista e di interpretazioni personali, scrive Blum:
“il socialismo è quindi una morale e quasi una religione, più che una
dottrina”[52]. In
questo opuscolo Blum raccoglie anche l’esperienza fatta al ministero durante la
guerra. La SFIO si presentò alle elezioni del novembre del 1919
sorprendentemente unita, per necessità, ma anche grazie al programma d’azione
al quale Blum aveva contribuito. La SFIO però non si coalizzò con i radicali e
la vittoria andò al blocco nazionale. I socialisti, che in termini assoluti
avevano preso trecento mila voti in più del 1914, riportavano solo 68 seggi
contro i 102 delle passate elezioni. La Prima guerra mondiale determinò un avvicinamento
della CGT alla SFIO; il sindacato confederale abbandonava così le idee
sindacaliste rivoluzionarie, anche la Federazione Nazionale delle cooperative
di Consumo (FNCC) si avvicinò la SFIO. Queste tre organizzazioni, quindi,
parteciparono ad un Comitato d’Azione che si prefiggeva di contrastare
l’inflazione.[53]
Alle già citate elezioni del 1919 Blum si era candidato, come terzo nome,
in una lista di dodici nomi presentati dal Partito nel secondo settore
elettorale del dipartimento della Senna. Nella sua campagna attacca Barrès
candidato dell’opposizione nel blocco nazionale. Dei dodici solo tre saranno
eletti, incluso Blum, eletto, quindi, nel dipartimento della Seine
entrando per la prima volta in parlamento all’età di 47 anni. La sua capacità
oratoria era molto vicina a quella del compianto Jaurès, e diventò presto il
segretario del Gruppo Parlamentare socialista. A causa della sua elezione in
parlamento dovette però lasciare il Conseil d’État e incominciò ad
arrotondare il compenso parlamentare, con la pratica privata di avvocato.
Inoltre, dovette abbandonare la carriera di critico letterario intraprendendo
quella di giornalista.
La Seconda
Internazionale fu però abbandonata al Congresso di Strasburgo nel febbraio del
1920 e una delegazione fu mandata a Mosca nonostante che non fosse stata
raggiunta la maggioranza in favore dell’ingresso della SFIO nella Terza
Internazionale. Marcel Cachin e Ludovic Frossard si recarono a Mosca e
parteciparono come osservatori al Secondo Congresso della Terza Internazionale
dove furono approvati i ventuno punti di ammissione. Avendo analizzato la
scissione di Livorno del gennaio del 1921 si possono notare diverse
similitudini ma anche molte differenze [54]. Per esempio, il Partito
Socialista Italiano aveva ufficialmente già aderito alla Terza Internazionale,
infatti i suoi membri come Serrati e Bordiga vi potevano partecipare
attivamente. I Socialisti Italiani avevano riportato una clamorosa vittoria
nelle elezioni del 1919 nonostante questo non gli desse la maggioranza al
governo. Il gruppo riformista italiano era ben identificabile e Mosca aveva
chiesto la “testa” di Turati e compagni, mentre per i francesi la richiesta di
Zinov’ev delle teste di Longuet e Paul Faure arriva a Congresso in corso. Si ricordi
che la SFIO era apparsa unita in ragione delle elezioni della fine del 1919, ma
le ventuno condizioni catalizzarono spaccature già presenti al suo interno. Da
un lato gli entusiasti come Frossard e Cachin che accettavano le condizioni
perché i bolscevichi avevano tutti i diritti, come trionfatori, di determinare
la forma della nuova internazionale. Poi vi erano quelli che prevedevano che
accettare i ventun punti avrebbe significato subordinare la SFIO ai bolscevichi,
e quelli come Longuet e Paul Faure, che avrebbero voluto aderire con riserva,
il che era proprio quello che i ventun punti volevano evitare. Infine, vi erano
quelli che non volevano aderire. Blum si schierò dalla parte di questi ultimi.
Ammetteva che l’ingresso avrebbe comportato la completa accettazione delle
condizioni dettate da Mosca e che questo avrebbe snaturato la SFIO
bolscevizzandola.
Congresso
di Tours, 1920
Blum presenta assieme a Bracke[55]
(Alexandre Desrousseaux), Barthélémy Mayéras e Dominique Paoli, ma anche Sembat
e Renaudel, una mozione a nome del Comitato di resistenza socialista, l’11
novembre 1920. Con questa mozione si vuol difendere la rappresentanza delle
minoranze in seno all’organo dirigente, rifiutare la componente clandestina,
rispettare l’autonomia del movimento sindacale, distinguere la presa del potere
politico dalla rivoluzione, la quale necessita di un cambiamento globale della
società. Il quarto punto condanna la violenza del terrore in nome della
dittatura del proletariato, inoltre la mozione vuole evitare le guerre di razza
cercando di mitigare le politiche coloniali. L’ultimo punto sulla questione
agraria riconosce il ruolo della piccola proprietà contadina. Ma questa mozione
non riceve molti voti[56]
e la mozione di “resistenza socialista” Blum-Paoli non fu messa ai voti
al Congresso di Tours. Meriggi spiega che vi sono due movimenti che spingono
per l’adesione alla Terza Internazionale, uno guidato da Fernand Loriot[57],
sindacalista degli insegnanti e Pierre Monatte vicino al vecchio sindacalismo
rivoluzionario e l’altro guidato da Jean Longuet[58]. Blum parlò il 27 dicembre come portavoce del
suo gruppo. La posizione di Blum era molto vicina ai cosiddetti riformisti
italiani di Turati, così come ai centristi tedeschi di Kautsky o ai menscevichi
russi di Martov, per la difesa del socialismo democratico contro il centralismo
dittatoriale del comitato centrale, per la rivoluzione anche accettando un
periodo di dittatura di classe ma solo quando il capitalismo avesse raggiunto
lo stadio di sviluppo che avrebbe consentito tale trasformazione. Per Blum i
bolscevichi credevano nell’insurrezione nella migliore tradizione blanquista
confondendo la presa del potere con la rivoluzione sociale. Blum era cosciente
che: “Mosca non crede per nulla che le condizioni per una totale
trasformazione rivoluzionaria si sono realizzate in Russia. Conta sulla
dittatura del proletariato che guidi una sorta di maturazione forzata
nonostante il precedente stato di evoluzione economica”. Per Blum quindi i
bolscevichi concepivano il terrore, non come ultima risorsa, ma come un mezzo
di governo. Blum non nascose l’imbarazzante argomento della difesa nazionale,
difendeva la scelta di difesa nazionale anche in un contesto socialista e
infine ammoniva che questo era uno spartiacque che avrebbe messo in discussione
la sopravvivenza del socialismo stesso.
Il discorso di Tours 27 dicembre 1919 pubblicato il 28
sull’Humanité:
Blum inizia il suo discorso ammettendo l’insolita e ingrata posizione di
dover difendere una causa che è già ufficialmente persa. Quindi continua
facendo notare che il socialismo portato avanti dalla Terza Internazionale è
qualcosa di nuovo, che, spiega Blum, “si fonda su idee erronee e contrarie
ai principi essenziali e invariabili del socialismo marxista.”. In primis
generalizza, su campo internazionale, l’esperienza russa. Blum va subito al
sodo, gli statuti della SFIO dicono chiaramente che la sua direzione appartiene
al Partito stesso, ovvero, è espressione della volontà dei militanti. “Si
parla di capi. Ma non c’erano capi. Non c’erano capi nel Partito socialista. Su
quelli che erano chiamati capi si esercitava o poteva esercitarsi il controllo.
Far agire le disposizioni statutarie su questo punto dipendeva - e dipende
ancora - dai militanti.”[59]
Blum spiega l’essenza del Partito come intesa da Marx ed Engels, ovvero essa è
la classe operaia intera; quindi il partito deve unire con formule
semplici: chi è per la sostituzione del capitalismo con un altro sistema e
vuole attuarla è socialista e il Partito deve tollerare tutte le sfumature di
pensiero, poiché il fine del partito è “l’unione di
tutti i proletari di tutti i Paesi.”. Quindi: “La rappresentanza
proporzionale era la garanzia materiale della libertà di pensiero”. Per
Blum la gerarchizzazione, ovvero la centralizzazione, “è una pura e semplice
eresia.”. Blum lega a questo anche la richiesta della Terza Internazionale
di avere una organizzazione clandestina, che porterebbe il controllo
direttamente nelle mani del Comitato Esecutivo della Terza Internazionale.
Stesso problema si pone per la questione sindacale. “La questione sindacale
dipende dalla stessa mentalità di disciplina e omogeneità, anche a scapito del
numero.” Blum sostiene che un sistema socialista si giudica: “in base alla
sua concezione della rivoluzione” e non conosce “in Francia” un
socialismo che non sia rivoluzionario, dove rivoluzione significa: “trasformazione
di un regime economico fondato sulla proprietà privata in un regime fondato
sulla proprietà collettiva [e] non sarà il risultato di una serie di riforme
giustapposte le une alle altre […]. La trasformazione sarà dunque
necessariamente preparata dalle modificazioni insensibili della società
capitalistica […] quando si sarà arrivati alla questione essenziale […] ci
vorrà una rottura di continuità, un cambiamento assoluto, categorico […] questa
rottura […] ha come condizione necessaria ma non sufficiente la conquista del
potere politico. […] Con tutti i mezzi, compresi quelli legali […] concezione
rivoluzionaria […] che era quella di Jaurès, di Vaillant, di Guesde […]”.
Oltre all’errore riformista Blum sottolinea l’errore bolscevico secondo lui
essenzialmente anarchico. Ovvero “pensare che la conquista dei pubblici
poteri è un fine in sé stesso mentre è solo un mezzo, solo una condizione, che
sia l’opera mentre ne è solo il prologo”. Spesso ricordato per non essere
un teorico marxista, Blum dimostra come le tesi di Lenin siano di matrice
anarchica. “Lenin pensa che fino a quando il dominio della classe capitalista
sulla classe operaia non sarà spezzato con la violenza ogni sforzo per
unificare, educare è organizzare resterà vano. Ne deriva l’imposizione
imperativa della presa del potere, subito […]. Concepisco questa posizione […]
quando […] non era stata fatta nessuna propaganda efficace. […] Ma nei nostri
Paesi occidentali, la situazione è davvero la stessa?”. Blum, quindi, fa notare che questa tattica
della conquista del potere e dell’organizzazione d’avanguardia è una tattica
blanquista che in Francia non ha portato “nemmeno […] a occupare una caserma
dei pompieri sui boulevard de la Villette”. Ancora più argutamente Blum fa
notare il ruolo delle masse inorganiche che un giorno seguono Boulanger e un
altro Clemenceau. Blum infine tocca uno dei nodi principali affermando che “noi”
ovvero quelli contro l’adesione alla Terza Internazionale: “Non abbiamo
dunque paura né della parola [dittatura] né della cosa. […]. Aggiungo
che, personalmente, non penso - anche se l’hanno scritto Marx e più di recente
Morris Hillquit - che la dittatura del proletariato sia tenuta a conservare una
forma democratica. […]. La dittatura è il libero potere concesso a uno o più
uomini di prendere tutte le misure che una determinata situazione comporta. […]
non è assolutamente possibile determinare in anticipo quale forma assumerà”.
Con questo, Blum, si spinge a dire che per lui non è neanche un problema che si
esprima come la dittatura di un partito come accade in Russia, contro la
credenza che voleva fosse esercitata dai Soviet. “Dittatura di partito sì,
ma di partito organizzato come il nostro e non come il vostro. […] Una
dittatura esercitata basandosi sulla volontà e la libertà popolare, sulla
volontà delle masse e quindi dittatura impersonale del proletariato. Non una
dittatura esercitata da un partito centralizzato dove l’autorità sale di
livello in livello e finisce per concentrarsi fra le mani di un comitato palese
o occulto.” Blum sottolinea la natura impersonale, temporanea e provvisoria
della dittatura. Mentre Blum ammonisce che la dittatura che i bolscevichi hanno
in mente non è temporanea ma è il sistema di governo normale; “voi concepite
il terrore non solo come un’estrema risorsa, come una misura di salute pubblica
imposta dalle resistenze della borghesia, come una necessità vitale per la
Rivoluzione, ma come uno strumento di governo.” In ultimo non si esime di
chiarire che internazionalismo non significa non rinunciare alla difesa
nazionale che vede come dice la parola stessa in difesa ad una aggressione. “Io
non so se sono o non sono un capo del Partito socialista. Non me ne rendo
conto. So che vi occupo un posto che comporta responsabilità […], i capi
sono solo delle voci che servono a parlare più forte in nome delle masse; sono
solo delle braccia che servono ad agire più direttamente in nome della folla.
Tuttavia, hanno un diritto e un dovere. Sono al servizio della volontà
collettiva. Ma questa volontà essi hanno il diritto di cercare di riconoscerla
e di interpretarla.”[60].
Ironicamente per Longuet e Faure, che propendevano per l’ingresso
nell’Internazionale, un telegramma da Mosca firmato da Zinov’ev
e altri membri dell’Esecutivo ordinava l’esclusione di Longuet e Faure
stessi e del loro gruppo. Infine, la mozione Loriot, Souvarine, Cachin e
Frossard ottenne 3.208 voti, ovvero il 68%, l’emendamento Leroy l’1%, la
mozione Longuet ottenne 1.022 voti, ovvero 22%, la mozione Pressemane 1%, e
l’8% furono gli astenuti[61].
La vittoria della risoluzione Loriot, Souvarine, Cachin e Frossard, che poi
passò alla storia come la risoluzione Cachin-Frossard, risultò nella scissione
di Tours, mettendo fine al partito unitario di Jaurès. La risoluzione Blum fu
ritirata. Il Partito Comunista Francese membro della Terza Internazionale in
quanto maggioranza di partito ereditò L’Humanité. Sembat commentò: “Il
Congresso di Tours fu il secondo assassinio di Jaurès”, questo avveniva circa
15 giorni prima della scissione di Livorno.
Malgrado più della metà dei membri della SFIO andarono nel nuovo Partito Comunista
le cariche ufficiali erano principalmente rimaste nella SFIO, ovvero
cinquantacinque deputati, molti amministratori locali e molti leader delle
sezioni federali. La SFIO però non assunse una politica puramente riformista e
sottolineò la sua matrice rivoluzionaria. La SFIO stava ancora facendo i conti
con la collaborazione di classe che aveva adottato durante la guerra con l’Union
Sacrée. Il segretario della SFIO divenne il neo-guesdista Paul Faure che
assieme a Jean Longuet contrastavano la frazione riformista, molto presente tra
il gruppo parlamentare e guidata da Pierre Renaudel, Albert Thomas e Joseph
Paul-Boncour. Sia gli intransigenti che i riformisti non avrebbero
rappresentato tutto il partito. Blum, nonostante il suo aspetto e modi
sofisticati, la sua condizione economica, per alcuni troppo agiata, era l’unico
vero erede di Jaurès e la sua conoscenza, cultura, e la sua onestà
intellettuale lo proiettavano verso quel ruolo così difficile. Nonostante che Blum
non cercò di colmare il vuoto lasciato da Jaurès fu il vuoto stesso che si
indirizzò verso di lui. Avendo il Partito Comunista ereditato L’Humanité di
Jaurès, Blum e altri membri della SFIO fondarono Le Populaire
nell’aprile del 1921. Questo giornale ebbe però vita difficile per la cronica mancanza
di fondi. Per diversi anni Le Populaire veniva acquistato per
l’editoriale di Blum in prima pagina e per gli annunci delle riunioni delle
sezioni sull’ultima pagina. Altra conseguenza di Tours fu che nel 1921 si
determinò la scissione della CGT, dando vita alla CGT comunista, ovvero la
CGTU. La CGTU riprendeva alcuni temi del sindacalismo rivoluzionario anteguerra[62].
Esercizio
del potere? Dal 1923 al 1934
In parlamento
Blum costituiva l’esempio della opposizione costruttiva e non di principio e
questo gli veniva riconosciuto anche da personalità prominenti come Raymond
Poincaré[63].
Quando, nel 1923, a causa della bancarotta tedesca e dell’impossibilità di
pagare i debiti di guerra Poincaré decise l’occupazione della Ruhr, Blum si
oppose fermamente ammonendo il buon gioco che ne avrebbero fatto gli elementi
nazionalisti e fanatici tedeschi. Fu però additato come “agente dei Boches”.
L’Internazionale operaia socialista nasceva ad Amburgo nel 1923, la SFIO ne
fu un partito costituente, Bracke è nel bureau della Internazionale socialista
e Longuet nel Comitato Esecutivo. Al Congresso di Marsiglia del 1924 il partito
sceglie quale delle tre strategie elettorali seguire: entrare nel Cartel des
gauches con i radicali e i repubblicani-socialisti, rimanere autonomi, o
allearsi con comunisti dissidenti.[64] Blum, come
Faure e Longuet, era dell’idea di non mischiarsi troppo con i radicali, come
avrebbero invece voluto i riformisti, chiedendo un programma minimo comune, e
di coalizzarsi solo per un mero calcolo elettorale. Venne a formarsi il Cartel
des gauches. Le elezioni sono vinte per numero di seggi dalla coalizione
del Cartel des gauches anche se per numero di voti la destra ne aveva
ottenuti di più. Il partito socialista guadagna 104 seggi (dai 55 rimasti), i
radicali 140, i repubblicani-socialisti 44 e i comunisti 26. Il leader radicale
Édouard
Herriot[65] cercò in Blum un
collaboratore per formare il nuovo governo, ma dopo le consultazioni con il
gruppo dirigente socialista non si trovò, o non si volle trovare un accordo,
non per responsabilità di Herriot, e i socialisti della SFIO rimasero fuori dal
governo. Molti elettori del Cartel non avevano apprezzato questa “marcia
indietro” anche giudicando il fatto che l’anti-ministerialismo era oramai
una politica pre-1914, ma Blum difese questa scelta in virtù dell’unità di
Partito, dove la corrente neo-guesdista era ancora molto forte, e dell’idea che
una collaborazione col governo radicale dall’esterno, da parte di un partito
unito, sarebbe stata più efficace. Questo periodo può essere visto, e fu visto,
con ironia dallo stesso Blum negli ultimi anni della sua vita, proprio per la
partecipazione negli anni successivi ai numerosi governi di coalizione.
Inizialmente
la SFIO appoggiò il governo radicale per forzare le dimissioni del Presidente
della Repubblica Alexandre Millerand, diventato oramai decisamente di destra. Lo
appoggiò anche nella campagna anticlericale e nel suo sostegno alla Lega delle
Nazioni e quindi nella sottoscrizione del protocollo di Ginevra e del trattato
di Locarno del 1925. Ma sulla politica finanziaria portata avanti dai radicali
di Étienne Clémentel, i socialisti non si potevano trovare d’accordo. Al
Congresso di Parigi nella Salle Bellevilloise nel gennaio del 1926 fu
ridiscussa la nuova proposta di Herriot ai socialisti di partecipazione al
governo. Blum, ora, pur ammettendo che il fine massimo, per i socialisti,
rimaneva la conquista del potere e la rivoluzione sociale, ammetteva che si
sarebbe potuto allo stesso tempo “esercitare il potere” in un contesto
borghese e che in certe circostanze ciò diventasse inevitabile, come quando il
partito fosse diventato maggioritario. Uno dei rischi più grandi di andare al
governo, però, sosteneva Blum, era che la classe lavoratrice avrebbe potuto
confondere “l’esercizio del potere” con la “conquista del potere”,
e, l’altro rischio, sarebbe stato quello di accettare responsabilità per la
società capitalista e il suo sistema economico, di fatto avversi alla natura
socialista del Partito. Per Blum: “L’esercizio del potere all’interno delle
istituzioni capitaliste è e sarà sempre una esperienza particolarmente dolorosa
e difficile per i partiti Socialisti”. La sola ricompensa di prendere parte
al governo sarebbe stata l’accelerazione delle riforme e l’occasione di
dimostrare di essere diversi dagli altri partiti. Nel caso in cui i socialisti
avessero preso parte al governo in un ruolo minoritario però il rischio sarebbe
stato anche quello di doversi difendere. Aggiungeva Blum profeticamente: “Lo
faremo domani ugualmente se i pericoli del fascismo, o della controrivoluzione,
diventassero improvvisamente allarmanti.”. Ma per Blum l’esercizio del
potere in queste circostanze parlamentari non avrebbe significato cette espèce d’escroquerie[66]
da trasformarsi nella conquista del potere. La risoluzione Blum uscì
vittoriosa dal Congresso socialista e prevedeva la possibilità per la SFIO di
formare un governo sì ma di non partecipare in uno assieme ad altri partiti, cosa
che scontentava i riformisti di Renaudel. Alle elezioni generali del 1928 Blum
perse il seggio del ventesimo arrondissement a vantaggio di Jacques
Duclos, candidato comunista. Quindi il 3
marzo 1929 Blum annunciò ai socialisti di Narbonne (in Occitania) la sua
candidatura alla elezione legislativa parziale per la dipartita del deputato
socialista Yvan Pelissier. I comunisti presentarono un candidato sostenuto
direttamente da Cachin. Ma Blum, che ora per i comunisti è l’avvocato “social-fascista”,
vince con 3651 voti a favore contro 304 [67].
Un’osservazione importante riportata da Joel Colton è che nel 1929 si era
creata una discrepanza tra il numero di membri della SFIO e il numero di
elettori, rapporto di 1 a 5; cosa atipica se paragonato ad altri paesi come il
Belgio, l’Austria e la Germania.
Nell’ottobre del 1929 il leader radicale Édouard Daladier[68]
offrì metà dei ministeri ai socialisti, e, questa volta, il gruppo parlamentare
socialista votò a favore, mentre Blum aveva dichiarato: “il potere è
qualcosa che non si condivide” e il Comitato Esecutivo del Partito, guidato
da Paul Faure, aveva votato contro la decisione dei deputati. Fu indetto un
Congresso nazionale speciale nel gennaio del 1930. I riformisti Pierre Renaudel
e Marcel Déat[69] erano a
capo della corrente collaborazionista. Déat sosteneva che l’esercizio del
potere di Blum era solo una scusa per mantenere i borghesi al potere. Déat
sosteneva che, partecipando, il Partito avrebbe effettivamente provato a
stabilire il socialismo. Blum e Faure rimasero sulla posizione più pura di esercizio
del potere, ovvero, o da soli o in posizione maggioritaria dentro una
coalizione di sinistra, eccezion fatta se vi fossero state “circostanze
eccezionali” appunto, e la loro posizione prevalse al Congresso, con 2.066
voti contro 1.057. Questo voto determinò anche la fine del Cartel.
Nelle elezioni generali del 1932, probabilmente anche in reazione della
grande depressione, i due maggiori partiti di sinistra ebbero un’importante
vittoria, i radicali con 160 seggi e i socialisti con 131. Blum fu rieletto
facilmente. Questa volta però i radicali non si mostrarono più aperti ad una
coalizione. Paradossalmente, date le circostanze di crisi e crescente
estremismo di destra, erano i socialisti a cercare la partecipazione. Blum
spiegava che questa volta c’erano le famose circostanze eccezionali. La SFIO
annunciò ufficialmente un programma di nove punti, i “cahiers de Huyghens”,
dal Congresso del giugno 1932, nel quale si affermava che il Partito avrebbe
collaborato con i radicali di Herriot. Ma il programma era troppo estremo per i
radicali e Herriot lo rigettò. Il governo Herriot di soli radicali ricevette un
breve sostegno dai socialisti e nel dicembre cadde. La decisione politica di
non sostenere Herriot sulla questione del prestito di guerra statunitense fu
una decisione che afflisse Blum anche sul lato personale. Nel gennaio del 1933
Daladier offrì di condividere il Gabinetto con i socialisti. Il Gruppo
parlamentare socialista votò a favore, mentre contrario fu Blum sempre in virtù
del programma dei cahiers de Huyghens. Il Gruppo Socialista chiedeva a
Daladier di rispettare almeno lo spirito del programma di Huyghens, ma
ricevette un rifiuto. Di conseguenza i socialisti non accettarono per
l’ennesima volta di partecipare al governo. In questo periodo le tre correnti
dominanti nella SFIO erano quella dei rivoluzionari di Jean Zyromski[70]
e Marceau Pivert[71], i
centristi di Paul Faure e Blum, la destra riformista di Pierre Renaudel. Blum
voleva mantenere una identità rivoluzionaria per il Partito, non un Partito di
riforme ma neanche un partito di opposizione sistematica. Nel 1933 quando
Hitler era ormai salito al potere in Germania, e la SFIO rifiutava ancora la
partecipazione al governo, Blum spiegava che il Partito doveva essere per: “la
pace e il disarmo”[72],
nonostante ammettesse che nel regime capitalista il concetto di difesa
nazionale fosse concepibile, sosteneva altresì che si doveva dare un esempio di
antimilitarismo e internazionalismo. Blum vedeva nel riarmo
francese il rischio dell’aggravarsi della “psicosi di guerra”. L’unico
modo per prevenire la guerra era disarmare. Questa posizione del 1933 gli fu
rinfacciata nel 1940 quando la Germania invase con successo la Francia. Ma già
al Congresso di Avignon nell’aprile del 1933, Blum promosse una risoluzione di
compromesso che cercava di difendere i principi antimilitaristi (quindi
pro-disarmo) ma permetteva della flessibilità. Inoltre, la corrente di Renaudel
votò la legge finanziaria del governo Daladier che includeva il riarmo
ampliando la spaccatura nel Partito.
Al Congresso di luglio Adrien Marquet[73]
attaccava la posizione internazionalista e pacifista di Blum sostenendo che per
contrastare il fascismo dilagante bisognava accettare “la nuova realtà della
nazione”. Blum rispondeva che era spaventato da questo discorso è che gli
sembrava proporre un programma “nazional socialista” ammonendo: “Devo
mettervi in guardia contro i pericoli dell’affermazione di Marquet […] il
pericolo che nella nostra opposizione al fascismo finiamo per adottare il suoi
metodi e addirittura la sua ideologia”. Déat e Marquet principali
oppositori di Blum in questo periodo, durante l’occupazione tedesca,
diventeranno collaboratori dei nazisti. Blum era dell’idea che prendere il
potere per una sorta di colpo di stato difensivo contro il fascismo fosse
sbagliato come fosse illusorio che tale pretesto avrebbe portato al socialismo.
Nell’ottobre del 1933 il governo Daladier aveva introdotto una proposta di
legge di taglio dei salari e delle pensioni per gli impiegati statali ricevendo
il voto contrario dei socialisti, nonostante la frazione di Renaudel avesse votato
a favore. Il governo cadde ma 28 deputati e 7 senatori dissidenti furono espulsi
dal Partito. Questo fece perdere circa 20.000 membri alla SFIO.
Il 6
febbraio 1934
Pochi mesi dopo la scissione di novembre, nel gennaio del 1934, il radicale
Camille Chautemps[74]
rimase vittima dello scandalo Stavisky[75]
e questo facilitò la rivolta del 6 febbraio quando Daladier rimosse un
ufficiale di polizia simpatizzante per le forze di destra. Le forze di destra
presero d’assalto il Palazzo Bourbon e gli scontri con la polizia provocarono
14 vittime tra i rivoltosi e una tra le forze dell’ordine. Daladier si dimise
il 7 di febbraio, e ricorderà che solo Blum gli diede supporto nelle ore
successive alla sommossa del 6, quando il 7 mattina Blum chiedeva a Daladier di
rimanere in carica e che avrebbe potuto contare sul supporto socialista anche
al Gabinetto. Daladier non voleva instaurare la legge marziale e per questo
preferì dimettersi, Blum insistette che la legge marziale andava imposta e
controllata dal parlamento, perché era dovere del Gabinetto repubblicano
difendere l’assemblea rappresentativa. A Daladier succedette Gaston Doumergue
che andò a formare un Gabinetto di “Unione nazionale”, ma i socialisti
di Blum rifiutarono e passarono all’opposizione. Però la rivolta del 6 febbraio
aveva impressionato Blum che ora pensava possibile l’ipotesi che le forze
fasciste avessero la potenza e l’organizzazione per diventare una minaccia
concreta. I comunisti, che all’inizio delle dimostrazioni del 6 erano scesi in
piazza contro il governo Daladier e contro i socialisti, il 9 avevano
organizzato una dimostrazione contro gli eventi eversivi delle forze di destra.
La CGT indisse uno sciopero generale per il 12 di febbraio. Vi furono dimostrazioni
in tutta Francia, addirittura, comunisti e socialisti unirono i cortei. È
celebre l’apparizione di Blum al corteo dove a tutta voce gridava:
“Citoyens la preuve est faite ! La province soulevée tout entière, Paris
rassemblé dans cette manifestation signifient aux hommes du fascisme et du
royalisme qu’ils ne passeront pas ! La réaction ne passera pas ! Vive la
République des travailleurs ! Vive la liberté ! Vive l’unité prolétarienne sans
laquelle aucune victoire n’est possible. Vive le peuple ouvrier de Paris !”.[76]
Ad ogni modo la convivenza tra comunisti e socialisti risultava molto
difficile, dato che Blum e Faure vedevano i comitati antifascisti comunisti
come un modo per indebolire la dirigenza della SFIO. Nonostante gli sforzi di
convergenza che costarono l’espulsione a Jacques Doroit, i due partiti rimasero
distanti. Però in Germania con la stretta nazista sui comunisti, come in
Austria con la sconfitta dei socialdemocratici, la situazione sembrava gridare
a gran voce a favore dell’unità con i comunisti, che rimasero distanti fin
quando dall’Unione Sovietica non arrivò un messaggio chiaro in favore del “patto
di unità d’azione” con i socialisti. Doumergue propose di dare il potere al
Presidente della Repubblica di sciogliere la Camera in caso del voto di
sfiducia, Blum si oppose denunciando questo come un chiaro attacco alla
repubblica e tale proposta fu abbandonata. Nonostante lo scetticismo di Blum
nei confronti dell’avvicinamento dei comunisti, la Federazione della Senna
decise il 2 luglio di unirsi in una dimostrazione con i comunisti, a favore
della liberazione di Ernst Thälmann[77]
dalle prigioni naziste. Blum paragonava i comunisti ad “une douche écossaise”
una volta troppo calda una volta troppo fredda, ovvero difficile da gestire.
L’Unione Sovietica era pronta ad entrare nella Lega delle Nazioni con l’intento
di proteggersi dalla minaccia nazista e in questo schema era da vedere, secondo
Blum, l’improvviso avvicinamento dei comunisti su ordine sovietico. Blum non
era il solo tra i socialisti a diffidare della buona fede dei comunisti; ma nonostante
la diffidenza che non nascondeva anni di acerrima opposizione, il 27 luglio
1934 fu stipulato il “patto di unità d’azione” contro il fascismo e
contro la guerra. Il ventesimo anniversario della morte di Jaurès fu celebrato
con l’unità.
Da quando anche i radicali stavano lasciando il governo Doumergue la
coalizione comunista-socialista pensava di allargare il “fronte unico”
in un “Assembramento Popolare”. Nell’ottobre del 1934 Maurice Thorez[78]
parlò di “fronte comune” contro il fascismo, “Fronte popolare del
lavoro, libertà e pace”. Paradossalmente i comunisti di Thorez proponevano
un programma di misure minime, ovvero di dissolvimento delle leghe armate, di
protezione di salari e pensioni, di disarmo e pace. Per i socialisti di Blum
mancavano le riforme più strutturali come la nazionalizzazione delle banche e
di industrie chiave. La politica populista dei comunisti sembrava troppo
interessata, e i leader socialisti come Faure e Blum rimanevano scettici, se da
un lato non volevano far cadere il patto, dall’altro non potevano non sollevare
le loro riserve.
Nella primavera del 1935 venne firmato il Patto Franco-Sovietico, ora
Stalin preferiva una Francia militarmente forte, quindi, solo due mesi dopo il
discorso di Thorez alla Camera contro il riarmo, i comunisti erano per il
riarmo e la difesa nazionale. Blum rispose: “Senza negare il dovere di
difesa del suolo nazionale contro l’invasore, rifiutiamo di identificarci con i
piani e le organizzazioni militari della borghesia”. Ma la manovra dei
comunisti frazionò i socialisti dai quali emerse la Gauche Révolutionnaire
di Marceau Pivert. Questa situazione aveva determinato delle spaccature anche
nel Partito radicale. I radicali di Herriot erano rimasti in un governo oramai
di destra e una frazione di loro “i giovani radicali” nel maggio del 1934 si
erano staccati, fiancheggiati da Daladier. Quindi già nel maggio del 1934 i
comunisti, i socialisti e una parte dei radicali si incominciavano a riunire
per delle azioni coordinate in Parlamento. I giovani radicali parteciparono a
una dimostrazione antifascista il 28 giugno e il 14 luglio, per il giorno della
presa della Bastiglia, si unirono agli altri partiti di sinistra. I radicali
rifiutavano di mettere sullo stesso piano il pericolo fascista con quello
comunista aprendo così la possibilità ad un Fronte popolare. Si formò quindi il
Rassemblement Populaire. Ben nove organizzazioni si erano riunite nel Rassemblement
Populaire: i socialisti, i comunisti, i radicali, l’Unione repubblicana
socialista, la CGT, la CGTU, la Lega dei Diritti dell’Uomo, il Comitato di
Vigilanza degli intellettuali antifascisti, e il Comitato di Amsterdam-Pleyel
contro guerra e fascismo. Queste organizzazioni scesero unite per la
dimostrazione del 14 luglio.
Il
Fronte popolare e la sua vittoria elettorale, 1935-36
Per Blum il Fronte popolare significava la difesa della Repubblica
francese, anche se il vero promotore fu il comunista Thorez il quale, al
Congresso del Comintern nell’agosto del 1935, fece adottare la linea del Fronte
popolare come linea ufficiale. Blum insisteva sulla linea delle riforme strutturali
e delle nazionalizzazioni che sapeva non avrebbero portato al socialismo ma
avrebbero determinato un passo avanti verso la sovranità popolare. Blum trovava
le resistenze maggiori proprio da parte dei comunisti che non volevano
alienarsi il favore dei radicali e delle classi medie. Solo nel gennaio del
1936 venne pubblicato il programma del Fronte popolare; i tratti più importanti
di questo programma risiedevano nella volontà di preservare la “difesa della
libertà”, ovvero la dissoluzione delle leghe fasciste e i loro controllo
sui media, l’accesso eguale alle radio, il rispetto dei diritti dei sindacati,
la riduzione dell’interferenza della Chiesa nella scuola, quindi la “difesa
della pace”, ovvero una collaborazione internazionale all’interno della
Lega delle Nazioni, e le sanzioni in caso di aggressione. Dal punto di vista
economico il programma si prefiggeva di restaurare il potere d’acquisto
crollato a causa della grande depressione. Queste misure comprendevano
una riduzione della settimana lavorativa a parità di stipendio, ovvero le 40
ore settimanali, un adeguamento delle pensioni, l’assegno di disoccupazione, le
opere pubbliche, la rimozione degli intermediari agricoli ed un controllo più
serrato nei riguardi delle banche. Nonostante la mancanza di riforme
strutturali e il limite di alcune riforme, l’esistenza di un programma del
Fronte popolare fu un motivo di credibilità e di successo. Se per Blum il
Fronte popolare significava uno strumento parlamentare per bloccare l’ascesa
fascista, quindi si era espresso in favore alla partecipazione dei socialisti
ad un eventuale governo formato da tale coalizione, per i comunisti il Fronte
popolare significava l’organizzazione delle masse, e Blum venne così accusato
di neo-millerandismo. Anche la sinistra della SFIO rappresentata da
Zyromski e Pivert della Federazione della Senna vedeva il Fronte popolare come
qualcosa di più di una mera coalizione elettorale. I comunisti verso la fine
del 1935 incominciarono a proporre o riproporre la “carta dell’unità”,
per richiamarsi a quella del 1905. Blum la condannò come la carta del Partito
Comunista. In questa atmosfera di riappacificazione, la parte dei sindacati
confederali che si era staccata dalla CGT per seguire la linea bolscevica,
ovvero la CGTU, si riunì alla CGT nel marzo del 1936. Nel febbraio del 1936 il
Patto Franco-Sovietico del maggio del 1935 era stato ratificato.
Qualche giorno prima, ovvero il 13 febbraio 1936, Leon Blum venne aggredito
da studenti monarchici. La vettura, guidata da Georges Monnet[79],
su cui stava viaggiando in compagnia della moglie di Monnet, venne fermata da
un corteo al seguito del funerale dello storico monarchico Jacques Bainville.
Il corteo era formato da giovani dell’Action Française e dei Camelots
du Roi: Blum fu riconosciuto e un gruppo di loro assalì l’auto rompendo i
finestrini e spingendo Blum fuori dalla vettura. Venne quindi malmenato
brutalmente a sangue e solo grazie ad un gruppo di lavoratori e due agenti di
polizia accorsi venne salvato. Venne quindi portato all’ospedale in condizioni
serie ma non gravi. Ovviamente le foto di Blum ferito fecero il giro di Francia
e il 16 febbraio del 1936, ovvero circa due anni dopo la grande dimostrazione
dello sciopero generale del 12 di febbraio 1934 in risposta alla sommossa del
6, le piazze si ri-riempirono. Il Gabinetto fece passare la legge sulla
dissoluzione delle leghe fasciste. Charles Maurras che su l’Action Française
aveva scritto il 13 febbraio di accoltellare i 140 deputati che avevano
approvato le sanzioni contro l’Italia di Mussolini, per la sua aggressione
all’Etiopia, fu arrestato per incitamento all’assassinio. Blum intanto aveva
lasciato Parigi per la sua convalescenza recandosi dall’amico Vincent Auriol
nel sud della Francia.
Il 7 marzo 1936 la Germania di Hitler fece marciare le sue truppe in
Renania violando i patti di Versailles e di Locarno. La reazione francese non
fu convinta: il Primo ministro Sarraut condannò l’occupazione ma rifiutò un
intervento senza il sostegno britannico.
I socialisti pregavano di mantenere la calma. Blum ancora convalescente
era allineato con questa posizione pacifista, ossia di non rispondere alla
provocazione. Poco dopo iniziò la
campagna elettorale per le elezioni generali e il Fronte popolare aveva una seria
opportunità di vincere. La risposta del Fronte popolare alla situazione
presente era rappresentata dalle parole di Blum, il quale affermava che: i) la
società era scossa dal rischio del fascismo in Francia; ii) dalla depressione
economica e sociale; iii) dalla situazione internazionale, con la campagna di
Etiopia di Mussolini e l’occupazione renana di Hitler. I socialisti avrebbero
dovuto contrastare questa situazione con: i) la loro lotta contro il fascismo,
anche quello mascherato di Doumergue e Tardieu, e contro le leghe fasciste; ii)
una politica che aumentasse il consumo e non diminuisse la produzione, ossia
contro la politica deflazionistica del governo di destra attuale; iii) il
perseverare nella pace, continuando a credere nella Lega delle Nazioni, alla
mutua assistenza delle varie regioni e al disarmo. Blum non dimenticò di citare
cause “puramente” socialiste, come la nazionalizzazione delle industrie chiave,
e che i socialisti si sarebbero concentrati sulla ridistribuzione della
ricchezza, riconoscendo, comunque, le imperfezioni e le carenze nel programma
di compromesso del Fronte popolare, compromesso fatto per contrastare il
fascismo dilagante.
Blum iniziò la sua campagna elettorale il 14 aprile 1936 e un’innovazione
dell’epoca fu l’utilizzo della radio per diffondere i comizi elettorali. I
radicali e i comunisti non avrebbero opposto nessun candidato nella sua
circoscrizione, contro Blum si presentò un candidato della destra liberale e un
autoproclamato socialista-antisemita. Nonostante in leggero calo di preferenze (6163
contro 6226 del 1932) comunque Blum fu eletto e alla prima tornata fu già
evidente la vittoria socialista, mentre alla seconda tornata di scrutini, il 3
maggio, questa tendenza si vide amplificata[80].
Le elezioni del 26 aprile e del 3 maggio segnarono una vittoria schiacciante
per il Fronte Popolare, proprio per il fatto che le maggiori forze di sinistra
e centro-sinistra si erano coalizzate. I radicali ebbero 1.955.000 preferenze,
ovvero una deflazione dalle precedenti elezioni, i comunisti ebbero 1.469.000
voti, in larga crescita, i socialisti raccolsero 1.997.000 preferenze, pagando,
in parte, lo scotto della scissione dei neosocialisti. Alla fine i socialisti
della SFIO ottennero, primo partito, 149 seggi; i radicali, ovvero il Gruppo
Radical-Socialista e Radical-Repubblicano, seconda forza, 110 seggi, il gruppo
dei Comunisti ebbe 72 seggi, il Parti de l'Unité Prolétarienne, ovvero
comunisti e socialisti dissidenti, 6 seggi, l'Union Socialiste et
Républicaine, 29 seggi, formata dai neosocialisti che avevano
abbandonato la SFIO nel 1933, e la Sinistra Indipendente, 20 seggi; così il
Fronte Popolare poteva contare su un totale di 386 seggi; mentre l’opposizione
poteva contare su 225 seggi.
Come primo partito della coalizione la SFIO aveva il diritto di prendere la
guida del governo, anche agli occhi di Blum vi erano ora le condizioni tanto
attese di esercitare il potere. Ma era già evidente che il governo del Fronte
Popolare, guidato dai socialisti, avrebbe ereditato i profondi problemi
economici e di politica estera. Durante il periodo di transizione dalla
vittoria delle elezioni del 4 maggio fino all’insediamento il 4 giugno, vi fu
un profondo crollo della borsa e una fuga di capitali. La Banca di Francia
perse 2,5 miliardi di franchi dalle sue riserve auree. Blum, non ancora
insediatosi come capo del governo, dovette tranquillizzare i mercati, spiegando
che il Fronte popolare non avrebbe rappresentato per loro una minaccia: il
Fronte popolare non aveva un carattere rivoluzionario e avrebbe cercato di
risanare l’economia del Paese. Dall’altro lato la sinistra della SFIO,
rappresentata da La Gauche Revolutionnaire, guidata da Marceau
Pivert, spingeva Blum nella direzione opposta, prendere il potere e spazzare
via il fascismo in tre giorni, in tre settimane aiutare le vittime della
depressione economica, in tre mesi attuare il programma del Fronte popolare e
in tre anni assicurare il benessere ai lavoratori. Anche Jean Zyromski della Batallie
Socialiste chiedeva una più stretta collaborazione con i comunisti, senza
curarsi troppo della componente borghese del Fronte popolare. L’opposizione a
Blum da parte dell’estrema sinistra del suo partito rappresentata da Pivert e
Zyromski e la reazione dei mercati fu ovviamente oggetto di facili ironie da
parte della stampa. Blum, però, aveva deciso di seguire il corso legale del suo
insediamento, non volendo dare nessun pretesto all’opposizione. Nonostante ciò,
Blum apprezzava la spinta da sinistra come un buon metro del suo operato. Aveva
assunto a pieno titolo e responsabilmente la carica di leader ma sapeva di
dover ascoltare le critiche interne.
Il 24 maggio 1936 alla commemorazione dei morti della Comune di Parigi al
cimitero di Père-Lachaise accorsero più di 600.000 persone. Blum parlò alla
folla: “[…] l’idea repubblicana e la passione rivoluzionaria […]. La
manifestazione popolare contro la minaccia fascista, la vittoria elettorale del
26 aprile e del 3 maggio sono dovute alla combinazione di queste due forze.
Abbiamo il diritto d’invocare oggi i gloriosi morti e dicendo loro: ‘la nostra
vittoria è la vostra’. Viva la Comune! Viva il Fronte popolare! […]”[81].
Blum poteva contare sulla partecipazione al governo dei radicali-socialisti
e dei repubblicani ma i comunisti già a priori avevano dichiarato di non poter
partecipare al governo. Blum li pregò di riconsiderare questa strategia, ma
questi non vi presero parte. Questa decisione dava la libertà ai comunisti di
guardare dall’esterno l’operato del Fronte popolare del quale erano i
principali fautori. Blum invitò anche esponenti della CGT che, come da
tradizione, rifiutò, assicurando però il suo sostegno. Dieci giorni soli dopo
la vittoria elettorale, mentre Blum era ancora alle prese con i preparativi per
il nuovo governo, scoppiarono una serie di scioperi a Parigi: i metalmeccanici
entrarono in sciopero per migliorare le loro condizioni di lavoro, con un
aumento di salario e vacanze pagate. Seguirono il loro esempio altri operai nei
sobborghi della Senna, poi ancora il 26 maggio scioperi scoppiarono alla
Renault. La vittoria del Fronte popolare aveva iniettato una grande dose di
coraggio nei lavoratori i quali oramai pensavano fosse giunto il momento di
capitalizzare, senza dover aspettare l’instaurazione formale del governo. È a
questo punto che Pivert scrisse su Le Populaire “Tutto è possibile”,
ma d’altra opinione erano Blum, leader della maggioranza socialista, Thorez,
leader dei comunisti, e Jouhaux[82],
il leader della CGT, che vedevano questa prematura catena di eventi come un
possibile pretesto per la componente della classe media radicale di venir meno
al patto di unità. I comunisti chiarirono la loro posizione con l’articolo di
Marcel Gitton su L’Humanité: “Tutto non è possibile”, spiegando
che data la situazione internazionale e la minaccia di Hitler era impossibile
sostenere una politica che mettesse a rischio la Francia e indebolisse il
maggiore alleato della Russia sovietica.
Jouhaux e i sindacati confederali, che non erano dietro a questa ondata
di scioperi, da un lato su Le Peuple non potevano che festeggiare questa
ondata di scioperi e conquiste sindacali, ma dall’altro cercavano di limitarli
in quanto timorosi della fine del Fronte popolare, la conseguente ascesa del
fascismo e quindi la fine dei sindacati. Infine Blum il 31 maggio al XXXIII
Congresso nazionale della SFIO spiegò in modo più bilanciato che questa dei
lavoratori era stata una reazione comprensibile data la vittoria elettorale e
che il governo che si andava ad instaurare avrebbe vinto la loro fiducia “con
un’azione rapida e energica”. Ancora una volta però raccomandò di non
confondere la vittoria elettorale con la conquista rivoluzionaria del potere:
questa era pur sempre la vittoria di una coalizione di forze anche della classe
media non socialista. Blum ricordava che in questo contesto il mandato dei
socialisti era di eseguire il programma del Fronte popolare. I socialisti
avrebbero dovuto cercare di estrarre il più possibile da un regime, quello
capitalista, contraddittorio ed ingiusto, ma questa era anche l’occasione di
preparare la gente per il cambiamento di società. “E’ una insinuazione
comune nei giornali reazionari parlare dei Kerensky che preparano il letto ai
Lenin […]. Certamente spero che il governo che il Partito Socialista formerà
non sarà un governo di Kerensky. Ma anche se fosse, vi assicuro che in Francia
oggi non ci sarebbe un Lenin a succedergli”. Blum al Congresso mostrò di avere il Partito
dalla sua parte.
In tutto questo gli scioperi, invece di terminare, si erano estesi al resto
del Paese. Il governo uscente di Sarraut, che nulla aveva potuto contro gli
scioperi, pregò Blum di far insediare i propri ministri degli Interni e del
Lavoro immediatamente il 4 giugno senza aspettare il giorno dopo, ovvero quando
sarebbero stati ufficialmente annunciati. Blum capendo la situazione accettò e
chiese a Roger Salengro[83]
e Jean Lebas di prendere immediatamente servizio. Il Presidente della
Repubblica Leburn, un conservatore, chiese allarmato a Blum, quando poteva
riunire il Parlamento. Blum rispose che non sarebbe stato fisicamente possibile
farlo riunire prima di due giorni, ovvero sabato 6 giugno. Lebrun chiese allora
a Blum di parlare alla radio l’indomani, venerdì 5 giugno, e comunicare che il
governo accetterà le condizioni degli scioperanti: “le crederanno [diceva
Lebrun], avranno fiducia in lei, e questa agitazione potrà cessare”.
Blum che in quanto a conoscenza legislativa non era secondo a nessuno, fece
notare al Presidente Leburn che tecnicamente non era ancora Premier prima di
presentarsi davanti al Gabinetto e ricevere il voto di fiducia, ma che avrebbe
obbedito. Quindi alle 12 del 5 giugno Blum parlò alla radio. Blum assicurò i lavoratori in sciopero che il
governo che si andava a formare avrebbe agito rapidamente e avrebbe richiesto
le riforme, ovvero: la settimana di 40 ore lavorative senza riduzione di
salario, l’istituzione di due settimane di ferie pagate, la creazione di
contratti collettivi[84].
Il discorso di Blum non ebbe l’effetto sperato e il 6 giugno oltre mezzo
milione di lavoratori erano ancora in sciopero.
Il governo Blum era formato da 18 tra ministri e sottosegretari socialisti,
13 radicali, 4 dell’unione socialista repubblicana. Ai radicali andò il ministero della Difesa
presieduto da Daladier, quello degli esteri con Yvon Delbos e dell’Educazione
con Jean Zay, mentre ai socialisti andarono gli Interni con Roger Salengro, le
Finanze con Vincent Auriol, l’Economia con Charles Spinasse[85],
il Lavoro con Jean Lebas, i Lavori Pubblici con Albert Bedouce, l’Agricoltura
con Georges Monnet e le Colonie con Marius Moutet. Per la prima volta nella
storia della Repubblica francese tre sottosegretariati erano andati a tre donne:
Irène Joliot-Curie[86]
alla Ricerca Scientifica, Suzanne Lacore all’Assistenza all’Infanzia, e
Cécile-Léon Burnschvicg all’Educazione. Blum dopo essere entrato in politica
all’età di 47 anni diventava Primo ministro all’età di 64 anni[87].
Oltre all’effetto limitativo che i Radicali attuavano sul governo Blum va
aggiunto il ruolo conservatore del Senato. Non si fecero attendere anche gli
attacchi antisemiti a Blum e agli altri ministri e sottosegretari ebrei. Xavier
Vallat già nel giorno dell’insediamento, il 6 giugno, faceva notare di quanto
fosse “inadeguato” avere un Primo Ministro ebreo, subito censurato dal
nuovo Presidente della Camera, Herriot. Il governo Blum però non aveva tempo da
perdere: introdusse subito, come promesso, una proposta di legge sulle 40 ore
settimanali, i contratti collettivi e le vacanze pagate. Inoltre proponeva di
introdurre misure di lavori pubblici, nazionalizzazione delle industrie
militari, l’istituzione di un ufficio che stabilizzasse i prezzi agricoli,
l’estensione della scuola dell’obbligo, una riforma di governo della Banca di
Francia, l’abrogazione di decreti restrittivi che coinvolgevano gli impiegati
pubblici e i veterani.
Paul Reynaud[88]
insisteva nella svalutazione del franco senza la quale le riforme non sarebbero
state sostenibili, ma Blum si oppose, inizialmente, a questa opzione. Blum allo
stesso modo si oppose all’uso della forza per far cessare le dimostrazioni,
come avrebbero voluto l’opposizione e diversi radicali. Per Blum c’erano tre
priorità. La Camera doveva far passare le riforme sul lavoro, il governo doveva
prendere misure di emergenza per assicurare i servizi pubblici e di prima
necessità e, terzo, il governo doveva mediare le richieste dei lavoratori. I
dirigenti d’industria dopo le molteplici ondate di scioperi aprono un tavolo di
trattativa con il nuovo governo e i leader sindacali. I negoziati iniziano il 7
di giugno all’hotel Matignon. Alla Conferenza di Matignon dalla Confederazione
Generale della Produzione Francese (CGPF) e dalla CGT Blum ricevette un voto di
fiducia. Questo dimostrava una apertura da parte della classe padronale,
paradossalmente con la speranza che tali concessioni rilegittimassero la CGT
tra i lavoratori. Le concessioni furono storiche: la settimana di 40 ore e le
due settimane di ferie pagate. Vengono concessi aumenti del 15% dei salari più bassi
e del 7% di quelli più elevati, contratti collettivi e il diritto dei
lavoratori ad aderire e iscriversi ai sindacati[89].
La stampa conservatrice ammoniva che queste concessioni non sarebbero state
sostenibili e lo stesso Reynaud ricordava che l’accordo era stato preso con i
grandi industriali ma che le piccole imprese non avrebbero retto. La cosa
notevole però è che neanche la vittoria di Matignon fece cessare gli scioperi.
Tanto che Trotskij, ora costretto in Norvegia, vedeva questa disobbedienza come
l’inizio della Rivoluzione Comunista Francese. Già il 9 giugno il governo
deposita alla Camera la proposta di quattro misure: l’amnistia e le tre misure
annunciate alla radio. Il 12 si vota già per la diminuzione dell’orario di
lavoro a 40 ore settimanali e la legge passa con 385 voti a favore e 175
contrari, intanto, gli scioperi raggiungono il picco proprio l’11 giugno con
1.160.000 lavoratori. Il Senato discusse la legge delle riforme il 17 di giugno,
la approvò il 18 con 176 voti a favore e 80 contrari[90].
Quindi il 18 giugno il governo si concentrava sulla nazionalizzazione delle
industrie di armamenti, la riforma della Banca di Francia, il prolungamento
della scuola dell’obbligo da 13 a 14 anni e l’Office du blé, ufficio del
grano. Nota Pierre Rosanvallon che la nuova politica economica del governo Blum
si rifà a idee che Blum aveva introdotto nelle Letters sur la réforme
gouvernementale del 1918[91].
Dopo 12 giorni dal suo insediamento il governo Blum aveva ottenuto ciò che
aveva promesso durante il proclama del 5 giugno. Vedendo che neanche questo
faceva cessare le agitazioni di piazza, i leader del Fronte popolare e della
CGT incominciarono a mettere in guardia sulla presenza di agitatori di destra, Croix
de Feu, o di estrema sinistra, trotskisti. Fu infine il leader dei
comunisti francesi Thorez che ammonì i metalmeccanici che il tempo della
rivoluzione non era ancora giunto e così facendo gli scioperanti avrebbero solo
messo a rischio il Fronte popolare. La risposta della piazza fu immediata e i
lavoratori tornarono al lavoro. Era chiaro, ancora una volta, che erano i
comunisti che tenevano in piedi il Fronte popolare. In questa atmosfera
vittoriosa si tenne la festa del 14 luglio. Quando, anni dopo, fu processato
dal governo di Vichy per non aver agito contro gli scioperanti con la forza,
Blum, orgogliosamente, rispose di aver avuto il tempo di rifletterci in quegli
anni e no di non essere stato nel torto, la cosa giusta, secondo lui non era
reprimere le agitazioni. Risolta l’emergenza scioperi il governo Blum doveva
concentrarsi sulla depressione economica. La sua strategia era quella di
rilanciare il potere d’acquisto, senza mascherare il fatto di prendere
ispirazione dal New Deal americano. Con incredibile rapidità il governo
Blum aveva adottato un programma di spesa pubblica di 20 miliardi di franchi,
rivisto lo Statuto di amministrazione della Banca di Francia, messo in piedi un
ufficio del grano (Office du blé), esteso la scuola dell’obbligo a 14
anni, concesso prestiti alle piccole e medie imprese, iniziato la
nazionalizzazione delle industrie delle munizioni e sanzionato il rialzo
illecito di prezzi, dissolto le leghe fasciste, assegnato un nuovo direttore
generale alla Polizia di Parigi. La bellezza di 133 leggi erano passate in 73
giorni. Blum si era anche recato a Ginevra per riaffermare le alleanze e
rafforzare la Lega delle Nazioni.
Per la prima volta nella storia, nell’agosto del 1936 centinaia di migliaia
di lavoratori partirono in massa per le vacanze estive. Questo era di sicuro
anche un modo di mostrare al resto del mondo, compresi i regimi autoritari,
cosa poteva ottenere in meno di un mese un governo social-democratico. Ma
ancora più importante fu la conquista dei contratti collettivi che diedero
molto più potere ai lavoratori di tutte le industrie. Nell’autunno del 1936 però la CGPF tornò alla
controffensiva, cambiando il suo vertice e cercando di far rivedere gli accordi
di giugno. Vi fu una lunga polemica sulla legge delle 40 ore e sulla sua
applicazione repentina: se da un lato Blum stesso riconobbe che fu applicata in
modo più rapido di quanto egli stesso auspicasse, dall’altro sapeva che i
lavoratori non avrebbero accettato mezze misure e sotto accusa fu quindi il
crollo delle ore di lavoro a parità di salario e la difficoltà di fare
straordinari per un limite di ore oltre il quale serviva una richiesta
speciale. Si affermò il modello di distribuzione delle 8 ore con due giorni di riposo,
ovvero il fine settimana. Nonostante le molte critiche alla poca flessibilità e
alla produttività di tale modello, la disoccupazione diminuì durante il governo
del Fronte popolare. All’accusa mossa della caduta in produttività dovuta alla
legge delle 40 ore, Blum rispondeva che le 40 ore di per sé avrebbero permesso
un aumento di produttività e che la causa andava cercata piuttosto nella
insufficiente modernizzazione dei macchinari e dei metodi di produzione. Colton
fa notare che la politica di Blum metteva inizialmente l’economia francese in
affanno, date le condizioni di partenza molto sfavorevoli, ma se avesse avuto
il tempo di andare a regime la politica di riforme, la situazione economica
francese avrebbe potuto risollevarsi. Però il governo Blum non ebbe tempo.
La legge delle 40 ore venne adottata il 21 giugno del 1936, ma divenne
operativa nel novembre del 1936. Si può apprezzare come in media l’indice
mensile della produzione industriale non calò nel periodo che va dall’inizio
del 1936 alla fine del 1938. La Francia entrò in recessione nell’autunno del
1937 per via della crisi economica che si era già abbattuta a livello mondiale
dagli Stati Uniti alla Germania nel 1929. I dati parlano chiaro : "L'introduction
de la semaine de 40 heures ne s'est pas traduite par une baisse globale de la
production" [L’introduzione della settimana lavorativa di 40 ore non
determinò un calo della produzione]. Nel marzo del 1937 il ministro
dell’Economia Charles Spinasse dichiarò che: “I benefici della settimana di
40 ore verrebbero vanificati prima che si possano manifestare, se
contribuissero a limitare o ridurre la produzione proprio quando la domanda
diventasse più pressante e ampia.” “Il sistema delle 40 ore potrebbe
quindi essere compatibile con un aumento sufficiente della produzione solo se,
in tutti i settori, il trasferimento fosse effettuato in modo soddisfacente.”
Jean-Charles Asselin fa notare che la Francia attraversa un’ondata di aumento
della disoccupazione che va dal 1932 al 1936.
“Il probabile effetto della riforma delle 40 ore sulla disoccupazione
ha suscitato, al momento della sua adozione, abbondanti controversie”.
L’Aumento dell'occupazione probabilmente dovuto alla riduzione dell'orario di
lavoro è stimato del 4.2%, ma il periodo del 1936-37 si caratterizzò con una
disoccupazione residua elevata e un’insufficiente offerta di occupazione.
Asselin conclude che la riforma della settimana di 40 ore è stata forse
condannata su un doppio errore di base, ovvero sull'importanza numerica della
disoccupazione e sulla sua natura. Non ci si può dimenticare, secondo Asselin,
che le 40 ore determinarono: “una prodigiosa aggiunta di tempo libero che ha
trasformato la vita quotidiana e concesso la garanzia di una vera e propria
rivoluzione della condizione della classe operaia”. Ricorda anche che: “i
partigiani della riforma hanno energicamente rifiutato di lasciare che i suoi
risultati fossero giudicati su un periodo di tempo troppo breve.” [92]
Già in luglio, del 1936, era scoppiata la guerra civile in Spagna, mentre
Hitler in Germania premeva il piede sull’acceleratore dell’industria bellica.
Da un lato il governo Blum voleva seguire l’esempio americano di fare debito
pubblico per incentivare l’economia, ma dall’altro non voleva spaventare i
grandi investitori, che fino ad allora avevano determinato una importante fuga
di capitale all’estero. L’emorragia di capitale e di riserve auree, già in
corso da almeno due anni, spingeva verso la svalutazione del franco. Il
Ministro delle Finanze una volta preso servizio dichiarò di aver trovato le
casse vuote. In autunno Blum doveva
ammettere di non essere riuscito nell’impresa disperata di riattrarre capitali
in Francia. Nel discorso di fine anno
Blum apertamente dichiarava che non vi era più ragione da parte della borghesia
di temere il governo del Fronte popolare, il quale aveva attuato una politica
liberale e che chiaramente non era un governo socialista, in quanto non si
proponeva di instaurare il socialismo. Il governo Blum voleva frenare la fuga
di capitali più sul piano morale che coercitivo anche per non mettere in
pericolo il Fronte Popolare e il suo appoggio internazionale, riferendosi agli
Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Questa soggezione nei confronti delle altre
due democrazie liberali era anche dovuta alla minaccia che Hitler poneva per la
Francia. La Banca di Francia, ente privato che regolava il cambio e il tasso di
sconto, aveva il potere effettivo di far cadere qualsiasi governo, ed era noto
infatti come questa rispecchiasse gli interessi delle 200 famiglie più ricche
di Francia, facendo credito, non a caso, solo alle grandi industrie. Nel Fronte
Popolare c’era chi, come i sindacati, avevano proposto di nazionalizzare la
Banca di Francia, ma questo non trovò di comune accordo i radicali e i
comunisti. Anche il Ministro delle Finanze Auriol cercò di limitare lo
strapotere della Banca, ma sempre per timore di far crollare l’accordo con i
radicali e i comunisti, Blum rifiutò di avallare qualsiasi azione potesse
sembrare un esproprio della Banca. Quello che fu approvato nel luglio del 1936
fu un compromesso, che riorganizzava la struttura interna della Banca facendo
entrare il Governo nella sua amministrazione. Purtroppo questa riforma non ebbe
l’impatto prepostosi e non servì a far rientrare il credito privato in circolo.
Oramai, in settembre, Blum doveva riconoscere come la svalutazione del
franco fosse inevitabile. L’annuncio della proposta di riarmo però determinò
una ulteriore fuga di capitali all’estero. Blum riuscì ad assicurare un accordo
valutario tripartisan con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, mostrando
non solo buoni progressi in politica estera, ma anche che la svalutazione del
franco era stata accolta bene dai principali alleati commerciali. La
svalutazione del franco, del 30%, veniva quindi accolta come un riallineamento
valutario nei confronti del dollaro e della sterlina. La rivalorizzazione
produsse 17 miliardi di franchi, dei quali 10 erano stati depositati nel Fondo
di Stabilità degli Scambi, e in modo molto ingenuo il governo usò i rimanenti 7
miliardi per rimborsare la Banca di Francia, per i prestiti fatti al governo in
carica e a quelli precedenti. Con questo eccesso di zelo il governo annullò i
proventi della svalutazione. In più l’oro non rientrò a causa di una penale per
prevenire speculazioni finanziarie, ma, ci vollero un paio di mesi per rendersi
conto di ciò e annullare la penale. Sempre in settembre riiniziarono scioperi
che il governo però questa volta contrastò facendo evacuare le fabbriche. In
novembre si consumò anche una tragedia provocata dall’estrema destra. Il
Ministro degli Interni Roger Salengro fu accusato di diserzione durante la
Prima guerra mondiale. Un’inchiesta provò che Salengro era stato già precedentemente
assolto da questa accusa. Blum inoltrò questa informazione alla Camera il 13
novembre, ma il 17 Salengro probabilmente ancora scosso dalla vicenda si
suicidò. Un’altra marcia indietro che il governo Blum dovette fare fu sul
riarmo. Hitler, infatti, in Germania aveva reintrodotto il servizio di leva di
due anni. Nel gennaio del 1937 i prezzi incominciarono a salire, il governo,
costretto a fare nuovo debito, ora doveva subire un tasso d’interesse più alto
data la mancanza di capitali privati e nel giro di poco i dieci miliardi del
Fondo di Stabilità furono esauriti. Il governo Blum trovò dei fondi inglesi che
vennero esauriti molto presto, mentre gli Stati Uniti si rifiutarono di aiutare
per via della spesa francese nel riarmo decisamente troppo elevata.
La ripresa economica era insufficiente per contrastare la situazione di
crisi finanziaria. Anche se i comunisti riconoscevano i meriti a Blum di aver
migliorato le cose, il 13 febbraio 1937 visti tutti i problemi economici che
impedivano una ripartenza, Blum dovette annunciare per radio “un temps de
pause”, ovvero una temporanea pausa dal progetto di alzare il potere
d’acquisto. La determinazione di Blum di utilizzare questa breve pausa per
risanare i bilanci e far rientrare i capitali è provata dalla nomina di tre
conservatori alla direzione della Banca di Francia, insieme a Émile Labeyrie, ovvero Charles Rist, Paul Baudouin e
Jacques Rueff. Intanto il 16 marzo nei sobborghi di Parigi una manifestazione
organizzata dal Parti
social français, ovvero una
organizzazione nella quale la Croix de Feu si era riciclata, fu
contrastata da una contro-manifestazione popolare. La polizia aprì il fuoco
contro gli oppositori di sinistra, provocando sei morti. Blumel, Capo di
Gabinetto, mandato da Blum per calmare la situazione fu ferito. Blum informato
mentre all’Opera, si precipitò senza cambiarsi, presentandosi sul posto con il
cilindro, esponendolo a facili ironie. Il fatto che Blum fu paragonato dalla
sinistra al “sanguinario Noske”[93],
gli fece considerare seriamente di dare le dimissioni. La CGT indisse lo
sciopero generale per il 18 marzo in risposta dell’eccidio. Ovviamente l’estrema destra antisemita non aveva mai smesso di calunniare e
diffamare Blum.
Guerra
civile in Spagna, 1936-37
La situazione internazionale che Blum dovette affrontare fu a dir poco
complicata. La Germania stava rimilitarizzando la Renania, il Belgio timoroso
di un’invasione voleva allontanarsi dallo schieramento francese, l’Italia aveva
iniziato la sua avventura imperiale, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione
Sovietica erano partner molto esigenti. Anche la piccola intesa con Polonia,
Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania si andava indebolendo principalmente a
causa della minaccia tedesca.
Ricordando che il governo Blum si era insediato nei primi di giugno del
1936, il 20 luglio Blum ricevette un telegramma dal Primo ministro spagnolo
José Giral nel quale questi richiedeva aiuti militari per contrastare la
rivolta dei generali. Blum decise con il ministro della Difesa Daladier e
quello della Aeronautica Pierre Cot, di inviare aerei, armi, munizioni alla
Repubblica spagnola, ma per evitare le ripercussioni della stampa di destra che
avrebbe colto l’occasione per dipingere questa come una azione comunista,
decisero di agire discretamente. Il 23 luglio L’Écho de Paris uscì con
lo scoop dell’aiuto militare del Fronte Popolare francese a quello spagnolo. L’Action
Française gridò al tradimento di Blum e Cot. Blum era a Londra con Delbos
per discutere dell’occupazione militare della Renania da parte tedesca. Ancora
in hotel a Londra fu raggiunto da un giornalista André Géraud che lo
interrogava sugli aiuti militari alla Spagna repubblicana e delle conseguenze
che questi potevano avere sulle relazioni con la Gran Bretagna. Blum rispondeva
“Non importa. Il Governo spagnolo è un governo legittimo e, in più, è un
Governo amico”.
Il partito conservatore inglese era chiaramente per la neutralità, da un lato
non vedeva l’invischiarsi come una buona politica, dall’altro temeva il trionfo
comunista; mentre i laburisti erano in linea di principio in favore di mandare
armi al governo repubblicano, ma come per i conservatori vedevano il
non-intervento come la cosa più saggia. Durante la visita di Blum l’apprensione
dei conservatori britannici nei confronti della sua decisione di aiutare il
governo repubblicano spagnolo venne espressa chiaramente. Blum non fece mai
ricadere la responsabilità della sua politica in Spagna su pressioni
britanniche. A posteriori si considera che la pressione britannica non fu
diretta ma pesò comunque sulla decisione di Blum circa il non-intervento. La
vera pressione arrivò dalla destra francese e dai radicali. Il timore di
scatenare una Seconda guerra mondiale con l’intervento era paventato
concretamente. Ancora al suo ritorno a Parigi Blum era convinto di andare fino
in fondo con l’invio di armi. Se da un lato la destra dava già, il 25 luglio,
la responsabilità di una eventuale reazione da parte di Germania e Italia al
governo Blum, dall’altra i comunisti e la C.G.T. erano alle prese con
l’organizzazione di dimostrazioni a favore degli aiuti. Infine la maggior parte
dei radicali socialisti, tranne pochi, non erano a favore del coinvolgimento
con la Spagna. Le principali ragioni erano la sfiducia nel governo repubblicano
spagnolo, le possibili ripercussioni in Francia e una ripresa del fascismo.
Blum dovette comunicare questa situazione di contrasti interni a Fernando de
los Ríos, “Mon âme est déchirée”. Con le sedute del 25 luglio, del 30
luglio e del 1° di agosto, il governo si spostò sulle posizioni di
non-intervento. L’invio di armi fu sospeso. Nel frattempo tre aerei italiani
destinati a Franco atterrarono per errore in territorio coloniale francese.
Blum poteva argomentare che se altre potenze de facto inviavano armi a
Franco, il governo francese era in diritto di fare altrettanto per le forze
repubblicane. Nei primi di agosto un carico d’armi fu spedito al governo
repubblicano spagnolo. Nel frattempo la Francia si impegnava ad abbozzare un
testo di non intervento con la Gran Bretagna, l’URSS, la Germania il Portogallo
e l’Italia. Maurice Thorez apertamente chiedeva a Blum di mandare aiuti alla
Repubblica spagnola per evitare che l’asse Roma-Berlino instaurasse lì una
dittatura fascista. In un altro tentativo di Blum di convincere i britannici a
schierarsi contro Franco inviò l’Ammiraglio Darlan dagli ammiragli inglesi ma
questi non vedevano in Franco una minaccia tale in grado di formare un fronte
fascista. Quindi solo i sovietici e il governo ceco erano in favore degli aiuti
militari al governo repubblicano.
Sentendosi isolato in Europa, venendo meno l’appoggio britannico e avendo
buona parte dei radicali francesi contro, Blum voleva ormai dimettersi, cosa
che annunciò apertamente durante la seduta della Camera del 8 agosto. Fernando
de los Rìos e Ximenes de Asua si opposero a tale decisione. È chiaro che una
volta dissuaso dal dimettersi, Blum si adoperò con convinzione per la politica
del non-intervento. Ora la sua convinzione si basava sull’ipotesi che un
eventuale aiuto alla Spagna repubblicana da parte dei paesi amici avrebbe
innescato un aiuto ancora più forte di Italia e Germania alle truppe di Franco;
mentre un accordo di non intervento comprendente anche Italia e Germania
avrebbe favorito di più la Spagna repubblicana e l’Europa. Il problema di
questa ipotesi si basava sulla affidabilità di Italia e Germania.
De facto solo la Francia si era formalmente impegnata nell’embargo militare e
commerciale nei confronti della Spagna, il 9 agosto, nella speranza di spingere
all’emulazione, basata sull’onore, le altre nazioni, sovrastimando di gran
lunga l’onore di Italia e Germania. Ma l’accordo fu accettato principalmente
dalla Gran Bretagna, mentre gioco facile ebbero Italia, Germania e Portogallo
che protraendo i negoziati da un lato, mandavano aiuti militari ai ribelli
dall’altro. Paradossalmente la Germania di Hitler, timorosa di una reazione
francese, firmò il 24 agosto, ma questo risultò in un doppio gioco e il danno
era oramai già stato fatto: i nazionalisti grazie agli aiuti italo-tedeschi
erano ormai nei Paesi Baschi. L’errore di iniziare l’embargo senza aspettare
gli altri paesi si era rivelato come un tradimento da parte del Fronte Popolare
degli amici spagnoli.
Il 24 agosto 1936 Hitler aveva annunciato di voler ristabilire il servizio
di leva obbligatorio. Questo scosse la Francia e Daladier e Blum si attivarono
per un piano di difesa da 14 miliardi di franchi da ripartire su 4 anni. Questo
piano di svecchiare l’esercito fu il più importante dagli anni ‘20. Blum non
abbandonava le speranze per una soluzione pacifica ricevendo il Ministro
dell’Economia tedesca Hjalmar Schacht, critico delle spese di riarmo e a breve
rimosso, per dare un messaggio di cooperazione a Hitler. Ma non poteva ignorare
la realtà della politica aggressiva del suo vicino. Il piano di riarmo
sollevava anche la questione di crisi finanziaria ancora non risolta. Auriol,
Ministro delle finanze, faceva notare che le tasse e i prestiti non sarebbero
stati sufficienti per finanziare il piano di riarmo. Si doveva svalutare il
franco[94].
Se i comunisti avevano apprezzato gli interventi in materia economica, il
ripiegamento sul non-intervento ruppe le dinamiche unitarie nel Fronte
popolare. Maurice Thorez il 25 agosto chiedeva a gran voce “cannoni e aerei
per la Spagna!”. Il 6 settembre Blum fu contestato durante un intervento
pubblico dove spiegava che la soluzione del non-intervento rimaneva “l’aiuto
più vero”, e che avrebbe prevenuto la conflagrazione generale. Il 5
dicembre alla Camera spiegava: l’Europa era sull’orlo della guerra, ed era per
iniziativa francese che questa era stata prevenuta. Il 1° ottobre 1936 il
franco venne svalutato perdendo dal 24 al 32% del suo valore. I comunisti
contrari alla svalutazione chiesero la rimozione di Blum. Ma il partito
radicale, nonostante le discussioni interne, si dimostrò dietro alle scelte del
governo Blum, difeso da Daladier al Congresso di partito. In un discorso a
Narbona il 25 ottobre Blum ribadisce che il governo è determinato a far passare
il progetto annunciato il 6 giugno di fronte alla Camera, ovvero: la creazione
di una cassa di assistenza in caso di calamità agricole, un fondo nazionale di
disoccupazione, un regime pensionistico migliore, una riforma fiscale, la
creazione di una procedura legale di conciliazione e arbitraggio obbligatori nei
conflitti del lavoro. Intende istituzionalizzare e regolamentare i negoziati nei
conflitti di lavoro, insomma, è per l’istituzione di un nuovo statuto del
lavoro.
Nei primi di settembre Blum dovette diverse volte giustificare di fronte ai
comunisti e i socialisti francesi il perché di quell’ostinato rigore. Al
contrario i sostenitori del Fronte Popolare non avevano nessuna fiducia che
Italia e Germania rispettassero il patto di non intervento. Poco dopo la
ratifica del patto di non intervento la Spagna protestò formalmente per
l’ininterrotto flusso di armi da parte di Italia, Germania e Portogallo ai
nazionalisti. Il ministro degli Esteri spagnolo ricordò come Blum fosse
genuinamente disperato quando sentiva delle conseguenze nefaste del patto di
non-intervento. L’intervento di Italia e Germania era stato così palese che in
ottobre l’Unione Sovietica incominciò a mandare carri armati, artiglieria,
aeroplani e tecnici al governo repubblicano. In tutta risposta la Francia e la
Gran Bretagna promossero un accordo con Italia e Germania per proibire la
spedizione di volontari in Spagna. Anche questo accordo non valse a molto. Per
Blum e per gli inglesi l’accordo faceva acqua ma era pur sempre una barriera
contro il dilagare di un nuovo conflitto. Il governo Blum iniziò con il nuovo
anno a chiudere un occhio nei confronti dei volontari repubblicani e di chi
contrabbandava armi in loro favore. Di fatto vi sono prove di diversi ministri
come Auriol e Cot che attivamente aiutavano la causa repubblicana con il bene
placito di Blum. Questi aiuti militari raggiunsero il picco durante il
secondo governo Blum. Insomma, per Blum il patto di non intervento era una
bugia atta a prevenire la Seconda guerra mondiale ed è probabile che in un paio
di occasioni questa fu effettivamente prevenuta. Però è pur vero che, come
leader socialista, come leader del Paese vicino, la decisione di Blum di
mantenere la politica del non-intervento fu difficile da difendere.
[1] Benjamin T. Tolosa Jr. The Socialist
Legacy of Jean Jaurès and Léon Blum. Philippine Studies, Second Quarter 1992, Vol. 40,
N. 2 pp. 226-239.
[2] André, Albert [Blum] Blumel (1893-1973): Cambiò il suo
cognome in Blumel proprio per essere distinto da un omonimo André Blum e di
conseguenza è facilmente distinguibile da Léon Blum. Anch’egli come Léon nato a
Parigi da una famiglia di origine ebrea alsaziana. Avvicinatosi al socialismo
negli anni ‘10 per via della sua ammirazione per Jaurès, entrò presto nella
SFIO; lavorò come redattore nei giornali di Hervé, La Guerre Sociale e La
Victorie. Fu il segretario di Albert Thomas durante la guerra. Negli anni ‘20
fu nella Internazionale del Lavoro, quindi si diede al giornalismo per L'Europe
nouvelle ed altre testate. Nel 1924 entrò ne Le Populaire di Blum,
collaborando anche con il Bulletin socialiste. Entrò a far parte anche de La Vie
socialiste di Renaudel. Nei primi anni ‘30 fu direttore del settimanale
della SFIO Le Travail. Già legato dalla gioventù a Blum da una profonda
amicizia filiale diventò un suo assistente personale durante gli anni del
Fronte Popolare. Come noto fu gravemente ferito durante l'incidente di Clichy,
nel marzo del 1937, quando si recò con il ministro degli Interni Marx Dormoy
sul luogo di una manifestazione contro i nazionalisti degenerata in scontri.
Nel 1940 fu mobilitato e dopo la disfatta, una volta smobilitato, si recò a
Vichy da Blum. Entrò subito in contatto con la Resistenza e fu arrestato
durante un suo viaggio in Portogallo, internato a Bourassol, spese del tempo
con Blum. Sempre attivo con la Resistenza, riuscì a sfuggire nel 1944 all’arresto
della Gestapo. Tornato a Parigi nel settembre 1944, divenne il direttore del
Gabinetto del ministro socialista degli interni Adrien Tixier. Nel dopoguerra
riprese la sua pratica da avvocato impiegandosi in numerose cause. Uscì dalla
SFIO nel 1948 per divergenze politiche e dopo una breve parentesi uscì nuovamente
e definitivamente nel 1959 per andare a confluire nel Partito Socialista
Autonomo. Fu molto vicino e attivo nella causa della nascita di Israele (Le
Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[3]
Annie Kriegel. Leon Blum: Humanist in Politics, by Joel Colton. Commentary.
November 1967. https://www.commentary.org/articles/annie-kriegel/leon-blum-humanist-in-politics-by-joel-colton/
[4]
Douglas Johnson. Léon Blum and the Popular Front. Lecture given to the
Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11 april 1969.
[5] Alfred Sauvy. Histoire
économique de la France entre les deux guerres ; de l'armistice à la
dévaluation de la livre, 1965. Revue du Nord, Année. 1966 pp. 255-258
[6] Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front.
Lecture given to the Annual Conference of the Historical
Association at Cheltenham, 11 April 1969.
[7] Nello stesso libro dello storico francese Frédéric
Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir. Ed. Armand Colin. 2016,
si fa riferimento alla fallacità dell’analisi di Alfred Sauvy.
[8] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[9]
Cesco. Gustave Hervé: estratto da “From revolutionary theater to reactionary
litanies: Gustave Hervé (1871-1944) at the extremes of French Third Republic”
di Michael D. Loughlin. Adattamento
Socialista. Gennaio 2022.
[10] Frédéric Monier. Léon Blum: la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[11] Maurice Barrès (1862-1923): scrittore e poeta
individualista, autore della trilogia: Le culte du moi tra il 1888 e il
1891, diventa un fervente antidreyfussardo ed uno dei simboli del nazionalismo
francese.
[12] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[13] Idem.
[14] Il Consiglio di Stato è una istituzione creata da
Napoleone nel 1799, con la funzione “di formare i dossier per l’elaborazione
delle leggi” da Meriggi in Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre
1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel
Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.
[15] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[16] Philippe Collin et al. Léon Blum : une
vie héroïque. Podcast. Radio France, France Inter, 2022 Léon Blum, une vie héroïque - YouTube
[17] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[18] Lucien Charles Herr (1864-1926): entrò nel 1883 all'École
normale supérieure nella sezione di filosofia, tra gli altri vi era anche
il suo caro amico Ernest Zyromski, e ottenne l’agrégation nel 1886;
viaggiò quindi a Lipsia, Berlino, San Pietroburgo, Mosca, fino a Praga; quindi,
visitò l’Algeria e la Costa Azzurra. Alla fine del 1887 diventò bibliotecario
dell’École normale supérieure. Entrò a far parte della redazione della Revue
de Paris nel 1894 fino al 1904. Nel 1899 Herr raccolse la metà dei fondi
necessari per la fondazione della Société nouvelle de Librairie et d'Édition
che salvò Péguy dalla sua prima bancarotta. Herr era un socialista marxista e
prediligeva l’azione dal basso più che di una élite intellettuale. Fu dapprima
nel Parti ouvrier socialiste révolutionnaire di Jean Allemane e dal 1905
nella SFIO. Herr è ricordato per aver avvicinato Jean Jaurès e Blum al
socialismo. E fu uno dei primi a credere nell’innocenza di Dreyfus. Consigliò a
Jaurès di difendere la partecipazione di Alexandre Millerand al Gabinetto
Waldeck-Rousseau (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[19] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[20] Per Jean Jaurès si rimanda il lettore a: Cesco. Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean
Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista.
Luglio 2021.
[21] Émile Zola (1840-1902): scrittore, romanziere
naturalista francese, di padre veneziano e madre francese. Vicino al movimento
impressionista. L’articolo J'accuse pubblicato sull'Aurore
all’inizio del 1898 gli costò una condanna che lo costrinse all’esilio in
Inghilterra (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ ).
[22] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[23] Cesco. Jean
Jaurès: Estratto da The Life of Jean Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio 2021.
[24] Idem.
[25] Per approfondire sul caso Millerand si rimanda a: Cesco.
Jean Jaurès: Estratto da The Life of Jean
Jaurès di Harvey Goldberg. Adattamento Socialista. Luglio 2021. Alexandre Millerand (1859-1943): Deputato dal 1885
per i radicali, passa al socialismo, diventando nel 1899 il primo deputato
socialista al Governo; questo creò il caso Millerand o l’affaire Millerand.
Farà parte, oltre del governo Waldeck-Rousseau, anche del governo Briand e
Poincaré. Dopo la fine della Prima guerra mondiale passerà su posizioni
conservatrici e nel 1920 ordinerà l’occupazione di Francoforte per forzare la
Germania ad aderire nei fatti al trattato di Versailles. Lo stesso anno viene
eletto Presidente della Repubblica, nel 1924 i socialisti e i radicali lo
costringono alle dimissioni (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ ).
[26] Jules Basile, noto come Jules
Guesde (1845-1922): vero e proprio pilastro del socialismo rivoluzionario. Non
ne è possibile riassumere qui vita e opere, come per Jaurès, Blum, Lafargue, Brousse, Malon, Allemane,
Vaillant gli andrebbe dedicato uno spazio a parte. Ad ogni modo, blanquista,
dichiarandosi per la Comune fu costretto in esilio, da dove scrisse gli Essai
de catéchisme socialiste (1875), in Svizzera dove fece parte degli
anarchici della Federazione della Giura, critici del marxismo. Al suo ritorno
in Francia fondò l'Ègalité e si avvicinò al marxismo. Fondò con Paul
Lafargue il Parti ouvrier français e, come è noto, si recò con
quest’ultimo a Londra da Marx ed Engels per ultimarne il Programma. Dopo la
franca scissione dagli anarchici la sua intransigenza verso ogni tipo di
riformismo, che farà dire la celebre frase a Marx “se questo è marxismo
allora non sono marxista”, lo fece scindere da quelli che lui chiama possibilisti.
Scettico dei sindacati e dello sciopero generale si oppose coerentemente alla
corrente hervéista. Nonostante l’avvicinamento a Jaurès si allontana dall’Unione per via del caso
Millerand. Fu uno dei fondatori della SFIO del 1905. Con lo scoppio
della guerra entrò nell’Union sacrée e addirittura con Sembant nel
Governo di Guerra. Oramai vecchio e malato fu contrario all’ingresso della SFIO
nella Terza Internazionale (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[27] Charles Pierre Péguy (1873-1914): figlio di falegname
studiò alla École Normale, dove conobbe Lucien Herr grazie al quale
arrivò al socialismo. Partecipò alla fondazione della Société nouvelle de
Librairie et d'Édition e prese parte al movimento dreyfusardo. Espresse il
suo favore alla partecipazione di Millerand al Governo. Nel periodo che va dal
1900 al 1905 ruppe con Herr e con il socialismo. Si avvicinò sempre più su
posizioni patriottarde repubblicane invocando nel 1913 addirittura il patibolo
per Jaurès che vedeva come agente della Germania. Morì nella battaglia della
Marna (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[28] Hubert Lagardelle (1874-1958): operaista vicino al POF
di Tolosa fondò nel 1895 La Jeunesse socialiste, poi a Parigi fondò nel
1899 Le Mouvement socialiste, vicino alle tesi di Georges Sorel.
Nonostante fosse su posizioni operaiste si espresse favorevolmente alla
partecipazione di Millerand al governo borghese, ma ne prese presto le
distanze, dato il comportamento di Millerand. Nel 1902 entrò nel Parti
socialiste de France anche se fu uno dei teorici del sindacalismo
rivoluzionario. Tenne una corrispondenza con Kautsky dal 1900 al 1904 e con altri,
come Ervin Szabo. Entrò quindi nella SFIO dove sviluppò la tesi dell’evoluzione
dei sindacati operai, ma dal 1911 prese le distanze da Georges Sorel e dal
sindacalismo rivoluzionario. Durante la Prima guerra Lagardelle fu delegato al
ministero della Guerra; quindi, nei primi anni del dopoguerra, non fu più molto
attivo politicamente. Nel 1932 viene però ricevuto da Mussolini in Italia che
lo ricordava dal 1912 quando aveva partecipato alle lezioni di Lagardelle sul
sindacalismo rivoluzionario. Lagardelle ammise gli errori commessi dal
sindacalismo, ma diventò nel 1933 incaricato dell’ambasciatore di Francia in
Italia fino al 1937. Mussolini, che ne rimase un ammiratore, lo consultò nel
1933 e 1934 per la stesura della Legge sul corporativismo. Lagardelle, oramai di nuovo in auge, aiutò
anche Laval a mediare con Mussolini nel 1935. Dopo l’armistizio del 1940 tornò
in Francia, appoggio il regime di Vichy ed entrò nel secondo governo Laval.
Pétain lo promosse nel maggio 1943 come ministro segretario di Stato per il
Lavoro, ma Lagardelle darà le dimissioni già nell’agosto. È arrestato nel
novembre del 1944 a Parigi e condannato nel 1946 dall’Alta Corte di Giustizia
ai lavori forzati a vita, ma viene quindi graziato nel 1949 (Le Maitron: dictionnaire
biographique https://maitron.fr/ ).
[29] Jean, Laurent, Frédéric Longuet (1876-1938): figlio di
Charles Longuet, marito di Jenny Marx, quindi nipote di Karl Marx. Longuet era
nato proprio a Londra e si trasferì a Parigi con la famiglia dopo l’amnistia
del 1880. Vicino al Parti ouvrier français, come lo zio Paul
Lafargue, scrive anche su La Petite République, quindi attacca
l’organizzazione autoritaria del partito, e rompe definitivamente con i
guestisti quando entra a far parte dei dreyfusardi. Nel 1899 fonda con
Lagardelle Le Mouvement socialiste, che infatti non iniziò come rivista
del sindacalismo rivoluzionario. Nel 1900 diviene segretario della rivista Pro
Armenia. Nel 1899 e nel 1900 sostenne ai Congressi Jaurès, anche se
avanzando delle riserve sulla partecipazione di Millerand al governo, da cui
prese esplicitamente le distanze nel 1901. Longuet rimase nel Parti
socialiste français ma andò a formare l’ala di sinistra con Pierre Renaudel.
Difenderà Jaurès agli occhi dei leader socialisti dell’Internazionale come
Kautsky proprio sull’affare Millerand. A Longuet viene accreditato il nome
della Section française de l’Internationale [nonostante abbiamo la
versione di Hervé che se ne attribuisce la paternità]. Longuet fu attivo in
molte altre riviste, tra le quali quelle internazionali come Die Neue Zeit
di Kautsky e Il Socialismo di Enrico Ferri. Quindi nel 1904 iniziò a
collaborare a L'Humanité. Si trovò al fianco di Jean Jaurès contro le idee
di Gustave Hervé e nel maggio del 1914 fu eletto per la prima volta alla Camera
dei deputati. Pochi giorni dopo aver partecipato con Karl Liebknecht alla
dimostrazione per la pace a Condé-sur-l'Escaut, accompagnò, il 30 luglio,
Jaurès nel suo (ultimo) viaggio a Bruxelles e anche all’incontro del 31 luglio
con Abel Ferry. Era ancora con Jaurès quando, alle 21:40, al Café du
Croissant venne freddato da Villain. Il 2 agosto si dichiarò a favore della
difesa nazionale, senza rinunciare a ristabilire contatti internazionali.
Diviene infatti l’animatore della fédération de la Haute-Vienne già nel
maggio del 1915 con Paul Faure ed Henri Barbusse in difesa del socialismo
internazionale. Alla fine del 1918 la
sua frazione prende il controllo della SFIO, ma Longuet non assume nessun
incarico ufficiale. Sempre in questo periodo pubblica con Alcan La politique
internationale du marxisme, Karl Marx et la France. Nelle elezioni del 1919
è sconfitto nel suo seggio da Pierre Laval. Sostituito da Frossard nel viaggio
per Mosca del maggio del 1920 prende parte al dibattito per l’adesione alla
Terza Internazionale tenutosi a Tours nel dicembre del 1920, formulando una
posizione di compromesso verso i 21 punti dettati da Mosca. Zinoviev però con
il suo telegramma condanna Longuet “per il suo ruolo di corruttore del
proletariato con idee borghesi” fuori dalla Terza Internazionale. Partecipa
nel 1923 al Congresso di Amburgo dove è nel comitato esecutivo della
Internazionale Socialista Operaia. Longuet fu particolarmente sensibile alla
situazione in Marocco dove avrebbe voluto vedere emergere un Fronte Popolare.
Nel 1929 divenne sindaco di Châtenay e si impegnò ad accogliere molti esuli
socialdemocratici tedeschi. Blum gli affidò di rappresentare la Francia nella
Conferenza Internazionale per i rifugiati a Ginevra. Alle elezioni del 1935
Longuet fu eletto al secondo turno. Nel 1935 divenne preside del sindacato dei
giornalisti e presidente dell’Associazione “Jean Jaurès”. Longuet appoggiò il
Governo Blum tranne che per la sua decisione di non-intervento in Spagna. Morì
prematuramente in un incidente automobilistico nel 1938 (Le Maitron: dictionnaire
biographique https://maitron.fr/ ).
[30] Édouard, Marie Vaillant (1840-1915): dottore in scienze
e in medicina. Simbolo del socialismo di tradizione blanquista francese. Partecipò alla Comune di Parigi del 1871 e fu
uno dei membri della Comune. Esule a Londra come molti altri comunardi, nel
1880 fu amnistiato. Nel 1884 fu eletto consigliere al Comune di Parigi. Fu
direttore del Homme libre. Nel 1893 entrò come deputato alla Camera. Non
potendo tollerare la presenza di un deputato socialista, Millerand, al fianco
del macellaio della Comune, Gallifet, uscì dall’Unità socialista. Il suo ruolo
fu strumentale per raggiungere l’unità e la nascita della SIO nel 1905. Si batté
per uno sciopero generale contro la guerra di aggressione. Con lo scoppio della
Prima guerra mondiale fu uno dei celebri nomi dietro l’union sacrée rifacendosi
all’esperienza comunarda.
[31] Jean Allemane (1843-1935): di umili origini frequentò la
scuola fino ai 10 anni, diventò quindi tipografo a Parigi, fu imprigionato nel
1862 per aver partecipato allo sciopero dei tipografi parigini. Quasi trentenne
partecipò alla Comune di Parigi come delegato della Guardia Nazionale. Caduta
la Comune fu condannato ai lavori forzati a vita in Nuova Caledonia. Tentò la
fuga nel 1876, e il 1879 la condanna fu commutata in esilio, ma venne
amnistiato nel 1880. Diventò tipografo a L’Intransigent ed entrò nel Parti
ouvrier nato nel 1879, ma rimanendo con i possibilisti nella
Fédération des travailleurs socialistes de France, divenne redattore
del giornale Le Parti ouvrier. La sua scissione dalla parte possibilista
di Paul Brousse diede vita al Parti ouvrier socialiste révolutionnaire.
Allemane fu noto per rimanere su posizioni operaiste e antimilitariste e vicino
alle posizioni sindacaliste rivoluzionarie. Entrò nel Comité d'entente,
ma se ne allontanò a causa del caso Millerand. Nel 1905 entrò nella SFIO. Fu
eletto deputato. Ma dal 1910 la sua
rilevanza politica fu del tutto ridimensionata. “Léon Blum, avendolo
ascoltato al congresso della Salle Japy nel 1899, non esitò a collocarlo al
livello di Guesde e Jaurès (cfr M. Poujade, Les Allemanistes à Paris, de 1890 à
1905, op. cit.)” (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[32] Paul, Louis, Marie, Brousse (1844-1912): laureato in
medicina, fu dal 1872 tra le file anarchiche. Dopo la sua permanenza in Spagna
si stabilì in Svizzera dove conobbe Bakunin e si sposò con una sua studentessa
russa. Fu membro della Federazione della Giura, come Guesde, e fu vicino a
Kropotkin e Andrea Costa. Venne arrestato nel 1878 per essersi espresso a
favore del regicidio sulle pagine de l’Avant-Garde, e la condanna gli
darà ripensamenti circa le tecniche anarchiche. Una volta nel Parti ouvrier
formerà la corrente possibilista con Malon al Congresso di Saint-Étienne
del 1882. Guidò la Fédération des travailleurs socialistes de France
dopo la scissione con Allemane diventando il leader dei possibilisti.
Difese la partecipazione di Millerand al Governo e si unì alla SFIO nel 1905.
Si schierò apertamente contro Hervé nel 1906. Convinto municipalista fu nel
consiglio comunale di Parigi dal 1887 al 1906 (Le Maitron: dictionnaire
biographique https://maitron.fr/ ).
[33] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[34] Lucien Lévy-Bruhl (1857-1939): sociologo, filosofo e
antropologo, amico di Jaurès dai tempi della École normale supérieure,
si schierò con i dreyfusardi e fu uno dei fondatori de l’Humanité (Le
Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[35] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[36] Philippe Collin et al. Léon Blum : une vie
héroïque. Podcast. Radio France, France Inter, 2022 Léon Blum, une vie héroïque - YouTube
[37] Si può addirittura vedere il duello in una registrazione
cinematografica: https://youtu.be/KFUpbT8SYUA
[38] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[39] Adrien Pressemane (1879-1829): pittore di porcellane
entrò nel sindacato di Limoges giovanissimo. Nel 1902 formò un Cercle
d'études sociales che si fuse con il Parti socialiste de France
guesdiano ma nel 1905 si pronunciò contro l’unità, anche se infine si unì alla
SFIO. Pressemane, nonostante la sua modestia, sapeva parlare agli operai, anche
«Léon Blum parlava del "potere lirico di questo grande oratore popolare"
(J. Longuet, p. 52)». Fu per questo che rivestì un ruolo primario nel Partito.
Nel 1914 entrò in Parlamento. Allo scoppio della guerra fu chiamato al fronte,
dove ne visse in prima persona gli orrori, fu quindi richiamato in Parlamento e
si schierò per il pacifismo. Nel maggio del 1915 firmò il rapporto della Fédération
de la Haute-Vienne, che si opponeva alla Union sacrée, e con questo,
secondo Blum, Pressemane diventò il “rappresentante più potente e patetico”
di questa minoranza. Nonostante che fu a favore della Rivoluzione di Ottobre, a
Tours nel 1920 si oppose alla adesione alla Terza Internazionale perché in disaccordo
con alcuni dei 21 punti. Pressemane presentò una
risoluzione (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[40] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[41] Marcel Étienne Sembat (1862-1922): frequentò da giovane la
Société républicaine d’Économie sociale e la Revue socialiste,
rendendo socialista il celebre giornale La Petite République, e militò
nella Ligue des droits de l’Homme et du Citoyen. Nel 1893 venne eletto deputato e fu con i blanquisti di Vaillant, mentre
durante la seconda legislatura fu un convinto dreyfusardo, ma non volle che
questo movimento compromettesse la linea del partito. Sembat fu anche contro la
partecipazione di Millerand nel Governo Waldeck-Rousseau. Fu una delle figure chiave dell’unione tra blanquisti,
guesdisti e jauresisti del 1905 nella SFIO. Diventò quindi assiduo
collaboratore de l’Humanité. A guerra iniziata Sembat diventò ministro
dei Lavori pubblici il 26 agosto 1914, diede le dimissioni il 12 dicembre 1916.
A Tours fu contro l’ingresso della SFIO nella Terza internazionale. Dopo la
scissione diventò collaboratore de Le Populaire, morendo prematuramente
(Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[42] René Raphaël Viviani (1863-1925): Iniziò negli ambienti
socialisti, vicino alla causa femminista. Eletto deputato nel 1893, fu
direttore de La Petite République e fu un giornalista per L’Humanité
di Jaurès, ma non entrò nella SFIO. Nel 1906 fu nominato ministro senza
portafoglio del Lavoro nel Governo Clemenceau e rimase in carica fino al 1910.
Nel 1913 divenne ministro dell’Istruzione nel governo Doumergue. Nel giungo del
1914 formò il suo primo Governo, quindi fu Presidente del Consiglio durante i
primi mesi della Prima Guerra Mondiale e poi ministro della Giustizia nel
governo Briand. Si ritirò dalla vita pubblica nel 1922 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/ e Le Maitron:
dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[43] Aristide Briand (1862-1932): Iniziò come, anarchico,
quindi, socialista rivoluzionario, contribuendo a La Petite République.
Difensore dello sciopero generale al Congresso di Marsiglia nel 1892. Briand si
schierò, come Viviani e lo stesso Jaurès, dalla parte di Millerand, ma al
contrario Jaurès passò nel campo dei repubblicani opportunisti. Divenne
ministro, ma non più come socialista, dell’Istruzione dal 1906 al 1909. Famosa
la sua repressione nel governo Clémenceau dello sciopero dei ferrovieri nel
1910. Ministro delle Giustizia nel 1912
e nel 1914 fu Primo ministro per ben tre volte incluso il periodo della Prima
guerra mondiale dal 1915-17. Contrario alle pesanti sanzioni contro la
Germania, viene ricordato per essere un importante fautore del patto di Locarno
del 1925, ricevette il premio Nobel per la pace nel 1926 (da: Treccani on-line,
https://www.treccani.it/).
[44] Albert (Aristide) Thomas (1878-1932): di origine modesta
ma non povera, fu uno studente brillante e alla École normale supérieure,
come molti altri, entrò in contatto con Lucien Herr. Thomas intraprese la
carriera di insegnate. Nel 1904 iniziò la sua collaborazione con L’Humanité
e La Petite République. Thomas fu particolarmente impegnato nei
sindacati che aveva studiato in Germania e nelle cooperative. Nel 1909 fu
eletto nel consiglio di amministrazione della Borsa delle cooperative
socialiste. Thomas fu dichiaratamente vicino al revisionismo di Bernstein. Nel
1912 divenne segretario della Fédération nationale des coopératives de
consommation (FNCC). Fu anche consigliere comunale e sindaco dal 1912 al
1919. Allo scoppio della Prima guerra mondiale Thomas fu mobilitato, quindi
richiamato per gestire il coordinamento tra ministero dei Lavori Pubblici e
Stato Maggiore. Nel 1915 divenne sottosegretario di Stato per l’equipaggiamento
militare e nel 1916 ministro degli Armamenti fino al marzo del 1917. Quindi si
recò a Mosca presso il governo Kerensky. Nel 1919 fu rieletto sindaco di
Champigny ma si dimise presto. A Tours nel 1920 fu contrario all’adesione alla
Terza Internazionale. Assunse la direzione dell’Ufficio dell’Internazionale del
Lavoro di Ginevra (Le Maitron: dictionnaire biographique https://maitron.fr/ ).
[45] Paul, Emile Faure (1878-1960): iniziò giovanissimo
con la sua adesione al socialismo tra le file dei rivoluzionari di Guesde e
Lafargue. Nel 1901 fu nella Federazione della Dordogna del POF e rimane attivo
nella sua regione anche nella SFIO fino alla Prima guerra mondiale quando venne
mobilitato. Fu riluttante di fronte alla union sacrée ma seguì l’esempio
del suo leader Guesde. Partecipò già nel maggio del 1915 alla stesura del
Manifesto della Fédération de la Haute-Vienne contro la politica bellica
della SFIO. Paul Faure rimase attivo nel pacifismo francese scrivendo su Le
Populaire che successivamente divenne Le Populaire de Paris. Nel
1918 divenne membro del comitato di amministrazione permanete della SFIO. Al
Congresso di Parigi del 1919 con Longuet fece parte della maggioranza del
partito, che voleva una nuova Internazionale e un collegamento con Mosca. A
Strasburgo nel febbraio del 1920 accettava la nove condizioni emanate da Mosca,
mentre al Congresso di Tours del dicembre del 1920 fu critico nei confronti di
alcune delle 21 condizioni emanate da Mosca. Ma mosca aveva deciso già che
Longuet e Faure dovevano essere epurati. Paul Faure rimase pressoché su
posizioni guesdiste di non collaborazione con altri partiti borghesi.
Con il riarmo tedesco, riemerse la forte tendenza pacifista di Faure entrando
in contrasto con Blum. Fu un sostenitore degli accordi di Monaco e, nonostante
dovette riconoscere nel 1939 la necessità di accordi militari, rimase fedele al
pacifismo. Durante l’invasione tedesca non lasciò Parigi, ma accettò la nomina
di Pétain al Consiglio di Stato, come noto nomina fatta per irritare Blum. Nel
1944 il Partito Socialista espulse Faure (Le Maitron: dictionnaire
biographique, https://maitron.fr/ ).
[46] Pierre Renaudel (1871-1935): iniziò come blanquista,
fece parte del partito Socialista Francese e rimase nella sinistra del partito,
contro la partecipazione di Millerand al governo chiedendone l’espulsione. Fu
uno dei principali fautori della nascita della SFIO, collaboratore de L'Humanité, fu a favore della difesa nazionale durante la guerra e
si espresse contro l’ingresso nella Terza Internazionale a Tours nel 1920. Nel
1932 invece si ritrovò a favore della partecipazione parlamentare al governo
Daladier, e paradossalmente fu con i deputati neosocialisti nella separazione
del 1933. Formò il Parti socialiste de France, si rese conto però della
estraneità delle sue idee rispetto a quelle dei neosocialisti. (Le Maitron: dictionnaire
biographique, https://maitron.fr/ ).
[47] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[48] Vincent Auriol (1884-1966): deputato socialista, amico
di Blum, ministro delle Finanze, della Giustizia e del Coordinamento
interministeriale del Fronte popolare. Arrestato nel 1940 riuscì a scappare ad
Algeri e si unì alla Resistenza. Nel dopoguerra divenne presidente della
Costituente quindi primo presidente della IVa Repubblica. Nel 1958
si dimise dalla SFIO (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[49] Ludovic-Oscar Frossard
(1889-1946): Conosciuto come L. O. Frossard, studiò alla École normale
d'instituteurs de Belfort, entrò attorno al 1905 nella SFIO nella sua
regione di Belfort. Fu a favore della difesa nazionale nel 1914 anche se più
vicino alla posizione pacifista di Longuet. Al Congresso di Strasburgo fu
incaricato con Marcel Cachin di andare in Russia per negoziare le condizioni di
adesione alla Terza Internazionale. Influenzato dall’atmosfera rivoluzionaria e
da Cachin, promosse l’adesione ai 21 punti di Mosca. Ma già dal giugno del 1921
e quindi nel 1922 si trovò in disaccordo con l’Internazionale Comunista sul fronte
unito. Il gennaio del 1923 L. O. Frossard, ricordato come uno dei maggiori
attori della scissione di Tours, si dimise da segretario del Partito comunista
francese, andò a formare il Partito Comunista Unitario e nel 1924 tornò nella
SFIO, progressivamente spostandosi sempre più a destra. Nel 1935 lasciò
definitivamente la SFIO, e fu membro dei governi Laval, Sarraut, Chautemps,
Daladier e Reynaud. Infine, nel 1940 votò per i pieni poteri a Pétain (Le
Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[50] Marcel Cachin (1869-1958): allevato in un ambiente molto
religioso, fu un brillante studente di modeste origini. Sentendo Guesde, nel
1892, ad un comizio si convertì al guesdismo. Si laureò in filosofia nel 1893.
Cachin creò il Socialiste de la Gironde, fu un forte oppositore di
Millerand e si oppose anche a Jaurès scrivendo un opuscolo Le Dîner du Roi.
Nel 1905 entrò nella SFIO e ne divenne vicesegretario nel 1912 e 1913. Prese il
posto di Paul Lafargue a L'Humanité. Il 31 luglio con Jaurès, Bracke e
Longuet si recò da Viviani per cercare di evitare un coinvolgimento della
Francia nella guerra. Cachin scrisse quindi su L'Humanité “La
dernière démarche de Jaurès était pour la paix”, ma passò al fronte di
difesa nazionale. Cachin incontrò i
socialisti italiani interventisti incluso Mussolini. Fu lui dietro ai famosi
fondi francesi a Mussolini per il Popolo d’Italia: in accordo con Guesde,
Cachin prelevò il denaro dalle casse del ministero degli Affari Esteri. Non in
favore dello sganciamento russo dalla guerra vide favorevolmente i 14 punti di
Wilson. Nella maggioranza di Lounget nel 1918 diventa direttore de L'Humanité.
Incaricato di visitare la Russia partecipò al II Congresso dell’Internazionale
e si convinse della necessità di adesione della SFIO alla Terza Interazionale.
Rimase quindi direttore de L'Humanité quando questa diventò organo del
Partito comunista. Fu coinvolto nella vicenda “Poincaré la guerre”,
quindi nel 1922 fu coinvolto nel caso Conscript e finì in prigione nel
1923 per aver criticato l’occupazione della Ruhr. Nel 1925 faceva ancora parte
dell’esecutivo allargato della Terza Internazionale. Nel 1927 fu nuovamente
incarcerato per la sua azione da provocatore. Quindi si recò in Russia per il
VI Congresso della Terza Internazionale. Cercò di salvare L'Humanité in
difficolta finanziarie. Sostenitore del Fronte Popolare, fu critico del patto
Ribbentrop-Molotov del 1939. Durante la prima parte dell’occupazione rimase in
Bretagna, arrestato dalla polizia tedesca per un mese e mezzo fu quindi
rilasciato probabilmente solo dopo aver scritto contro gli attacchi della
resistenza francese ai danni dei soldati tedeschi. Quindi dal 1943 al 1944
rimase attivo nella versione clandestina de L'Humanité e a guerra
conclusa riprese il suo lavoro per L'Humanité. Nel 1946 divenne il
membro più anziano dell’Assemblea Nazionale. Nel 1949 Cachin fu ancora attivo
con articoli contro la guerra in Indocina (Le Maitron: dictionnaire biographique,
https://maitron.fr/ ).
[51] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[52] Idem.
[53]Dalla Prefazione di Michel Dreyfus, in: Léon
Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria
Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.
[54] Cesco. LA SCISSIONE DI LIVORNO, 1921-2021. Adattamento
Socialista. Gennaio 2021.
[55] Bracke, Alexandre, Marie Desrousseaux (1861-1955): Prese
come pseudonimo il cognome della madre. Entrò alla École normale supérieure,
proseguì i liberi studi alla Sorbona in filologia e storia ellenica e, come
parte dei suoi studi di archeologia, visse per un periodo a Roma. Quindi iniziò
ad insegnare all’Università. Bracke era un buon germanista e tradusse in francese
diverse opere socialiste tedesche e nel 1886 aveva anche letto Il Capitale di
Marx. Nel 1900 entrò nel consiglio nazionale del POF. Fu uno dei fautori
dell’unità del 1905 e fu membro della sua commissione amministrativa permanete.
Fu supplente di Guesde al Bureau international de Bruxelles. Nel 1912
entrò alla Camera e venne rieletto nel 1914, fu per la difesa nazionale e votò
per l’ingresso di Guesde nel Governo. Fu uno dei pochi eletti anche nel 1919.
Divenne deputato ancora nel 1928 e nel 1932, accettò la vicepresidenza alla
Camera nel gennaio del 1936. Al Congresso di Tours si schierò con la minoranza
che non volle entrare nella Internazionale. Successivamente fece parte dell’ala
sinistra della SFIO vicino a Bataille Socialiste. Quando nel giugno 1936
Blum diventò capo del Governo, Bracke lo sostituì alla guida del Le
Populaire. Nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo e quindi rilasciato (Le
Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[56] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[57] Fernand, Isidore Loriot (1870-1932): Aderì al Partito
socialista nel 1901. Inizialmente a favore della difesa nazionale, si schierò
su posizioni pacifiste ostili alla Union sacrée, nel 1916 entrò a far
parte del Comitato pacifista e si schierò su posizioni zimmerwaldiane. Nel 1917
si incontrò a Ginevra diversi rivoluzionari russi che si apprestavano a tornare
in Russia, tra i quali Lenin. Già nel maggio del 1919 si schierò dalla parte
della neocostituita Terza Internazionale assieme a Monatte e Boris Souvarine.
Loriot non poté fisicamente partecipare a Tours perché arrestato, fu assolto
nel 1921, anche se la sua mozione vinse. Partecipò al III Congresso della
Internazionale Comunista dove incontrò e discusse in privato con Lenin. Al Primo Congresso del partito comunista, nel
dicembre del 1921, si dimise per la non rielezione di Boris Souvarine. Nel
Congresso del 1925 denunciò l’esclusione di Monatte, Rosmer, Delgarde e
Souvarine e firmò la lettera dei 250 indirizzata all’Internazionale Comunista.
Quindi passò con l’opposizione trotskista. Scrisse su la Révolution
prolétarienne articoli di analisi della Rivoluzione russa molto importanti
(Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[58] Meriggi da Léon Blum. Il discorso di Tours (27
dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di
Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.
[59] Questa è una osservazione molto importante in quanto si
potrebbe dire la stessa cosa del PSI che fu per questo vulnerabile a
personalità di dubbia formazione socialista e morale e dotati di un profondo
senso degli affari, come Enrico Ferri prima e Benito Mussolini poi.
[60] Léon Blum. Il discorso di Tours (27 dicembre 1920).
Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di Michel Dreyfus.
Biblion edizioni, 2021.
[61] Meriggi da Léon Blum. Il discorso di Tours (27
dicembre 1920). Introduzione e cura di Maria Grazia Meriggi. Prefazione di
Michel Dreyfus. Biblion edizioni, 2021.
[62] Idem.
[63] Raymond Poincaré (1860-1934): vera e propria icona della
IIIa Repubblica francese. Avvocato, deputato dal 1887, ministro dal
1893, quindi senatore dal 1903, presidente del Consiglio nel 1912 e presidente
della Repubblica nel 1913, divenne ancora Presidente del Consiglio nel 1922.
Fra le cose da menzionare fu la sua politica ferrea nel far rispettare il
trattato di Versailles e l’occupazione della Ruhr. Fu per una ultima volta
presidente del Consiglio dal 1926 al 1929 (da: Treccani on-line,
https://www.treccani.it/).
[64] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016
[65] Èdouard Herriot (1872-1957): Radicale socialista, fu
ministro e presidente del Consiglio nel 1924-25, nel 1926 e nel 1932. Si
schierò con la Resistenza, fu deportato in Germania e dal 1947 al 1954 fu
presidente dell’Assemblea Nazionale (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[66] Cette espèce
d’escroquerie, ovvero “questa specie
di truffa”.
[67] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[68] Édouard Daladier (1884-1970): Professore agrégé
di storia, eletto deputato per la prima volta nel 1919. Capolista nelle
elezioni del 1924 per il Cartel de la gauche, quindi ministro delle
Colonie del governo Herriot, poi ministro della Guerra nel governo Painlevé del
1925, e dell'Istruzione pubblica nei gabinetti Briand e Herriot, sempre del
1925. Ancora ministro dei Lavori Pubblici e quindi della Guerra in governi
successivi. Dal febbraio del 1933 all’ottobre fu a sua volta capo del governo.
Il suo primo governo cadde proprio a causa di un voto di sfiducia dei
socialisti contro il progetto di risanamento economico che prevedeva la
riduzione degli stipendi dei funzionari statali. Sulla questione della fiducia
la minoranza socialista di P. Renaudel, inclusi i neosocialisti, contraria alla
sfiducia, uscì dal partito socialista francese. Dopo essere stato ministro
della Guerra in altri tre governi formò nel 1934 il suo secondo Governo. Fu
ministro della Guerra anche nel governo Blum e nei governi Chautemps e Blum II,
fu responsabile del piano di riarmo del 1938, quindi, caduto il secondo governo
Blum, formò il suo terzo Governo. Il suo governo fu meno aperto al dialogo con
gli operai, più liberista nell’economia e dopo il patto russo-tedesco del 1939,
escluse i comunisti dal Governo. Daladier con gli accordi di Monaco cercò
insieme a Chamberlain di scongiurare la guerra. Daladier fu conscio delle mire
espansionistiche di Hitler, ma lasciò il campo a Chamberlain molto più
magnanimo. Dovette dichiarare guerra alla Germania dopo l’invasione da parte di
quest’ultima della Polonia. Dimissionario sulla questione finlandese, prima
dell’armistizio, fu arrestato in Marocco dove voleva riorganizzare il Governo e
venne processato a Riom per la sconfitta della Francia. Venne quindi consegnato
ai tedeschi e passò la guerra in detenzione. Nel 1946 tornò nella Camera dei deputati
e fu il leader dell’ormai piccolo Partito radicale opponendosi a de Gaulle. Fu
sindaco di Avignone dal 1953 al 1958. Quindi si ritirò a vita privata. (da:
Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[69] Marcel Déat (1894-1955): membro della SFIO, deputato dal
1926 al 1928 e dal 1932 al 1936. Espulso dalla SFIO nel 1933 insieme agli altri
neosocialisti. Dopo l’armistizio con i tedeschi collaborò con il regime nazista
e fu ministro nel governo di Vichy nel 1944. Fu condannato a morte nel giugno
del 1945 si rifugiò in Italia (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[70] Jean Zyromski (1890-1975): Il padre Ernest Zyromski,
professore universitario, amico di Lucien Herr e di Alexandre Bracke, fu
dreyfusardo ma non socialista. Jean rimase impressionato da Jaurès durante una
campagna elettorale e si avvicinò al socialismo. Studiò la teoria marxista
all’università di Tolosa. Si iscrisse alla SFIO nel 1912. Si trovò vicino le
posizioni rivoluzionarie di Bracke, Guesde e Lagardelle, creando un connubio tra
intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario. Era convinto che la difesa
nazionale fosse un dovere socialista e, mobilitato nel 1914, venne ferito nella
battaglia della Marna. Durante il conflitto rimase comunque in contatto con il
partito e i socialisti. Zyromski vedeva nel bolscevismo una ideologia anarchica
ma allo stesso tempo temeva che l’allontanamento dalla Terza Internazionale
avrebbe limitato la SFIO ad una politica riformista. Sostenne comunque la
frazione della “resistenza” di Blum e Bracke a Tours. Fu segretario della
Federazione della Senna e molto attivo nel sindacato confederale. Diventò uno
dei leader della sinistra rivoluzionaria del partito socialista francese. Si
oppose nel 1924 al Cartel des gauches, e con il centro del partito fece
blocco per mettere in minoranza la destra ministerialista. Nel 1926 iniziò la
pubblicazione della Correspondance socialiste dalla quale nacque nel
1927 Bataille Socialiste, vera e propria voce della corrente di sinistra
della SFIO della quale fu direttore. Nel 1927 contrastò a Lione la risoluzione
Blum-Faure sempre per via della difesa dell’indipendenza di classe. Fu un forte
promotore dell’espulsione dei neosocialisti nel 1933 e lottò per la
riunificazione dei sindacati CGT e CGTU così da meritare l’appellativo coniato
da Blum di “fanatico dell’unità sindacale”. Con l’avvento di Hitler, Zyromski
si concentrò sull’azione antifascista della SFIO favorendo e promuovendo il
patto di unità d'azione del 1934 e sviluppò con Jacques Duclos la “piattaforma
di azione comune” nel 1935. Sulla questione della difesa nazionale si scontrò
con Marceau Pivert volendone l’espulsione. Zyromski fu uno dei promotori del
Fronte popolare nel quale riversò speranze molto più idealiste che realiste,
pensando che potesse portare alla conquista del potere. Queste aspettative
determinarono diverse fratture, quella causata dalla guerra di Spagna e il
non-intervento. Dopo il discorso al Luna Park di Blum diede le dimissioni dal Bataille
Socialiste. Una seconda frattura si verificò nel febbraio 1937, quando
Blum, per risolvere le difficoltà finanziarie, decise la “pausa”. Nel giugno
1937 fu in disaccordo con Blum, quando questi scelse di dimettersi di fronte al
rifiuto da parte del Senato e condannò la partecipazione della SFIO, voluta da
Blum, al governo del radicale Camille Chautemps. Tornò però alla Federazione
della Senna e alla direzione di Bataille Socialiste. Nel dicembre 1938,
il gruppo della Bataille Socialiste votò per la mozione Blum, che si
muoveva per la difesa nazionale politica e che legava la Francia ai suoi
alleati. Con lo scoppio della guerra si ritirò a vita privata, ma nel 1943 fu
arrestato per le sue origini ebree. A guerra conclusa Zyromski aderì al Partito
comunista francese. Egli rappresentò il partito comunista alla Camera dal 1946
al 1948. Era d’accordo nella azione di difesa internazionale dell’URSS anche a
scapito dell’Ungheria nel 1956: una “necessità rivoluzionaria”, ma giudicava
negativamente la rottura di Stalin con la Jugoslavia. Cessò ogni attività
politica dopo l'intervento sovietico in Cecoslovacchia (1968) (Le Maitron:
dictionnaire biographique, https://maitron.fr/ ).
[71] Marceau Pivert (1895-1958): di origini modeste ma non
povere, buono studente, nel 1912 fu ammesso all'Ecole normale d'instituteurs
de la Seine. Con lo scoppio della guerra non poté finire gli studi e venne
mobilitato. Ne fu inizialmente entusiasta ma al fronte si ammalò e passò
diversi mesi in ospedale. Riformato nel 1916 e ultimati gli studi, iniziò la
sua carriera da insegnante. Conseguirà più tardi anche la laurea in filosofia
nel 1925 alla Sorbona. Intanto nel 1919 entrò nella massoneria e nel 1920 entrò
nel Partito Socialista francese, ovvero in una frangia alla destra della SFIO;
quindi, nel 1924 entrò nella SFIO vera e propria. Nel 1927 aderì a Bataille
Socialiste passando anche alla Federazione della Senna, divenendo il vice
di Zyromski. Fu a favore dell’unità d’azione con i comunisti. In febbraio 1934
fu membro del Comitato permanente di vigilanza della SFIO, con Léon Blum,
Vincent Auriol, Just Evrard, Emile Farinet, Paul Faure, Jean-Baptiste Lebas,
Jean Zyromski e Eugène Descourtieux. Pivert si distinse per una autodifesa
attiva contro il fascismo. I trotskisti lo avvicinano e Pivert stesso
visitò Trosky a Domène nel marzo 1935. Per questo venne considerato troskista,
affiliazione nella quale Pivert non si riconosceva. Si allontanò dalle
posizioni di Zyromski di difesa nazionale e formò La Gauche révolutionnaire
alla quale era vicino anche Daniel Guérin. Pivert fu favorevole al Fronte
popolare, coniando la famosa esternazione “Tout est possible”, e per il
governo fu il responsabile della radio e del cinema. Vicino al POUM cercò di
aiutare i repubblicani spagnoli. Nell’aprile del 1937 si vide costretto a
sciogliere la Gauche révolutionnaire (per aver messo sotto accusa il
governo socialista) la quale venne sostituita da Les Cahiers rouges. Nel
giungo del 1938 rischiò l’espulsione e andò a fondare il Parti socialiste
ouvrier et paysan (PSOP) che nel 1939 entrò nel Front ouvrier international
contre la guerre (FOI). Cercò di far funzionare la segreteria del FOI e
scrisse al generale de Gaulle il 25 giugno 1940 per cercare di contribuire alla
Resistenza. Rifugiatosi negli USA, per via di un suo discorso al fianco di
Angelica Balabanoff ad una riunione del Partito Socialista Americano, l’amministrazione
americana allarmata non gli rinnovò il visto e lui si rifugiò in Messico dove
frequentò Gorkin e partecipò ai funerali di Trotskij. Rischiò seriamente di
essere assassinato anch’egli dagli stalinisti. Durante il suo esilio messicano
fu molto attivo nell’insegnamento. Nel 1946 tornò in Francia, ma non essendoci
le condizioni di ricostituire il PSOP tornò nella SFIO e nella Federazione
della Senna. Nel 1948 fu eletto nel comitato direttivo della SFIO, fu contro
l’unità con i comunisti e fu anche critico dei troskisti, entrando a far parte
del Movimento socialista e democratico per gli Stati Uniti d’Europa, assieme
tra gli altri a Giuseppe Saragat, dove scriveva e dirigeva Correspondance
socialiste internationale. Fu a
favore della demilitarizzazione, dei negoziati tra USA e URSS e della
riunificazione della Germania e fu quindi vicino a diversi movimenti pacifisti.
Dal 1953 fu molto attivo nei movimenti anticoloniali, entrò a far parte del Mouvement
justice et liberté outre-mer. Pivert denunciò le repressioni sovietiche in
Ungheria e Polonia, si schierò a favore del popolo algerino, ma, deluso dal
comportamento del governo socialista di Mollet, fu estromesso dalla direzione
del Partito. Nel 1957 denunciò la stalinizzazione della SFIO ritenendo
peraltro che la classe operaia ne fosse ormai sottorappresentata. Cercò di
riunire tutte le forze di minoranza antistaliniste raggiugendo al Congresso di
Tolosa nel 1957 il 30% (Le Maitron: dictionnaire biographique,
https://maitron.fr/ ).
[72] Questo vedremo in seguito sarebbe stato rilevante per il
processo di Riom durante il regime di Vichy, ma ironicamente quello si limitava
ai fatti accaduti dopo il 1936.
[73] Adrien, Théodore, Ernest Marquet (1884-1955): aderì al
Partito Socialista di Jaurès nel 1903, aderì alla SFIO e divenne segretario della
Federazione della Gironda nel 1907. Mobilitato nel 1914, fece tutta la guerra
alla fine della quale tornò alla vita politica. Partecipò ai Congressi di
Strasburgo e Tours e rimase nella SFIO vicino a Renaudel. Fu eletto nel 1924 e
fu anche sindaco di Bordeaux nel 1925 fino al 1944. Fu sempre più un aperto
revisionista del marxismo, spostandosi maggiormente su posizioni
nazional-stataliste, tanto che nel 1933 al XXX Congresso, Blum lo interruppe
con la famosa esternazione “Sono spaventato!”. Fu quindi espulso insieme agli
altri neosocialisti. Formò il Partito Socialista di Francia con Marcel Déat, ma
in contrasto con quest’ultimo nel 1935 creò il Partito Neo-socialista di
Francia. Nel 1940 votò per i pieni poteri a Pétain e divenne ministro di Stato
fino al settembre. Venne arrestato nel 1944, detenuto fino al 1947 e condannato
a dieci anni di indignité nationale. Una volta amnistiato nel 1954 tornò
alla vita politica ma fu stroncato da un infarto proprio durante una riunione
politica nel 1955 (Le Maitron: dictionnaire biographique, https://maitron.fr/
).
[74] Camille Chautemps (1885-1963): radical-socialista fu
varie volete ministro e anche presidente del Consiglio nel 1930, nel 1933 per
pochi mesi, e tra i due governi Blum tra il 1937 e il 1938. Fu vicepresidente
di Daladier nel 1938 e di Reynaud nel 1940. Fu favorevole all’armistizio con la
Germania e fu vicepresidente fino al luglio del 1940. Fu condannato a cinque
anni di prigione dopo la liberazione ma rimase negli Stati Uniti (da: Treccani
on-line, https://www.treccani.it/).
[75] Alexandre Stavisky era
un ebreo ucraino naturalizzato francese, che faceva la bella vita grazie alle
sue innumerevoli truffe. Queste però non erano semplici truffe ma falsi buoni
del tesoro delle municipalità che coinvolgevano le alte sfere. Quando la
polizia si mise sulle sue tracce alla fine del 1933, dopo che il suo schema di
buoni del tesoro falsi era stato scoperto a Bayonne, questi si rifugiò a
Chamonix dove apparentemente commise suicidio il 9 gennaio 1934. Il fatto che fosse
riuscito ad eludere il carcere per così tanto tempo concentrò i sospetti sul
pubblico ministero, George Pressard, cognato del presidente del consiglio
Camille Chautemps, radicale e massone e, se ciò non bastasse, il fratello di
Chautemps era addirittura un legale di una delle imprese di Stavisky. Questo
fece scoppiare l’affare Stavisky. Così tutti i gruppi di estrema destra, l’Action
Française, i Camelots du Roi, i Jeunesse Patriotes, e la Solidarité
Française, organizzarono delle dimostrazioni violente di piazza contro gli
ebrei, i radicali, i massoni. Il 27
gennaio il governo Chautemps aveva rassegnato le dimissioni a seguito
dell’invasione da parte di dimostranti guidati da L’Action Française del
Palazzo della Concordia. Il Presidente della Repubblica Albert Leburn diede
quindi l’incarico ad un altro radicale, Édouard Daladier, di formare il governo
e questi licenziò il direttore della Comédie Française che portava
avanti una propaganda antigovernativa di estrema destra vicina alle ligues
fasciste e trasferì in Marocco il prefetto di polizia Jean Chiappe, il
quale rifiutò dimettendosi. A queste mosse del governo contro la destra seguì
l’organizzazione di una dimostrazione, per alcuni, un vero e proprio tentativo
di colpo di Stato guidato da la Croix-de-Feu, da L’Action
Française e da altre leghe fasciste. Il pretesto era la protesta contro la
cacciata di Chiappe. Paradossalmente anche i comunisti erano scesi in piazza
per protestare contro il governo, la corruzione di uomini come Chiappe, e
contro i socialisti. Ma anche i sindacati socialisti e la CGT si tenevano
pronti. La polizia dovette schierare le Gardes Républicains, le Gardes
mobiles, le Gardes mobiles à cheval, i Gardiens de la paix, e
le truppe regolari della Gendarmerie e dei pompieri. Il 6 febbraio quindi, i
dimostranti si recarono verso la Camera dei deputati, quando le forze
dell’ordine sbarrarono l’accesso al ponte della Concordia. Violenze si
verificarono anche al Hôtel-de-Ville. Al sentore delle prime vittime la
situazione divenne una vera e propria rivolta, vennero alzate le barricate e vi
furono varie cariche della polizia a cavallo. Verso mezzanotte la guardia
mobile a difesa del ponte dovette aprire il fuoco per non essere sopraffatta,
infine l’ordine fu ripristinato verso le due e trenta del mattino. Vi furono in
totale 15 vittime e 1.435 feriti, Daladier rassegnò le dimissioni il 7
febbraio.
[76] Il filmato di questo breve appello può essere visto su
youtube: https://youtu.be/0iCKGLOHAkk
[77] Ernst Thälmann(1886-1944): operaio, socialdemocratico e
sindacalista tedesco. Fece parte del USPD quindi del KPD di cui divenne il
presidente nel 1925. Fu arrestato nel 1933 dai nazisti, successivamente
condotto a Buchenwald e ucciso (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[78] Maurice Thorez (1900-1964): Nipote di un noto
sindcalista, lavorò anche in miniera, come smistatore di pietre. Fece diversi
lavori prima e durante la guerra, ma riuscì anche a studiare. Nel 1919 si unì
alla CGT e alla SFIO, ma apertamente a favore della Rivoluzione russa e della
Terza Internazionale si allontanò politicamente dalle posizioni del nonno.
Divenne attivo nel Partito comunista al suo ritorno dal servizio militare nel
1922, e si dimostrò subito un ottimo propagandista. Boris Souvarine lo suggerì
per corsi di marxismo in Unione Sovietica. Thorez, da molti poi considerato una
banderuola, fu favorevole alla politica dell’Internazionale del fronte unito.
Vicino a Souvarine quando questi passò al trotzkismo, Thorez sbandò, ma cercò
di far dimenticare la sua posizione pro-Souvarine e nel giungo 1924 si allineò
alla bolscevizzazione del partito comunista. Nel 1925 fece finalmente il suo
primo viaggio in URSS, passò quindi ai vertici del partito ed entrò nel politburo.
Fu incarcerato per l’azione di protesta contro la guerra in Marocco. Quando vi
fu il cambio di politica dal fronte unito a quello di classe contro
classe si trovò un po’ spiazzato ma si adattò e nel 1928 fece campagna
elettorale contro i socialisti. Nel 1929 fu incarcerato nuovamente, quindi andò
a Mosca. Con la salita al potere di Hitler in Germania Thorez si riavvicinò ai
socialisti, ma l’Internazionale sconfessò questa iniziativa e Thorez sembrò
riallinearsi ancora alla strategia della classe contro classe fin quando
l’approvazione di Stalin alla politica del fronte unico costrinse Thorez
a fare ammenda. Thorez si incontrò con Blum e Zyromski firmando nel luglio del
1934 un patto di unità d’azione. Thorez fu il promotore dell’estensione
di questo patto anche alle forze radicali. Il 2 maggio 1935, venne firmato il
patto franco-sovietico, Laval-Stalin: Thorez accolse con favore la virata
sovietica verso la difesa nazionale, e nel 1936 divenne segretario generale del
PCF. Thorez riuscì a mettere fine agli
scioperi del 1936 e guadagnò una grande popolarità, pubblicò in questo periodo
anche le sue memorie Fils du peuple. Quando il 23 agosto l’URSS firmò il
patto di non aggressione con la Germania nazista, Thorez si dovette precipitare
a Parigi, da un lato si affrettò a giustificare ciò per via delle difficolta fatte
da Francia e Gran Bretagna, dall’altro ne era rimasto sorpreso. Il PCF iniziò a
perdere consensi. Thorez fu fra i deputati comunisti messi sotto arresto dal
governo Daladier e partì clandestinamente il 3 ottobre del 1939. Quindi con la
mobilitazione Thorez divenne disertore e gli fu tolta la cittadinanza francese
mentre si era rifugiato in Unione Sovietica. A guerra finita Thorez tornò in
Francia, riprese la segreteria del partito da Jacques Duclos, entrò nel governo
de Gaulle e fu vicepresidente del Consiglio nel 1946 per sei mesi. Fu negli
anni della guerra fredda molto vicino alle posizioni staliniane anche in virtu’
degli interventi dell’URSS in Polonia, Romania e Jugoslavia. Nel 1950, malato,
lasciò la direzione del PCF a Jacques Duclos, si andò a curare in URSS e tornò
in Francia solo dopo la morte di Stalin nel 1953. Ancora ancorato alla
tradizione staliniana non fu particolarmente favorevole ad ammettere le
critiche sollevate da Krusciov nel suo rapporto “segreto” al XX
Congresso del Partito Comunista Sovietico nel 1956 (Le Maitron: dictionnaire
biographique, https://maitron.fr/ ).
[79] Georges Monnet (1898-1980): entrò in politica tra i
socialisti nel 1928, eletto nel 1932 alla Camera e ancora nel 1936. Ministro
dell’Agricoltura nel governo Blum. Contrario all’accordo di Monaco, fu ministro
dell’Embargo nel governo Reynaud, contro la decisione dell’armistizio, ma non
attivo nella Resistenza. Rivestì cariche ufficiali anche nel dopoguerra, fu
nuovamente ministro dell’Agricoltura tra il ‘59 e il ‘61.
[80] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[81] Frédéric Monier. Léon Blum: la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016
[82] Léon Jouhaux (1879-1954): sindacalista, segretario
generale della CGT dal 1909. Fu revocato da ogni carica nel 1938 per il fallito
sciopero del 30 novembre. Fu deportato in Germania, riprese dopo la guerra il
suo posto alla CGT. Nel 1947 divenne presidente del Consiglio economico della IVa
Repubblica, premio Noble per la pace nel 1951 (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[83] Roger Salengro (1890-1936): deputato socialista dal 1925
rieletto più volte. Divenne ministro degli Interni nel governo Blum, viene
ricordato per l’accordo di Matignon. La stampa di estrema destra lo accusò di
aver disertato nel 1915, mentre in realtà era stato fatto prigioniero, ed era
stato assolto da questa accusa, Salengro si suicidò.
[84] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[85] Charles Spinasse (1893-1979): di formazione economica,
dichiaratamente non-marxista, si iscrisse alla SFIO, nel 1926 si recò negli
Stati Uniti per analizzare il capitalismo più avanzato, tornò convinto che la
produzione di massa e il consumo di massa visto negli USA potevano essere
esportati in Francia. Nel 1928 alla
Camera aveva già predetto il tracollo del ‘29. Nel 1936 divenne ministro
dell’Economia Nazionale cosi come nel 1928 ministro del Bilancio. Rimase in
carica anche con Daladier. Quindi Spinasse, favorevole all’armistizio, voto a
favore Pétain e Laval. Fu espulso dalla SFIO nel 1944. Rientrò in politica nel
1961 come socialista indipendente.
[86] Figlia di Pierre Curie e Marie Skłodowska-Curie.
[87]
Douglas Johnson. Lèon Blum and the Popular Front. Lecture given to the
Annual Conference of the Historical Association at Cheltenham, 11 aprile 1969.
[88] Paul Reynaud (1878- 1966): politico di centro-destra,
entrò in parlamento nel 1919. Non più rieletto fino agli anni Trenta quando
divenne ministro delle Finanze nel 1930 e delle Colonie nel 1931-32. Già dal
1934 auspicava la svalutazione del franco. Nel 1935 fu a favore del piano de
Gaulle per la formazione delle forze motorizzate. A favore, con Blum, di un
governo di unità nazionale nel 1938. Fu chiamato da Daladier nel suo governo
del 1938 e fu ministro delle Finanze. Dopo il Patto di Monaco ruppe con
Flandin. Diventò capo del governo nel 1940 e non volendo concedere l’armistizio
diede le dimissioni in giugno, fu arrestato e processato a Riom fu quindi
internato in Germania. A guerra finita fece parte della costituente del ‘46, fu
ministro delle Finanze nel 1948. Ancora ministro, ma senza portafoglio nel 1950
e vicepresidente del governo gabinetto Laniel nel 1953-54. Fu attivo anche nei
nuovi organi europei del Consiglio d'Europa e dell'assemblea della CECA.
[89] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[90] Idem.
[91] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
[92] Jean-Charles Asseli. La semaine de 40 heures, le
chômage et l’emploi. Le Mouvement
social, No. 54, Front Populaire (Jan. - Mar.,
1966), pp. 183-204.
[93] Gustav Noske (1868-1946): socialdemocratico tedesco si
occupò di questioni militari, nel 1918 fu nominato governatore di Kiel per
sedare l’ammutinamento dei marinai. Fu nominato Ministro della Difesa nel 1919
e fu un co-artefice della creazione dei corpi franchi che sedarono la
rivolta spartachista nel sangue. Nel 1920 diede le dimissioni perché sospettato
di essere coinvolto nel putsch di Kapp. Nel 1944 fu arrestato per aver preso
parte a un fallito attentato alla vita di Hitler (da: Treccani on-line, https://www.treccani.it/).
[94] Frédéric Monier. Léon Blum : la morale et le pouvoir.
Ed. Armand Colin. 2016.
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