Sul “Principio democratico” di Bordiga: traduzione italiana del nostro articolo pubblicato su https://cosmonautmag.com/




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Contesto storico

Prima di intraprendere questo dibattito, per alcuni lettori, può essere utile conoscere i primi anni di attivismo di Bordiga e il contesto storico quando il saggio del 1922 fu scritto e pubblicato. Ho cercato qui di seguito di fare una panoramica essenziale di entrambi. Per i lettori più audaci ho pubblicato materiale aggiuntivo sia in inglese che in italiano disponibile online[1].

Amadeo Bordiga nacque in una famiglia piuttosto benestante con alcune radici aristocratiche. Il nonno materno, il conte Amadei, il padre Oreste Bordiga e lo zio erano tutti massoni. Questo fatto è importante perché Bordiga ricorda che "la sua iscrizione al PSI [Partito Socialista Italiano] fu una reazione alle pressioni esercitate su di lui per unirsi alla massoneria". Bordiga si unì invece al Partito Socialista Italiano nel 1910 come studente di ingegneria di 21 anni.

Si può dire molto semplicisticamente che il PSI, fondato nel 1892, aveva l'ambizione di strutturarsi sull'immagine della tedesca SPD mentre emergeva dalle esperienze milanesi e romagnole, entrambe fortemente influenzate dal movimento socialista francese. Filippo Turati, una sorta di Jean Jaurès italiano, può essere considerato il vero padre del PSI. Formò il partito con gli operaisti milanesi, gli anarcosocialisti romagnoli di Andrea Costa e alcuni radicali, per lo più di origine repubblicana mazziniana, che fino a quel momento avevano controllato le Società operaie italiane. I radicali ebbero un ruolo importante nella formazione delle Società di Mutuo Soccorso e, essendo la maggior parte dei loro membri vicini a Mazzini e Garibaldi, erano affiliati alla Massoneria. Semmai, la fazione marxista ortodossa del Partito a quel punto era rappresentata proprio dai "turatiani", e soprattutto dalla crimeana Anna Kuliscioff[2].

Una netta svolta, dopo l'affare Millerand in Francia[3], fu il problema della collaborazione socialista con il governo liberale Zanardelli nel 1901. A quel punto il partito era diviso in tre fazioni. I riformisti, favorevoli a tale collaborazione; la fazione intransigente, contro; e la fazione "integralista"[4], per una politica "caso per caso". Nel 1910 i riformisti si divisero ulteriormente in un'ala sinistra, o "turatiani",  a favore delle riforme senza abbandonare l'obiettivo massimale della rivoluzione socialista; e un'ala destra, i "bissolatiani" (cioè i seguaci di Leonida Bissolati), che si era avvicinato al revisionismo di Bernstein e ammirava il modello del Partito Laburista britannico. Mentre gli integralisti e i maggiori leader della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) erano stati per lo più assorbiti dai riformisti; gli intransigenti, la fazione a cui Bordiga si sarebbe unito, mancavano di personalità carismatiche. La fazione intransigente era guidata dal vecchio operaista Costantino Lazzari e da una figura emergente, Giovanni Lerda, la cui guida fu di breve durata in quanto massone. Negli anni precedenti gli intransigenti avevano flirtato con i rivoluzionari sindacalisti che, tuttavia, avevano lasciato il partito nel 1907. Accanto alla loro intransigenza contro la collaborazione con il Governo, gli intransigenti si opposero ai blocchi elettorali e alla presenza di massoni nel Partito. Queste furono le battaglie in cui Bordiga si impegnò durante i suoi primi anni nel partito.

Nell'aprile del 1912, Bordiga fondò il 'Circolo Carlo Marx’ con l'obiettivo di svolgere attività di propaganda e studiare gli scritti marxisti". Fino a quel momento, la vecchia generazione di intransigenti era stata per lo più legata alle tradizioni operaiste o anarco-socialiste; con pochissime eccezioni, la "vera" generazione marxista tra gli intransigenti emerse attorno a figure come Bordiga, Gramsci, Tasca, Terracini e Togliatti.

 La posizione di Bordiga nei confronti dell'attività elettorale fu inizialmente di tolleranza, perché la vedeva come proselitismo e propaganda, "ma la sua sfiducia nel sistema elettorale crebbe quando il PSI subì ricorrenti sconfitte alle elezioni nonostante il notevole sforzo che vi mise dentro". L’articolo del luglio 1913 su Avanguardia pose una chiara pietra miliare nel pensiero di Bordiga sull'azione elettorale. L’ispirazione fu un libro, Socialismo rivoluzionario, dei sindacalisti rivoluzionari anarchici francesi Charles Albert e Jean Duchène il quale era stato recentemente tradotto. Bordiga, già scettico del sistema elettorale come meccanismo per prendere il potere, concordava esplicitamente con la loro "critica che l'azione parlamentare avrebbe soffocato qualsiasi altra attività". Tuttavia, la sua posizione del 1913 sulla coscienza collettiva è molto diversa da quella che esporrà nel "Il principio democratico" del 1922. Nel commentare le elezioni del 1913 Bordiga considerò che:

“E’ infatti indiscutibile che le conquiste del Socialismo, dalle massime alle immediate, devono essere opera di grandi masse che si siano formata una coscienza collettiva dei propri interessi e del proprio divenire e siano convinte che, per garantirli ed affermarli efficacemente, non debbono abdicare la tutela nelle mani di pochi dirigenti; come non debbono chiedere aiuti di sorta alla classe economicamente avversa. Il Partito Socialista deve coltivare e diffondere questa coscienza collettiva… Nessuno può negare la verità dell’osservazione che l’uomo costretto al lavoro manuale è propenso a delegare ad altri, agli intellettuali, la gestione e quindi il dominio della vita sociale. Anche le masse quasi coscienti di una qualsiasi finalità tendono ad affidarne la realizzazione ad un uomo o a pochi uomini, che seguono poi troppo ciecamente… Vogliamo dedurne che nelle attuali condizioni ogni forma di azione di classe – non le sole elezioni, ma anche l’azione sindacale e perfino la rivolta di piazza – presenta il rischio che le masse rinunzino all’effettivo controllo dei propri interessi e lo affidino ad un certo numero di “capi”.

Tuttavia, la critica del 1922 al principio di maggioranza (o principio maggioritario come lo chiamava Bordiga) sembra dire il contrario. Nel 1922, Bordiga non credeva più che le grandi masse dovessero essere convinte, né che la maggioranza fosse in grado di prendere la decisione giusta, e giustifica il centralismo perché si aspetta che quando il partito è chiamato ad esercitare il potere emergerà una gerarchia.

Nel giugno 1914 il Regno d'Italia fu scosso da una settimana di scioperi, manifestazioni e insurrezioni. Da un lato l'élite a favore della guerra aveva capito che sarebbe stato difficile portare un paese in uno stato così agitato in un conflitto geopolitico; dall’altra parte, gli attivisti rivoluzionari si resero conto che una rivoluzione non era ancora possibile in Italia. Bordiga attribuì il fallimento dei disordini di piazza alla decisione dei sindacati confederali di annullare lo sciopero generale nazionale troppo presto. Leggerà la sconfitta delle occupazioni del 1920 allo stesso modo. Nel suo articolo "Democrazia e socialismo" del luglio 1914, Bordiga concluse chiaramente che il socialismo era la “solenne denunzia del fallimento storico della formola democratica, e degli inganni che questa conteneva”. Questo articolo si riferisce molto probabilmente alla democrazia borghese, ma contiene gli elementi principali della critica del 1922 al principio democratico. Nell'agosto 1914, l'Europa entra in guerra, ma l'Italia rimane neutrale fino al maggio 1915. Una solida campagna interventista, ma soprattutto un accordo segreto con l'Intesa, alla fine portò l'Italia in guerra. Bordiga fu un coerente e fervente antimilitarista prima e durante la guerra, e si dichiarò per i bolscevichi non appena presero il potere nel novembre 1917. Nel complesso, il PSI fu in grado di mantenere una posizione relativamente coesa contro la guerra, anche se i riformisti diedero alcune concessioni alla propaganda di difesa della nazione dopo la famigerata sconfitta di Caporetto. Per quanto riguarda la Rivoluzione d'Ottobre, furono più cauti e, poco dopo, molti condivisero le posizioni critiche di Kautsky e Martov. Ciò dimostra che la scissione della fazione rivoluzionaria dai riformisti era nell'aria molto prima dei 21 punti dettati dalla Terza Internazionale nell'estate del 1920.

 I primi tre anni del dopoguerra in Italia furono pieni di sconvolgimenti e avvenimenti drammatici. Nonostante la sua vittoria militare formale, l'Italia aveva tutte le caratteristiche di un paese sconfitto. Povertà, disoccupazione e inflazione crearono un mix esplosivo. Il 1919 fu un anno di disordini. Ci furono grandi scioperi, manifestazioni e le occupazioni delle terre, ciò fu puntualmente sedato da brutali azioni della polizia. Nelle elezioni del 1919, il PSI divenne il primo partito ottenendo poco più del 30% dei voti. Tuttavia, il vecchio sistema liberale, con l'aiuto del neonato Partito Popolare (orientato verso il mondo cattolico), riuscì a mettere insieme una debole coalizione e spinse il PSI all'opposizione. La "paura rossa" o, in altre parole, la "minaccia bolscevica" veniva spesso usata per giustificare la violenza reazionaria sproporzionata da parte delle forze di polizia contro i lavoratori. L'atmosfera di guerra civile si estese fino al 1920, quando le principali fabbriche italiane furono occupate dai lavoratori. Va chiarito che non esistevano le condizioni reali per una rivoluzione in Italia. Tuttavia, tra la sinistra solo pochi riformisti sembravano esserne consapevoli. Verso la fine del 1920 il contrattacco fu sproporzionatamente duro e sempre più nelle mani delle milizie private. Milizie formate nelle zone rurali della pianura padana da veterani di guerra e membri attivi delle forze di polizia. Il movimento fascista di Mussolini, costituito da quelli che nel 1919 potrebbero essere descritti come sindacati degli ex-combattenti, divenne, grazie al suo giornale Il Popolo d'Italia, la voce principale di quelle milizie, o squadre d'azione.

 Al Congresso nazionale di Bologna del 1919, il PSI aderì formalmente alla Terza Internazionale. Poco prima di quel Congresso, una fazione comunista si era formata attorno a Bordiga, nota anche come astensionista. L'avversione di Bordiga alla partecipazione elettorale, cioè l'astensione, divenne una tendenza concreta del partito all'interno degli intransigenti. Quando Bordiga partecipò al 2° Congresso della Terza Internazionale nell'estate del 1920, le sue idee sull'astensionismo erano in piena mostra, tanto che Lenin gli dedicò persino una sezione del suo L'estremismo, malattia infantile del comunismo alle sue posizioni. Bordiga si sottomise alla disciplina della Terza Internazionale non appena con tali punti si costringeva i riformisti a uscire dal partito. In effetti, Bordiga fu l'autore della 21ª condizione di ammissione nella Terza Internazionale, che assicurava che tutti i partiti che non si conformassero alle altre 20 condizioni dovevano essere espulsi. Così facendo Bordiga voleva costringere il PSI ad espellere i riformisti e cambiare il suo nome in Partito Comunista. Ciò non accadde e nel gennaio 1921 i comunisti lasciarono il PSI, Bordiga divenne il leader de facto del neonato partito.

Mentre Bordiga e compagni erano occupati con le questioni del partito, il fascismo agrario stava rapidamente crescendo. Dal primo importante atto di squadrismo, il cosiddetto "eccidio di Palazzo D'Accursio" del 21 novembre 1920 a Bologna, fino alle elezioni del maggio 1921, scoppiò una vera e propria guerra civile, che portò alla distruzione delle principali organizzazioni operaie e della maggior parte delle amministrazioni municipali socialiste del nord Italia. Ciò è stato possibile solo grazie alla connivenza del governo con i fascisti, o in altre parole, alla piena immunità per i crimini fascisti. Le elezioni del 1921 furono pesantemente condizionate dalla violenza delle squadre fasciste e questo, insieme ai blocchi nazionali con i liberali e i popolari, permise a 45 fascisti, incluso Mussolini, di entrare in Parlamento[5]. Bordiga non trascurò il fenomeno fascista. La sua analisi da un lato non commise l'errore comune di vedere l'ascesa fascista come conseguenza della mancata rivoluzione. D'altro canto, minimizzò la sua originalità, poiché riteneva che il fascismo non fosse diverso dai precedenti governi legittimi repressivi di Francesco Crispi e Luigi Pelloux.

Al 3° Congresso dell'Internazionale nel luglio 1921 Bordiga e i bolscevichi russi iniziarono il loro rapporto conflittuale sulla bolscevizzazione del Partito Comunista Italiano. In Germania, l'Azione di marzo, sostenuta dalla Zentrale del VKPD e fortemente spinta dalla Terza Internazionale, si concluse con un totale fallimento. Così, ora che Zinoviev respingeva la teoria dell’ "offensiva", in cui Bordiga aveva riposto una certa dose di fiducia, e peggio ancora, ora che Zinoviev si era trasformato nel promotore della tattica del "fronte unito", Bordiga sfogava apertamente il suo disaccordo. La tattica del fronte unito significava che se il PSI avesse espulso i riformisti, i socialisti avrebbero potuto aderire alla Terza Internazionale e creare una coalizione con il Partito Comunista Italiano. Per Bordiga questo era inaccettabile in quanto vedeva i socialisti del PSI come il peggior tipo di "fascisti" sotto mentite spoglie. Quando il Partito Socialista espulse definitivamente i "Turatiani" il 24 novembre 1922, il Partito Bolscevico Russo indirizzò una lettera formale firmata da Lenin, Trotsky, Zinoviev, Radek e Bucharin al Comitato Centrale del Partito Comunista d'Italia in cui chiedeva la fusione del Partito Comunista d'Italia e del PSI. Alla fine, questo non avvenne perché il PSI decise di separarsi completamente dalla Terza Internazionale.

Alla fine del 1921, dopo il fallito tentativo di Mussolini di normalizzare le milizie fasciste, un fallimento che quasi gli costò la sua leadership, il movimento fascista si organizzò formalmente nel "Partito Nazionale Fascista" (PNF). Così, nel febbraio 1922, quando fu scritto "Il Principio Democratico", il PNF era già formato, 45 fascisti erano in Parlamento, la violenza fascista continuava, la disputa con la Terza Internazionale stava montando e Bordiga stava per pubblicare le "Tesi sulla tattica", note anche come "Tesi di Roma".

Il saggio

"Il principio democratico"[6] fu pubblicato come articolo firmato[7] Bordiga sul numero 18 della Rassegna Comunista[8] del 28 febbraio 1922. In questo testo Bordiga spiegava che esiste una contraddizione teorica e pratica tra l'idea borghese di democrazia e il sistema di classi sociali. Nelle sue stesse parole Bordiga scrive che la critica marxista mostra una: "[...] inconsistenza teorica e l'insidia pratica di un sistema che vorrebbe conciliare l'uguaglianza politica con la divisione della società in classi sociali determinate dalla natura del sistema di produzione". In altre parole, l'uguaglianza politica e la disuguaglianza di classe non possono coesistere.

Il punto chiave dell'argomentazione di Bordiga è spiegato nella seguente frase: "La libertà e l'uguaglianza politica contenute secondo la teoria liberale nel diritto di suffragio non hanno senso se non su una base che non contenga disparità di condizioni economiche fondamentali". Vale a dire, il concetto liberale di libertà politica e uguaglianza è irrealistico all'interno del capitalismo perché le persone non sono socio-economicamente uguali. Per Bordiga, pensare diversamente significa dare alla classe lavoratrice l'illusione di poter votare in condizioni di parità con le sue controparti borghesi. In realtà, le regole e il comportamento dei giocatori sono dettati dalla sola classe borghese. Bordiga aggiunse, tuttavia, che il diritto stesso del suffragio è accettato all'interno delle organizzazioni della classe proletaria poiché queste dovrebbero avere un carattere democratico.

Bordiga rifiuta l'idea liberale[9] che l'ideale dei diritti umani (cioè, secondo il quale siamo tutti nati uguali e quindi condividiamo tutti alcuni diritti fondamentali), possa coesistere con la realtà effettiva creata dalla divisione capitalista del lavoro, che, per definizione, separa i diritti degli esseri umani che possiedono i mezzi di produzione e distribuzione da quelli che possiedono solo la loro forza lavoro. Per fare un esempio molto semplificato, secondo il punto di Bordiga, nella società attuale, il voto di un infermiere, o di un metalmeccanico, conterà meno del voto di un banchiere, o di un amministratore delegato, perché le istituzioni politiche sono influenzate e costituite più da questi ultimi due. Soprattutto, il punto di Bordiga va oltre la critica non così originale del suffragio universale[10], perché rifiuta l'accettazione assoluta a priori del principio democratico anche negli organismi omogenei di classe. In altre parole, anche nelle organizzazioni operaie o in una società senza classi sociali nulla dice che il principio democratico sia la forma migliore e più naturale di governo.

Bordiga spiega piuttosto chiaramente che l'inganno che la socialdemocrazia ha ereditato dalla dottrina liberale, si basa sull'idea che i "privilegi" cessano di esistere non appena si forma una maggioranza elettorale[11].

"[...] può apparire una seducente costruzione logica solo se si parte dall'ipotesi che il voto ossia il parere, l'opinione, la coscienza, di ciascun elettore abbia lo stesso peso nel conferire la sua delega per l'amministrazione degli affari collettivi".

Per Bordiga questo concetto non può essere accettato dai socialisti marxisti perché è la cosa più lontana dalla dottrina materialista poiché "configura ogni uomo come una unità perfetta di un sistema composto di tante unità potenzialmente equivalenti tra loro". Bordiga inizia quindi una breve storia dell'organizzazione sociale:

 inizialmente possiamo immaginare senza commettere gravi errori l'esistenza di una forma di vita della specie umana completamente inorganizzata. [...] L'unità dell'individuo ha senso dal punto di vista biologico [ma] dal punto di vista sociale non tutte le unità hanno lo stesso valore e la collettività non sorge che da rapporti e da schieramenti in cui la parte e l'attività di ogni singolo non sono una funzione individuale ma collettiva per le molteplici influenze dell'ambiente sociale”.

 In altre parole, Bordiga sostiene che anche nelle forme più elementari di organizzazione sociale il singolo individuo, visto come l'unità sociale più semplice, non aveva senso. È piuttosto il contrario, la forma più semplice di unità sociale è già la collettività organizzata su base unitaria, ed è, in parole semplici, la famiglia. Bordiga sostiene che dopo la famiglia sono emersi altri tipi di collettività umane organizzate. E che quelle unità possono essere paragonate "solo in un certo senso a unità organiche”, come una cellula biologica. Queste unità elementari, costituite da singole persone o da gruppi di persone, hanno funzioni diverse e sono in continuo scambio tra loro. Per spiegare le dinamiche intorno a tali unità elementari Bordiga prende ancora una volta l'esempio della famiglia. Spiega che queste unità cambiano in modo simile a come farebbe una famiglia: "L'elemento famiglia ha una vita unitaria che non dipende dal numero dei singoli che racchiude, ma dalla rete dei loro rapporti". L'evoluzione di queste unità va dalle famiglie alle dinastie, caste, eserciti, stati, imperi, corporazioni, partiti. La crescente complessità di queste unità è dovuta alla crescente complessità delle relazioni e delle gerarchie sociali dovuta alla crescente divisione del lavoro. Si riduce alle collettività organizzate che ricevono una gerarchia esterna o alle collettività organizzate che si danno una gerarchia interna.

Nel caso della gerarchia esterna un semplice esempio è il capo (come, per esempio, il re) nominato da Dio. Per quanto riguarda le collettività organizzate da una gerarchia interna, il dibattito si addentra nel principio democratico. Il problema principale è come assegnare tale gerarchia. Bordiga considera due casi, da un lato, l'intera società o più specificamente una data nazione, dall'altro lato, organizzazioni più piccole come un partito proletario o sindacati. Per l'intera società il principio democratico deve essere respinto perché si basa sull'illusione dell'uguaglianza. Per citare Bordiga:

"La nostra critica confuta l’inganno che il meccanismo dello Stato democratico e parlamentare uscito dalle costituzioni liberali moderne sia un'organizzazione di tutti i cittadini e nell'interesse di tutti i cittadini. [...] lo Stato resta malgrado l’esteriore apparenza della sovranità popolare l'organo della classe economica superiore e lo strumento della difesa dei suoi interessi".

Ma il principio democratico si applicherebbe bene alle istituzioni proletarie?

La risposta di Bordiga non è semplice. Finché l'istituzione proletaria è lo Stato proletario, Bordiga risponde che non importa. La sua tesi è che ciò che conta è che lo Stato proletario deve abbattere i privilegi economici borghesi e le resistenze politiche e militari che li difendono. Se questo può essere raggiunto attraverso una consultazione di massa, così sia. Se, invece, ci volesse il lavoro di organismi esecutivi molto ristretti dotati di pieni poteri, andrebbe altrettanto bene. Solo le circostanze determineranno quale forma di meccanismo di rappresentazione si adatterà meglio. Se l'istituzione proletaria è il sindacato, che secondo Bordiga può far parte dello Stato proletario, sì, il principio democratico ha senso. Quando l'istituzione proletaria è il Partito, che a differenza del sindacato, non ha la stessa uniformità nell'identità e negli interessi economici, ma lavora nello spazio (dal nazionale all'internazionale) e nel tempo (passato, presente fino all'emancipazione), Bordiga ammette che "indubbiamente finora non c'è modo migliore che attenersi per lo più al principio maggioritario", ma quando il partito è chiamato ad esercitare il potere esecutivo è naturale che emerga una gerarchia del partito (ad esempio, il centralismo). Quindi, una ragione in più per il movimento operaio di liberarsi dal vincolo del principio democratico.

Bordiga conclude così: “Il criterio democratico è finora per noi un accidente materiale per la costruzione della nostra organizzazione interna e la formazione degli statuti di partito: esso non ne è l’indispensabile piattaforma.  Ecco perché noi non eleveremmo a principio la nota formula organizzativa del «centralismo democratico». La democrazia non può essere per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali dell'organizzazione del partito devono essere l'unità di struttura e di movimento. Per segnare la continuità nello spazio della struttura di partito è sufficiente il termine centralismo, e per introdurre il concetto essenziale di continuità nel tempo, [...] proporremmo di dire che il partito comunista fonda la sua organizzazione sul centralismo organico”.

Se possiamo osare un'interpretazione del centralismo organico di Bordiga, egli avrebbe potuto pensare a qualcosa di simile a un Comitato Esecutivo Marxista per ogni Nazione coordinato dal Comitato Esecutivo Capo dell'Associazione Comunista Internazionale. Tali Comitati rinnoverebbero organicamente (cioè naturalmente) i loro membri in tempo utile in base alle circostanze date (ad esempio, competenze, predisposizioni, abilità, età, deviazioni teoriche, minacce esterne).

Critica del concetto di democrazia di Bordiga

Nel gennaio 2022, Daniel Melo ha pubblicato un articolo su Cosmonaut intitolato "Why Bordiga got democracy wrong"[12]. È un riassunto ben scritto, anche se incompleto, de "Il principio democratico" di Bordiga. Secondo Daniel Melo ci sono almeno due inconvenienti nell'argomentazione di Bordiga.

Da un lato, limita la sua critica della democrazia solo alla sua scarsa attuazione nella politica borghese, gettando via il bambino democratico con l'acqua sporca borghese. Inoltre, la sua argomentazione salta dai fallimenti della democrazia borghese per concludere che non vi è alcun valore nel processo decisionale a maggioranza in sé. D’altro canto, la sua visione del centralismo si eleva allo stesso livello del principio idealizzato e non esaminato che con ben pochi argomenti Bordiga condanna”.

Melo continua:

“l'attenzione di Bordiga su questi fini con una rapida approvazione dei mezzi del centralismo è pericolosa. Trascurare i mezzi di organizzazione in un momento rivoluzionario per concentrarsi invece esclusivamente sui fini, invita a una sorta di utilitarismo brutale che può (e probabilmente è costato) milioni di vite le stesse che presumibilmente sta cercando di emancipare”.

 Infine, Melo espone: "L'analisi di Bordiga [quando] inciampa a capofitto in un errore piuttosto fatale confondendo la politica elettorale come il cuore e l'anima della democrazia".

Questo articolo ha suscitato una risposta esposta nella lettera di Parker M. Shea[13]. Shea sostiene che Melo non è molto specifico nello spiegare cosa significhi democrazia. Secondo Shea, Melo:

 "[...] sembra cadere proprio nella trappola da cui Bordiga ci mette in guardia" quando "suggerisce che i capitalisti siano 'trascinati nel quadro democratico' ". Vale a dire, come potrebbe garantire Melo l'uguaglianza politica tra le diverse classi sociali? Inoltre, Shea chiede: " la questione è se la democrazia debba essere una democrazia di rivendicazioni o una democrazia di azioni".

La risposta di Daniel Melo a Shea in "Bordiga and Democracy Redux"[14] è piuttosto complessa e un po' affrettata, e richiede una lettura attenta. Se la capiamo bene, Melo attira l'attenzione sullo scopo della democrazia. È questa di rivendicazioni o di azioni? Come dice Melo:

"quali rivendicazioni o azioni intraprendiamo, e a qual fine?", "Questo in parte implica lo Stato e il suo ruolo in un rovesciamento democratico del capitalismo e nello sviluppo del socialismo". "La visione radicale della democrazia richiede la capacità della collettiva’ di gettare le braccia intorno all'intero spettro delle relazioni sociali, sia politiche che economiche".

Nel 1913, Bordiga credeva che le masse non dovessero delegare l'azione a pochi leader perché diffidava dell'azione elettorale come meccanismo di delega del potere alla classe lavoratrice. Nel 1922, di fronte a diversi grandi fallimenti nel prendere il potere con mezzi socialdemocratici, tra cui l'infruttuosa vittoria elettorale del PSI del 1919, il caso ungherese e soprattutto il ruolo controrivoluzionario dell'SPD durante la rivoluzione tedesca del 1918-1920, Bordiga non si fidava più delle "grandi" masse, intese qui più come maggioranza, ma piuttosto paradossalmente di una decisiva minoranza centralizzata marxista per realizzare il cambiamento sociale. L'influenza di Lenin e Trotsky nel modo di pensare di Bordiga non può essere trascurata. Se interpretiamo correttamente il pensiero di Bordiga, i dirigenti non hanno bisogno di essere, o addirittura non dovrebbero essere nominati dalla maggioranza, ma piuttosto emergere come un'unità rivoluzionaria naturale, leader naturali della classe lavoratrice. Questa unità sarebbe sovietica? Sarebbe il Comitato Esecutivo? Probabilmente questi dettagli non interessavano Bordiga. Perché Bordiga non si fida del principio democratico per fornire un mandato alla loro élite? Agli occhi di Bordiga la democrazia fallisce su tre livelli. La sua forma elettorale borghese dissipa l'energia potenziale rivoluzionaria, il suo inganno egualitario liberale priva di diritti le masse, e anche se il partito socialista fosse eletto al potere, i vincoli formali della democrazia borghese agirebbero come un freno reazionario.

Potremmo cercare di afferrare l'ancora di salvezza che Bordiga ci lancia quando mantiene il principio democratico in un contesto di uniformità di classe, ad esempio, nel caso dei sindacati. La democrazia radicale di Melo potrebbe essere proprio questo? Ovviamente no. Basta dire che l'idea di democrazia di Bordiga, cioè di politica elettorale, e di democrazia radicale, qualunque essa sia, sono diverse? Basterebbe questo per superare lo scetticismo di Bordiga nei confronti dell'uso della macchina elettorale? Se è vero che la democrazia radicale non ha nulla a che fare con la politica elettorale, allora è democrazia di partito? È democrazia alternativa?

Melo sostiene che "la democrazia radicale esamina e decide tutti i diritti, incluso il diritto a determinate protezioni legali e politiche (come la proprietà) che richiedono ragioni reciprocamente giustificabili per il loro mantenimento; qualcosa che la politica elettorale non vuole e non può offrire".

Come farebbe la classe lavoratrice a espropriare i proprietari dei mezzi di produzione attraverso la democrazia radicale? Comprendiamo che il problema di Bordiga con il principio democratico non era limitato alla politica elettorale. Per Bordiga le relazioni sociali sono una sorta di processo naturale e la classe lavoratrice deve trovare la propria strada, il centralismo organico. Per Bordiga anche la democrazia radicale non funzionerebbe a causa dell'eterogeneità della classe lavoratrice. Sarebbe come forzare l'inganno dell'uguaglianza in un sistema a una classe invece che in un sistema multiclasse. Essere una classe non significa essere socialmente omogenei. Questo è in realtà un punto giusto da parte della vecchio comunista di sinistra.

Può non sembrare, ma siamo profondamente in disaccordo con il rifiuto di Bordiga del principio democratico, nonostante il suo giusto scetticismo sulla possibilità di vincere la partita giocando secondo le regole di qualcun altro. Questo scetticismo o disgusto per il meccanismo elettorale non è nemmeno una prerogativa dell'estrema sinistra. La destra sovversiva può usare un argomento molto simile per respingere qualsiasi forma di democrazia. Non siamo d'accordo con Bordiga quando torna sui suoi passi in merito alla sua dichiarazione del 1913:

 “le conquiste del Socialismo […] devono essere opera di grandi masse che si siano formata una coscienza collettiva […] non debbono abdicare la tutela nelle mani di pochi dirigenti;”

 Questo è l'errore cruciale blanquista e, in un certo senso, leninista. Quello che ci manca in tutto questo è che la collettività sociale deve organizzarsi e amministrarsi. Per fare ciò la collettività sociale deve prendere il controllo dei mezzi di produzione e del loro prodotto. Per evitare che questo diventi un circolo vizioso (cioè aspettare il momento in cui la collettività sociale è in grado di prendere il controllo dei mezzi di produzione per amministrarsi), la collettività sociale deve organizzarsi in un partito come inteso e descritto nella "Risoluzione" della Conferenza di Londra sull'azione politica della classe lavoratrice, come adottata dalla Conferenza di Londra del settembre 1871[15], dove si legge:

[...]. Considerando che contro questo potere collettivo delle classi possidenti la classe operaia non può agire, come classe, se non costituendosi in un partito politico, distinto e opposto a tutti i vecchi partiti formati dalle classi possidenti. Che questa costituzione della classe operaia in un partito politico è indispensabile per assicurare il trionfo della rivoluzione sociale e il suo fine ultimo – l'abolizione delle classi [...] La collettività sociale organizzata in un partito politico è una precondizione indispensabile per prendere il controllo dei mezzi di produzione.”

Se analizziamo ciò che questo significa in pratica, non significa che una minoranza d'élite (che sa cosa è meglio per la classe lavoratrice) si organizzerà in un partito, ma la classe intera si organizzerà in un partito, un partito internazionale. Ma è un partito politico, dove politico significa che tutti i membri, senza leader, partecipano attivamente alla sua organizzazione e amministrazione come dovrebbero essere in grado di fare per l'intera collettività sociale in una società socialista. Chiunque sostenga che questo è impossibile sostiene che il socialismo è impossibile.

 In pratica, cosa comporterebbe?

 Significherebbe che una parte della giornata dovrà essere investita nell'attività politica, cioè nell'organizzazione e nell'amministrazione del partito di classe. Questa organizzazione e questa amministrazione lascerebbero spazio a un Comitato Esecutivo illuminato? No! L'organizzazione dovrebbe seguire un principio democratico. Per avere successo il Partito non deve avere leader. Perché diciamo questo? Diciamo questo perché crediamo fermamente che gli esseri umani dovrebbero organizzare i loro "propri poteri" come poteri sociali!

Marx ha analizzato i concetti di égalité e liberté derivanti dalla Grande Rivoluzione. Ha acutamente notato, ciò che Bordiga chiamerebbe "l’inganno" dell'uguaglianza, che:

“L'égalité, qui nel suo significato non politico, non è altro che l'uguaglianza della libertà

e che cos'è questa libertà?

“Il diritto dell'uomo alla proprietà privata è dunque il diritto di godere arbitrariamente (à son gré), senza
riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa, il
diritto dell'egoismo. Quella libertà individuale, come questa utilizzazione della medesima, costituiscono il
fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell'altro uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà. Ma essa proclama innanzi tutto il diritto dell'uomo”.

“Per il concetto di sicurezza la società civile non si innalza oltre il suo egoismo. La sicurezza è piuttosto l'assicurazione del suo egoismo”.

Marx e Bordiga hanno ragione nel criticare l'ipocrisia della borghesia nel dare valore assoluto alla loro idea di uguaglianza e libertà, che altrimenti impone e riconosce il "vero uomo solo nella forma dell'individuo egoistico". Marx cita Rousseau per spiegare cosa dovrebbe essere un uomo politico:

“Colui che osa intraprendere di istruire un popolo [..] bisogna che porti via all’uomo le sue forces propres, e glie ne doni di estranee di cui egli non ne può far uso senza supporto altrui”.     

conclude Marx:

“Solo quando l'uomo reale, individuale riassume in sé il cittadino astratto, e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è divenuto membro della specie umana, soltanto quando l'uomo ha riconosciuto e organizzato le sue "forces propres" come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora l'emancipazione umana è compiuta.”

 Il giovane Marx mantiene ancora una visione moralistica, ma in sostanza l'organizzazione delle "forze proprie" dei lavoratori come poteri sociali è la trasformazione chiave necessaria per creare un partito politico operaio e una nuova società. Tuttavia, questa rivelazione dice che il potere di un individuo funziona solo in un contesto collettivo, questo non dice esplicitamente che il partito di classe deve organizzarsi secondo un principio democratico, ma dice che deve essere organizzato dal tutto, che è in altre parole molto vicino alla definizione di demos-kratía.

 In uno scambio di lettere tra Marx ed Engles nel 1851 emerge un aspetto interessante. Mentre Marx è divertito dalle "effusioni birichine" di Proudhon su Louis Blanc, Rousseau e Robespierre; Engels, molto meno divertito, sottolinea:

“Ci sono una o due cose carine negli attacchi a L. Blanc, Robespierre, e Rousseau, ma nell’insieme sarebbe difficile trovarli poco più che pretenziosamente insipidi della sua critica politica, p. es. in merito alla democrazia, nella quale, come il ‘Neue Preussische Zeitung’ e tutta la vecchia scuola storica, se ne esce con un conteggio di teste, e quindi, senza arrossire, tira fuori sistemi dal nulla, deliberazioni pratiche degne di uno scolaretto. E che grande idea che il "pouvoir" [potere] e la "liberté" siano inconciliabilmente opposti, e che nessuna forma di governo possa fornirgli sufficienti motivi morali per obbedirvi! "Par Dieu!" [Per Dio!]. Allora a cosa serve il "pouvoir"?”

In un certo senso l'argomento di Proudhon contro l'uguaglianza è una versione della critica di Bordiga al principio democratico ma settant'anni prima. Proudhon era infastidito dal tempo sprecato seguendo Rousseau che aveva formato il "culte des anciens révolutionnaires", perché il Contratto Sociale come pensato da Rousseau era un'illusione, quindi una perdita di tempo. Proudhon sostiene che la nuova forma di governo non è universalmente uguale. Come Bordiga, Proudhon sostiene che questo "contratto sociale" diventerebbe una frode, perché salvaguarderebbe gli interessi dei proprietari a spese dei non abbienti. Quindi, i poveri non avrebbero gli stessi diritti di rappresentanza dei ricchi. Proudhon continua, e qui sembra che Bordiga possa averlo scritto, che l'opera retorica di Rousseau distraeva dalle basi della negazione del governo[16]. Tuttavia, la soluzione di Proudhon è un capitalismo riformato a favore di una piccola borghesia, dove il principio di uguaglianza diventa ripartizione esercitata, invece che dalla tassazione, attraverso i dividendi. Sebbene Marx apprezzasse l'attacco alla contraddizione nel Contratto sociale di Rousseau fatto da Proudhon, era d'accordo con Engels nel considerare Proudhon un ciarlatano "scientifico".

Nel 1892, in una risposta al filosofo repubblicano massone Giovanni Bovio, Engels sottolineò che sebbene credesse che: "le probabilità sono dieci a uno che i nostri governanti [...] useranno la violenza contro di noi" prima che il partito socialista diventi la maggioranza e proceda a prendere il potere. Ancora per rispondere all'ingenua domanda di Bovio: "quale potere? Sarà monarchico, o repubblicano, o tornerà all'utopia di Weitling, sostituita dal Manifesto comunista del gennaio 1848?", precisava Engels: "Marx ed io, per quarant'anni, abbiamo ripetuto fino alla nausea che per noi la repubblica democratica è l'unica forma politica in cui la lotta tra la classe operaia e la classe capitalista può prima universalizzarsi e poi culminare nella vittoria decisiva del proletariato"[17]. Engels, così come Marx, credeva che il suffragio universale potesse essere "l'arma che, nelle mani dei lavoratori coscienti, ha una gittata più lunga e una mira più sicura di un fucile caricatore di piccolo calibro nelle mani di un soldato addestrato!"[18]

E questo è anche il nostro ultimo punto. La critica di Bordiga del 1922 al principio democratico ha radici profonde. Alcune sono giustificate dal fatto che "l'esecutivo dello Stato moderno non è che un comitato per la gestione degli affari comuni di tutta la borghesia". È anche chiaro che la classe dominante cambierà le regole se vedrà che i suoi affari comuni sono messi in pericolo dal loro metodo di rappresentanza. L'unica democrazia che può funzionare per la classe lavoratrice e in una società socialista è quella in cui la collettività partecipa attivamente. Tornando all'analogia della torta di Melo, siamo d'accordo che l'unico principio democratico che noi, come socialisti marxisti, possiamo accettare è quello in cui tutti possiamo scegliere come fare la torta, chi può fare la torta e come affettare la torta. Il primo punto è probabilmente quello che è stato trascurato. L'azione di delega, che nell'analogia è chi deve fare quella scelta, mancherebbe ancora della vera essenza di un principio pienamente democratico.

Dal dizionario Oxford il verbo "delegare" significa "dare parte del proprio lavoro, potere o autorità a qualcuno in una posizione inferiore"; e, il verbo "rappresentare" significa "agire o parlare ufficialmente per qualcuno e difendere i loro interessi". Così, a un delegato votato dalla maggioranza di un gruppo più ampio di persone viene dato il potere, o l'autorità di agire o parlare per difendere i propri interessi. Questo copre chi può fare quella scelta. Tuttavia, questo è un approccio incompleto e quindi errato. La maggioranza deve essere in grado di essere essa stessa il "delegato". Il "potere o autorità" rimane alla maggioranza che decide attivamente sull'organizzazione specifica e sul contenuto dell'amministrazione (ad esempio, come fare la torta), se la maggioranza deve essere rappresentata un rappresentante sarà nominato democraticamente. Bordiga vedeva questo come l'istituzione di "chiacchieroni che discutono interminabilmente senza mai agire". Se la classe lavoratrice non riesce a trovare un modo efficace per decidere e agire e ha bisogno di affidare il suo potere “ad un certo numero di 'capi' ", allora la classe lavoratrice non è abbastanza matura per instaurare il socialismo.

Cesco

 



[2] Anna Kuliscioff iniziò la sua carriera radicale nella organizzazione terrorista, Južnye buntary, che abbandonò per avvicinarsi al marxismo nel 1879. Fu la compagna di Andrea Costa, con il quale ebbe una figlia, Andreina. Quando la sua relazione con il Costa terminò, ella si avvicinò a Turati diventando da quel momento la coppia inseparabile del socialismo italiano.

[3] La partecipazione di un socialista al Governo borghese.

[4] Il termine integralista non si riferisce qui all’integralismo cattolico, all’autorità della chiesa e la potere politico. In questo caso integralista era derivato dall’aggettivo integrale come “forma costituente di parti, unito”, per indicare che questa fazione voleva unire i riformisti agli intransigenti.

[5] Nonostante la violenza fisica contro I socialisti e i comunisti, nelle lezioni del 1921 questi vinsero 122 seggi, e 61 rispettivamente. Per un resoconto dettagliato di come i fascisti salirono al potere abbiamo pubblicato un numero di articoli su questo blog:  https://adattamentosocialista.blogspot.com/ .

[6] Amadeo Bordiga. Il Principio democratico. Rassegna comunista. A. II, n 18, 28 febbraio 1922, in Amadeo Bordiga: scritti 1911-1926. Volume 6, a cura di Luigi Gerosa. Edito dalla Fondazione Amadeo Bordiga, 2015.

[7] Bordiga aveva sviluppato nel tempo una politica stringente sulle sue pubblicazioni, secondo la quale i suoi scritti non dovevano essere riconducibili ad un singolo individuo, ma piuttosto al movimento. Quindi è abbastanza significativo che questo articolo fosse firmato.  

[8] Bordiga pubblica su Rassegna Comunista anche nel maggio del 1921 sulla questione italiana e sulla scissione di Livorno, e nel novembre 1921 sullo stesso argomento, poi ancora in luglio 1922 sempre su Rassegna Comunista pubblica il discorso tenuto il 28 dicembre 1921 a; primo congresso nazionale del Partito Comunista francese tenutosi a Marseille. Tutti questi articoli erano firmati.

[9] Bordiga mostra una mancanza di cultura giuridica. La legge naturale non è una scoperta liberale, ma ha una tradizione molto più antica, da Tommaso Aquino per i cristiani, ad Aristotele per la tradizione greco-romana.

[10] Per esempio, nei Considerando di Marx preambolo del Programme of the ‘Parti Ouvrier Socialiste Français’ del 1880, si puntualizza che: “Che tale organizzazione deve essere perseguita con tutti i mezzi a disposizione del proletariato, compreso il suffragio universale, così trasformato da strumento di inganno, qual è stato finora, a strumento di emancipazione”.

[11] È viceversa il caso che la socialdemocrazia non fosse così naïve da credere che non appena la maggioranza elettorale fosse stata raggiunta questo avrebbe messo fine al capitalismo assieme alle sue ingiustizie e i suoi privilegi. È un preconcetto, o in altre parole, una tendenziosa generalizzazione che Bordiga a favore del suo argomento.

[16] Pierre-Joseph. Proudhon. Idée générale de la révolution au XIXe siècle, choix d'études sur la pratique révolutionnaire et industrielle. 1851. https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6115074k.texteImage


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