La lettura di Nuti

 


 

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2.     La lettura di Nuti

 

Domenico Mario Nuti (1937 - 2020) è stato un accademico italiano, professore ordinario di economia all'Università La Sapienza di Roma per molti anni. Nuti nasce ad Arezzo e nel 1962 si laurea in legge proprio alla Sapienza. L’anno successivo si stabilisce a Varsavia come borsista dell'Accademia Polacca delle Scienze, studiando con Michał Kalecki e Oskar Lange. Dalla Polonia si trasferisce poi a Cambridge, dove nel 1970 completa il dottorato di ricerca in economia sotto la supervisione di Maurice Dobb e Nicholas Kaldor. Dal 1965 al 1979 Nuti è infatti membro del King’s College di Cambridge e in pochi anni diviene docente presso la locale facoltà universitaria di economia. Dal 1980 al 1982 è professore e direttore del Center for Russian and Eastern European Studies presso l'Università di Birmingham. A metà degli anni ’80 Nuti torna in Italia e diventa professore ordinario all’Università di Siena e all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, non lontano da Firenze. Nel 1993 gli viene affidata la cattedra di Sistemi Economici Comparati presso l’Università La Sapienza di Roma, che occupa fino al pensionamento nel 2010. È proprio a Cambridge che Mario Nuti inizia il suo percorso accademico affermandosi subito come teorico di alto livello, capace di mettere efficacemente in relazione le sue idee economiche con il relativo contesto storico e politico. I suoi scritti coprono un’ampia gamma di questioni teoriche: dal sistema di incentivi e la scelta delle tecniche nell'industria sovietica, alle implicazioni dei celebri dibattiti sulla teoria del capitale per i sistemi capitalisti di mercato e per quelli del “socialismo reale”, alla critica del modello teorico di crescita di Kaldor-Mirrlees, all’analisi delle politiche dei redditi, nonché a importanti contributi alla comprensione delle determinanti della distribuzione del reddito nelle classi sociali. Nel 1974, curando la pubblicazione dei saggi dell’economista matematico russo V. K. Dmitriev (1868-1913) per la Cambridge University Press, scrive un importante saggio introduttivo in cui l’analisi teorica e la storia del pensiero economico sono mescolate in modo armonioso [1]. L'originalità e i punti di forza di Nuti erano il risultato della sua vasta base teorica (marxista, storica e giuridica), unita al dominio intellettuale delle teorie “borghesi” relative al mercato, nonché a una profonda conoscenza dei meccanismi istituzionali, politici e ideologici che stavano in quell’epoca alla base delle economie dell’Europa Orientale e dell’URSS. Mario Nuti divenne infatti uno dei massimi studiosi dell’economia del cosiddetto “socialismo reale” e delle successive transizioni di tali realtà verso il capitalismo di mercato. I noti eventi del 1989-91 in Europa Orientale e in URSS lo spinsero, quasi automaticamente, nella cerchia dei consiglieri della Commissione dell’Unione Europea in qualità di esperto economico di quei paesi, un impegno che durò per i due decenni successivi. Di conseguenza ne scaturì una fase lunga e intensa durante la quale Nuti produsse numerosi relazioni e saggi, sia su problemi e paesi specifici, sia su temi di riflessione più generale. In effetti affrontò sempre in modo molto originale la crisi delle economie pianificate e i successivi problemi delle “economie di transizione” verso il capitalismo di mercato, cosicché suo lavoro divenne un riferimento necessario per lo studio di queste particolari entità geopolitiche.

 

Proprio nell’ultimo periodo della sua vita, nell’aprile del 2016, Nuti scrive un lungo articolo dal titolo emblematico: “Ascesa e caduta del socialismo”, che potremmo definire di “alta divulgazione”, ossia a metà tra saggio tecnico per addetti ai lavori e il pezzo divulgativo per la stampa non specializzata. Si tratta di una versione alquanto più corposa dello scritto in lingua inglese poi presentato a un convegno (Berlino, 23-24 ottobre 2017) sul tema “Disuguaglianze, modelli economici e la Rivoluzione Russa dell’ottobre 1917 in una prospettiva storica”, promosso dal Dialogue Of Civilisations – Research Institute. Naturalmente qui non ho né lo spazio né la volontà di sintetizzare le più di ottanta pagine di testo (dense di note e di citazioni) che l’autore vide come una sorta di “confessione finale” di un economista socialista che cataloga e disseziona tutti i falliti tentativi di superamento del capitalismo nel XX secolo, ma che conclude con un elenco dei compiti del “socialismo del futuro” sugellato in fondo da un’ironica frase marxiana dal sapore quasi liturgico: “Dixi et salvavi animam meam” (Marx, 1875).  Mi limito quindi a riportare il breve sommario iniziale, lasciando ai lettori più curiosi di approfondire la tematica, l’onere dello studio del testo completo reperibile presso il sito http://www.insightweb.it/web/content/ascesa-e-caduta-del-socialismo .

 

Il termine “socialismo” è relativamente recente, apparendo per la prima volta meno di due secoli fa, nel 1827. La diversità delle possibili definizioni riflette la natura multidimensionale del progetto socialista. Tra i modelli di socialismo possiamo annoverare la Rivoluzione Culturale Cinese; la NEP (Nuova Politica Economica in Unione Sovietica); la pianificazione centrale di tipo sovietico; la Socialdemocrazia di tipo scandinavo; il Modello Sociale Europeo introdotto in varia misura nell’Unione Europea negli anni ‘90 e primi anni 2000. Con riferimento all’Europa occidentale, è possibile individuare alcune articolazioni del modello a livello nazionale: il neocorporativismo di tipo austriaco; la cogestione (“Mitbestimmung”) tipica della Germania post-bellica; la pianificazione indicativa di tipo francese. Nel saggio si analizza in primo luogo il modello di tipo sovietico, la sua ascesa, evoluzione e caduta nonché i problemi generati dalla transizione post-socialista con il ritorno a economie di mercato, con proprietà e impresa private, integrate nell’economia globale. Poi si prende in considerazione anche il modello socialdemocratico, esemplificato dal Modello Sociale Europeo, e di altre economie capitalistiche, che perseguono valori socialisti in un’economia senza proprietà e impresa pubblica dominanti. Verso la fine degli anni 1990 il modello socialdemocratico veniva pervertito dai suoi leader che adottavano istituzioni e politiche economiche iper-liberali, austere e globaliste, contribuendo a scatenare la crisi più grave di questo secolo, che ancora imperversa con tassi elevati di disoccupazione, ristagno continuato e crescente disuguaglianza.

 


DANKOLOG

 

NOTE E REFERENZE

[1] Nuti, D. M. 1974. Introduction, in Dmitriev, V. K. 1974. Economic Essays on Value, Competition and Utility (Cambridge: Cambridge University Press). Tale saggio introduttivo è però severamente criticato da Andrew Kliman che ne scrive un aspro commento: “Dmitriev non menzionò mai Marx per nome, ma dal suo uso di termini come “lavoro vivo” e “plusvalore” è chiaro che il suo obiettivo fosse Marx. Che il redattore del libro di Dmitriev potesse affermare che “il suo sistema di pensiero è compatibile con le teorie economiche marxiane” (Nuti 1974:7) indica solamente come fosse lontana la teoria economica marxista convenzionale da quella di Marx fin dal 1974” [Andrew Kliman, Se è corretto, non correggetelo, Il Proteo n. 2 (2001)]. Rimandando i lettori interessati a letteratura specializzata sull’argomento, posso però dire che questa stroncatura va intesa come un riflesso della lunghissima polemica che ha agitato la scuola economica marxista degli ultimi cinquant’anni relativa alla eventuale compatibilità tra il pensiero economico di Marx e quello della scuola neoricardiana (Sraffa in primis).

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